Codice Civile art. 1592 - Miglioramenti.

Gian Andrea Chiesi

Miglioramenti.

[I]. Salvo disposizioni particolari della legge o degli usi, il conduttore non ha diritto a indennità per i miglioramenti apportati alla cosa locata. Se però vi è stato il consenso del locatore, questi è tenuto a pagare un'indennità corrispondente alla minor somma tra l'importo della spesa e il valore del risultato utile al tempo della riconsegna [985 2] (1).

[II]. Anche nel caso in cui il conduttore non ha diritto a indennità, il valore dei miglioramenti può compensare i deterioramenti che si sono verificati senza colpa grave del conduttore [1588, 1593, 1632, 1633, 1651].

(1) V. artt. 34 e 45 3 l. 27 luglio 1978, n. 392.

Inquadramento

L'art. 1575, n. 1) c.c., con previsione derogabile (Trib. Firenze 10 novembre 2000; analogamente Cass. III, n. 6158/1998), impone al locatore di consegnare al conduttore la cosa locata in buono stato di manutenzione.

Tale previsione va collegata a quella contenuta nell'art. 1590 c.c. che, al comma 1, prevede che la restituzione – quale obbligo simmetrico gravante sul conduttore – debba avvenire nello stato medesimo in cui il conduttore l'ha ricevuta, in conformità della descrizione che ne sia stata fatta dalle parti, salvo il deterioramento o il consumo risultante dall'uso della cosa in conformità del contratto e, al comma 2, pone una presunzione in virtù della quale, in mancanza di descrizione, si deve ritenere che il conduttore abbia ricevuto la cosa in buono stato di manutenzione.

Il dovere di restituire il bene, pur non essendo espressamente previsto dall'art. 1587 c.c. tra le obbligazioni principali nascenti dal contratto di locazione a carico del conduttore, va, dunque, certamente annoverato tra queste ultime.

Anche la dottrina più autorevole (Lazzaro, Di Marzio, 1081) ascrive tale obbligazione nell'orbita applicativa della sopramenzionata disposizione codicistica, connotandosi l'obbligo di restituzione della cosa locata gravante sulla parte conduttrice quale effetto essenziale del contratto di locazione, per essere quest'ultimo sempre stipulato per un tempo predeterminato a monte dalle parti. In sostanza, “le predette obbligazioni [di consegna e restituzione, cioè] non sono, in effetti, riferibili ad obblighi autonomi (ovvero l'uno sganciato dall'altro) ma si risolvono in un'unica complessiva obbligazione che trova fondamento nell'obbligo di far godere la cosa come previsto dall'art. 1571 c.c. (che contiene la nozione stessa del contratto di locazione), da cui discendono, secondo un meccanismo di concatenazione logica e sistematica, gli obblighi di consegna, di manutenzione funzionale all'uso pattuito e quello diretto ad evitare le turbative ad opera di terzi nel godimento della cosa locata”. A tal proposito, si è, perciò, affermato che “l'obbligazione globale (e fondamentalmente unitaria) incombente sul locatore riveste un contenuto essenzialmente positivo ed implica l'insorgenza a suo carico di obblighi che si sviluppano per tutta la durata del contratto e che svolgono, in sostanza, una funzione strumentale e rafforzativa rispetto a quello della consegna iniziale. Per contro, i suddetti obblighi contrattuali facenti capo al locatore cessano di trovare applicazione allorquando sia decorso il termine del rapporto, ossia nei casi in cui lo stesso venga dichiarato risolto, anche se il conduttore permanga illegittimamente nella disponibilità dell'immobile” (così Carrato, 2014, 818).

In giurisprudenza, è stato chiarito che l'obbligo in commento a) sorge nel momento stesso in cui il conduttore accetta la consegna della cosa (Cass. III, n. 2008/1972), b) va adempiuto nel luogo dove la consegna originaria è avvenuta (Cass. III, n. 265/1977), c) configura un'ipotesi di responsabilità contrattuale (Cass. III, n. 1189/2007; Cass. III, n. 2458/1977), avente ad oggetto un facere atipico (consistente, per l'appunto, nella restituzione della res locata) anche se non di carattere sinallagmatico (Cass. III, n. 1189/2007, cit.), conseguendo alla natura propria della locazione, quale contratto a termine e che (d) va eseguito nei confronti del locatore, indipendentemente dalla circostanza che ne sia o meno il proprietario (Cass. III, n. 539/1997).

