Se fallisce l'appaltatore, il subappaltore è suo creditore concorsuale, da soddisfare nel rispetto della par condicio creditorum

Guglielmo Aldo Giuffrè
09 Marzo 2020

Il meccanismo delineato dal d.lgs. n. 163 del 2006, art. 118, comma 3, deve ritenersi riferito all'ipotesi in cui il rapporto di appalto sia in corso con un'impresa in bonis e, dunque, non è applicabile nel caso in cui, con la dichiarazione di fallimento dell'appaltatore, il contratto di appalto si scioglie; in tal caso, infatti, al curatore è dovuto dalla stazione appaltante il corrispettivo delle prestazioni eseguite fino all'intervenuto scioglimento del contratto e il subappaltatore deve essere considerato un creditore concorsuale dell'appaltatore come gli altri, da soddisfare nel rispetto della par condicio creditorum e dell'ordine delle cause di prelazione.

La questione. La questione rimessa al vaglio delle Sezioni Unite attiene alla configurabilità o meno di un nesso intercorrente tra il disposto dell'art. 118, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006 - nel testo vigente anteriormente alle modifiche apportate dal d.l. 23 dicembre 2013, n. 145 (in vigore dal 24 dicembre 2013), convertito con modificazioni dalla l. 21 febbraio 2014, n. 9 (in vigore dal 22 febbraio 2014), tenuto conto che la sentenza di fallimento della - e l'istituto fallimentare della prededuzione di cui all'art. 111 della l. fall., secondo il quale sono prededucibili i crediti così qualificati da una specifica disposizione di legge e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali.

I precedenti. Dopo aver ricostruito la normativa di riferimento, le Sezioni Unite hanno ricordato che, a partire dalla sentenza n. 3402/2012, nel caso in cui la stazione appaltante abbia disposto la sospensione del pagamento a favore dell'appaltatore, si è ritenuto che "Ai fini della prededucibilità dei crediti nel fallimento, il necessario collegamento occasionale o funzionale con la procedura concorsuale, ora menzionato dalla L. Fall., art. 111, va inteso non soltanto con riferimento al nesso tra l'insorgere del credito e gli scopi della procedura, ma anche con riguardo alla circostanza che il pagamento del credito, ancorchè avente natura concorsuale, rientri negli interessi della massa e dunque risponda agli scopi della procedura stessa, in quanto utile alla gestione fallimentare. Invero, la prededuzione attua un meccanismo satisfattorio destinato a regolare non solo le obbligazioni della massa sorte al suo interno, ma anche tutte quelle che interferiscono con l'amministrazione fallimentare ed influiscono sugli interessi dell'intero ceto creditorio. (Nella specie, è stato ammesso in prededuzione il credito, sorto in periodo anteriore al fallimento, relativo al corrispettivo di un subappalto concluso con il gruppo della società fallita, cui le opere erano state appaltate da un ente pubblico, sussistendo il nesso di strumentalità tra il pagamento del credito del subappaltatore, da eseguire con detta preferenza e seppur a seguito di riparto, e la soddisfazione del credito della fallita, tenuto conto che il pagamento di quest'ultimo risulta sospeso, ai sensi del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 118, comma 3, da parte della stazione appaltante, ed invece può essere adempiuto se consti il pagamento al predetto subappaltatore)".

La Corte ha quindi evidenziato che il suddetto orientamento (ribadito da Cass. n. 5705 del 2013) è stato precisato dalla giurisprudenza successiva che, da un lato, ha escluso "che l'apertura di una procedura concorsuale determini in automatico il verificarsi della sospensione dei pagamenti" - ed infatti il mancato pagamento all'appaltatore fallito è un "fatto in sè stesso neutro", poichè "è la dichiarazione dell'Amministrazione (appaltante) ad avere carattere costitutivo" - e, dall'altro, ha osservato che l'onere della prova dell'avvenuta sospensione ricade sul soggetto che invoca la sospensione, mentre "toccherà poi al curatore la prova del fatto estintivo costituito dallo spontaneo pagamento da parte dell'Amministrazione" (Cass. n. 3203 del 2019); e che il principio di diritto affermato "non va inteso (...) nel senso che un tal credito vada ammesso, sempre e comunque, in prededuzione (finendo per dar luogo ad una sorta di innominato privilegio) e ciò anche se la massa dei creditori non tragga alcuna concreta soddisfazione dall'esecuzione di quel pagamento (per il minor o nullo o incerto introito che a quel pagamento consegua). Al contrario, l'ammissione del credito del subappaltatore al passivo fallimentare in prededuzione potrà trovare riscontro solo se e in quanto esso comporti, per la procedura concorsuale, un sicuro ed indubbio vantaggio conseguente al pagamento del committente - P.A. il quale subordini il suo pagamento di una maggior somma alla quietanza del subappaltatore in ordine al proprio credito, ai sensi del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 118, comma 3"; e si è aggiunto che "se sussiste effettivamente, in concreto, il beneficio per la massa dei creditori, la curatela non potrebbe che convergere con il creditore istante nel riconoscimento della sua posizione di vantaggio, al fine di estinguerlo proprio per fruire dei maggiori introiti a beneficio della massa creditoria" (Cass. n. 3003 del 2016; conformi Cass. n. 2310 e n. 7392 del 2017).

