Legittima ed utilizzabile la relazione sociale ai fini dell'affidamento esclusivo alla madre
25 Marzo 2020
Massima
La relazione dell'educatore del Comune non è assimilabile ad una relazione di CTU in senso proprio. Pertanto, nonostante l'estromissione dell'esperto di parte, nominato dal padre, durante il periodo di monitoraggio del nucleo familiare, la relazione sociale è legittima ed utilizzabile ai fini dell'affidamento esclusivo alla madre dei figli se, dalla relazione stessa, emerge che i minori venivano “sub-affidati” dal padre ai nonni paterni, durante i periodi riservati al suo accudimento. Il caso
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1191/2020 rigetta in toto, l'articolato ricorso di un padre (M.A.) che, per contestare la decisione dell'affido esclusivo alla madre (B.S.) delle figlie disposta dalla Corte d'Appello, solleva ben 31 motivi d'impugnazione. Prima di affrontare le argomentazioni giuridiche svolte dal Collegio, giova ripercorrere sinteticamente la vicenda processuale che ha portato alla pronuncia in commento. Il Tribunale di Milano, (Trib. Milano 6 novembre 2015), pronunciava la separazione dei due coniugi M.A. e B.S., affidava le figlie minori al Comune, disponeva il collocamento delle minori presso la madre, riservando all'ente affidatario, previo monitoraggio dell'adeguatezza dell'indicata misura, di valutare la necessità di una diversa soluzione abitativa per le figlie, compreso il loro collocamento presso il padre, conferendo contestualmente incarico all'ente medesimo di avviare o proseguire interventi di supporto socio-educativo o psicologico-psichiatrico per minori e genitori, a sostegno della genitorialità. Avverso la sentenza di primo grado, entrambe le parti proponevano appello, domandando, in particolare, per quel che rileva in questa sede, la madre B.S. la revoca delle limitazioni disposte ex art. 333 c.c. dal Tribunale e l'affido in via esclusiva delle figlie; mentre il padre M.A. domandava l'affido condiviso delle figlie da collocarsi presso di sé e l'assegnazione della ex casa coniugale. Con sentenza pubblicata il 25.7.2017, la Corte d'Appello di Milano, in parziale riforma tra l'altro e per quanto qui rileva, affidava le figlie alla madre, collocataria, confermando il regime di limitazione all'esercizio della responsabilità genitoriale; modificava il rapporto tra padre e figlie, diversamente regolamentando il relativo regime di visita; incaricava gli operatori del Comune di Milano di monitorare la situazione delle minori con possibilità di intervenire a limitazione o ad ampliamento degli incontri tra minori, padre e nonni paterni. Ricorreva, per la cassazione dell'indicata sentenza, il padre M.A., sollevando trentuno motivi di annullamento, ai quali resisteva con controricorso, illustrato da memoria, la parte B.S. Con riferimento all'aspetto metodologico della trattazione, nelle ragioni della decisone, la Suprema Corte ha dato partitamente indicazione dei motivi del ricorso ed, all'esito dell'esposizione di ciascuno, ne ha indicato le ragioni di definizione.Con questo lavoro, per le considerazioni che si intendono evidenziare, si andranno ad illustrare solo i motivi che riguardano le questioni procedurali e sostanziali finalizzati a contestare sia il mancato rispetto del contradittorio sia la violazione sottesa ai principi relativi all'ascolto delle figlie minori, dalla cui violazione sarebbe derivata – secondo la ricostruzione prospettata dal ricorrente – la decisone della Corte d'Appello di affidare le figlie alla madre.