La restituzione, peraltro, deve avere ad oggetto il medesimo bene locato: ne consegue che, solitamente, all'atto della consegna le parti redigono un verbale di immissione nella detenzione del bene (c.d. verbale di consegna), ovvero includono nel contratto una specifica clausola, donde risulti la descrizione dello stato del bene; la dichiarazione del conduttore di riscontrare che la cosa si trova in buono stato manutentivo ovvero la specifica clausola inserita nel contratto esonerano il locatore da responsabilità per consegna in buono stato manutentivo, giacché contenendo il verbale o la clausola essenzialmente dichiarazioni di scienza provenienti dalle parti, tali dichiarazioni, per quanto riferiscono fatti sfavorevoli, posseggono efficacia di confessione, ai sensi dell'art. 2730 c.c. e, più precisamente, essendo resa al di fuori del giudizio, di confessione stragiudiziale che, siccome rivolta alla controparte, fa piena prova della verità dei fatti dichiarati contro colui che ha reso la dichiarazione, ex art. 2735 c.c.

È in questo contesto che si collocano le previsioni di cui agli artt. 1592 e 1593 c.c. che, rispettivamente, dettano la disciplina di eventuali miglioramenti ed addizioni apportati alla cosa locata da parte del conduttore: in particolare, benché collocate nella disciplina relativa ad obblighi e diritti del conduttore, entrambe le previsioni individuano, accanto alle obbligazioni disciplinate dall'art. 1575 c.c. – e tralasciando le diverse obbligazioni del locatore disciplinate dalla legislazione speciale – ulteriori obbligazioni che gravano sul locatore.

Trattasi di previsioni derogabili (Cass. III, n. 6158/1998; analogamente Cass. III, n. 192/1991, per la quale in tema di miglioramenti ed addizioni alla cosa locata, le disposizioni di cui agli artt. 1592 e 1593, non essendo di carattere imperativo, sono derogabili dalle pattuizioni contenute nel contratto) che non trovano, però, applicazione nell'affitto di azienda, per il quale non è previsto uno ius tollendi in capo all'affittuario al termine del rapporto. Infatti, dal combinato disposto degli artt. 2561, comma 4, e 2562 c.c., emerge che la differenza tra le consistenze di inventario all'inizio e al termine dell'affitto è regolata in danaro, sulla base dei valori correnti al termine dell'affitto, sia essa derivata da mutamenti quantitativi o soltanto qualitativi delle componenti aziendali (Cass. I, n. 10623/2007). Se poi le parti, derogando alla disciplina legale prevista dagli artt. 1592 e 1593 c.c., pattuiscono l'obbligo del locatore di rimborsare al conduttore le spese occorrenti per l'avvenuta realizzazione di miglioramenti ed addizioni, il relativo debito non muta la natura che gli attribuisce la legge, dovendosi calcolare in base all'integrale valore di esse, così modificandosi soltanto il criterio legale della minor somma tra lo speso e il migliorato (Cass. III, n. 4608/1997).

In particolare, quanto ai miglioramenti, il principio generale espresso dalla norma in commento è quello per cui il conduttore ha diritto ad un ristoro (in specie, un'indennità) per gli eventuali miglioramenti solo se vi è stato consenso del locatore giacché, diversamente – ove, cioè, ne avesse sempre diritto – da un lato si sentirebbe libero di apportare qualsiasi modifica e, dall'altro, potrebbe incidere unilateralmente nella sfera giuridica del locatore.

La nozione di “miglioramento”

Costituiscono “miglioramenti” – rilevanti ai fini della disciplina ex art. 1592 c.c. – quelle opere che, con trasformazioni o sistemazioni diverse apportano all'immobile un aumento di valore, accrescendone in modo durevole il godimento, la produttività e la redditività, senza presentare una propria individualità rispetto al bene in cui vanno ad incorporarsi.