Le Sezioni Unite hanno però ricordato anche che due ordinanze del 2017 (n. 15479 e n. 19615), pur seguendo l'indirizzo inaugurato nel 2012 e successivamente precisato, contengono tuttavia un significativo obiter dictum, mirante a mettere in discussione quel medesimo indirizzo, laddove affermano che "il riconoscimento di una particolare tutela alle imprese subappaltatrici in appalti pubblici è indiscusso, ma attiene al loro rapporto con le imprese appaltatrici, non può incidere sugli interessi degli altri creditori concorsuali nel caso di fallimento di tali imprese. Sicchè non può riconoscersi la prededuzione a un credito che non ha alcun rapporto nè genetico nè funzionale con la procedura concorsuale" e che il contrasto si è manifestato nella sentenza n. 33350 del 2018, ove si è affermato che "In caso di fallimento dell'appaltatore di opera pubblica, il subappaltatore deve essere considerato un creditore concorsuale come tutti gli altri, nel rispetto della par condicio creditorum e dell'ordine delle cause di prelazione, non essendo il suo credito espressamente qualificato prededucibile da una norma di legge, nè potendosi considerare sorto in funzione della procedura concorsuale, ai sensi della L. Fall., art. 111, comma 2; invero, il meccanismo del D.Lgs. n. 163 del 2006, ex art. 118, comma 3 - riguardante la sospensione dei pagamenti della stazione appaltante in favore dell'appaltatore, in attesa delle fatture dei pagamenti di quest'ultimo al subappaltatore - deve ritenersi, alla luce della successiva evoluzione della normativa di settore, calibrato sull'ipotesi di un rapporto di appalto in corso con un'impresa in bonis, in funzione dell'interesse pubblico primario al regolare e tempestivo completamento dell'opera, nonchè al controllo della sua corretta esecuzione, e solo indirettamente a tutela anche del subappaltatore, quale contraente "debole", sicchè detto meccanismo non ha ragion d'essere nel momento in cui, con la dichiarazione di fallimento, il contratto di appalto di opera pubblica si scioglie".

La Corte ha quindi sintetizzato le ragioni poste a base del suddetto orientamento che nega la prededucibilità del credito del subappaltatore: a) in primo luogo, l'interesse sinallagmatico della stazione appaltante alla tempestiva e regolare esecuzione dell'opera da parte dell'appaltatore-affidatario (fallito) viene meno con lo scioglimento del vincolo contrattuale dell'appalto e, di riflesso, del subappalto; di conseguenza, viene meno anche la "condizione di esigibilità" del credito dell'appaltatore nei confronti della stazione appaltante, dissolvendosi la ragione giustificativa del meccanismo della sospensione del pagamento che serve per garantire alla stazione appaltante la regolare esecuzione delle opere appaltate, nei tempi stabiliti e nella correttezza del risultato, tuttavia non più realizzabile per effetto di quello scioglimento; pertanto, la soddisfazione del credito del subappaltatore (comunque non realizzabile con la sola ammissione al passivo in prededuzione, ma con il pagamento in sede di riparto) non vale ad attribuire all'appaltatore fallito la possibilità di conseguire dalla stazione appaltante il maggior credito spettantegli; b) in secondo luogo, le modifiche ed integrazioni dell'art. 118 del codice del 2006, operate dal D.L. n. 145 del 2013, art. 13, comma 10, lett. a)-b), convertito in L. n. 9 del 2014, conforterebbero le suindicate conclusioni, poichè il pagamento al subappaltatore costituisce "condizione di esigibilità" del (maggior) credito verso la stazione appaltante unicamente quando l'appaltatore sia in bonis e per il quale, dunque, il vincolo contrattuale di appalto persista; ciò sarebbe indirettamente dimostrato dal fatto che la stazione appaltante può provvedere al pagamento diretto in presenza di crisi di liquidità (e non già di insolvenza) dell'appaltatore-affidatario e, analogamente, "anche per i contratti di appalto in corso, nella pendenza di procedura di concordato preventivo in continuità aziendale"; c) in terzo luogo, diversamente dall'opposto orientamento, il nesso di funzionalità del credito rispetto alla procedura concorsuale, ai fini della prededuzione (L. Fall., art. 111, comma 2), dovrebbe essere apprezzato in senso stretto sulla base di una valutazione ex ante e avendo riguardo al momento genetico del credito, indipendentemente dall'eventuale vantaggio per la massa che si determini ex post.

