La Convenzione di Dublino: un nuovo strumento di cooperazione giudiziaria europea

Marina Ingoglia
18 Marzo 2020

Il Parlamento italiano, con Legge 19 Luglio 2019, n. 66, ha ratificato la Convenzione per l'estradizione tra gli Stati membri dell'UE, firmata a Dublino il 27 Settembre 1996. Tale Convenzione è entrata in vigore il 23 Luglio 2019...
Premessa

Il Parlamento italiano, con Legge 19 Luglio 2019, n. 66, ha ratificato la Convenzione per l'estradizione tra gli Stati membri dell'UE, firmata a Dublino il 27 Settembre 1996.

Tale Convenzione è entrata in vigore il 23 Luglio 2019. La Decisione – Quadro 2002/584/GAI sul mandato di arresto europeo, entrato in vigore in Italia con la legge22 Aprile 2005, n. 69, prevede, all'art. 31, nel campo dei rapporti giurisdizionali con gli Stati – Membri il ricorso al MAE in sostituzione delle convenzioni fino ad allora esistenti, in esse compresa quella del 27 Settembre 1996 (cfr. art. 31 co. I lett. d) Decisione – Quadro citata).

Ma è accaduto esattamente il contrario nel senso che la predetta CONVENZIONE è entrata in vigore successivamente al MAE, che avrebbe dovuto sostituirla.

Si tratta, dunque, di fare chiarezza sulla reale portata applicativa di questo nuovo strumento di cooperazione europea, ma si può già propendere per una soluzione interpretativa che attribuisce alla nuova procedura di estradizione il compito più ambizioso di accelerare la consegna del ricercato.

L'art. K 3 del Trattato di Maastricht

Come è noto, tra gli obiettivi primari del Trattato di Maastricht, vi è anche la previsione di convenzioni funzionali alla cooperazione giudiziaria in materia penale.

L'art. K1, in generale, considera questione di interesse comune la cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni.

Ai fini della realizzazione degli obiettivi dell'Unione – si legge nella relazione illustrativa – gli Stati membri considerano il miglioramento delle procedure di estradizione una questione di interesse comune che rientra nella cooperazione prevista dal Titolo V della parte terza del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE).

L'art. K3 rimette, quindi, al Consiglio la elaborazione di convenzioni di cui raccomanderà l'adozione da parte degli Stati Membri conformemente alle loro rispettive norme costituzionali.

Si demanda inoltre alla Corte di Giustizia la competenza ad interpretarne le disposizioni e a comporre le controversie connesse con la loro applicazione.

Sulla scorta di tale base normativa sono state adottate due importanti convenzioni in materia di estradizione.

In primo luogo, con atto del Consiglio del 10 Marzo 1995, è stata elaborata la Convenzione relativa alla procedura semplificata di estradizione tra gli Stati membri dell'Unione europea. La convenzione è stata stabilita e firmata a Bruxelles il 10 marzo 1995.

La Convenzione prevede una forte semplificazione per la consegna delle persone ricercate: ferma restante la facoltà di chiedere altri elementi d'informazione se quelli comunicati risultano insufficienti, gli Stati Membri hanno, infatti, l'obbligo di consegnarsi le persone ricercate ai fini dell'estradizione sulla base della mera comunicazione dei seguenti dati : identità della persona ricercata, autorità che ha richiesto l'arresto, esistenza di un ordine di arresto o di un atto di pari efficacia oppure di una sentenza avente forza esecutiva, natura e qualificazione giuridica del reato, descrizione delle circostanze del reato e, per quanto possibile, conseguenze del reato.

Con successivo atto del Consiglio del 27 Settembre 1996, è stata elaborata la più generale Convenzione relativa all'estradizione tra gli Stati Membri dell'Unione europea. La Convenzione è stata firmata lo stesso giorno a Dublino il 27 Settembre 1996.

Essa precisa innanzi tutto i fatti che possono giustificarla: deve trattarsi di reati punibili dalla legge dello Stato Membro richiedente con una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privativa della libertà non inferiore, nel massimo, a dodici mesi e punibili dalla legge dello Stato Membro richiesto con una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privativa della libertà non inferiore, nel massimo, a sei mesi. Eventuali differenze fra la misura di sicurezza prevista dallo Stato membro richiedente e quella prevista dallo Stato richiesto sono irrilevanti.