Assolutamente concorde, sul punto, la giurisprudenza di legittimità (Cass. III, n. 21223/2014; Cass. III, n. 13070/2004), la quale fa rientrare nella nozione ogni intervento che, senza mutare la natura del bene locato, ne comporti un miglioramento oggettivo, qualitativo o quantitativo, tale da accrescerne il valore aumentandone in modo durevole il godimento, la produttività e la redditività (Cass. III, n. 6094/2006; Cass. III, n. 4871/1998).

Analogamente, in dottrina si reputano miglioramenti quei mutamenti della cosa locata di carattere intrinseco, che la rendono maggiormente produttiva di vantaggi e ne elevano l'aspetto esteriore, la qualità, la funzionalità e persino lo stato di manutenzione: i miglioramenti, cioè, rappresentano un accrescimento qualitativo della natura intrinseca della cosa ed in ciò risiederebbe la differenza rispetto alle addizioni (disciplinate dal successivo art. 1593 c.c.), che costituiscono un incremento estrinseco quantitativo (Tabet, 1972, 574). In altri termini, costituisce miglioramento l'attività materiale che determina un incremento economico della cosa locata (Mirabelli, 528). Il miglioramento, dunque, deve essere obiettivo e, cioè, percepibile in modo oggettivo (e non soggettivo o presunto) e rappresenta altro rispetto all'intervento meramente manutentivo, o preordinato ad eliminare guasti o danni insorgenti, che ricade – piuttosto – nell'ambito di quella nozione di “piccola manutenzione” disciplinata dagli artt. 1576, 1609 e 1610 c.c. (Tabet, 1972, 574; Provera, 324).

Sicché i miglioramenti si distinguono tanto dalle a) addizioni, quanto dalla b) trasformazione della cosa locata.

In relazione alle prime, si è già detto che il criterio differenziale risiede nell'incremento, intrinseco apportato alla qualità della cosa locata e non solo meramente estrinseco, di carattere quantitativo.

Ma non solo. Nel senso che si è altresì osservato che, mentre i miglioramenti non sono separabili dalla cosa, le addizioni possono essere eliminate, riportando la cosa allo status quo ante, proprio perché l'elemento aggiunto (ulteriore ed accessorio) non si fonde con la res locata, né perde la sua individualità (Trifone, 481), sostanziandosi in una mera aggiunta materiale (Tabet, 1972, 576).

Peraltro, qualora un'addizione assuma anche i caratteri del miglioramento, si applicherà il combinato disposto degli artt. 1592 e 1593 c.c.

In questo senso Cass. III, n. 10959/1996, per la quale la disciplina degli artt. 1592 e 1593 c.c., oltre che ai miglioramenti, si applica anche alle accessioni operate dal conduttore che, seppur originariamente separabili per la loro natura fisica, siano divenute giuridicamente inseparabili per disposizione di legge o per vincolo amministrativo. Del medesimo tenore la più recente Cass. III, n. 6094/2006, per la quale con riguardo alle addizioni effettuate dal conduttore, se il locatore vi ha prestato consenso e queste, non separabili senza nocumento della cosa locata, costituiscano anche un miglioramento della cosa locata, comportando un incremento di valore della cosa stessa, il locatore non può pretenderne la rimozione ed il conduttore ha diritto all'indennità prevista dall'art. 1592 c.c., mentre qualora non vi sia stato il consenso, il conduttore non ha diritto ad alcuna indennità, a nulla rilevando che il locatore acquisisca le addizioni. Nel caso invece in cui le addizioni comportino deterioramento della cosa locata, il locatore può chiedere il risarcimento del danno in forma specifica mediante l'eliminazione da parte del conduttore delle opere da lui abusivamente eseguite.

Quanto invece, alla differenza con la trasformazione, quest'ultima si sostanzia – a differenza dei miglioramenti – nel vero e proprio mutamento di struttura della res locata.