La questione
Le contestazioni relative al mancato rispetto del contraddittorio sono state mosse con riferimento agli artt. 2, 13, 24, 104 e 111 Cost.; artt. 6 Cedu; art. 101 c.p.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., artt. 126 e 130 c.p.c. artt. 76 e 97 disp. att. c.p.c.. Il ricorrente, infatti, lamentava la mancata instaurazione del contraddittorio sia perché, dopo il deposito dell'ultima relazione dell'ente affidatario (ovvero il Comune), contenente anche l'ascolto indiretto (e non autorizzato) delle minori, non avevano concesso un termine per repliche, sia perché le relazioni erano state stilate dopo estromissione del suo consulente, testimone di quanto avvenuto durante il “Progetto educativo familiare”. Invece, per le contestazioni relative alle modalità di ascolto delle figlie ed all'utilizzo del materiale da cui sarebbe dipesa la decisone di affido esclusivo delle minori alla madre, ha invocato la violazione degli artt. 24,104 e 111 Cost., dell'art. 6 CEDU, dell'art. 12 della Convenzione di New York del 20 novembre 1989, delle “Regole di Pechino” del 29 novembre 1985, della Convenzione dell'Aja del 29 maggio 1993; degli artt. 3, 5 e 6 della Convezione Europea di Strasburgo sull'esercizio dei diritti dei fanciulli del 25 gennaio 1996; degli artt. 23 Reg. CE n. 2201/2003; delle Linee guida del Consiglio d'Europa del 17 novembre 2010; dell'art. 147 c.c.; dell'art. 336-bis c.c. in relazione all'art. 360 c.c., comma 1, nn. 3 e 4. In particolare, deduceva l'illiceità ed inutilizzabilità degli ascolti indiretti della figlia (perché non delegati dal giudice nè verbalizzati nè condotti in contraddittorio) e lamentava l'omesso deposito e distruzione (ex art. 11 legge privacy) di atti processuali irripetibili e non rinnovabili (atti processuali, verbale di perizia e dell'ascolto delle minori) operato dai CCTTUU nominati in primo grado, sebbene autorizzati dal giudice. Le soluzioni giuridiche
Come anticipato in premessa, gli Ermellini, con questa articolata e motivata sentenza, rigettano il ricorso decidendo per l'affido esclusivo alla madre. Per l'economia di questo lavoro, si ritiene fondamentale soffermare l'attenzione solo su alcuni passaggi della decisone in commento. In particolare, con il quarto motivo, il ricorrente lamentava che i giudici di merito non avevano concesso termine alla sua difesa, con riferimento all'ultima relazione dell'ente affidatario contenente anche l'ascolto indiretto (e non autorizzato) delle minori. Con il sesto motivo, invece, si doleva chela Corte di Appello avesse posto a fondamento della decisione … cinque relazioni dell'ente affidatario, con plurimi ascolti delle minori, senza concedere termine a difesa ed attivazione del contraddittorio. Entrambi i motivi sono stati dichiarati inammissibili poiché il ricorrente non ha dedotto l'effettivo pregiudizio leso nel caso concreto (così come richiesto da costante giurisprudenza, ex multis, cfr. Cass. civ., 26 settembre 2017, n. 22341). Successivamente, M.A. lamentava l'illegittimità ed l'inutilizzabilità delle relazioni dell'Ente affidatario sui rapporti tra padre-figli e nonni-nipoti, poiché stilate dopo estromissione del suo consulente, testimone di quanto avvenuto durante il “Progetto educativo familiare”(settimo motivo). Secondo la Corte, la questione è infondata, poiché l'incarico di seguire gli incontri periodici tra l'educatrice della struttura pubblica affidataria dei minori, genitori e parenti, in un quadro di sostegno dei nuclei familiari a rischio (così come disciplinato dall' art. 1, comma 3, l. n. 149/2001, di modifica della l. n. 183/1984) non è assimilabile alle operazioni di CTU: ne consegue che, alle operazioni necessarie al suo svolgimento, non si applica la disciplina della partecipazione alle operazioni del CTP. Per quel che rileva in questa sede, quindi, l'intervenuto allontanamento dell'esperto nominato