I limiti deontologici della comunicazione del difensore sui social media. Indicazioni per gli avvocati ai tempi del Coronavirus

02 Aprile 2020

In questo periodo di forte tensione sociale ed emotiva dettata dall'emergenza epidemiologica da Covid-19 ci si chiede, forse ancor di più, quali siano i limiti e le regole della comunicazione sui social media del difensore.
Le regole del codice deontologico e le applicazioni pratiche

In questo periodo di forte tensione sociale ed emotiva dettata dall'emergenza epidemiologica da Covid-19 ci si chiede, forse ancor di più, quali siano i limiti e le regole della comunicazione sui social media del difensore.

A parere della scrivente, l'avvocato si dovrebbe astenere dal dare informazioni giuridiche poco chiare e insufficienti attraverso mezzi telematici di comunicazione che hanno una diffusione rapidissima e in tutto il territorio nazionale (vedi Whatsapp, Facebook, Instagram, Youtube, Telegram e Twitter) – offrendo così la tutela del proprio studio legale - e che non permettono al cittadino di comprendere in pieno le responsabilità conseguenti al mancato rispetto dei Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri relativi all'emergenza epidemiologica. Tutto ciò al fine di evitare che l'avvocato possa incorrere, con la propria condotta, in contestazioni disciplinari relative alla violazione degli artt. 17, 35 e 37 del codice deontologico forense riguardanti le Informazione sull'esercizio dell'attività professionale, il Dovere di corretta informazione e il Divieto di accaparramento di clientela.

L'avvocato, per il rilievo sociale della nobile professione che svolge, deve ispirare sempre il proprio comportamento alla dignità, probità e decoro la cui inosservanza potrebbe comportare la contestazione di un illecito disciplinare seppur “atipico”.

In proposito si veda Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 1° giugno 2017, n. 61: «Il nuovo Codice Deontologico Forense è informato al principio della tipizzazione della condotta disciplinarmente rilevante, “per quanto possibile” (art. 3, co. 3, L. 247/2012), poiché la variegata e potenzialmente illimitata casistica di tutti i comportamenti (anche della vita privata) costituenti illecito disciplinare non ne consente una individuazione dettagliata, tassativa e non meramente esemplificativa. Conseguentemente, la mancata “descrizione” di uno o più comportamenti e della relativa sanzione non genera l'immunità, giacché è comunque possibile contestare l'illecito anche sulla base della citata norma di chiusura, secondo cui “la professione forense deve essere esercitata con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale e della difesa e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza”, in combinato disposto con l'art. 9 n.c.d.f. (“Doveri di probità, dignità, decoro e indipendenza”), già artt. 5 e 6 codice previgente».

Il rispetto dei predetti doveri discende dalla lettura sistematica dell'intero codice deontologico forense in particolare dell'art. 2, dell'art. 6, dell'art. 19 e dell'art. 63.

Comune denominatore dei citati articoli è il rispetto della dignità, lealtà, correttezza e immagine della professione forense che culmina con l'art. 9 del codice deontologico forense.

Il suddetto articolo, infatti, prevede che l'avvocato debba esercitare l'attività professionale con indipendenza, lealtà, correttezza, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo costituzionale e sociale della difesa, rispettando i principi della corretta e leale concorrenza.

La dignità, la probità ed il decoro (art. 9 c.d.f., già art. 5 c.d.f. prev.), infatti, sono concetti generali di deontologia e concetti guida «a cui si ispira ogni regola deontologica, giacché essi rappresentano le necessarie premesse per l'agire degli avvocati, e mirano a tutelare l'affidamento che la collettività ripone nella figura dell'avvocato, quale professionista leale e corretto in ogni ambito della propria attività» (Consiglio Nazionale Forense – sentenza n. 9 del 2018. I principi in tema di pubblicità di cui alla legge 248/2006 - c.d. Decreto Bersani -, pur consentendo al professionista di fornire specifiche informazioni sull'attività e i servizi professionali offerti, non legittimano tuttavia una pubblicità indiscriminata avulsa dai dettami deontologici, giacché la peculiarità e la specificità della professione forense, in virtù della sua funzione sociale, impongono, conformemente alla normativa comunitaria e alla costante sua interpretazione da parte della Corte di Giustizia, le limitazioni connesse alla dignità ed al decoro della professione, la cui verifica è dall'ordinamento affidata al potere – dovere dell'ordine professionale. Così Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 11 marzo 2015, n. 26.