Così Cass. III, n. 5747/1988 e Cass. III, n. 4706/1984 chiariscono che la trasformazione consiste in un'attività implicante alterazioni strutturali tali da rendere la cosa locata diversa da quella originaria o, comunque, da mutarne la natura.

In tal caso – qualora, cioè, si superino i limiti per la configurabilità dei miglioramenti e verta in ipotesi di vera e propria trasformazione del bene – il conduttore potrebbe incorrere in responsabilità contrattuale nei confronti del locatore, per violazione degli artt. 1587, n. 1) c.c. e 1590 c.c.

In tal senso si osservato, in dottrina (Catelani, 574) che il conduttore potrebbe effettivamente incorrere nella violazione dell'art. 1587, n. 1) c.c., alla cui stregua lo stesso deve usare la cosa locata con la diligenza del buon padre di famiglia e servirsene per l'uso determinato nel contratto, con conseguente inadempimento contrattuale, suscettibile di condurre alla risoluzione del contratto. Del pari, si è chiarito che, qualora al termine del contratto il bene locato presenti deterioramenti, ovvero si accerti una consistente immutazione rispetto alle sue caratteristiche originarie, il locatore potrà legittimamente rifiutarsi di riprendere in consegna il bene rilasciato in condizioni deteriori (Provera, 309) o potrà ricevere in consegna la cosa e, successivamente, proporre azione contro il conduttore per il pessimo stato di manutenzione del bene, mentre incomberà sul conduttore l'onere di provare l'esclusione della sua responsabilità per danni (Provera, 312).

Medesima è la posizione della giurisprudenza, per la quale ove l'intervento realizzato dal conduttore consista in un'alterazione unilaterale (ossia realizzata senza il consenso del locatore) che importi un uso anormale della cosa o comunque che sia tale da stravolgere l'originaria conformazione e struttura della cosa, l'alterazione è da ritenersi illecita e costituisce inadempimento delle obbligazioni di cui agli artt. 1587 e 1590 (Trib. Reggio Calabria 14 gennaio 2003). Analogamente Cass. III, n. 12977/2013 ha in proposito chiarito che, allorché il conduttore abbia arrecato gravi danni all'immobile locato, o compiuto sullo stesso innovazioni non consentite, tali da rendere necessario per l'esecuzione delle opere di ripristino l'esborso di somme di notevole entità, in base all'economia del contratto e tenuto comunque conto delle condizioni delle parti, il locatore può legittimamente rifiutare di ricevere la restituzione del bene finché tali somme non siano state corrisposte dal conduttore, il quale, versando in mora, agli effetti dell'art. 1220 c.c., rimane tenuto altresì al pagamento del canone exart. 1591 c.c., quand'anche abbia smesso di servirsi dell'immobile per l'uso convenuto; del pari Cass. III, n. 16685/2002 evidenzia che, nella ipotesi in cui la cosa locata, offerta in restituzione dal conduttore, si trovi in stato non corrispondente a quello descritto dalle parti all'inizio della locazione, ovvero, in mancanza di descrizione, non si trovi in buono stato locativo, per accertare se sia giustificato il rifiuto del locatore di ricevere la cosa occorre distinguere a seconda che a) la cosa locata sia deteriorata per non avere il conduttore adempiuto durante il corso della locazione all'obbligo di eseguire le opere di piccola manutenzione (artt. 1576 e 1609 c.c.), ovvero che b) la difformità del bene, rispetto allo stato esistente all'inizio della locazione, dipenda dall'avvenuta effettuazione di trasformazioni ed innovazioni da parte del conduttore. Nel primo caso, trattandosi di rimuovere deficienze che non alterano la consistenza e la struttura della cosa e non implicano la esplicazione di una attività straordinaria e gravosa, l'esecuzione delle opere occorrenti rientra nel dovere di ordinaria diligenza, cui il locatore è tenuto per non aggravare il danno, sicché illegittimo è il suo rifiuto di ricevere la restituzione salvo il suo diritto a richiedere i danni; nel secondo caso, invece, poiché la esecuzione delle opere di ripristino implica la esplicazione di una attività straordinaria e gravosa, il locatore può rifiutare l'offerta di restituzione della cosa locata in quello stato (in senso conforme, Cass. III, n. 6798/1993, Cass. III, n. 6856/1986, Cass. III, n. 5459/2006 e Cass. III, n. 12977/2013). Si rinvia per l'approfondimento, sul punto, al commento agli artt. 1587 e 1590-1591 c.c.

