Il “nuovo” Codice di Corporate Governance delle società quotate: prime riflessioni

Umberto Tombari
Alessandro Luciano
18 Marzo 2020

Dopo un lungo ed approfondito lavoro, il Comitato per la Corporate Governance di Borsa Italiana s.p.a. ha finalmente pubblicato una versione significativamente rinnovata (almeno in alcuni pilastri) del Codice di Corporate Governance delle Società Quotate che contiene importanti messaggi sia per i mercati, che per gli investitori, soprattutto internazionali.
Il “nuovo” Codice di Corporate Governance

Dopo un lungo ed approfondito lavoro, il Comitato per la Corporate Governance di Borsa Italiana s.p.a. ha finalmente pubblicato una versione significativamente rinnovata (almeno in alcuni pilastri) del Codice di Corporate Governance delle Società Quotate (il “Codice”), che contiene importanti messaggi sia per i mercati, che per gli investitori, soprattutto internazionali. Se Larry Fink, Ceo di BlackRock, afferma, da tempo, che una società non può ottenere profitti a lungo termine senza perseguire uno “scopo”e senza considerare le esigenze di una vasta gamma di stakeholders, le “nuove” previsioni del Codice rappresentano una ferma risposta del nostro Paese in questo senso.

La versione rinnovata del Codice sarà applicata a partire dal primo esercizio successivo al 31 dicembre 2020 (con informazione al mercato nella relazione sul governo societario da pubblicarsi nel corso del 2022), ma le numerose novità devono essere analizzate e valutate, con attenzione, sin da ora.

Rilevanti innovazioni emergono già sul piano della “struttura”: alla distinzione in principi, criteri applicativi e commenti, si sostituisce una più semplice bipartizione tra principi (che pongono gli obiettivi di governance) e raccomandazioni (che stabiliscono i comportamenti più adeguati al fine di perseguire i predetti obiettivi). La realizzazione di una “semplificazione” sul piano normativo rappresenta, del resto, uno dei principali scopi che si è inteso perseguire con questa nuova versione del Codice.

L'introduzione del concetto di “successo sostenibile”

Il principale cambiamento è tuttavia rintracciabile nell'introduzione del concetto di “successo sostenibile”, elevato, a livello autoregolamentare, a primario obiettivo dell'organo amministrativo nella guida non soltanto della società, ma dell'intero gruppo al quale questa “fa capo” (cfr. Principi I e II). Ed il “successo sostenibile” si sostanzia “nella creazione di valore nel lungo termine a beneficio degli azionisti, tenendo conto degli interessi degli altri stakeholder rilevanti per la società” (così testualmente nelle “definizioni”, che precedono l'articolato vero e proprio). Il “successo sostenibile” gioca poi un ruolo anche nella Politica di remunerazione della società e nel Sistema di controllo interno e di gestione dei rischi (artt. 5 e 6), rappresentando, in definitiva, un concetto immanente nell'ambito dell'intera regolamentazione disposta dal Codice.

In una prospettiva generale, dunque, lo scopo della grande impresa non deve essere più rintracciabile (soltanto) nella creazione di valore per gli azionisti, ma si sposta verso la più ampia dimensione del “successo sostenibile”, ove il profitto è l'auspicabile prodotto della ragion d'essere dell'impresa societaria, ma non si identifica più integralmente con essa. Il Codice rappresenta, pertanto, un'importante risposta del nostro Paese al crescente dibattito su questi temi, a livello nazionale e soprattutto internazionale (ad es. dallo Statement della Business Roundtable, alla nuova lettera del gennaio 2020 di Fink su un capitalismo più sostenibile, sino al Progetto della British Academy sul futuro della Corporation); così come, allo stesso tempo, un necessario allineamento – sebbene mediante una fonte di “autoregolamentazione” – ad altri ordinamenti (da ultimo Francia e Belgio).

Ma questo cambiamento è coerente con il nostro sistema ancora dominato dal paradigma (esclusivamente) lucrativo sancito dall'art. 2247 c.c.? La risposta è certamente affermativa, dal momento che, in seguito ad alcune recenti modifiche legislative, il principio di “sostenibilità della società” è entrato anche nel nostro ordinamento. Si pensi, ad es., alla disciplina sulle dichiarazioni non finanziarie, nonché ai nuovi artt. 123-ter e 124-quinquies, TUF, rispettivamente sulla “politica di remunerazione” degli amministratori, dei direttori generali e dei dirigenti con responsabilità strategiche e sulla “politica di impegno” degli investitori istituzionali. Se tuttavia ci poniamo nella prospettiva e nella logica dei mercati finanziari,risulta a questo punto quanto mai opportuno intervenire anche sul relitto storico dell'art. 2247 c.c. e ridefinire - a livello legislativo e non solo autoregolamentare - la “dimensione funzionale” dell'impresa societaria,al fine di attribuire una rilevanza anche ad interessi diversi da quelli dei soci,coerentementeal nuovo contesto culturale (prima ancora che normativo) che si sta delineando. Non solo:è forse giunto il tempo di andare oltre e di configurare la società per azioni come un “modello organizzativo funzionalmente orientabile”.