dal padre non si pone in contrasto con il principio del contraddittorio. È stato dichiarato inammissibile, invece, l'ottavo motivo, con il quale M.A. sosteneva«la non imparzialità dell'ente affidatario, per non essersi l'operatore dei servizi sociali (che per l'ente affidatario seguiva la relazione genitori/figlie) astenuto in occasione della modifica del calendario estivo degli incontri padre-figlie, così integrando una situazione di conflitto e di inutilizzabilità delle relazioni per una conclamata situazione di conflitto di interessi». Secondo gli Ermellini, infatti, la versione di M.A. alternativa a quella motivata in sentenza definisce una differente serie causale, anche di rilievo penale ai sensi dell'art. 323 c.p., dei fatti senza, tuttavia,offrire la ragione dell'eziologia delle condotte finali. Passando, invece, alle questioni relative alla contestazione delle modalità di ascolto delle minori ed all'utilizzo processuale di quanto dichiarato dalle stesse, giova premettere che la Suprema Corte ha ravvisato per tutte le questioni delle ragioni di inammissibilità (motivi nono, decimo ed undicesimo) ed anche di infondatezza (motivo decimo). Velocemente risolta, la nona questione, relativa l'illiceità ed inutilizzabilitàdegli ascolti indiretti della figlia perché non delegati dal giudice nè verbalizzati nè condotti in contraddittorio è stata dichiarata inammissibile per mancanza di autosufficienza e specificità della censura (Cass. civ., 24 gennaio 2019 n. 2038). La Suprema Corte, invece, dedica ampio spazio alla questione sollevata con il decimo motivo, relativo alla lamentata mancanza di delega ad hoc per l'audizione nel conferimento dell'incarico peritale. Dopo aver richiamato i consolidati principi vigenti in materia di audizione, distinguendo tra minore infra-dodicenne ed ultra-dodicenne, ha dichiarato che, nel caso di specie, la questione è inammissibile rispetto alla sorella minore (che sempre è stata infradodicenne) ed infondata rispetto alla sorella A., poiché nella sentenza impugnata, contrariamente a quanto lamentato dal ricorrente,viene ben distinta l'attività di “colloquio con le parti” e di “audizione” della sola figlia A. svolta dallo psicologo e dal neuropsichiatra. Tanto basta alla Suprema Corte per affermare il principio di diritto in forza del quale l'ascolto indiretto del minoresvolto su delega del giudice da parte dell'esperto nominato ex art. 336-bis c.c., comma 2, non è mai una questione terminologica, ma di metodo; l'incombente resta pertanto soddisfatto non solo ed esclusivamente se vi sia stato l'utilizzo del termine “audizione” nel conferimento dell'incarico al CTU ed il richiamo allo stesso nella perizia, ma anche per le modalità secondo le quali esso sia stato operato in concreto. Con il successivo undicesimo motivo, lamentava la violazione del contraddittorio fondandolo sull'omesso deposito e distruzione (ex art. 11 legge privacy) diatti processuali irripetibili e non rinnovabili(atti processuali, verbale di perizia e dell'ascolto delle minori e prove irripetibili), operato dai CCTTUU nominati in primo grado, sebbene autorizzati dal giudice. Anche questo motivo è stato dichiarato inammissibile, poiché, in aderenza al consolidato principio giurisprudenziale in forza del quale la nullità della consulenzaha carattere relativo e va eccepita nella prima udienza successiva al deposito (Cass. 5422/2002; Cass. 2251/2013), nel caso in esame tale termine è rimasto inosservato. Ad ogni buon conto, la regola del contraddittorio è stata rispettata nel corso dei lavori peritali in contemperamento con quella della privacy, laddove nella sentenza di primo grado si è valorizzata la piena partecipazione anche dei CCTTPP ai lavori peritali. Infine, con i motivi diciassette, diciotto e diciannove deduceva anche la violazione degli artt. 8 CEDU e dell'art. 337-bis, ter e quater