La disciplina dei miglioramenti: a) la facoltà del conduttore ed il consenso del locatore

L'art. 1592 c.c. detta alcune regole per il caso di realizzazione di “miglioramenti” da parte del conduttore: a) lo stesso in linea generale non ha diritto ad indennità per i miglioramenti apportati alla cosa locata, b) salvo che vi sia consenso da parte del locatore alla loro realizzazione, c) nel qual caso quest'ultimo è tenuto a pagare un'indennità corrispondente alla minor somma tra l'importo della spesa e il valore del risultato utile al tempo della riconsegna; d) anche nel caso in cui il conduttore non ha diritto a indennità, però, il valore dei miglioramenti può compensare i deterioramenti che si sono verificati senza colpa grave del conduttore.

Dall'impianto complessivo della norma in esame consegue che è in facoltà del conduttore apportare alla cosa locata quelle migliorie od innovazioni che non ne mutino la natura e la destinazione pattuita (Cass. III, n. 9744/1996); ma lo stesso ha diritto ad un'indennità (da calcolare secondo l'ultimo periodo dell'art. 1592, comma 1, c.c.), solo se il locatore ha prestato il suo consenso, espresso o tacito, alla realizzazione dell'opera: tale consenso – che legittima la richiesta di indennizzo del conduttore – non può fondarsi, peraltro, sulla sola conoscenza o sulla tolleranza o sulla la mancata opposizione del locatore all'iniziativa comportante il miglioramento (Cass. III, n. 6094/2006), dovendo essere inequivoco. Nel medesimo senso Cass. III, n. 10884/1993, per cui il diritto del conduttore ad essere indennizzato per i miglioramenti apportati alla cosa locata a norma dell'art. 1592, comma 1, c.c. postula che detti miglioramenti siano stati effettuati con il consenso del locatore, non essendo sufficiente a tal fine la sola scienza o la mancata opposizione del locatore medesimo. Il consenso in questione può essere dato anche successivamente, con una chiara ed inequivoca manifestazione di volontà, da cui possa desumersi l'esplicita approvazione delle eseguite innovazioni e che si manifesti in fatti concludenti, ossia in un comportamento incompatibile con un contrario proposito (Cass. III, n. 4532/2019; Cass. III, n. 22986/2013; Cass. III, n. 2494/2009).

Spetta al conduttore provare l'esistenza del consenso.

Granitica è la posizione della giurisprudenza, per la quale la prova del consenso del locatore spetta, in ogni caso, al conduttore (Cass. III, n. 14/2017). Analogamente Cass. III, n. 10884/1993, cit., chiarisce che, ove conduttore chieda in via autonoma o in via riconvenzionale l'indennità di cui all'art. 1592 c.c., il consenso del locatore ai miglioramenti costituisce un fatto costitutivo del diritto fatto valere, quale conditio sine qua non per la proposizione e l'accoglimento della relativa domanda, con la conseguenza che ne discende per cui incombe al conduttore stesso l'onere di provare ex art. 2967 la sussistenza nella fattispecie del detto consenso.

Anche la dottrina (Tabet, 1972, 574) afferma che l'art. 1592 c.c. non impone che l'assenso del locatore rispetto alla realizzazione dei miglioramenti sia preventivo, essendo facoltà del conduttore apportarli o meno ed avendo il consenso del locatore rilievo solo ai fini dell'eventuale diritto del conduttore al percepimento dell'indennità al termine della locazione. Sempre il medesimo Autore, inoltre, evidenzia come l'espressione “consenso” usata nell'art. 1592 c.c. va intesa in senso ampio, quale autorizzazione, permesso, o assenso del locatore all'esecuzione dei miglioramenti. In altri termini, occorre distinguere tra il diritto di eseguire il miglioramento ed il diritto di ottenere, allo scadere del rapporto, un'indennità per lo stesso: mentre è sempre possibile (salvo patto contrario) per il conduttore eseguire dei miglioramenti nel corso della locazione a prescindere dal consenso (Tabet, 1982, 1027), salvo il correlativo diritto del locatore di pretendere, a conclusione del rapporto, la rimessione in pristino (Vitali, 212), il diritto del conduttore all'indennità è subordinato al consenso del locatore.

