Codice Civile art. 1576 - Mantenimento della cosa in buono stato locativo.

Gian Andrea Chiesi

Mantenimento della cosa in buono stato locativo.

[I]. Il locatore deve eseguire, durante la locazione, tutte le riparazioni necessarie, eccettuate quelle di piccola manutenzione che sono a carico del conduttore [1609, 1621].

[II]. Se si tratta di cose mobili, le spese di conservazione e di ordinaria manutenzione sono, salvo patto contrario, a carico del conduttore.

Inquadramento

L'art. 1575, n. 2) c.c. sancisce, a carico del locatore, l'obbligo di mantenere l'immobile locato in stato da servire all'uso convenuto e quindi di assicurare al conduttore il godimento del bene in conformità del contratto (c.d. obbligazione di mantenimento o di manutenzione): tale obbligo deve considerarsi violato non solo quando, per incuria del locatore, il bene locato sia divenuto specificamente inidoneo all'uso, ma anche quando, sempre per fatto imputabile al locatore, la concreta utilizzazione dell'immobile locato non sia possibile (v. però infra, per un approfondimento sull'argomento).

Ad esso – come già anticipato nel commento alla richiamata previsione codicistica – corrisponde il simmetrico obbligo, gravante sul conduttore, di tollerare le riparazioni che, nel corso della locazione la cosa, non possano differirsi fino al termine del contratto, anche quando queste importino privazione del godimento di parte della cosa locata (v. l'art. 1583 c.c.). Ma non solo: ed infatti, con la consegna del bene locato il conduttore acquista la detenzione dello stesso ed assume il conseguente obbligo di custodia exart. 1177 c.c., in vista della restituzione alla scadenza del contratto, il cui contenuto si sostanzia nel mantenimento della cosa nello stesso stato e modo di essere in cui si trovava al momento in cui è sorta l'obbligazione, evitando non solo le azioni od omissioni personali, ma anche gli accadimenti esterni che possono determinare la perdita, il perimento o il deterioramento della cosa stessa.

In tale ottica, si spiegano, dunque, le previsioni contenute nell'art. 1576 c.c., a mente del quale, nel caso di locazione avente ad oggetto beni immobili, il locatore deve eseguire tutte le riparazioni necessarie, eccettuate quelle di piccola manutenzione che sono a carico del conduttore; ove essa concerna cose mobili, le spese di conservazione e di ordinaria manutenzione sono, salvo patto contrario, a carico del conduttore.

L'art. 1576 c.c., dunque, riempie di significato, da un lato, l'art. 1575, n. 2) c.c. in relazione all'obbligazione positiva di mantenimento (o di manutenzione) gravante sul locatore e, dall'altro, l'art. 1587, n. 1) c.c. in relazione all'obbligo di custodia e diligente uso della cosa locata gravante sul conduttore.

Gli obblighi in commento diventano efficaci al momento della consegna della cosa locata, ma la prestazione diviene esigibile solo nel momento della sopravvenienza di fatti che compromettano il godimento della cosa secondo l'uso convenuto (Mirabelli, 384). La manutenzione va eseguita, ad opera del locatore, non appena questi ha conoscenza dell'inconveniente e cioè, secondo quanto previsto in linea generale dall'art. 1183 c.c., nell'immediatezza, tenendo conto del tempo all'uopo necessario, anche sotto un profilo organizzativo, in relazione alla natura ed all'entità del guasto.

La distribuzione, così descritta, degli obblighi manutentivi tra locatore e conduttore trova applicazione, peraltro, anche in ipotesi di sublocazione.

Osserva, infatti, Cass. III, n. 10742/2002 che la sublocazione è retta dalle stesse norme che regolano il contratto principale di locazione, con la peculiarità che i rapporti tra le parti assumono una duplice direzione: da un lato quelli che si stabiliscono fra il costituente del diritto e chi ne beneficia e dall'altro quelli tra il titolare del subdiritto e chi è controparte del costituente. Salve fattispecie espressamente previste dalla legge (ad esempio, l'art. 1595 c.c. in materia di locazione e l'art. 1649 c.c. in tema di affitto di fondo) non sorgono rapporti fra chi è il costituente del rapporto originario (rapporto padre), nella specie il locatore, ed il titolare del subdiritto (nella specie il subconduttore), restando interposto, fra i detti soggetti, il costituente del subdiritto (nella specie contemporaneamente: conduttore e sublocatore), il quale vanta gli stessi diritti nei confronti del proprio costituente (locatore), che il subconduttore ha nei suoi confronti. Sicché, in ultima analisi, le norme che regolano gli obblighi del locatore regolano nella stessa maniera anche gli obblighi del sublocatore e per converso il conduttore ha le stesse facoltà e gli stessi diritti del subconduttore, e ciò segnatamente, ai fini che qui interessano, di mantenimento della cosa in buono stato locativo (art. 1576 c.c.), necessità di riparazione (art. 1577 c.c.) e vizi della cosa locata (art. 1578 c.c.).

Si tratta, in ogni caso, di una norma derogabile.

È derogabile la norma del codice civile (art. 1575, n. 1 c.c.) che prevede l'obbligo per il locatore di consegnare la cosa in buono stato di manutenzione, con i conseguenti obblighi, in capo allo stesso, di mantenimento exart. 1575, n. 2) c.c. e di riparazione exart. 1576 c.c. adeguati allo stato della cosa al momento della consegna e non migliorativi (Trib. Firenze, 10 novembre 2000; analogamente Cass. III, n. 6158/1998). Ancor più chiara Cass. III, n. 11856/1992, che osserva come le disposizioni degli artt. 1575, n. 2), e 1576 c.c. possono essere derogate dalle parti nell'ambito della loro autonomia negoziale, non trattandosi di norme di ordine pubblico.

Nella vigenza della legge sull'equo canone, la possibilità di una deroga convenzionale a tale disposizione era, però, esclusa in relazione alle locazioni di immobili urbani destinati ad uso abitativo: in virtù della norma contenuta nell'art. 79 della l. n. 392/1978 si affermava, infatti, la nullità delle clausole che obbligassero il conduttore anche alla ordinaria o alla straordinaria manutenzione poiché, addossando al conduttore una spesa di manutenzione che l'art. 1576 c.c. pone a carico del locatore, attribuivano a quest'ultimo un vantaggio aggiuntivo al canone, unico corrispettivo lecitamente pattuibile a carico del conduttore (Cass. III, n. 18510/2007; Cass. III, n. 2142/2006; Cass. III, n. 11703/2002; Cass. III, n. 8819/1996). Era (ed a maggior motivo lo è attualmente) invece consentita una simile pattuizione in caso di locazione di immobile ad uso diverso: tenuto conto che in tal caso non trova applicazione l'art. 23 della l.n. 392/1978, che disciplina le riparazioni straordinarie per gli immobili ad uso di abitazione, né è stabilita la predeterminazione legale del limite massimo del canone – si legge in Cass. III, n. 15388/2002non incorre nella sanzione di nullità sancita dall'art. 79 della l. n. 392/1978 la pattuizione che pone a carico del conduttore la manutenzione ordinaria e straordinaria, relativa agli impianti e alle attrezzature particolari dell'immobile locato, lasciando invece a carico del locatore soltanto le riparazioni delle strutture murarie.