c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., lamentando, rispettivamente, l'illegittimità della delega in bianco sine die ai Servizi Sociali riguardo le frequentazioni tra figlie, padre e nonni paterni; di trattare se del caso «sanitariamente e coattivamente le figlie e i genitori con espressa punizione in caso di esercizio di un diritto dell'uomo»; nonché «l'illegittimità della previsione di cui ai punto 3 ed 8 del dispositivo della sentenza) nella parte in cui prevede che il padre possa tenere con sè le figlie presso un'abitazione inesistente, poiché il padre non ha un'abitazione sua ma vive presso i di lui genitori, incontrando le figlie da solo e senza poter uscire per una intera giornata». Secondo la difesa di M.A., infatti, tali statuizioni limiterebbero la libertà del genitore e delle figlie. La Corte ha rigetto anche queste censure, ritenendo che l'incarico di monitoraggio conferito ai Servizi non rappresenta una sostituzione del giudice nell'esercizio dei suoi poteriex art. 337-ter, comma 2, c.c, poiché il loro operato permane sotto la direzione dell'Autorità giudiziaria, alla quale possono sempre rivolgersi le parti (motivo diciassettesimo); il trattamento sanitario, inoltre, è sempre attivato sul presupposto del consenso dei genitori (motivo diciottesimo); ed, infine, perché il ricorrente impugnando la sentenza sotto il profilo enunciato nel diciannovesimo motivo - di fatto - non si è confrontato con la decisività del motivo in esso contenuto. Osservazioni
Brevi osservazioni a margine di una sentenza che merita attenzione per plurime ragioni. In primo luogo perchè, per la prima volta, non avendo neppure la stessa decisone in commento evocato precedenti specifici, affronta espressamente il tema della natura giuridica delle relazioni redatte dai Servizi sociali nei procedimenti in materia di diritto di famiglia, escludendone l'equiparabilità alle consulenze tecniche in senso proprio. Si discosta, così, da precedenti decisioni - purtuttavia pronunciate in tema di adottabilità del minore - con le quali aveva deciso che «Le relazioni degli assistenti sociali, prudentemente vagliate dopo essere state oggetto di contraddittorio, hanno valore di prova indiziaria e di consulenza tecnica, sicché sono pienamente utilizzabili dal giudice in sede di libera formazione del proprio convincimento sia quanto ai fatti obiettivamente constatati dall'assistente, sia quanto ai pareri che, sulla base di quei fatti, egli abbia espresso e che il giudice, condividendoli, faccia propri con adeguata motivazione» (Cass. n. 1032/1986; Cass. n. 14675/1999). Orientamento recepito anche dalla rara giurisprudenza di merito in materia di diritto di famiglia (Trib. Varese del 20 maggio 2010 e Trib. Lecce del 11 marzo 1988, est. Gaeta). È indiscusso che l'ipotesi di richiesta officiosa, da parte del giudice del Tribunale ordinario, nei procedimenti sia camerali sia contenziosi, di informazioni alla P.A., utilizzabili come fonti di prova nel giudizio, si fonda sulla disposizione dell'art. 213 c.p.c. in combinato disposto con l'art. 2 l. quadro 328/2000, sul sistema integrato dei Servizi che interagiscono con l'autorità giudiziaria. Orbene, seguendo il ragionamento esposto nella sentenza in commento, se l'indagine sociale delegata al Servizio non è equiparabile all'espletamento della CTU, ne discende che l'operatore dei Servizi non soggiace ai principi di cui agli artt. 191 e ss. c.p.c. e 89 e ss. disp. att. c.p.c. Non è questa la sede per approfondire ulteriormente al questione, ma può concludersi che, a parere di scrive, il diritto al contraddittorio, è in ogni caso salvaguardato, mediante l'acquisizione delle informazioni al processo, che si attua con l'inserzione nel fascicolo d'ufficio della nota informativa (c.d. Relazione) inviata in risposta dalla P.A. (art. 96 disp. att. c.p.c.) e consequenziale facoltà delle parti di esaminarle, senza che si richieda