Il curatore è legittimato ad impugnare il decreto di sequestro preventivo

Francesco Rubino
18 Marzo 2020

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la pronuncia in commento, risolvono il contrasto giurisprudenziale relativo alla legittimazione del curatore fallimentare all'impugnazione del provvedimento di sequestro preventivo disposto prima della dichiarazione di fallimento.
Massima

Il curatore fallimentare è legittimato a chiedere la revoca del sequestro preventivo ai fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale.

Il caso

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione si pronunciano su rinvio operato, con ordinanza 16 aprile 2019, dalla terza sezione penale della medesima Corte, la quale – nel caso sottoposto al suo giudizio – riteneva di non condividere il principio di diritto precedentemente affermato dalle Sezioni Unite in tema di legittimazione all'impugnazione del curatore fallimentare.

La materia sottesa alla pronuncia in esame concerne il sequestro preventivo finalizzato alla confisca disposto nei confronti di una società petrolifera l'11 luglio 2018 dal Procuratore della Repubblica, e convalidato dal Giudice per le Indagini preliminari il successivo 13 luglio, per il reato di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto relativa agli anni 2015 e 2016, ai sensi dell'art. 12-bis D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74.

Più nel dettaglio, posto che la società, in liquidazione dal 22 gennaio 2018, aveva presentato il 24 aprile 2018 domanda di ammissione al concordato preventivo, che all'esito della procedura, con sentenza pronunciata il 12 luglio 2018, era stato dichiarato il fallimento della società, l'istanza presentata avverso il decreto di sequestro dalla curatela del fallimento era stata dichiarata inammissibile per carenza di legittimazione ad impugnare il provvedimento ablativo, in quanto non titolare dei beni della fallita. Avverso l'ordinanza del Gip del Tribunale veniva proposto appello, che veniva rigettato per carenza di legittimazione dell'appellante.

Veniva pertanto presentato ricorso per Cassazione, con il quale – fra gli altri – si deduceva il vizio di violazione di legge circa l'esclusione della curatela a richiedere revoca del sequestro.

La terza sezione della Corte di cassazione, investita del ricorso, ravvisava la necessità di rimettere la decisione alle Sezioni Unite affinché rivedesse il principio da esse affermato nel caso Uniland, che escludeva la legittimazione ad agire della curatela avverso provvedimenti ablativi. Infatti, sebbene la sentenza Uniland riguardasse un caso di confisca in materia di responsabilità amministrativa da illecito penale delle persone giuridiche, si fondava su argomenti generali di carattere sistematico in ordine alla mancanza, in capo al curatore, della titolarità di diritti sui beni della procedura, suscettibili di applicazione generalizzata.

La sezione, nell'ordinanza di rinvio, sottolineava inoltre che successive pronunce avevano ammesso la legittimazione del curatore nei casi in cui il sequestro fosse successivo alla dichiarazione di fallimento e ne avevano esteso l'operatività in determinati casi a prescindere da detta condizione. Tuttavia, il principio affermato con la sentenza Uniland ancora impediva la proposizione dell'impugnazione da parte del curatore quantomeno nelle ipotesi in cui l'applicazione del vincolo ablativo fosse precedente alla dichiarazione di fallimento.

Si ravvisavano ragioni per rivedere la menzionata decisione delle Sezioni Unite anche con riguardo al caso dell'anteriorità della disposizione del provvedimento cautelare rispetto alla pronuncia di fallimento in quanto:

  • gli artt. 322, 322-bis e 325 c.p.p., fra i soggetti legittimati all'impugnazione indicano coloro a cui i beni verrebbero restituiti, che non necessariamente coincidono con i proprietari degli stessi;
  • l'attribuzione al curatore di poteri non solo di amministrazione dei beni del fallito, ma anche di recupero di beni anteriormente alienati, includerebbe lo stesso fra i soggetti che hanno diritto alla restituzione delle cose sequestrate;
  • la sentenza Focarelli, anch'essa delle Sezioni Unite, aveva in precedenza affermato la legittimazione del curatore a proporre le istanze di riesame del sequestro preventivo e di revoca della misura, senza individuarne alcun limite.
La questione

Ebbene, fermo quanto sopra illustrato, la terza sezione della Corte di Cassazione rimetteva il ricorso alle Sezioni Unite affinché si pronunciassero sulla seguente questione: “se il curatore fallimentare sia legittimato a chiedere la revoca del sequestro preventivo ai fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale quando il vincolo penale sia stato disposto prima della dichiarazione di fallimento”.