Gli obblighi manutentivi a carico del locatore durano finché il contratto è in vita: dopo la cessazione de iure della locazione, l'obbligazione di manutenzione viene meno, giacché il conduttore in mora nella restituzione dell'immobile ne mantiene solo abusivamente la detenzione, restando obbligato al pagamento del canone di locazione, ai sensi dell'art. 1591 c.c., solo a titolo di risarcimento del danno, senza che ciò implichi, a carico del locatore, la persistenza delle obbligazioni nascenti dal contratto di locazione ormai cessato.

In tal senso, Cass. III, n. 12543/1991, per cui l'obbligazione del locatore di assicurare al conduttore il godimento della cosa locata, mantenendola in buono stato locativo, si protrae per tutta la durata del rapporto di locazione ma non dopo che questo è cessato per qualsiasi causa, perché da questo momento il conduttore in mora nella restituzione dell'immobile ne mantiene solo abusivamente la detenzione, restando obbligato al pagamento del canone di locazione, ai sensi dell'art. 1591 c.c., solo a titolo di risarcimento del danno, senza che ciò implichi, a carico del locatore, la persistenza delle obbligazioni nascenti dal contratto di locazione ormai cessato; sicché il conduttore in mora nella restituzione dell'immobile non può chiedere al locatore i danni subiti per omessa manutenzione del bene durante il periodo della mora (contra, però, Cass. III, n. 9669/1997, alla cui stregua il conduttore in mora nella restituzione del bene locatogli non diviene, per ciò stesso, occupante abusivo).

A tale riguardo, tuttavia, occorre considerare – in senso mitigativo rispetto a tale conclusione – che intendendo il termine per il rilascio dell'immobile, concesso ai sensi dell'art. 56 della l. n. 329/1978, quale termine di adempimento dell'obbligazione di rilascio, “non può non ritenersi che il locatore rimanga assoggettato alle obbligazioni poste a suo carico fino alla scadenza di esso” (così Di Marzio, Falabella, 871).

Non rientra, infine, tra gli obblighi di manutenzione previsti dalla norma in esame quello di apportare alla cosa stessa le modifiche e le aggiunte occorrenti per renderla idonea alla destinazione pattuita né, tantomeno, quella di assicurare al conduttore la possibilità di apportarvele egli stesso, pur potendo le parti accordarsi in tal senso.

La conclusione è confermata dalla granitica giurisprudenza di legittimità, la quale osserva – sia pure in relazione al precedente art. 1575, n. 2) c.c. (di cui l'art. 1576 c.c. rappresenta una specificazione) – la legge non impone al locatore alcun obbligo di apportare alla cosa da locare le modifiche necessarie per renderla idonea allo scopo cui intende destinarlo il conduttore (neppure se imposte da disposizioni normative o dall'autorità e sopravvenute alla consegna. Così Cass. III, n. 24987/2014; Cass. III, n. 2458/2009. V. anche, per la giurisprudenza di merito, Trib. Roma 3 novembre 2009, per cui il locatore non è tenuto all'adeguamento degli impianti esistenti nell'immobile alla normativa vigente, a meno che non si verifichino guasti sopravvenuti che richiedano interventi di riparazione e/o manutentivi ordinari o straordinari, posto che al momento della stipula del contratto, pur se successiva all'entrata in vigore della normativa di riferimento, il locatore non ha assunto alcun impegno circa l'effettuazione di lavori di modifica di detti impianti), a meno che quell'obbligo non venga concordato con patto espresso, non essendo sufficiente la mera enunciazione, nel contratto, che la locazione sia stipulata per un certo uso e l'attestazione del riconoscimento dell'idoneità dell'immobile da parte del conduttore. In particolare, tale obbligo non può discendere da quello, espressamente posto dalla norma a carico del locatore, di mantenere la cosa locata in stato da servire all'uso convenuto, giacché questo consiste nel provvedere a tutte le riparazioni necessarie a conservare la res nelle condizioni in cui si trovava al momento della conclusione del contratto in relazione alla destinazione considerata. Sicché il locatore non è di regola tenuto a compiere successive modificazioni e trasformazioni, non previste dal contratto, attinenti alla specifica idoneità dell'immobile all'esercizio di una determinata attività industriale o commerciale, per la quale è stato locato, anche se l'esecuzione delle opere di modificazione o trasformazione sia imposta da disposizioni di legge o dell'autorità sopravvenute alla consegna; né il locatore è tenuto a rimborsare al conduttore le spese sostenute per la realizzazione di tali opere, salva l'operatività degli artt. 1592 e 1593 c.c. in tema di miglioramenti e addizioni (Trib. Torre Annunziata 17 gennaio 2014).

Manutenzione e riparazione

Come detto, l'art. 1576 c.c. prevede che, nel caso di locazione avente ad oggetto beni immobili, il locatore debba eseguire tutte le riparazioni necessarie, eccettuate quelle di piccola manutenzione che sono a carico del conduttore mentre, ove la locazione concerna cose mobili, le spese di conservazione e di ordinaria manutenzione sono, salvo patto contrario, a carico del conduttore.

La norma introduce, dunque, due concetti che vanno riempiti di contenuto, quello di riparazione e quello di manutenzione.

Nel medesimo senso, la dottrina (Cosentino, Vitucci 1986, 50), la quale evidenzia come l'obbligazione di manutenzione presenta, per l'appunto, due aspetti fondamentali, identificabili, da un lato, nella manutenzione in senso lato e, dall'altro, nell'esecuzione delle riparazioni dei guasti in senso stretto.

Ciò posto, l'attività di manutenzione imposta al locatore comprende tutte le riparazioni necessarie a conservare la cosa nello stato in cui si trovava al momento della conclusione del contratto, in relazione alla destinazione considerata (Cass. III, n. 12085/1998); essa riguarda, inoltre, sia la parte dell'immobile di esclusiva proprietà del locatore sia le parti comuni dell'edificio, trattandosi di un obbligo strettamente connesso con quello, a suo carico, di riparazione e manutenzione dell'immobile locato (Cass. III, n. 15372/2010). Sicché, ad esempio, nell'ipotesi in cui venga approvata una delibera condominiale di dismissione dell'impianto centralizzato di riscaldamento, il locatore deve dotare l'immobile locato di un impianto di riscaldamento autonomo che, tenuto conto delle circostanze del caso, risulti essere “equivalente” a quello condominiale dimesso (Trib. Bari 18 novembre 2005; Pret. Torino 14 gennaio 1997); in caso di locazione di immobile ad uso abitativo, che sia dotato di elettrodomestici, quale uno scaldabagno, compete certamente al locatore, ex art. 1575, n. 2) c.c., la sostituzione o riparazione di tali accessori, che si renda necessaria non in conseguenza di un'utilizzazione inadeguata od anomala da parte del conduttore, ma in esito a normale processo di deterioramento nel tempo, dopo un uso normale (Cass. III, n. 772/1982).

Tale obbligo di riparazione non si estende, però, fino al punto di costringere il locatore alla ricostruzione della cosa distrutta totalmente o parzialmente o, comunque, in misura tale da non poter più servire all'uso al quale era destinata: in tal caso, infatti, il contratto di locazione si risolve per impossibilità sopravvenuta della prestazione, in base a quanto disposto dagli artt. 1463 e 1464 c.c. (Mirabelli, 392).