Segue. b) l'indennità

In presenza del consenso del locatore, dunque, il conduttore ha diritto a conseguire un'indennità per i miglioramenti apportati alla res locata, quantificabile nella minor somma tra l'importo della spesa e il valore del risultato utile al tempo della riconsegna tra speso e migliorato.

Poiché l'entità dell'indennizzo va calcolata in ragione della minor somma tra l'importo della spesa ed il valore del risultato utile al tempo della riconsegna, è con riferimento a tale ultimo momento che va essere calcolato l'incremento di valore della cosa, per effetto delle opere eseguite dal conduttore, e l'entità dell'indennizzo deve risultare dal confronto tra l'importo della spesa e la quantità di moneta in cui può esprimersi il maggior valore acquistato dal bene, dovendosi corrispondere al conduttore la minor somma tra le due (Provera, 328). Il debito del locatore per l'indennità in questione, peraltro, costituisce debito di valore, soggetto a rivalutazione monetaria, in quanto avente la funzione di indennizzare il conduttore della diminuzione sofferta nei limiti del plusvalore economico conseguito dal locatore, considerando quello che è il potere di acquisto della moneta al tempo della liquidazione, purché, comunque, gli effetti positivi dei miglioramenti sussistano al momento della riconsegna della cosa locata (Provera, 328).

L'azione volta ad ottenere, ai sensi dell'art. 1592 c.c., l'indennità per i miglioramenti apportati alla cosa locata non può essere proposta dal conduttore prima dell'avvenuta riconsegna al locatore del bene locato (Cass. III, n. 2777/2003), potendo solo in tale occasione operarsi una utile comparazione tra l'importo delle spese sostenute dal conduttore e l'incremento di valore conseguito dall'immobile (Cass. III, n. 11551/1998). La riconsegna della cosa, però, non va intesa quale condizione di proponibilità della domanda di indennità per i miglioramenti, ma quale presupposto per un provvedimento favorevole o sfavorevole sulla domanda stessa, vale a dire per una pronuncia nel merito (Cass. III, n. 17861/2007).

Quanto al criterio di calcolo dell'indennità, va fatto riferimento al valore della cosa prima dell'esecuzione delle opere (Cass. III, n. 2476/1972); individuata, così, l'indennità spettante al conduttore, deve poi calcolarsi l'incidenza dell'eventuale svalutazione monetaria fino al momento della liquidazione (Cass. III, n. 1258/1971). Se le parti, nell'esercizio della loro autonomia contrattuale, derogano alla disciplina legale di cui agli artt. 1592 e 1593 c.c., pattuendo in ogni caso l'obbligo del locatore di rimborsare le spese occorrenti per le corrispondenti opere, il relativo debito non cambia la natura che gli attribuisce la legge, dovendosi calcolare in base all'integrale valore di esse, modificandosi, pertanto, solo il criterio legale (Cass. III, n. 4608/1997).

Quanto al soggetto tenuto al pagamento dell'indennità, problemi interpretativi si pongono in relazione all'ipotesi di vendita del bene locato nel corso del rapporto: orbene, nel caso di cessione dell'immobile locato, l'acquirente cui il contratto di locazione sia opponibile – perché avente data certa anteriore al trasferimento, ovvero perché trascritto (in caso di locazioni ultranovennali) – si surroga nella posizione dell'originario locatore, acquistando, dal momento dell'acquisto, i medesimi diritti ed obblighi verso il conduttore, che aveva il cedente (v. gli artt. 1599-1602 c.c.).