Il Consiglio Nazionale Forense con sentenza del 1° dicembre 2017, n. 203 ha precisato che: «la pubblicità informativa deve essere svolta con modalità che non siano lesive della dignità e del decoro propri di ogni pubblica manifestazione dell'avvocato ed in particolare di quelle manifestazioni dirette alla clientela reale o potenziale (Nel caso di specie, il professionista aveva pubblicizzato il proprio studio con offerta di prestazioni professionali, mediante volantini distribuiti in un condominio composto da circa cento unità)».

Con ciò però non si vuole stigmatizzare la condotta dell'avvocato che dia informazioni sulla propria attività professionale in quanto ciò è permesso “con qualunque mezzo” in seguito alla evoluzione normativa “liberalizzatrice” (iniziata con il d.l. n. 223/2006, conv. l. 248/2006, proseguita con l'art. 10 l. n. 247/2012 e culminata con l'art. 35 del nuovo codice deontologico), l'avvocato può dare informazioni sulla propria attività professionale “con qualunque mezzo”, nel rispetto dei limiti della trasparenza, verità, correttezza e purché l'informazione stessa non sia comparativa, ingannevole, denigratoria o suggestiva. Conseguentemente, non può (più) considerarsi contrario al decoro ed alla correttezza un messaggio pubblicitario, che contenga tutti gli elementi richiesti dalla predetta disciplina deontologica, sol perché enfatizzi il corrispettivo - se congruo e proporzionato-, il quale infatti costituisce un elemento contrattuale di interesse primario per il cliente e, quindi, un elemento fondamentale per un'informazione pubblicitaria professionale corretta e completa (Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 28 dicembre 2017, n. 243).

Nel merito per comprendere l'evoluzione della disciplina deontologica è necessario commentare il parere del Consiglio Nazionale Forense (Parere 27 aprile 2011, n. 49) che ha chiarito la legittimità o meno in relazione agli articoli 17 e 17-bis del codice deontologico forense (previgente) della frequentazione da parte di un Avvocato di social network (Facebook o Twitter) o community di video on line come Youtube, fornendo su tali reti informazioni della propria attività professionale. Preliminarmente nelle motivazioni del suddetto parere è stato precisato che internet possa essere considerato «uno strumento senz'altro idoneo all'effettuazione di comunicazioni al pubblico e financo alla trasmissione di consulenze o pareri» (v. già parere 21 novembre 2001, quesito del COA di Forlì-Cesena). Peraltro, quando un avvocato cura e pubblica un sito internet, va precisato se si tratti di un sito di natura scientifica o culturale, o piuttosto lo stesso sia riferibile direttamente allo studio legale. Allo stesso modo, va evitata ogni informazione che risulti fuorviante, o decettiva, in merito alla natura o alle modalità di effettuazione delle prestazioni professionali offerte, o altrimenti descritte'. L'avvocato ha, dunque, libertà di espressione e comunicazione con i limiti dettati dalla correttezza della stessa informazione e il rispetto dei criteri di trasparenza e veridicità. «L'informazione deve poi rispettare la dignità e il decoro della professione e non deve mai assumere i connotati della pubblicità ingannevole, elogiativa o comparativa» (Parere Consiglio Nazionale Forense 27 aprile 2011 n. 49).