Chiara, in proposito, anche Cass. III, n. 3974/2019 (in senso conforme, v. anche Cass. III, n. 4119/1995), per cui la distruzione del bene locato, la quale fa venir meno l'obbligo di manutenzione a carico del locatore rendendo applicabile la disciplina dell'impossibilità sopravvenuta (totale o parziale) della prestazione, ricorre non solo quando il bene locato sia totalmente distrutto, ma anche quando la rovina, pur essendo parziale, riguardi gli elementi principali e strutturali del bene pregiudicandone definitivamente la funzionalità e l'attitudine a prestarsi al godimento previsto dalle parti con il contratto, fermo restando che la distruzione di un singolo elemento essenziale o strutturale non equivale a distruzione parziale dell'immobile locato solo se gli altri elementi, rimasti in efficienza, assicurino la consistenza complessiva dell'immobile e la sua funzionalità.

La dottrina (Di Marzio, Falabella, 824) osserva, in proposito che, sebbene il legislatore sembri propendere per un'utilizzazione indifferenziata delle due espressioni, quasi che l'una si risolva nell'altra – si rammenti che l'art. 1575, n. 1) c.c., prescrive la consegna della cosa “in buono stato di manutenzione”, il quale va conservato dal locatore, ai sensi della norma successiva, mediante le “riparazioni necessarie”, eccezion fatta per quelle “di piccola manutenzione” a carico del conduttore – si è al contrario evidenziato che il concetto di riparazione non sempre coincide con quello di manutenzione: la riparazione, difatti, presuppone che la cosa locata abbia subito un guasto – tale l'espressione preferibilmente utilizzata dalla dottrina – capace di pregiudicarne il godimento, mentre la manutenzione ben può essere attuata in prevenzione, indipendentemente dal verificarsi di esso, attraverso l'esecuzione di quelle opere periodiche tendenti ad evitare che il semplice decorso del tempo e l'uso continuo della cosa la degradino progressivamente, rendendola a poco a poco sempre meno idonea all'uso cui è destinata.

Sicché, in ultima analisi, può concludersi nel senso che la nozione di “manutenzione” è più ampia e ricomprende in sé la nozione di “riparazione”, sebbene possa convenirsi che l'ipotesi del “guasto”, con la conseguente necessità di riparazione, sia, nel concreto svolgersi del rapporto locativo, quella di maggior rilievo pratico.

Va in ogni caso chiarito che l'art. 1576 c.c. si riferisce all'ipotesi nella quale il guasto sia sopravvenuto rispetto al momento della stipulazione del contratto, in quanto in caso di vizi preesistenti opera la diversa garanzia prevista dall'art. 1578 c.c.

Segue. Guasti e vizi

Accreditata dottrina (Mirabelli, 419) ha osservato che, “dall'ambito della nozione di vizio e dei rimedi relativi esulano quelli che, siano chiamati guasti, degradazioni o deterioramenti, consistono in alterazioni della cosa, che parimenti comportano diminuzione dell'utilizzabilità, ma possono essere eliminati con opere di riparazione e danno luogo, pertanto, al corrispondente obbligo che – come si è detto – grava sul locatore; la distinzione viene posta, dunque, tradizionalmente a seconda che si tratti di difetti preesistenti, non eliminabili con opere, o di difetti sopravvenuti che possono essere eliminati con lavori opportuni. Ma è stato anche giustamente rilevato che questo criterio di distinzione, agevole a configurarsi sul piano astratto e nella maggior parte dei casi anche ad applicarsi nelle situazioni concrete, può dar luogo a gravi incertezze, giacché possono presentarsi vizi derivanti da fattori intrinseci e strutturali che potrebbero anche essere eliminati con opere adeguate e, può aggiungersi, deterioramenti sopravvenuti di tale gravità, che l'opera di riparazione non appaia sufficiente a riportare la cosa alla necessaria utilizzabilità. Tuttavia, la distinzione va mantenuta secondo i criteri tradizionali, nel senso che se si tratta di difetti che già esistevano al momento dell'inizio del rapporto, anche se si siano rilevati successivamente, si rientra nell'ambito dei vizi; se si tratta di alterazioni verificatesi successivamente si cade nell'ambito dell'obbligo di riparazioni; ed invero questo secondo attiene al più generale obbligo di mantenimento della cosa quale era, mentre i primi concernono le conseguenze dello stato della cosa all'inizio del rapporto”.

Il proposto criterio cronologico ha, però, destato il disappunto di chi, prendendo le mosse dal successivo art. 1581 c.c., ha evidenziato come tale norma, stabilendo che le disposizioni in tema di vizi “si osservano in quanto applicabili, anche nel caso di vizi della cosa sopravvenuti nel corso della locazione”, sembra escludere la validità del criterio temporale. Se ne è allora tratta la conclusione (Provera, 212) per cui la distinzione tra guasto e vizio non sarebbe enucleabile in termini generali ed astratti, ma andrebbe ricercata caso per caso, mediante l'utilizzazione di più criteri concorrenti, incluso (ma senza riconoscergli carattere di esclusività) quello temporale: sembra però agevole replicare che l'art. 1581 estende la garanzia dovuta dal locatore ai “vizi della cosa sopravvenuti nel corso della locazione”. Ora, per vizi sopravvenuti non possono evidentemente intendersi quelli già esistenti al momento della consegna e scoperti successivamente, perché tale nozione si attaglia in modo perfetto anche ai vizi previsti dall'articolo in esame [i.e., l'art. 1578 c.c.], vizi la cui rilevanza, ai fini della garanzia, dipende appunto dalla loro scoperta a consegna ormai effettuata. Né si dica che la norma di cui all'art. 1581 c.c. è stata dettata al solo scopo di evitare una falsa interpretazione dell'articolo in esame, il cui tenore letterale (“se al momento della consegna la cosa locata è affetta da vizi”) potrebbe far pensare a vizi scoperti all'atto della consegna (mentre si tratta evidentemente sempre di vizi scoperti dopo). Tale opinione ci sembra scarsamente attendibile: infatti, solo un'interpretazione letterale (e perciò stesso erronea) del testo della norma potrebbe condurre alla conclusione sopra indicata. E non è perciò credibile che il legislatore, preoccupato di evitare all'interprete un errore così grossolano, abbia voluto correre ai ripari dettando l'art. 1581 c.c., che invece fa riferimento ad un'ipotesi speciale di vizi della cosa. Il criterio sopra indicato non è perciò utilizzabile ai fini della distinzione tra vizio e guasto o almeno non è utilizzabile da solo, anche perché non crediamo che un vizio non possa sorgere [...] dopo la consegna della cosa [...] Ma se per vizi sopravvenuti devono intendersi quelli che non solo vengono accertati dopo la consegna, ma che sorgono anche dopo questo momento, è evidente che la distinzione fra vizio e guasto non può accogliersi alla luce del criterio in esame. Ma non può accogliersi nemmeno in funzione della circostanza che il guasto, a differenza del vizio, sarebbe prontamente eliminabile o almeno eliminabile con una spesa proporzionata al risultato. Infatti, non è escluso che il vizio possa essere eliminato senza eccessive difficoltà: il fatto è piuttosto che il conduttore, mentre può pretendere la riparazione del guasto, non può pretendere l'eliminazione del vizio. A ben vedere, dunque, la distinzione non è di carattere ontologico; essa va accolta perciò utilizzando insieme diversi criteri, dal cui esame comparativo potrà ricavarsi di volta in volta se si tratta di vizio oppure di guasto. I dati che interessano la soluzione del problema sono offerti dalla comune esperienza, la quale insegna ad esempio che il vizio, a differenza del guasto, non è normalmente eliminabile se non a prezzo di un sacrificio economico sproporzionato al risultato che si vuole conseguire. Il vizio non è di norma prontamente accertabile, mentre lo è quasi sempre il guasto. Il vizio preesiste secondo l'id quod plerumque accidit alla consegna della cosa, mentre il guasto è un deterioramento che si produce dopo la consegna in seguito ad un fatto naturale o volontario che altera la cosa [...] Il vizio, come d'altra parte le molestie, non è rilevante in sé e per sé, ma solo in quanto incide in modo apprezzabile sul godimento della cosa, rendendola meno idonea o del tutto inidonea all'uso pattuito.