Le altre novità

Il nuovo Codice di Corporate Governance contiene anche altre rilevanti novità. Tra queste rientra senza dubbio l'espressa previsione del dovere degli amministratori di promuovere, nelle forme più opportune, il dialogo con la generalità degli azionisti e con gli altri stakeholders rilevanti per la società (v. Principio IV). In tale prospettiva si pone la necessaria adozione (e la descrizione nella relazione sul governo societario) di una politica per la gestione del predetto dialogo che tenga anche conto delle engagement policies degli investitori istituzionali e dei gestori di attivi (cfr. Raccom. 3). In questo senso, il Codice si allinea alle best practice internazionali, nonché alle sollecitazioni degli investitori di maggiore rilievo, che sempre più richiedono il consolidamento del dialogo con la società quale contropartita dell'impegno che assumono nei limiti in cui acquistano – e mantengono – una certa partecipazione azionaria.

Le “nuove” previsioni rafforzano inoltre il ruolo del presidente: fermi restando i fondamentali compiti informativi che questo svolge in favore degli amministratori, il Codice inquadra le sue funzioni in una dimensione più ampia, imponendogli tra l'altro di organizzare i lavori del consiglio e di garantirne il buon funzionamento, con riguardo anche alle relazioni “interne” (ovvero ai rapporti tra le varie componenti del c.d.a.), così come a quelle con la struttura e gli azionisti. Il presidente, pertanto, oltre a garantire un raccordo tra amministratori esecutivi e non (v. princ. X), cura che l'attività dei comitati si coordini correttamente con quella del plenum e che alle riunioni consiliari partecipino i componenti della struttura la cui presenza si rende opportuna al fine di approfondire gli argomenti all'ordine del giorno (Raccom. 12). Il presidente, inoltre, assicura che l'organo amministrativo sia informato sul dialogo intervenuto con gli azionisti in conformità alla politica sulla gestione del medesimo (cfr. Raccom. 3). È peraltro possibile che, in presenza delle condizioni previste dalla Raccom. 7, il presidente sia considerato “indipendente”.

Quanto alle funzioni del plenum consiliare, dalle disposizioni al riguardo risulta particolarmente enfatizzata quella di autovalutazione, strumentale a verificare l'efficacia dell'attività consiliare e il contributo apportato dalle sue singole componenti. In questo senso, l'art. 4 del Codice stabilisce alcune precise indicazioni in merito alla procedura formale da seguire al riguardo.

Merita infine considerare come – prendendo spunto dall'ordinamento societario delle banche, ove il “principio di proporzionalità” trova da tempo consolidata applicazione (v. Banca d'Italia, Circ. n. 288/2013,Disp. Vigilanza per le banche, Parte I, Tit. IV, Cap. I, Sez. I.4.1.1. Ma con riguardo al diritto azionario generale, v. anche art. 2381, comma 5, c.c.) – per la prima volta alcune Raccomandazioni del Codice siano graduate in ragione della dimensione e degli assetti proprietari della società, al fine di assicurarne un'applicazione “proporzionale” alla diversa tipologia societaria di riferimento. Tra gli scopi di questa novità c'è quello di agevolare l'accesso al mercato finanziario delle società non grandi, così come di quelle che si caratterizzano per una forte concentrazione proprietaria,considerato che la necessità di rispettare prescrizioni complesse e gravose rappresenta talvolta un forte disincentivo alla quotazione delle medesime.

Nella prospettiva di incentivare la quotazione si pone un'ulteriore, interessante novità del Codice, che adotta un approccio “neutrale” rispetto al modello societario concretamente adottato, ossia all'applicazione del sistema tradizionale di amministrazione e controllo, ovvero della variante monistica o dualistica. In questo senso si intende favorire la presenza nel mercato azionario italiano di società straniere, la maggioranza delle quali è organizzata secondo sistemi organizzativi che, nella nostra tradizione, sono considerati “alternativi”.

In definitiva, può riassuntivamente concludersi che il sistema normativo italiano sulla Corporate Governance è da tempo in linea con le esperienze più avanzate in questo settore ed il nuovo Codice rappresenta senza dubbio un altro importante tassello in questa direzione.

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