Nessun reato può essere considerato dallo Stato Membro richiesto alla stregua di reato politico. Nell'ipotesi che siano state violate le leggi fiscali, l'estradizione viene concessa se il fatto corrisponde ad un reato della stessa natura secondo la legge dello Stato richiesto e, tuttavia, “l'estradizione non può essere rifiutata per il motivo che la legge dello Stato membro richiesto non impone lo stesso tipo di tasse o di imposte”.

L'estradizione non può essere rifiutata per il motivo che secondo la legge dello Stato richiesto l'azione penale o la pena sono prescritte. Al contrario, essa non è concessa per reati coperti da amnistia nello Stato richiesto.

L'ITALIA non ha ratificato la Convenzione di Bruxelles, mentre la Convenzione di Dublino è stata ratificata dal Parlamento italiano, con Legge 19 Luglio2019, n. 66, entrata in vigore il 23.7.2019.

La Convenzione di Dublino

La Convenzione in esame, che ha come obiettivo l'attuazione di uno spazio giudiziario europeo per la riduzione degli ostacoli all'estradizione, riguarda realtà nazionali la cui normativa interna- quanto a diritti dell'imputato e del condannato – è caratterizzata da un elevato grado di omogeneità.

In questa prospettiva si giustifica una più ampia collaborazione rispetto a quella tradizionalmente offerta agli Stati con i quali esistono rapporti di cooperazione internazionale.

La Convenzione è composta da 20 articoli ed essa tende a rimuovere gli ostacoli alla estradizione se riguardante, in particolare, i c.d. reati politici, poiché notoriamente il sistema di cooperazione internazionale per la consegna di persone cui applicare misure restrittive, o, comunque, da assoggettare a misure punitive, è in larga parte condizionato dalla qualità dei fatti perseguiti.

In tal senso, l'art. 5 statuisce che «Ai fini dell'applicazione della presente Convenzione nessun reato può essere considerato dallo Stato membro richiesto come un reato politico, un fatto connesso con un reato politico ovvero un reato determinato da motivi politici».

L'art. 2 individua i fatti che danno luogo all'estradizione specificando che essa non può essere rifiutata per il motivo che la legge dello Stato Membro richiesto non prevede lo stesso tipo di misura di sicurezza privativa della libertà contemplata dalla legislazione dello Stato Membro richiedente.

L'art. 6 si occupa dei reati fiscali e stabilisce che l'estradizione deve essere concessa anche se il Paese richiesto non impone lo stesso tipo di tasse del Paese richiedente, in tal modo superandosi il requisito della doppia incriminabilità.

Occorre, tuttavia, rammentare che già nel nostro ordinamento la condizione della doppia punibilità prevista dall'art. 7, comma primo, della L. n. 69 del 2005 per l'esecuzione della consegna, risulta espressamente mitigata dal comma secondo del medesimo articolo proprio con riferimento alla materia delle tasse e imposte, non richiedendosi la necessità di una perfetta sovrapposizione tra la fattispecie prevista dall'ordinamento estero e quella contemplata dall'ordinamento italiano, ma solo che siano assimilabili, per analogia, a tasse o imposte per le quali la legge italiana prevede, in caso di violazione, la sanzione della reclusione della durata massima, escluse le eventuali aggravanti, pari o superiore a tre anni.

La formulazione dell'art. 6 citato prescinde del tutto dalla necessità del confronto con fattispecie estera assimilabile e dal limite edittale di almeno anni tre di reclusione.

Con riguardo all'art. 8, esso dispone che l'estradizione non può essere rifiutata per il motivo che secondo la legge dello Stato Membro richiesto l'azione penale o la pena sono prescritte.

Diversamente nel caso di amnistia, poiché l'articolo 9 non consente l'estradizione per un reato coperto da amnistia nello Stato membro richiesto qualora detto Stato sia competente per perseguire il reato in questione secondo la propria legge penale.

La garanzia di specialità nella nuova procedura di estradizione

La Convenzione di estradizione del 1996, all'art. 10, stabilisce che per fatti commessi anteriormente alla consegna, diversi da quelli che hanno dato luogo alla domanda di estradizione, la persona estradata può essere sottoposta a procedimento penale o essere giudicata senza che sia necessario raccogliere il consenso dello Stato Membro richiesto nei casi specificatamente individuati al par. 1 lettere a), b), c) e d).