Sulla stessa linea, la giurisprudenza di legittimità, la quale ha evidenziato che, ove la distinzione tra vizio e guasto venga a fondarsi sul carattere originario o meno del difetto, non può non osservarsi come la disciplina dell'art. 1578 c.c. sia applicabile anche ai vizi che si manifestano successivamente alla conclusione del contratto di locazione, come si evince dall'equiparazione sancita dall'art. 1581 (Cass. III, n. 2605/1995). Così, muovendosi alla ricerca di criteri discretivi diversi, Trib. Milano 30 gennaio 2019 evidenzia come i vizi della cosa locata rilevanti exart. 1578 c.c., incidono sulla struttura materiale della cosa, alterandone l'integrità in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale, anche se sono eliminabili e si manifestano successivamente alla conclusione del contratto di locazione. Tali vizi alterano l'equilibrio delle prestazioni corrispettive, incidendo sull'idoneità all'uso della cosa locata, ed i rimedi previsti sono solo la risoluzione del contratto o la riduzione del corrispettivo, restando esclusa l'esperibilità dell'azione di esatto adempimento, non potendosi configurare in presenza di tali vizi intrinseci e strutturali un inadempimento del locatore alle obbligazioni assunte ex art. 1575 c.c. Invece, guasti o deterioramenti della cosa locata, dovuti alla naturale usura, effetto del tempo, o ad accadimenti accidentali, che determinino disagi limitati e transeunti nell'utilizzazione del bene, possono rilevare rispetto all'obbligo di manutenzione, posto dalla legge a carico del locatore, quale proiezione nel tempo dell'obbligo di consegna in buono stato di manutenzione ex art. 1575 c.c., e rispetto all'obbligo di riparazione exart. 1576 c.c., l'inosservanza dei quali determina l'inadempimento contrattuale. Sostanzialmente nel medesimo senso Cass. III, n. 24459/2011, per cui costituiscono vizi della cosa locata agli effetti dell'art. 1578 c.c. – la cui presenza non configura un inadempimento del locatore alle obbligazioni assunte ai sensi dell'art. 1575 c.c., ma altera l'equilibrio delle prestazioni corrispettive, incidendo sull'idoneità all'uso della cosa stessa e consentendo la risoluzione del contratto o la riduzione del corrispettivo, ma non l'esperibilità dell'azione di esatto adempimento – quelli che investono la struttura materiale della cosa, alterandone l'integrità in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale, anche se eliminabili e manifestatisi successivamente alla conclusione del contratto di locazione: pertanto va escluso che possano essere ricompresi tra i vizi predetti quei guasti o deterioramenti dovuti alla naturale usura o quegli accadimenti che determinino disagi limitati e transeunti nell'utilizzazione del bene, posto che in questo caso diviene operante l'obbligo del locatore di provvedere alle necessarie riparazioni ai sensi dell'art. 1576 c.c., la cui inosservanza determina inadempimento contrattuale. Del pari, Trib. Bari, 12 ottobre 2006, per cui l'obbligazione ex art. 1575, n. 2), c.c., è del tutto distinta dalla garanzia per vizi prevista dall'art. 1578 c.c. in quanto quest'ultima norma si applica solo nell'ipotesi in cui la cosa presenti difetti che, a differenza di quelli contemplati dall'art. 1575, n. 2) c.c., incidono esclusivamente sullo stato di conservazione della cosa e ne compromettono la struttura materiale alterandone l'integrità; ne deriva una tutela differenziata del conduttore in funzione della presenza nell'immobile locato di anomalie conseguenti all'omesso adempimento della obbligazione di cui all'art. 1575 c.c. o di veri e propri vizi.

Come anticipato, però, se in alcuni casi la differenza tra le due discipline è chiara, in altri essa permane sfumata: così ad esempio, mentre in caso di locazione di immobile ad uso abitativo, che sia dotato di elettrodomestici, quale uno scaldabagno, compete certamente al locatore, ex art. 1575, n. 2) c.c., la sostituzione o riparazione di tali accessori, che si renda necessaria non in conseguenza di un'utilizzazione inadeguata od anomala da parte del conduttore, ma in esito a normale processo di deterioramento nel tempo, dopo un uso normale (Cass. III, n. 772/1982); al contrario, Trib. Brindisi 15 marzo 2018, osserva che il crollo anche parziale del solaio può rilevare tanto ai fini dell'eventuale violazione dell'obbligo di mantenimento in buono stato locativo, ex art. 1575, n. 2), c.c. quanto sul piano di dimostrare la sussistenza di vizi del bene locato che ne diminuiscono in maniera apprezzabile l'idoneità all'uso convenuto, ex art. 1578 c.c., al punto da giustificare la risoluzione del contratto per inadempimento. Le due richiamate discipline, quella relativa alle obbligazioni del locatore, cui lo stesso è risultato essersi reso inadempiente, e quella dei vizi della cosa locata possono concorrere nel produrre, quale conseguenza, la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento, determinando altresì i connessi effetti risarcitori a carico del locatore ivi compreso per quanto riguarda la corresponsione dell'indennità per la perdita dell'avviamento, dovuta in esito alla risoluzione del rapporto.

Segue. Manutenzione ordinaria, straordinaria e “piccola”

All'elaborazione di un criterio discretivo tra manutenzione ordinaria e manutenzione straordinaria concorrono più disposizioni: all'ordinaria manutenzione fa riferimento l'art. 1576, comma 2, c.c., in tema di locazione mobiliare, mentre le riparazioni straordinarie sono considerate dall'art. 1621 c.c., in materia di affitto; il concetto di ordinaria manutenzione è, poi, utilizzato dall'art. 9 della l. n. 392/1978, a proposito del riparto degli oneri condominiali accessori connessi al rapporto locativo, mentre a quello di straordinaria manutenzione ricorre l'art. 23 della medesima legge n. 392, con precipuo riferimento alla disciplina dell'integrazione del canone equo.

In generale, alla luce di tale complessivo impianto normativo si è osservato che il sistema codicistico fa riferimento al concetto quantitativo della tenuità della spesa e a quello della riferibilità causale della stessa spesa dall'uso normale del bene per gravare il conduttore, esclusivamente, delle spese di “piccola manutenzione”, alla stregua di una valutazione d'insieme della modesta entità del loro valore economico, della destinazione dell'immobile e dei corrispondenti obblighi di custodia del locatario, degli usi locali (Cass. III, n. 2181/1978), lasciando a carico del locatore tutte le altre spese di manutenzione, sia ordinaria che straordinaria, quale modalità di adempimento della fondamentale obbligazione di mantenere la cosa in buono stato e in modo da servire all'uso cui è destinata (art. 1575, n. 2, 1576, 1577, 1609 c.c.); diversamente, il sistema introdotto dalla legge sull'equo canone (l. n. 392/1978) ha previsto che siano a carico del conduttore, sub specie di oneri accessori (ex art. 9, tuttora in vigore, nonostante l'abrogazione del regime del canone legale), alcune spese di carattere continuativo o periodico, correlate a servizi di cui usufruisce il conduttore – quali quelle relative al servizio di pulizia e alla fornitura di altri servizi comuni – che, in quanto necessarie a mantenere in buone condizioni di uso le cose comuni, sono ascrivibili all'ordinaria manutenzione delle parti comuni, nonché le spese relative al funzionamento e all'ordinaria manutenzione dell'ascensore.