Già il Consiglio Nazionale Forense con sentenza n. 82 del 18 giugno 2002 puntualizzava che potesse essere divulgato in un “articolo di stampa (che trattava di studi multimediali) del sito internet di uno studio legale in cui vengano illustrate le modalità di utilizzo del collegamento e si faccia comunque riferimento ad un eventuale incarico fiduciario che potrà essere affidato al professionista titolare; per contro pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l'avvocato che nel suo sito internet enfatizzi le attività dello studio con un messaggio autocelebrativo e autocompiaciuto volto all'accaparramento di clientela. (Nella specie è stata confermata la sanzione dell'avvertimento agli avvocati nel cui sito internet venivano rilevate, tra le altre, tali affermazioni: “siete entrati in un vero e proprio studio legale”, “con una differenza rispetto a qualsiasi studio della vostra città”). (Accoglie parzialmente il ricorso avverso decisione C.d.O. di Torino, 17 novembre 1997) Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. DANOVI, rel. DANOVI), sentenza del 18 giugno 2002, n. 82.

L'art. 17-bis del codice deontologico forense (ormai abrogato) prevedeva una serie di adempimenti per l'avvocato che intendeva rendere note delle informazioni sull'attività professionale e, inoltre, precisava che all'avvocato è consentito esclusivamente l'utilizzo di siti web con domini propri e direttamente riconducibili a sé, allo Studio Legale Associato o alla Società di Avvocati alla quale partecipava, previa comunicazione tempestiva al Consiglio dell'Ordine di appartenenza della forma e del contenuto in cui veniva espressa. Il parere reso dal Consiglio Nazionale Forense (Parere Consiglio Nazionale Forense 27 aprile 2011, n. 49) ha chiarito che «Se l'avvocato utilizza il network per scopi di comunicazione professionale dovrà comunicare tale intendimento in via previa al Consiglio di appartenenza, come prescritto dal già citato art. 17-bis c.d.f. Ne consegue che, in mancanza di tale adempimento e valutate le circostanze concrete del caso, egli potrà essere sanzionato disciplinarmente dal Consiglio di appartenenza. Quest'ultimo sarà necessariamente chiamato, nell'esame di fattispecie di utilizzo di reti sociali, a valutare nella fattispecie concreta quegli elementi che ne siano tipici (come ad es. accessibilità del profilo, decoro della pagina personale, contatti palesemente volti all'acquisizione di clientela, sfruttamento della visibilità connessa al mezzo, etc.)».

In seguito alla modifica del Codice Deontologico Forense, si è giunti alla formulazione degli articoli 17 e 35 che hanno ripreso e sintetizzato i previgenti articoli 17 e 17-bis previgenti prevedendo in particolare l'art. 17 c.d.f. che è consentita all'avvocato, a tutela dell'affidamento della collettività, l'informazione sulla propria attività professionale, sull'organizzazione e struttura dello studio, sulle eventuali specializzazioni e titoli scientifici e professionali posseduti. Le predette informazioni possono essere diffuse con qualunque mezzo e devono essere trasparenti, veritiere, corrette, non equivoche, non ingannevoli, non denigratorie o suggestive e non comparative. L'ultimo comma dell'articolo 17 c.d.f. prevede che «In ogni caso le informazioni offerte devono fare riferimento alla natura e ai limiti dell'obbligazione professionale».

L'articolo 35 c.d.f. (modificato con delibera del Consiglio nazionale forense del 22 gennaio 2016 prevede che l'avvocato possa- “quali che siano gli strumenti utilizzati per le stesse”- dare informazioni sull'attività professionale (nel rispetto dei limiti appena evidenziati dall'art. 17 c.d.f.) precisando inoltre che l'avvocato: non deve dare informazioni comparative con altri professionisti né equivoche, ingannevoli, denigratorie, suggestive o che contengano riferimenti a titoli, funzioni o incarichi non inerenti l'attività professionale; deve in ogni caso indicare il titolo professionale, la denominazione dello studio e l'Ordine di appartenenza e può utilizzare il titolo accademico di professore solo se sia o sia stato docente universitario di materie giuridiche (precisando in ogni caso la qualifica e la materia di insegnamento).