La cessione del contratto di locazione, in mancanza di una volontà contraria dei contraenti, determina, ai sensi degli artt. 1599 e 1602 c.c., la surrogazione del terzo che subentra nei diritti e nelle obbligazioni del locatore-venditore senza necessità del consenso del conduttore (Cass. III, n. 18536/2018; nella giurisprudenza di merito, Trib. Bari, 3 luglio 2018; Trib. Teramo 17 giugno 2014). All'ipotesi di compravendita va equiparata – in base all'interpretazione fornita a proposito dell'art. 1599 c.c. in relazione al concetto di “terzo acquirente” – quella della donazione (Cass. III, n. 13833/2013; Trib. Bari, 3 luglio 2018, cit.), della permuta (Cass. III, n. 975/1978), della costituzione di usufrutto (Cass. III, n. 11828/1990), nonché, più in generale, qualsiasi altra ipotesi di acquisto a titolo derivativo o derivativo-costitutivo (Cass. III, n. 2356/1985).

In particolare, il trasferimento a titolo particolare della cosa locata comporta, sul piano sostanziale ed in applicazione dell'art. 1599, il subentro – a latere locatoris – dell'acquirente all'alienante nel rapporto locatizio, producendo altresì, sul piano processuale, gli effetti previsti e disciplinati dall'art. 111 c.p.c.

La dottrina ritiene che quella in esame configuri un'ipotesi di successione nella posizione contrattuale o di cessione del contratto ex lege, cui applicare – quantomeno analogicamente – le norme generali in materia di cessione del contratto (Carrara, Ventura, 454; in senso contrario all'applicazione analogica delle norme dettate sulla cessione del contratto in generale, però, Guarino, 47; Provera, 414): ma si è altresì sostenuto (Trifone, 526) che la qualificazione del fenomeno (in termini di successione nel contratto o cessione di esso) non abbia una importanza pratica, rilevando, a contrario, gli effetti di esso, consistenti in una surrogazione del terzo acquirente nei diritti e nelle obbligazioni derivanti dal contratto di locazione e avendo l'art. 1602 c.c. il precipuo intento di regolare i rapporti tra alienante ed acquirente della cosa locata. È, invece, pacifico che il subentro del terzo si verifica integralmente ed in via automatica e istantanea dal giorno del suo acquisto (Tabet, 1972, 654).

L'acquirente subentra nei diritti e negli obblighi che derivano dal contratto di locazione dal momento dell'acquisto del bene locato: sicché il subingresso non ha effetto retroattivo (Cass. III, n. 24222/2019) e determina il sorgere di due rapporti di locazione distinti i cui effetti si producono nei confronti di colui che risulta essere locatore nel rispettivo periodo di riferimento (Cass. III, n. 19747/2012; Cass. III, n. 22669/2004; Cass. III, n. 8328/2001). Ne consegue che nella prospettata ipotesi, poiché la facoltà del conduttore va necessariamente esercitata al momento della riconsegna della res locata (Cass. III, n. 2777/2003), l'indennità deve essere corrisposta dall'acquirente che, avendo in consegna l'immobile, esercita il diritto di ritenere le cose amovibili (Cass. III, n. 2326/1985): l'obbligo di indennizzare i miglioramenti apportati dal conduttore va infatti correlato con l'esercizio dello ius retinendi del locatore che, nel caso di alienazione durante la pendenza del rapporto, spetta in favore dell'acquirente del bene

Segue. c) la compensazione con i deterioramenti

Nel caso in cui il conduttore non abbia diritto ad alcuna indennità, infine, l'art. 1592, comma 2, c.c. detta una regola di chiusura volta ad evitare – pur sempre a determinate condizioni – un ingiustificato arricchimento del locatore: il valore dei miglioramenti, infatti, può compensare i deterioramenti che si sono verificati senza colpa grave del conduttore.

Per la dottrina, la facoltà di opporre in compensazione ai deterioramenti il valore dei miglioramenti, permette al conduttore che non ha diritto all'indennizzo per le migliorie apportate senza il consenso del locatore di trarne ugualmente vantaggio, quando si siano verificati dei deterioramenti al bene, purché, però, questi non siano imputabili al conduttore a titolo di dolo o colpa grave (Provera, 328). Si ritiene, inoltre, che disciplinando essa un'ipotesi di compensazione in senso tecnico-giuridico stretto (Trifone, 497), la norma – e solo il secondo comma, si badi – ha carattere imperativo e, dunque, non derogabile (Guarino, 65; Tabet, 1972, 578).