Né risulta del tutto risolutivo, al fine di individuare un criterio discretivo univoco, il richiamo alla normativa in tema di usufrutto e, segnatamente, alla nozione di riparazioni straordinarie, di cui all'art. 1005 c.c. (secondo cui riparazioni straordinarie sono quelle necessarie ad assicurare la stabilità dei muri maestri e delle volte, la sostituzione delle travi, il rinnovamento, per intero o per una parte notevole, dei tetti, solai, scale, argini, acquedotti, muri di sostegno o di cinta), sia perché per riparazione si intende l'opera che rimedia ad un'alterazione già verificatasi nello stato della cosa a differenza della manutenzione, che propriamente si riferisce all'opera che previene l'alterazione (laddove l'espressa previsione, nella clausola che qui rileva, della manutenzione ordinaria anche se dipendente da vetustà o caso fortuito, finisce per assimilare l'uno e l'altro concetto, accordando rilievo, piuttosto, che alla maggiore o minore attualità del danno da riparare, alla essenza dell'opera e al suo carattere ordinario), sia perché l'elencazione contenuta nella norma citata, sebbene di carattere generale, non è tassativa, ma solo esemplificativa (così anche Cass. III, n. n. 1881/1979): l'inserimento della nozione dettata dall'art. 1005 c.c. nella trama del rapporto locatizio va, infatti, attuato nella considerazione dell'equilibrio sinallagmatico sotteso a detto rapporto e dei principi specificamente dettati in materia, in relazione al quale beneficiario ultimo dei miglioramenti apportati all'immobile condotto in locazione mediante spese di manutenzione straordinaria, rimane esclusivamente il locatore (v. artt. 1576, 1609 e 1621 c.c.).

Da quanto precede Cass. III, n. 27540/2013 ha tratto la conclusione per cui, assumendo quali utili parametri di riferimento la norma di cui all'art. 1005 c.c. e le ulteriori disposizioni in materia di locazione sopra citate, la manutenzione ordinaria va qualificata come quella diretta ad eliminare guasti della cosa o che comunque abbia carattere di periodica ricorrenza e di prevedibilità, essendo connotata inoltre da una sostanziale modicità della spesa, mentre rientrano nell'ambito della manutenzione straordinaria quelle riparazioni non prevedibili e di costo non modico, eccezionali nell'ambito dell'ordinaria durata del rapporto locatizio ovvero anche quelle di una certa urgenza e di una certa entità necessarie al fine di conservare o di restituire alla cosa la sua integrità ed efficienza.

La qualificazione delle opere in termini di ordinaria ovvero straordinaria manutenzione e l'attribuzione dei lavori all'una o all'altra categoria spettano, in ogni caso, al giudice di merito, involgendo indagini di fatto e il relativo apprezzamento si sottrae a censura in sede di legittimità, se sia sorretto da esatti criteri nomativi e sia adeguatamente motivato (Cass. III, n. 27540/2013, cit.; Cass. III, n. 4064/2003; Cass. III, n. 10/1969).

Trattandosi di obblighi che, salvo deroga convenzionale, gravano sul locatore, questi non può pretendere, nel corso della locazione, il rimborso delle spese per la manutenzione delle parti dell'immobile logorate dal normale uso, né tantomeno, al termine della locazione, il risarcimento dei danni per le spese di riparazione, se non offre la prova, almeno indiziaria, dello scorretto uso della cosa da parte del conduttore (Cass. III, n. 14305/2005; Cass. III, n. 1320/2015).

Quanto, invece, alle opere di cd. piccola manutenzione, che l'art. 1576, comma 1, c.c. pone, in caso di locazione avente ad oggetto beni immobili, a carico del conduttore, queste ultime, come chiarito dal successivo art. 1609 c.c., sono quelle dipendenti da deterioramenti prodotti dall'uso, e non quelle dipendenti da vetustà o da caso fortuito (le quali ultime, indipendentemente dalla loro entità, restano a carico del locatore). Le riparazioni di piccola manutenzione, peraltro, ai sensi dell'art. 1609, comma 2, c.c., in mancanza di patto, sono determinate dagli usi locali.

Conforme è l'orientamento della dottrina (Cosentino, Vitucci, 51), per la quale l'ambito della piccola manutenzione si determina anche sulla scorta del disposto dell'art. 1609 c.c., come quella richiesta da deterioramenti prodotti dall'uso, non da vetustà o caso fortuito; a tale criterio, però, va altresì aggiunto quello della tenuità del costo dell'opera.

Nello stesso senso anche la giurisprudenza, la quale ha osservato che gli obblighi imposti dagli artt. 1576, comma 1, e 1609 c.c. non comportano che il conduttore sia tenuto, al momento del rilascio, ad eliminare a sue spese le conseguenze del deterioramento subito dalla cosa locata per l'uso fattone durante la durata del contratto in conformità di questo e con l'impiego di una media diligenza, giacché il deterioramento derivato da tale uso si pone come limite all'obbligo del conduttore di restituire la cosa, al termine del rapporto, nello stato in cui l'aveva ricevuta (Cass. III, n. 880/1990). Molto chiara al riguardo e, ancora, Cass. III, n. 772/1982, per cui nel combinato disposto degli artt. 1577 e 1609 c.c. emerge una gerarchia che consente di identificare gli interventi che fanno carico al conduttore; essi sono determinati, in primo luogo, dalle pattuizioni contrattuali, in secondo luogo dagli usi e, solo in mancanza delle une e degli altri, dalle norme di legge: in proposito, analizzando la previsione di cui all'art. 1609 c.c., la giurisprudenza ha già avuto modo di chiarire come la nozione di riparazioni di piccola manutenzione implichi in primo luogo un concetto d'insieme, nel quale concorrono la tenuità del valore economico, la destinazione, l'uso, il necessario affidamento della cosa (così anche Cass. III, n. 2181/1978 e Cass. III, n. 2359/1973). Già da questo primo approccio al problema che viene all'esame della Corte affiora, con carattere di essenzialità, il requisito che può definirsi quantitativo (entità relativamente modesta delle riparazioni) ai fini dell'applicabilità della norma in esame, giacché per le riparazioni di più rilevante proporzione non appare dubbio che un'eventuale responsabilità del conduttore può, semmai, sorgere a titolo diverso e non alla stregua delle citate norme di cui agli artt. 1576 e 1609 c.c.

