Funzioni e limiti della clausola di recesso dai contratti pubblici

Marco Calaresu
02 Aprile 2020

Contrasta con i principi fondamentali in materia di recesso dai contratti pubblici, di cui all'art. 109 del D.lgs. n. 50/2016, l'attribuzione all'Amministrazione della facoltà di recedere dal contratto a fronte del pagamento in favore dell'aggiudicatario del solo corrispettivo delle prestazioni già eseguite, con esclusione di ogni altro rimborso o indennizzo e di ogni altra ragione o pretesa di qualsiasi genere.

Il caso. Il ricorrente consorzio di cooperative sociali ha impugnato gli atti di gara per l'affidamento della gestione del servizio sanitario-assistenziale e di reparto di degenza R.S.A. di due istituti geriatrici, contestando, inter alia, la previsione del disciplinare di gara che, nel fissare in 36 mesi la durata del contratto, ha precisato che i primi sei mesi di servizio costituiscono “periodo di prova” durante il quale la stazione appaltante può, a suo insindacabile giudizio, recedere dal contratto mediante preavviso di dieci giorni a fronte del pagamento in favore dell'aggiudicatario del solo corrispettivo delle prestazioni già eseguite, con esclusione di ogni altro rimborso o indennizzo e di ogni altra ragione o pretesa di qualsiasi genere.

Le ragioni dell'illegittimità della facoltà di recesso riservata alla stazione appaltante. Preliminarmente, il TAR esclude che la contestata facoltà di recesso integri la fattispecie contemplata all'art.1355 c.c., che sanziona con la nullità la sola condizione sospensiva meramente potestativa e non dunque anche quella risolutiva. Nella vicenda in esame, infatti, si è al cospetto di un diritto potestativo in capo alla stazione appaltante funzionale allo scioglimento del rapporto contrattuale - e, dunque, alla cessazione degli effetti negoziali inter partes -, il cui esercizio è pertanto rimesso alla mera volontà della stessa, risolvendosi in una facoltà di recesso nei primi sei mesi senza limiti nell'an.

Ciò premesso, il Collegio sottolinea che lo ius poenitendi della stazione appaltante è espressamente contemplato e conformato dall'art. 109 del Codice, che si inscrive nella previsione generale di cui all'art. 21-sexies l. 241/90, in forza della quale è possibile “il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione…nei casi previsti dalla legge o dal contratto”, secondo una regola di tipicità delle ipotesi di recesso analoga a quella di cui agli artt. 1372 e 1373 c.c. Osserva ancora il TAR che, “benché veicolato in forme privatistiche – in ossequio peraltro al principio generale ora codificato all'art. 1, comma 1-bis l. 241/90, per cui «La pubblica amministrazione nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente» – l'interesse pubblico di cui l'Amministrazione è indefettibilmente titolare permea anche tale forma di recesso, con il corollario – non vertendosi in tema di revoca ex art. 21-quinquies l. 241/90, ma di scioglimento di un vincolo negoziale per definizione paritetico – «di non dover assicurare il contraddittorio procedimentale né esternare compiutamente le motivazioni della scelta, essendo ciò bilanciato dal maggiore onere economico che ne consegue» (rispetto al “mero” indennizzo dovuto per il caso di revoca di atti amministrativi ex art. 21-quinquies: Cons.St., a.p., 20 giugno 2014, n. 14)”.

Alla luce dei richiamati presupposti, il TAR ha pertanto ritenuto che la censurata previsione del disciplinare di gara: “i) stravolge il bilanciamento degli interessi su cui riposa la regola legislativa attributiva del diritto di recesso; ii) sbilancia inammissibilmente il rapporto contrattuale in favore della Amministrazione, al cui potere insindacabile di interruzione del rapporto non corrisponde la - ancorché forfettaria - determinazione del quantum da corrispondere per il ristoro delle legittime prerogative contrattuali vantate dalla appaltatrice; iii) assume carattere abusivo, poiché complessivamente integrante una condizione negoziale “idonea a rendere il (futuro, agognato ed eventualmente instaurando) rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente (Cons. St., V, 21 novembre 2011 n. 6135; Cons. St., III, 23 gennaio 2015 n. 293), ovvero comunque impositiva di obblighi contra ius ovvero di situazione di soggezione e di pati contra legem (Cons. St., II, 19 febbraio 2003, n. 2222)”; iv) frustra la libera esplicazione della autonomia imprenditoriale dell'operatore economico, impedendogli di aspirare, mediante la partecipazione al concorso, alla aggiudicazione della pubblica commessa.

Conclusioni. Ad avviso del TAR, la facoltà di recesso riservata all'Amministrazione è dunque illegittima, atteso che, come rilevato dal ricorrente, la stessa si basa indubitabilmente sul sostrato fattuale costituito dall'assenza di un'adeguata “valutazione economica” del diritto di recesso, che, proprio perché esercitabile ad libitum e senza qualsivoglia forma di ristoro per la controparte, renderebbe il contratto oggetto della gara eccessivamente oneroso ed aleatorio, essendo “inattuabile prestabilire a monte un'offerta pluriennale su cui poter ‘spalmare' i relativi costi e programmazione economica”, e, allo stesso tempo, toglierebbe “al concorrente ogni certezza in merito alla durata delle relative prestazioni e, conseguentemente, della loro effettiva remunerazione”.

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