La soluzione giuridica

Il rinvio operato ai sensi dell'art. 618 co. 1-bis c.p.p., volto al riesame di un precedente principio di diritto affermato dalla Suprema Corte, costringe le Sezioni Unite ad un'ampia analisi degli orientamenti giurisprudenziali sviluppatisi in materia di legittimazione ad impugnare provvedimenti in materia cautelare reale del curatore fallimentare.

In primo luogo, le SU analizzano il portato della sentenza Uniland, la quale ha affermato il principio sopra esposto, di cui si chiede la revisione.

In particolare, le Sezioni Unite in quella sede, sebbene si pronunciassero in tema di provvedimento di sequestro disposto in caso di responsabilità amministrativa da illecito penale dell'ente, avevano affermato il principio generale per cui il curatore non è legittimato ad impugnare il provvedimento ablativo perché non titolare dei beni oggetto del sequestro. La ragione della carenza di legittimazione era pertanto da rinvenire nell'esclusione di qualsiasi titolarità del curatore sui beni sequestrati. Nella sentenza Uniland si osservava infatti che la dichiarazione di fallimento non trasferisce alla curatela la proprietà dei beni del fallito, ma solo l'amministrazione e la disponibilità degli stessi. Se ne deduceva che il curatore non vanta alcun diritto reale sui beni; egli ha unicamente compiti gestionali, mirati al soddisfacimento dei creditori. In quella sede si poneva altresì in dubbio che il curatore avesse un interesse concreto tutelabile ad opporsi ai provvedimenti di sequestro e confisca che non recano effettivo pregiudizio all'integrità della massa fallimentare.

Il principio affermato con la sentenza Uniland è stato poi oggetto di successive precisazioni e limitazioni operative.

Con sentenza n. 42469 del 12/07/2016, la terza sezione della Suprema Corte ha infatti confermato il principio, ma limitandone l'applicazione al caso in cui il sequestro preventivo sia stato disposto anteriormente alla dichiarazione di fallimento. Si argomentava in quella sede che il presupposto della legittimazione in esame fosse l'effettiva disponibilità dei beni sequestrati: la dichiarazione di fallimento successiva al sequestro non attribuirebbe alla curatela la disponibilità dei beni del fallito nel momento in cui, per un verso, quest'ultimo conserva il diritto di proprietà degli stessi, e per altro il vincolo penale già esistente assorbirebbe ogni potere fattuale sui beni.

Da ciò, a contrario, se ne è ricavato che, allorquando il provvedimento ablativo sia emesso in un momento successivo alla dichiarazioni di fallimento, lo stesso interviene su beni già nella disponibilità della curatela, la quale diverrebbe con ciò legittimata ad impugnare.

Analizzato lo stato dell'arte in materia di legittimazione della curatela ad impugnare i provvedimenti ablativi, le Sezioni Unite, nella pronuncia in commento, si concentrano sugli argomenti avanzati dalla sezione rimettente in forza dei quali sarebbe opportuna la revisione del principio affermato dalle SU Uniland anche con riferimento alle ipotesi in cui il provvedimento cautelare reale sia emesso prima della dichiarazione di fallimento.

La prima tematica analizzata è relativa alla possibilità della retrodatazione degli effetti del fallimento al momento della domanda di ammissione al concordato preventivo, in applicazione del principio di consecuzione fra le procedure fallimentari, ed all'incidenza di esso sulla legittimazione della curatela alla richiesta di revoca del sequestro ed alle successive impugnazioni. Infatti, qualora fosse possibile retrodatare gli effetti della dichiarazione di fallimento già al momento dell'ammissione al concordato preventivo, se il decreto di sequestro preventivo fosse anteriore alla prima, ma successivo alla seconda, non sussisterebbero problemi di legittimazione della curatela.

Le Sezioni Unite osservano che il principio di consecuzione trova espressione normativa nell'art. 69-bis co. 2 r.d. 16 marzo 1942, n. 267, a mente del quale nel caso in cui alla domanda di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento, i termini previsti per l'individuazione degli atti dispositivi soggetti ad azioni revocatorie decorrono dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese.

L'applicazione del principio di consecuzione è dunque normativamente limitata all'individuazione degli atti passibili di revoca: gli effetti dello stesso – pertanto – sono limitati a finalità per le quali non rileva la disponibilità dei beni.

Considerando che il presupposto della legittimazione all'impugnazione dei provvedimenti ablativi è da individuare nell'effettiva disponibilità dei beni, emerge chiaramente che il principio della consecuzione, che – come detto – risulta applicabile limitatamente a un contesto in cui non rileva la disponibilità, non può essere suscettibile di applicazione estensiva ai fini di riconoscere la legittimazione ad impugnare del curatore nei casi in cui l'applicazione del provvedimento ablativo sia successivo all'ammissione al concordato preventivo.