La casistica è varia: per Cass. III, n. 8191/1995, la riparazione degli infissi esterni dell'immobile locato non rientra tra quelle di piccola manutenzione che l'art. 1576 c.c. pone a carico del conduttore, perché i danni riportati da questi infissi, a meno che non siano dipendenti da uso anormale dell'immobile, debbono presumersi dovuti al caso fortuito o a vetustà (conforme, Cass. III, n. 6896/1991); secondo Cass. III, n. 271/1989, non rientrano tra le riparazioni di piccola manutenzione a carico dell'inquilino, a norma dell'art. 1609 c.c. quelle relative agli impianti interni alla struttura del fabbricato (elettrico, idrico, termico) per l'erogazione dei servizi indispensabili al godimento dell'immobile atteso che, mancando un contatto diretto del conduttore con detti impianti, gli eventuali guasti manifestatisi improvvisamente e non dipendenti da colpa dell'inquilino per un uso anormale della cosa locata, devono essere imputati a caso fortuito od a vetustà; incombe, ancora, al locatore la sostituzione dei vetri di finestrini sottostanti a lucernari, qualora la loro mancanza o rottura derivi da vetustà o da consunzione dei relativi infissi e non dal normale deterioramento prodotto dall'uso (Trib. Bari, 21 settembre 1988); è, ancora, a carico del locatore, la sostituzione dello scaldabagno, resa necessaria non già da una sua utilizzazione inadeguata od anomala da parte del conduttore, ma per effetto del naturale processo di deterioramento determinato da un uso normale (Cass. III, n. 772/1982); la riparazione della braga di scarico del gabinetto dell'immobile locato, riguardando un impianto interno alla struttura del fabbricato, è a carico del locatore e non del conduttore, salvo che risulti che il guasto sia dipeso da colpa di quest'ultimo (Pret. Milano, 20 aprile 1990); analogamente, è a carico del locatore la riparazione delle tubature (incluse grondaie, pluviali e colonne di scarico) (Pret. Roma, 30 dicembre 1971).

Rientrano, al contrario, tra gli interventi di piccola manutenzione, la riparazione del flessibile del bidet che non comporti l'effettuazione di opere murarie (Cass. III, n. 24737/2007), la sostituzione della tazza del water rotta, la riparazione della vaschetta di zinco per lo scarico (App. Napoli, 3 dicembre 1951), nonché del relativo galleggiante (Trib. Napoli, 5 ottobre 1978); è a carico del conduttore, ancora, l'obbligo di eliminare l'eccessivo accumulo di fuliggine in una canna fumaria (Cass. III, n. 2181/1978).

Rientrano nella nozione di piccola manutenzione anche la stuccatura degli infissi interni; la riparazione del battiscopa; la sostituzione di serrature e maniglie; la sistemazione dei cardini delle porte; la sostituzione della cinghia e della molla dell'avvolgibile; la sostituzione del braccio della doccia e, in generale, dei flessibili e raccordi di entrata per l'acqua calda e fredda, la sostituzione parziale di mattonelle o listelle di parquet (Lazzaro, Di Marzio, 721), nonché le rubinetterie (Tabet 1972, 399) ed alcuni interventi su parti comuni, come quelli relativi alla cassetta della posta, al campanello, al citofono ed alle piante poste nell'androne comune (Lazzaro, Di Marzio, 723).

Segue. L'incidenza delle riparazioni sulla determinazione del canone di locazione

Nel sistema della l. n. 329/1978, l'art. 23 (al cui commento si rinvia per l'approfondimento delle relative questioni) collegava all'esecuzione di riparazioni da parte del locatore un'integrazione del canone di locazione: allorché fossero eseguite “importanti e improrogabili opere” per conservare la destinazione dell'immobile ovvero evitare maggiori danni che ne compromettano l'efficienza in relazione all'uso a cui è adibito o, comunque, “opere di straordinaria manutenzione di rilevante entità”, la l. n. 392/1978 consentiva al locatore che vi avesse provveduto di chiedere al conduttore un'integrazione del canone, mediante un aumento di esso non superiore all'interesse legale sul capitale impiegato nelle opere e nei lavori effettuati, dedotte le indennità (ad esempio, premi assicurativi) e i contributi di ogni natura (ad esempio, agevolazioni fiscali per i lavori o contributi pubblici) che il locatore avesse percepito o che avrebbe successivamente percepito per le opere eseguite.

La ratio della previsione va rinvenuta nella volontà legislativa di compensare il sacrificio economico del locatore, cui corrisponde un maggiore vantaggio del conduttore nel godimento dell'immobile locato (Militerni, 102). In dottrina, peraltro, si è ritenuto che il locatore avesse diritto all'integrazione del canone anche laddove fosse stato il conduttore ad eseguire le opere in questione, avvalendosi del potere sostitutivo riconosciutogli ex art. 1577, comma 2, c.c., salvo rimborso degli esborsi anticipati da parte del locatore medesimo (Lazzaro, Di Marzio, 863).

L'art. 23, dunque, contempla due ipotesi alternative ed indipendenti l'una dall'altra: 1) quella in cui siano state compiute opere improrogabili, necessarie per conservare al bene locato la sua destinazione o per evitare maggiori danni che ne compromettano l'efficienza in relazione all'uso a cui il bene è adibito; 2) quella in cui siano state compiute opere di straordinaria manutenzione di rilevante entità (Cass. III, n. 11857/1998). Le opere in questione, inoltre, possono concernere tanto l'unità immobiliare locata, quanto le parti comuni dell'edificio in cui la stessa è ubicata e di cui il conduttore goda direttamente o indirettamente (Pret. Vicenza 2 ottobre 1984).

Entrambe le categorie predette, tuttavia, non sono sovrapponibili alle “semplici” opere di straordinaria manutenzione, giacché le riparazioni straordinarie di cui si discute sono connotate dalla importanza, improrogabilità, e dal fine di conservare all'immobile la sua destinazione, ad evitare maggiori danni che ne compromettano l'efficienza, in relazione all'uso cui adibito; vi rientrano, inoltre, anche le opere di manutenzione di notevole entità.

Sicché, in ultima analisi, la straordinarietà della riparazione appare caratterizzata dalla natura particolarmente onerosa per il proprietario dagli interventi manutentivi, che consistono nella sostituzione o nel ripristino di parti essenziali alla struttura dell'edificio ed al mantenimento del suo decoro architettonico, opere il cui costo risulta incidere in modo non normale sul reddito fondiario (Cass. III, n. 8814/1996).

L'integrazione del canone spettante al locatore, ex art. 23 della l. n. 392/1978 deve operare non come elemento variabile e fluttuante, ma secondo un principio unitario di stabilità e, pertanto, il relativo aumento va commisurato all'interesse legale sul capitale impiegato nelle opere e nei lavori effettuati, calcolato al tasso vigente in relazione al periodo in cui vennero sostenute dal locatore le spese straordinarie (Cass. III, n. 13342/2006). Detta integrazione incide, peraltro, sull'eventuale aggiornamento dello stesso, ex art. 24 della l. n. 392/1978, nel senso che il canone locativo base (o di partenza) da aggiornarsi è proprio quello risultante anche dalla integrazione prevista dalla norma in commento, pari cioè all'interesse legale sul capitale impiegato nelle opere e nei lavori effettuati sull'immobile locato per riparazioni straordinarie, indipendentemente sia dalla data di esecuzione delle dette opere che dalla data di decorrenza dell'aumento per la realizzazione delle medesime (Cass. III, n. 2135/2006).

L'incidenza del comportamento del conduttore sugli obblighi manutentivi del locatore

Le obbligazioni manutentive a carico del locatore si concretizzano per il fatto oggettivo della trasformazione peggiorativa della cosa locata, con il limite dell'imputabilità dell'intervento manutentivo al conduttore, il quale è tenuto ad osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsi della cosa locata ed è responsabile dell'eventuale perdita o deterioramento della medesima nel corso della locazione, ai sensi degli artt. 1587 e 1588 c.c.