una comunicazione del cancelliere o un'iniziativa delle parti interessate (Cass. civ., sez. I, 2 febbraio 1990, n. 1304, MGI, 1990). Inoltre, è prassi in diversi Tribunali d'Italia, fissare udienze ad hoc per la disamina delle relazioni sociali in contraddittorio ed eventualmente concedere termini per brevi memorie autorizzate. I Giudici della Suprema Corte, in secondo luogo, ritornano sul tema della legittimità dell'ascolto cd. indiretto del minore (art. 336-bis c.c.), compiendo un'ulteriore specificazione con riferimento all'aspetto metodologico. Invero,chiariscono che «la libera e consapevole partecipazione del minore al procedimento è pertanto rispettata attraverso il suo ascolto, che può dirsi realizzato in quanto sostenuto dalla professionalità dell'esperto nominato che vi proceda e dall'utilizzo che questi faccia, nella redatta relazione, di categorie nominalistiche destinate a definire, tecnicamente, le attività svolte in esecuzione dell'incarico peritale (ad esempio l'uso stesso del termine “ascolto” nel corpo della relazione)». La pronuncia in commento, dunque, si colloca nel solco di un isolato precedente con il quale la Corte quale aveva già avuto modo di decidere che, per l'appunto, i “meri contatti”, non meglio definiti, tra minori ed appartenenti ai servizi sociali, non indicativi delle circostanze in cui gli stessi ebbero a maturare, sono violativi del diritto all'ascolto del minore (Cass. civ., 15 maggio 2013 n. 11687). La genericità dei contatti «non è infatti capace di dar conto della scientificità e serietà dell'approccio, significativo della primaria importanza assolta dal mezzo nella valutazione dell'interesse del minore stesso, e, quindi in via strumentale, dell'adozione di tutte le cautele atte ad evitare interferenze, turbamenti e condizionamenti, ivi compresa la facoltà di vietare l'interlocuzione con i genitori e/o con i difensori, nonchè di sentire il minore da solo, o, ancora, di una delega ad un organo più appropriato e professionalmente più attrezzato» (Cass. civ., 26 marzo 2010 n. 7282). Infine, la Corte affronta anche il tema della relazione che intercorre tra il diritto alla privacy ed il diritto al contraddittorio. Conformandosi all'orientamento interpretativo proposto dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 3034/2011 e volgendo lo sguardo al diritto di famiglia, coerentemente, ha deciso che quando - come nel caso di specie - «in un giudizio avente ad oggetto l'affido di un minore e/o la definizione delle modalità di visita da parte del genitore non collocatario si contesti la distruzione, effettuata nel rispetto della normativa sulla privacy dal nominato c.t.u., dei verbali di ascolto del minore – adempimento curato per termini rispettosi della libera determinazione del primo e della spontanea espressione della sua volontà – in ragione della dedotta violazione del principio di difesa e del contraddittorio, il giudizio di bilanciamento dei contrapposti interessi che il giudice è tenuto ad effettuare resta soddisfatto in ragione della valorizzazione delle modalità attraverso le quali l'indagine tecnica è stata svolta e di cui dovrà dar conto il giudice di merito (partecipazione dei CCTTPP a tutte le operazioni peritali; sulla sottoposizione al tecnico di parte degli esiti degli accertamenti disposti dal consulente di ufficio e la conseguente formulazione delle osservazioni di parte sulle quali si è espresso il CTU, nell'ambito di una condivisa metodologia di indagine tra CTP e CTU». La regola del contraddittorio, quindi, è salvata dal rigore metodologico seguito nel corso dei lavori peritali e di cui dovrà dare dar conto il giudice nella motivazione della decisione. In conclusione, ancora una volta, la Corte ha offerto innovativi e significativi spunti di riflessione in tema di ascolto del minore e di tutela del contraddittorio in materia di diritto di famiglia. |