Il primo argomento suggerito dal ricorso per cassazione e ripreso nell'ordinanza di rinvio non viene pertanto condiviso dalle Sezioni Unite, le quali proseguono, con la pronuncia in esame, ad analizzare il successivo criterio in forza del quale possa essere riconosciuta la legittimazione del curatore ad impugnare, vale a dire quello del concreto interesse.

Invero, le Sezioni Unite osservano che alcune pronunce giurisprudenziali non hanno seguito il criterio cronologico della anteriorità o meno del provvedimento ablativo rispetto alla dichiarazione di fallimento, ma hanno invece valutato la legittimazione ad impugnare del curatore in base al concreto interesse che questo presentava nel caso di specie. Queste pronunce richiamano una precedente decisione delle Sezioni Unite della Corte (sentenza Focarelli), che attribuiva al curatore la facoltà di impugnare un provvedimento di sequestro preventivo in quanto lo stesso vi aveva concreto interesse da individuare: da un lato, nell'espletamento della funzione istituzionale di ricostruzione dell'attivo fallimentare, che implica l'interesse ad opporsi ad un atto pregiudizievole per l'integrità dell'assetto patrimoniale; dall'altro, nella disponibilità giuridica e materiale dei beni del fallito.

Alla luce di quanto espresso finora appaiono evidenti le incertezze e le perplessità manifestate dalla giurisprudenza di legittimità nell'applicazione del principio formulato con la sentenza Uniland, che hanno condotto la terza sezione della Corte di cassazione a rinviare alle Sezioni Unite perché si pronunciassero sul punto.

Ebbene, tanto osservato, le Sezioni Unite passano ad analizzare le disposizioni normative in materia di impugnazioni avverso provvedimenti ablativi al fine di individuare un principio certo, suscettibile di applicazione generale.

Le Sezioni Unite affermano che, in questo contesto, vi è un dato certo di carattere normativo che risulta determinante per la soluzione della questione: l'art. 322-bis c.p.p. Tale disposizione, nel disciplinare l'appello avverso le ordinanze in materia di sequestro preventivo, indica quali soggetti legittimati a proporre impugnazione “il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione”. Dalla disposizione appare evidente il riferimento del legislatore alla persona alla quale le cose sono state sequestrate, ed a quella che avrebbe diritto alla loro restituzione, come soggetti diversi e non coincidenti: l'avente diritto alla restituzione deve essere quindi individuato in una persona diversa rispetto a quella a cui il bene è stato sequestrato e che era nella disponibilità del bene stesso.

Secondo l'interpretazione datane dalla giurisprudenza, la “persona che avrebbe diritto alla restituzione delle cose” è da individuare nella persona legata da un rapporto di fatto al bene, non essendo necessario che sullo stesso la persona vanti un diritto reale. È sufficiente che tale rapporto di fatto sia tutelato dall'ordinamento e che lo stesso dia luogo a una posizione giuridica autonoma del soggetto rispetto al bene: la persona avente diritto alla restituzione della cosa sequestrata è dunque identificata dalla disponibilità autonoma e giuridicamente tutelata del bene.

Secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite con la pronuncia in commento, una disponibilità rispondente a queste caratteristiche “è senza dubbio esistente in capo al curatore rispetto ai beni del fallito”. Con la dichiarazione di fallimento, il fallito perde l'amministrazione e la disponibilità dei suoi beni, che vengono trasferite agli organi della procedura fallimentare. Il curatore è quindi incaricato dell'amministrazione della massa attiva nella prospettiva della conservazione della stessa ai fini della tutela dell'interesse dei creditori. Questa funzione, di conservazione e di reintegrazione della massa attiva del fallimento a cui la procedura di fallimento è istituzionalmente destinata, consente di riconoscere al curatore la legittimazione all'impugnazione in materia di sequestri di beni facenti parte del compendio fallimentare. Il curatore si appalesa altresì anche in termini di fatto come l'unico soggetto destinatario dell'eventuale restituzione del bene, nelle sue funzioni di rappresentanza del fallimento e di amministrazione del relativo patrimonio.

Ciò osservato, le Sezioni Unite affermano che “non ha fondamento, nella ricostruzione appena esposta, la limitazione della legittimazione del curatore alle impugnazioni riguardanti beni sequestrati successivamente alla dichiarazione di fallimento”. La legittimazione all'impugnazione del curatore, in quanto derivante dalla sua posizione di soggetto avente diritto alla restituzione dei beni sequestrati, investe necessariamente la totalità dei beni facenti parte dell'attivo fallimentare. Al momento della dichiarazione di fallimento infatti il curatore entra nella disponibilità di tutti i beni del fallito esistenti alla data del fallimento, anche dei beni già sottoposti a sequestro.