In giurisprudenza, Cass. III, n. 351/1952 afferma che la compensazione può essere anche parziale, mentre Cass. III, n. 1856/1980 afferma che, qualora le parti abbiano convenuto l'obbligo del conduttore anche alla manutenzione straordinaria, questi deve compiere tutte le opere atte a mantenere la cosa al fine a cui era destinata e deve riconsegnarla nello stato di conservazione originario, con conseguente inapplicabilità dell'art. 1592, comma 2, c.c., in quanto i deterioramenti risultanti dall'uso della cosa sono trasferiti a suo carico, secondo quanto previsto nel contratto, pur essendo possibile una compensazione parziale.

Derogabilità della previsione

Quanto esposto nel paragrafo precedente consente di affrontare l'ultimo argomento correlato alla disposizione in esame e, precisamente, quello concernente la sua derogabilità.

È pacifico in giurisprudenza che, in tema di manutenzione della cosa locata e di miglioramenti ed addizioni alla stessa, le disposizioni di cui agli artt. 1576,1592 e 1593 sono convenzionalmente derogabili tra le parti (Cass. III, n. 6158/1998). Cass. III, n. 192/1991, d'altra parte, evidenzia che, in tema di miglioramenti ed addizioni alla cosa locata, le disposizioni di cui agli artt. 1592 e 1593, non essendo di carattere imperativo, sono derogabili dalle pattuizioni contenute nel contratto.

In particolare, Cass. III, n. 5968/2020(ma, in senso conforme, cfr. anche Cass. III, n. 10425/2002) chiarisce che la clausola del contratto di locazione che esclude la corresponsione al conduttore di un'indennità per i miglioramenti non è da considerarsi clausola limitativa della responsabilità del locatore ai sensi dell'art. 1229 c.c., perché non incide sulle conseguenze della colpa o dell'eventuale inadempimento di quest'ultimo, bensì sul diritto sostanziale all'indennità prevista, con norma derogabile, dall'art. 1592 c.c.

Se, poi, le parti, nella loro autonomia contrattuale, derogando alla disciplina legale prevista dagli artt. 1592 e 1593 c.c. per i miglioramenti e le addizioni apportati alla cosa dal conduttore con il consenso del locatore, pattuiscono l'obbligo di questi di rimborsargli le spese occorrenti per le corrispondenti opere, il relativo debito non muta la natura che gli attribuisce la legge, dovendosi calcolare in base all'integrale valore di esse, così modificandosi soltanto il criterio legale della minor somma tra lo speso e il migliorato (Cass. III, n. 4608/1997). Si è altresì osservato – sia pure in tema di locazione ad uso diverso – che la previsione pattizia che pone a carico del conduttore, quali obbligazioni entrambi principali ed avvinte da nesso sinallagmatico, il pagamento del canone e l'esecuzione di talune opere di miglioramento e di addizione dell'immobile locato, non altera di per sé l'equilibrio contrattuale (in modo da configurare una elusione dell'art. 79 della l. n. 392/1978), laddove l'obbligazione di pagamento, nel rispetto dell'art. 32 della citata legge, sia determinata tenuto conto dell'altra prestazione, giacché, da un lato, ai sensi della medesima l. n. 392/1978, la determinazione del canone è libera e, dall'altro, le disposizioni di cui agli artt. 1592 e 1593 c.c., in quanto non imperative, sono derogabili dalle pattuizioni contrattuali, non costituendo, altresì, l'art. 1587 un ostacolo all'autonomia contrattuale nell'inserimento di altre obbligazioni di natura principale nell'unico contratto di locazione (Cass. III, n. 13245/2010).

Come chiarito nel paragrafo precedente, la dottrina – diversamente dalla giurisprudenza – ritiene che la derogabilità concerna solo il comma 1 dell'art. 1592 c.c.

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