I casi contemplati consentono di derogare alla garanzia di specialità, nel senso che la persona consegnata può essere perseguita e giudicata per “reati diversi e anteriori”, purché nel corso e in esito al processo penale non siano applicate misure provvisorie o definitive comportanti la restrizione della libertà personale.

L'ipotesi di cui alla lett. d) riguarda, invece, la rinuncia espressa da parte del ricercato al beneficio del principio di specialità per fatti precisi anteriori alla sua consegna e successivamente ad essa.

In linea con tale disposizione normativa della Convenzione, anche nella disciplina del mandato di arresto europeo, si è notevolmente alleggerita la portata precettiva della clausola di specialità, di fatto impedendosi allo Stato di emissione di disporre “fisicamente” della persona consegnata e ad esso consentendosi di procedere penalmente nei confronti di quest'ultima, qualora ciò non comporti l'applicazione di misure restrittive della libertà personale, o l'applicazione di pena detentiva anche nella fase esecutiva o l'applicazione di misura di sicurezza restrittiva della sua libertà personale.

Tale indirizzo è stato tracciato per la prima volta dalla Corte di Cassazione – Sezione VI – con la pronuncia n. 39240/11 la cui massima recita:

«In tema di mandato di arresto europeo, il principio di specialità previsto dall'art. 32 della legge 22 Aprile 2005, n. 69, non osta a che l'autorità giudiziaria italiana proceda nei confronti della persona consegnata a seguito di mandato d'arresto europeo emesso per reati diversi da quelli per i quali la stessa è stata consegnata e commessi anteriormente alla sua consegna. Tuttavia, in assenza del consenso dello Stato di esecuzione, deve ritenersi preclusa – allo Stato di emissione che abbia legittimamente adottato un provvedimento cautelare al fine di attivare la procedura di assenso prevista in relazione ai suddetti reati – la possibilità di eseguire nei confronti della persona consegnata misure restrittive della libertà personale, sia durante il procedimento che in esito allo stesso».

Questa linea interpretativa, ribadita da tutta la giurisprudenza di legittimità successiva, deriva dalla decisione della Corte di Giustizia dell'Unione Europea in data 1 Dicembre 2008, che ha chiarito come la circostanza che non siano applicate nel corso del processo penale misure cautelari o provvisorie non deve necessariamente discendere da un divieto normativo ma può dipendere anche solo dalla scelta dell'autorità giudiziaria di non ricorrere nel caso di specie a forme di coercizione personale. Naturalmente ciò non impedisce che la persona consegnata sia legittimamente detenuta in forza del titolo che ha motivato la sua consegna.

Dalla lettura dell'art. 10 comma I Legge n. 66/2019, si desume con chiarezza che con la nuova procedura, in materia di clausola di specialità, non è più necessario raccogliere il consenso dello Stato membro richiesto.

Diversamente, invece, seguendo la disciplina del mandato di arresto europeo, poiché è consentito procedere, successivamente alla consegna, anche per fatti diversi e anteriori, prescindendo dall'assenso della Corte territoriale competente, soltanto per fatti che non comportino provvedimenti coercitivi della libertà, soltanto grazie all'intervento chiarificatore della CGUE, fatto proprio dalla giurisprudenza di legittimità.

In conclusione

La nuova e più ambiziosa procedura di estradizione mira a completare e migliorare la disciplina del mandato di arresto europeo.

Pertanto anche l'art. 31 della Decisione – Quadro 2002/584/GAI deve essere interpretato alla luce dell'obiettivo principale della decisione quadro che è quello di contribuire alla creazione di uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia e ciò implica un miglioramento e un'accelerazione delle procedure di estradizione.

Di conseguenza, è senza effetto l'art. 31 lett. d) nella parte in cui prevede la sostituzione della Convenzione del 1996 con il mandato di arresto europeo.

In linea con tale orientamento è certamente l'introduzione, con legge n. 117 del 2019,dell'art. 18-bisnella legge n. 69 del 2005, che consiste nella previsione di motivi facoltativi di rifiuto di esecuzione del mandato in situazioni nelle quali era invece previsto il rifiuto obbligatorio.

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