Non può essere pertanto impedito al curatore di far valere le ragioni della procedura fallimentare con riguardo a tali beni, essi pure facenti parte dell'attivo fallimentare entrato nella disponibilità della curatela, avverso il vincolo apposto sugli stessi.

Osservazioni

Le Sezioni Unite attraverso la pronuncia in commento giungono a dirimere una questione sulla quale – come emerso – esistevano plurimi orientamenti giurisprudenziali, i quali si ponevano tutti nella prospettiva di valutare se il curatore fallimentare vantasse un diritto sul bene oggetto di sequestro in un momento antecedente all'apposizione del vincolo ablativo. Si era affermato quindi che il curatore fosse legittimato ad impugnare il provvedimento cautelare reale solo qualora questo fosse stato disposto successivamente alla dichiarazione di fallimento, in quanto solo a seguito di tale pronuncia il curatore acquisiva la disponibilità del bene. Nei casi in cui la pronuncia di fallimento fosse stata successiva all'apposizione del vincolo penale, il curatore non poteva dirsi legittimato ad impugnare il provvedimento di sequestro in quanto nei beni di cui era entrato nella disponibilità successivamente al fallimento non vi rientravano i beni sui quali già era stato apposto un vincolo penale.

Le Sezioni Unite al fine di dirimere il caos giurisprudenziale offrono una diversa ricostruzione, che si basa sulla lettera della norma. Attraverso un'interpretazione letterale dell'art. 322-bis c.p.p., primo criterio interpretativo a cui si dovrebbe sempre fare ricorso, le Sezioni Unite ritengono che il curatore fallimentare sia legittimato ad impugnare i provvedimenti di sequestro a prescindere dal dato cronologico relativo all'antecedenza o meno di questi ultimi rispetto alla dichiarazione di fallimento in quanto unico soggetto destinatario dell'eventuale restituzione del bene oggetto di sequestro, il che lo rende soggetto espressamente previsto nell'art. 322-bis c.p.p. fra i soggetti legittimati a proporre impugnazione avverso i provvedimenti di natura cautelare reale.

La soluzione offerta appare lineare nella sua semplicità:

  • l'art. 322 bis c.p.p. distingue “la persona alla quale le cose sono state sequestrate” da “quella che avrebbe diritto alla loro restituzione”;
  • il curatore fallimentare esplica la funzione di amministrazione della massa attiva nella prospettiva della conservazione della stessa ai fini della tutela dell'interesse dei creditori;
  • il curatore diviene “detentore” dei beni del fallito al momento della dichiarazione di fallimento.

Ne deriva, da quanto osservato, che solo il curatore fallimentare può essere individuato come soggetto al quale il bene deve essere restituito nel caso di dissequestro dello stesso.

Con la pronuncia in commento le Sezioni Unite danno prova del fatto che al fine di dirimere contrasti fra diversi orientamenti giurisprudenziali, fondati su articolate e pregevoli ricostruzioni giuridiche che scomodano concetti quali la “disponibilità” o la “titolarità” del bene, talvolta basti una piana interpretazione letterale delle norme che disciplinano la materia. Nel caso in esame, l'appiglio è stato individuato nell'art. 322-bis c.p.p., il quale – come ampiamente detto – contempla, fra i legittimati ad impugnare un provvedimento ablativo di natura reale, colui al quale i beni sono restituiti nel caso in cui il bene fosse dissequestrato.

È bene precisare, a scanso di ogni equivoco, che la legittimazione del curatore fallimentare non si sostituisce a quella degli altri legittimati, bensì si aggiunge alla stessa. Ne deriva che il riconoscimento della legittimazione in capo alla curatela, sia qualora il provvedimento cautelare sia antecedente alla dichiarazione di fallimento, sia nel caso sia successivo, permette di superare alcune potenziali situazioni di empasse che si potrebbero eventualmente configurare a danno dei creditori. Invero, in alcune situazioni, l'imputato o la persona a cui i beni sono stati sequestrati potrebbe non avere interesse ad impugnare il provvedimento di sequestro atteso il fatto che – intervenuta la dichiarazione di fallimento nei loro confronti – il bene non rientrerebbe nel loro patrimonio, bensì confluirebbe nella massa attiva in detenzione alla curatela fallimentare. In tale evenienza pertanto, qualora non fosse riconosciuta legittimazione ad impugnare ad un soggetto ulteriore, il curatore medesimo, si potrebbe configurare un vulnus nel sistema. Ebbene, la pronuncia in esame supera tale aporia sistematica a vantaggio della platea dei creditori del fallito, i quali – qualora l'istanza di dissequestro venisse accolta – potrebbero esercitare i loro diritti di credito su una massa più consistente.