Il conduttore, infatti, “è tenuto ad osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsi della cosa locata ed è responsabile dell'eventuale perdita o deterioramento della medesima nel corso della locazione, ai sensi degli artt. 1587 e 1588 c.c.: non rientrano perciò nell'obbligazione di manutenzione a carico del locatore soltanto i danni causati dal conduttore – ovvero, argomentando dall'art. 1588, comma 2, c.c., da persone che egli ha ammesso, anche temporaneamente, all'uso o al godimento della cosa – cioè a lui imputabili” (così Di Marzio, Falabella, 848).

Segue. L'incidenza del comportamento del conduttore sulla restituzione dell'immobile

Il locatore deve cooperare con il conduttore per rendere possibile la consegna della cosa locata: in mancanza, il conduttore, per liberarsi dagli obblighi connessi alla mancata restituzione, deve procedere con un'offerta formale a norma degli artt. 1209 e 1216 c.c.

Il locatore può rifiutare la restituzione della cosa locata nel caso in cui quest'ultima sia stata riconsegnata seriamente danneggiata o in uno stato tale da palesarsi del tutto inservibile: in tal caso – si badi – si è in presenza di un rifiuto legittimo del locatore a ricevere la cosa concessa in godimento, costituendo la restituzione della cosa in stato di deterioramento un inadempimento imputabile alla parte conduttrice).

Del medesimo avviso la dottrina, per la quale, qualora al termine del contratto il bene locato presenti deterioramenti, ovvero si accerti una consistente immutazione rispetto alle sue caratteristiche originarie, il locatore potrà legittimamente rifiutarsi di riprendere in consegna il bene rilasciato in condizioni deteriori (Provera, 309) o potrà ricevere in consegna la cosa e, successivamente, proporre azione contro il conduttore per il pessimo stato di manutenzione del bene, mentre incomberà sul conduttore l'onere di provare l'esclusione della sua responsabilità per danni (Provera, 312).

Molteplici sono stati gli interventi della giurisprudenza, avuto riguardo alla tematica del rifiuto del locatore di riceve la restituzione dell'immobile locato. Cass. III, n. 12977/2013 ha, in proposito, chiarito che, allorché il conduttore abbia arrecato gravi danni all'immobile locato, o compiuto sullo stesso innovazioni non consentite, tali da rendere necessario per l'esecuzione delle opere di ripristino l'esborso di somme di notevole entità, in base all'economia del contratto e tenuto comunque conto delle condizioni delle parti, il locatore può legittimamente rifiutare di ricevere la restituzione del bene finché tali somme non siano state corrisposte dal conduttore, il quale, versando in mora, agli effetti dell'art. 1220 c.c., rimane tenuto altresì al pagamento del canone exart. 1591 c.c., quand'anche abbia smesso di servirsi dell'immobile per l'uso convenuto; del pari, Cass. III, n. 16685/2002 evidenzia che, nella ipotesi in cui la cosa locata, offerta in restituzione dal conduttore, si trovi in stato non corrispondente a quello descritto dalle parti all'inizio della locazione, ovvero, in mancanza di descrizione, non si trovi in buono stato locativo, per accertare se sia giustificato il rifiuto del locatore di ricevere la cosa occorre distinguere a seconda che a) la cosa locata sia deteriorata per non avere il conduttore adempiuto durante il corso della locazione all'obbligo di eseguire le opere di piccola manutenzione (artt. 1576 e 1609 c.c.) ovvero che b) la difformità del bene, rispetto allo stato esistente all'inizio della locazione, dipenda dall'avvenuta effettuazione di trasformazioni ed innovazioni da parte del conduttore. Nel primo caso, trattandosi di rimuovere deficienze che non alterano la consistenza e la struttura della cosa e non implicano la esplicazione di una attività straordinaria e gravosa, l'esecuzione delle opere occorrenti rientra nel dovere di ordinaria diligenza, cui il locatore è tenuto per non aggravare il danno, sicché illegittimo è il suo rifiuto di ricevere la restituzione salvo il suo diritto a richiedere i danni; nel secondo caso, invece, poiché la esecuzione delle opere di ripristino implica la esplicazione di una attività straordinaria e gravosa, il locatore può rifiutare l'offerta di restituzione della cosa locata in quello stato (in senso conforme, Cass. III, n. 6798/1993, Cass. III, n. 6856/1986, Cass. III, n. 5459/2006 e Cass. III, n. 12977/2013). Dello stesso tenore la meno recente Cass. III, n. 958/1970, la quale ulteriormente precisa che il rifiuto del locatore di ricevere la restituzione della cosa locata quando essa presenti deterioramenti dovuti all'omessa esecuzione delle riparazioni di piccola manutenzione è illegittimo, ma il locatore medesimo ha diritto al risarcimento del danno, consistente nella somma di denaro occorrente per l'esecuzione delle riparazioni di piccola manutenzione omesse dal conduttore e nel mancato reddito retraibile della cosa nel periodo di tempo necessario per l'esecuzione dei lavori di riparazione e questa seconda serie di danni va determinata in relazione all'epoca in cui i lavori possono essere iniziati dal locatore usando l'ordinaria diligenza ed alla presumibile epoca del loro compimento. Nell'ipotesi di legittimo rifiuto da parte del locatore dell'offerta di restituzione della cosa locata per non conformità dello stato di essa a quello esistente all'inizio della locazione dipendente da trasformazioni od innovazioni apportate dal conduttore o dalla mancata esecuzione contrattualmente assunta dal conduttore medesimo, delle riparazioni eccedenti la piccola manutenzione, il locatore ha invece diritto, ai sensi dell'art. 1591 c.c. al corrispettivo convenuto per la locazione e al maggior danno fino al momento in cui venga restituita la cosa nello stato suddetto. Analogamente Cass. III, n. 7992/2009, per la quale è legittimo il rifiuto del locatore, ai sensi degli artt. 1176 e 1218 c.c., di accettare la restituzione della cosa locata sino a quando il conduttore non l'abbia rimessa in pristino stato, rendendosi altrimenti inadempiente all'obbligazione di cui all'art. 1590, comma 1, c.c. Nel medesimo senso – per cui, cioè, ove al momento della riconsegna il bene non si trovi in “buono stato locativo”, il locatore legittimamente rifiuta di riceverlo in restituzione, sino a quando il conduttore non l'abbia rimesso in pristino stato, restando altresì tenuto al versamento del corrispettivo; v. anche Cass. III, n. 3786/1968, Cass. III, n. 3210/1971, Cass. III, n. 9207/1995, Cass. III, n. 7992/2009.

È pur vero, però, che, ove il conduttore sia in oggettiva difficoltà nel provvedere alle opere di ripristino, non sussiste l'obbligo per il conduttore stesso di versare il canone di locazione “indefinitamente, sol che il locatore continui a rifiutare la restituzione” (così Cass. III, n. 12977/2013, cit.): qualora il locatore sia in grado di affrontare, senza difficoltà, le spese necessarie alla rimessione in pristino del bene, il suo rifiuto di accettarne la riconsegna non può essere considerato legittimo, con la “conseguente esclusione della mora debendi del conduttore”; d'altra parte, già per gli artt. 5 e 55 della l. n. 392/1978 le comprovate condizioni di difficoltà del conduttore rilevano anche in caso di morosità nel pagamento dei canoni o degli oneri accessori, ai fini della purgazione in sede giudiziale della mora e della concessione di un c.d. termine di grazia.