L'ordinanza di rimessione. L'ordinanza di rimessione ha rilevato che: a) l'argomento che fa leva sullo scioglimento, ex nunc, del contratto di appalto, per effetto del fallimento dell'appaltatore, non terrebbe debitamente conto della circostanza che se il contratto di appalto contiene una condizione di esigibilità implicata dal bando (quale quella prevista dall'art. 118, comma 3, del codice del 2006), il sopravvenuto scioglimento del vincolo contrattuale non escluderebbe, automaticamente, la possibilità della stazione appaltante di avvalersi della corrispondente clausola di fronte alla pretesa creditoria dell'appaltatore relativa a prestazioni eseguite in adempimento degli obblighi contrattuali; b) l'argomento che fa leva sul difetto di interesse ad opporre la predetta condizione di esigibilità nel caso di fallimento dell'appaltatore non terrebbe conto del fatto che la stazione appaltante, in armonia con le "linee guida" tracciate dall'A.N.A.C. (nel parere AG 26/12 del 7 marzo 2013) ed equiparabili ad atti amministrativi generali, resta pur sempre libera di opporla all'appaltatore, finanche se fallito, esercitando in tal modo un potere discrezionale di autotutela che consiste nella mediazione tra interessi (pubblici e privati) potenzialmente confliggenti, la ponderazione dei quali è affidata alla sola amministrazione; c) l'argomento che fa leva sul venir meno dell'interesse della stazione appaltante all'esecuzione dell'opera, a seguito del fallimento dell'appaltatore, non terrebbe conto che a venire in rilievo sarebbe piuttosto l'interesse oggettivo, rilevante nell'ottica comunitaria, di favorire le piccole e medie imprese, al fine di proteggere anche e proprio il subappaltatore, parte debole del rapporto. Ed infatti, "ove dal contratto non fosse consentito il pagamento diretto da parte della stazione appaltante, la tutela del subappaltatore - che è l'operatore economico piccolo o medio che pur ha realizzato (o concorso a realizzare) l'opera pubblica nel contesto di mercato appena detto non potrebbe trovare altro presidio che nella L. Fall., art. 111, poichè altrimenti il suo credito resterebbe soggetto alla falcidia fallimentare"; d) l'art. 118, comma 3 bis del codice del 2006, introdotto dal D.L. n. 145 del 2013, convertito con modificazioni dalla L. n. 9 del 2014, riferendosi segnatamente alle imprese appaltatrici in concordato preventivo con continuità aziendale, non varrebbe a giustificare la conclusione secondo cui il comma 3, della suindicata disposizione normativa riguarderebbe unicamente l'appalto di opere pubbliche in corso con imprese in bonis e non escluderebbe che nelle situazioni di "insolvenza" in senso proprio dell'affidatario continui ad operare il dettato del suindicato art. 118, comma 3.

La decisione delle Sezioni Unite. Le Sezioni Unite hanno ritenuto di dare continuità all'orientamento espresso da Cass. n. 33350 del 2018, affermando il principio secondo cui, in caso di fallimento dell'appaltatore di opera pubblica, il meccanismo delineato dal D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 118, comma 3 - che consente alla stazione appaltante di sospendere i pagamenti in favore dell'appaltatore, in attesa delle fatture dei pagamenti effettuati da quest'ultimo al subappaltatore - deve ritenersi riferito all'ipotesi in cui il rapporto di appalto sia in corso con un'impresa in bonis e, dunque, non è applicabile nel caso in cui, con la dichiarazione di fallimento, il contratto di appalto si scioglie; ne consegue che al curatore è dovuto dalla stazione appaltante il corrispettivo delle prestazioni eseguite fino all'intervenuto scioglimento del contratto e che il subappaltatore deve essere considerato un creditore concorsuale dell'appaltatore come gli altri, da soddisfare nel rispetto della par condicio creditorum e dell'ordine delle cause di prelazione.

Corte di Cassazione

, Sez.

Un.

,

2

marzo

20

20

, n.

56

85

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.