Si evidenzia, in dottrina (Signorelli, 410) che la distinzione tracciata dai giudici di legittimità svolge l'importante funzione di spartiacque per sancire la legittimità o meno ex latere locatoris di rifiutarsi a ricevere il bene dato in locazione; “va comunque sottolineato che l'applicazione del suddetto principio non opera sempre in modo automatico ed astratto, ma necessita di essere raffrontata al caso concreto. Così, ad esempio, nell'ipotesi in cui il conduttore versi in oggettiva difficoltà economica, al punto di non essere in grado di intervenire sul bene per la rimessa in pristino, sarebbe paradossale ritenerlo obbligato al versamento dei canoni ai sensi dell'art. 1591 c.c. fino a quando il locatore continui a rifiutare la restituzione del bene. Anzi, se addirittura nel caso di specie si dovesse ravvisare la possibilità economica per il locatore di eseguire senza troppi sacrifici le spese necessarie alla riparazione dell'immobile, un suo rifiuto risulterebbe tanto irragionevole quanto contrario all'obbligo di correttezza e buona fede, pertanto illegittimo”.

Il principio appena esposto deve essere, però, coordinato con il precetto di cui all'art. 1227, comma 2, c.c., in tema di divieto di aggravamento delle conseguenze dannose causate dall'inadempimento della controparte: in proposito, a mente dell'art. 1576 c.c., nel caso di locazione avente ad oggetto beni immobili, il locatore deve eseguire tutte le riparazioni necessarie, eccettuate quelle di piccola manutenzione che sono a carico del conduttore; ove essa concerna cose mobili, le spese di conservazione e di ordinaria manutenzione sono, salvo patto contrario, a carico del conduttore.

Muovendo alla ricerca di un criterio discretivo tra manutenzione ordinaria, straordinaria e piccola, assumendo quali utili parametri di riferimento la norma di cui all'art. 1005 c.c. e le ulteriori disposizioni in materia di locazione, Cass. III, n. 27540/2013 ha tratto la conclusione per cui, la manutenzione ordinaria va qualificata come quella diretta ad eliminare guasti della cosa o che comunque abbia carattere di periodica ricorrenza e di prevedibilità, essendo connotata inoltre da una sostanziale modicità della spesa, mentre rientrano nell'ambito della manutenzione straordinaria quelle riparazioni non prevedibili e di costo non modico, eccezionali nell'ambito dell'ordinaria durata del rapporto locatizio ovvero anche quelle di una certa urgenza e di una certa entità necessarie al fine di conservare o di restituire alla cosa la sua integrità ed efficienza; quanto, invece, alle opere di cd. piccola manutenzione, che l'art. 1576, comma 1, c.c. pone, in caso di locazione avente ad oggetto beni immobili, a carico del conduttore, queste ultime, come chiarito dal successivo art. 1609 c.c., sono quelle dipendenti da deterioramenti prodotti dall'uso, e non quelle dipendenti da vetustà o da caso fortuito (le quali ultime, indipendentemente dalla loro entità, restano a carico del locatore), determinate, in mancanza di patto, dagli usi locali.

Orbene, Cass. III, n. 6856/1998 ha in proposito chiarito che il principio desumibile dall'art. 1590 c.c. che legittima il locatore a rifiutare la riconsegna dell'immobile ed a pretendere il pagamento del canone fino alla sua rimessione in pristino, va coordinato con il principio di cui all'art. 1227, comma 2, c.c. secondo il quale in base alle regole dell'ordinaria diligenza il creditore ha il dovere di non aggravare con il fatto proprio il pregiudizio subito, pur senza essere tenuto all'esplicazione di un'attività straordinaria e gravosa e, cioè, ad un “facere” non corrispondente all'id quod plerumque accidit. Ne deriva che il locatore non può rifiutare la riconsegna ma può soltanto pretendere il risarcimento del danno cagionato all'immobile, costituito dalle spese necessarie per la rimessione in pristino e dalla mancata percezione del reddito nel periodo di tempo occorrente, nel caso in cui il deterioramento dipenda da inadempimento dell'obbligo di provvedere alle riparazioni di piccola manutenzione exart. 1576 c.c.; il locatore può invece rifiutare la riconsegna dell'immobile locato nel caso in cui il conduttore non abbia adempiuto all'obbligo, impostogli dal contratto, di provvedere alle riparazioni eccedenti l'ordinaria manutenzione o per avere egli di propria iniziativa apportato trasformazioni o innovazioni, poiché in tale caso la rimessione in pristino richiederebbe l'esplicazione di un'attività straordinaria e gravosa e, cioè, un facere al quale il locatore non è tenuto secondo l'id quod plerumque accidit.

L'inadempimento del locatore ed i rimedi a disposizione del conduttore

In presenza dell'inadempimento del locatore all'obbligo di manutenzione, infine, il conduttore non può, restando nella detenzione dell'immobile, sospendere il pagamento del canone mentre può, anche in via di eccezione riconvenzionale, chiedere una sua riduzione ovvero, in alternativa, la risoluzione del contratto.

Chiarisce al riguardo Cass. III, n. 3441/2001 (conforme la successiva Cass. III, n. 3991/2004) che “il pagamento del canone costituisce la principale e fondamentale obbligazione del conduttore, al quale non è consentito astenersi dal versare il corrispettivo o di determinare unilateralmente il canone nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione del godimento del bene, anche quando si assuma che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore e ciò perché la sospensione totale o parziale dell'adempimento di detta obbligazione, ai sensi dell'art. 1460 c.c., è legittima soltanto quando venga completamente a mancare la prestazione della controparte (in tale senso, Cass. III, n. 9863/1998; Cass. III, n. 3411/1983; Cass. III, n. 1172/1962). Il principio è solo parzialmente da condividere, poiché esso porta ad escludere l'applicabilità dell'eccezione di cui all'art. 1460 in ipotesi di inesatto adempimento, limitandola all'exceptio inadimpleti contractus. Infatti, il comma 2 dell'art. 1460 c.c., ove non si voglia ritenere meramente ripetitivo del primo, secondo la più attenta dottrina, va riferito anche al caso in cui la controparte potrebbe aver già adempiuto la propria prestazione, ma in maniera inesatta. In questo caso l'eccezione sarebbe quella di non rite adimpleti contractus. Sennonché l'exceptio non rite adimpleti contractus, a cui è egualmente applicabile l'art. 1460 c.c., postula la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, da valutare non in rapporto alla rappresentazione soggettiva che le parti se ne facciano, ma in relazione alla oggettiva proporzione degli inadempimenti stessi, riguardata con riferimento all'intero equilibrio del contratto ed alla buona fede (Cass. III, n. 4457/1982; Cass. III, n. 250/1985; Cass. III, n. 5694/1996). Pertanto, se il conduttore ha, in ogni caso, continuato a godere dell'immobile, per quanto lo stesso presentasse vizi, e quindi ha ricevuto la prestazione, per quanto nei termini predetti, non può lo stesso sospendere l'intera sua prestazione, perché in questo caso mancherebbe la proporzionalità tra i due inadempimenti”. Il principio è stato recentemente ribadito da Cass. III, n. 16918/2019, per la quale il conduttore può sollevare l'eccezione di inadempimento ai sensi dell'art. 1460 c.c. non solo quando venga completamente a mancare la prestazione della controparte, ma anche nel caso in cui dall'inesatto adempimento del locatore derivi una riduzione del godimento del bene locato, purché la sospensione, totale o parziale, del pagamento del canone risulti giustificata dall'oggettiva proporzione dei rispettivi inadempimenti, riguardata con riferimento al complessivo equilibrio sinallagmatico del contratto e all'obbligo di comportarsi secondo buona fede.

Bibliografia

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