L'iscritto nel registro dei praticanti può usare esclusivamente e per esteso il titolo di “praticante avvocato”, con l'eventuale indicazione di “abilitato al patrocinio” nel caso in cui l'abbia conseguita. Non possono essere indicati i nomi di professionisti e di terzi non organicamente o direttamente collegati con lo studio professionale.

L'avvocato non può utilizzare nell'informazione il nome di professionista defunto, che abbia fatto parte dello studio, se a suo tempo lo stesso non lo abbia espressamente previsto o disposto per testamento, ovvero non vi sia il consenso unanime degli eredi.

Non possono essere indicati i nominativi delle parti assistite e dei propri clienti anche se questi vi consentano. La modalità e le forme delle informazioni devono sempre rispettare il principio di dignità e decoro della professione.

Nel merito il Consiglio Nazionale Forense con numerose decisioni ha delineato i limiti deontologici della corretta informazione sull'attività professionale stigmatizzando le condotte del professionista:

  1. che aveva inserito in un quotidiano cittadino e in alcuni manifesti informazioni in ordine al proprio studio legale affermando che si ‘occupava di infortunistica stradale “seriamente”, senza “spese di istruttoria” e con “totale supporto in ogni fase del procedimento”, lasciando così intendere un quid pluris rispetto agli obblighi invece connaturati al corretto esercizio della professione forense' (Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 18 dicembre 2017, n. 208);
  2. che si definisce “specialista assoluto” (in una pagina o nel proprio sito web), enfatizzando altresì le proprie doti professionali, implicitamente negate alla parte restante della categoria professionale' (Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 29 aprile 2017, n. 49) rilevando che la suddetta pubblicità non debba essere mai né comparativa, né autocelebrativa e dunque rispettosa della dignità e del decoro professionale;
  3. che nel caso di informazioni sull'attività e i servizi professionali offerti lo faccia in maniera indiscriminata e avulsa dai dettami deontologici (Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 9 marzo 2017, n. 8);
  4. che dichiari di avvalersi dell'ausilio di prestigiosi Colleghi, all'insaputa degli stessi (‘Nel caso di specie, gli asseriti collaboratori erano “altamente specializzati nei vari rami del diritto e domiciliati nell'intero arco del territorio italiano”'(Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 24 novembre 2016, n. 349);
  5. che con la sua condotta- al fine di condizionare i possibili assistiti e senza adeguati requisiti- utilizzi ‘modalità attrattive della clientela operate con mezzi suggestivi ed incompatibili con la dignità e con il decoro, quale l'uso del termine “gratuito”' (Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 23 luglio 2015, n. 118)
  6. che ponga in essere una “pubblicità indiscriminata ed elogiativa, intrinsecamente comparativa in quanto diretta a porre in evidenza caratteri di primazia in seno alla categoria, perché incompatibile con la dignità e il decoro della professione e, soprattutto, a tutela dell'affidamento della collettività”( Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 7 maggio 2013, n. 74);
  7. che -diretto alla potenziale clientela- faccia pubblicare un ‘articolo -spacciato per intervista- (che) era in realtà una pubblicità “occulta” in cui, anche attraverso diverse fotografie, semplicemente si elogiavano la struttura, le competenze e le attività dello studio professionale)'Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 22 settembre 2012, n. 121.
Guida all'approfondimento

Si segnalano le massime delle sentenze appena citate in ordine alle informazioni sull'attività professionale da parte del difensore.

CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, SENTENZA DEL 18 DICEMBRE 2017, N. 208

Il codice deontologico, anche a seguito della entrata in vigore delle norme che prevedono la possibilità di dare informazioni sull'attività professionale, non consente una pubblicità indiscriminata ed elogiativa, intrinsecamente comparativa in quanto diretta a porre in evidenza caratteri di primazia in seno alla categoria, perché incompatibile con la dignità e il decoro della professione e, soprattutto, a tutela dell'affidamento della collettività (Nel caso di specie, l'avvocato aveva pubblicizzato nel quotidiano cittadino ed in alcuni manifesti murali informazioni sulla propria attività professionale, affermando che il suo studio legale si occupava di infortunistica stradale “seriamente”, senza “spese di istruttoria” e con “totale supporto in ogni fase del procedimento”, lasciando così intendere un quid pluris rispetto agli obblighi invece connaturati al corretto esercizio della professione forense);

CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, SENTENZA DEL 29 APRILE 2017, N. 49

L'informazione sull'attività professionale, ai sensi degli artt. 17 e 35 ncdf (già 17 e 17 bis cod. deont. previgente) deve essere rispettosa della dignità e del decoro professionale e quindi di tipo semplicemente conoscitivo, potendo il professionista provvedere alla sola indicazione delle attività prevalenti o del proprio curriculum, ma non deve essere mai né comparativa né autocelebrativa (Nel caso di specie, in una pagina del proprio sito web, il professionista si definiva “specialista assoluto”, enfatizzando altresì le proprie doti professionali, implicitamente negate alla parte restante della categoria professionale).

CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, SENTENZA DEL 9 MARZO 2017, N. 8

I principi in tema di pubblicità di cui alla legge 248/2006 (c.d. Decreto Bersani), pur consentendo al professionista di fornire specifiche informazioni sull'attività e i servizi professionali offerti, non legittimano tuttavia una pubblicità indiscriminata avulsa dai dettami deontologici, giacché la peculiarità e la specificità della professione forense, in virtù della sua funzione sociale, impongono, conformemente alla normativa comunitaria e alla costante sua interpretazione da parte della Corte di Giustizia, le limitazioni connesse alla dignità ed al decoro della professione, la cui verifica è dall'Ordinamento affidata al potere – dovere dell'ordine professionale.

CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, SENTENZA DEL 24 NOVEMBRE 2016, N. 349

Integra violazione dell'art. 35 c.d.f. il comportamento dell'avvocato che, nell'informazione sulla propria attività professionale, dichiari di avvalersi dell'ausilio di prestigiosi Colleghi, all'insaputa degli stessi (Nel caso di specie, gli asseriti collaboratori erano “altamente specializzati nei vari rami del diritto e domiciliati nell'intero arco del territorio italiano”).

CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, SENTENZA DEL 23 LUGLIO 2015, N. 118

La pubblicità mediante la quale il professionista con il fine di condizionare la scelta dei potenziali clienti, e senza adeguati requisiti informativi, offra prestazioni professionali, viola le prescrizioni normative, nel momento in cui il messaggio è redatto con modalità attrattive della clientela operate con mezzi suggestivi ed incompatibili con la dignità e con il decoro, quale l'uso del termine “gratuito”.

CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, SENTENZA DEL 7 MAGGIO 2013, N. 74

Il codice deontologico, anche a seguito della entrata in vigore delle norme che prevedono la possibilità di dare informazioni sull'attività professionale, non consente una pubblicità indiscriminata ed elogiativa, intrinsecamente comparativa in quanto diretta a porre in evidenza caratteri di primazia in seno alla categoria, perché incompatibile con la dignità e il decoro della professione e, soprattutto, a tutela dell'affidamento della collettività (Nel caso di specie, in una pubblicazione a pagamento allegata ad un quotidiano nazionale, la “law firm” veniva rappresentata come una tra “i migliori studi professionali italiani”, con gli avvocati più prestigiosi della città, per qualità professionali, personali e sociali, nonché per notorietà e importanza della clientela individuata in un'importante banca nazionale).

La pubblicità informativa, essendo consentita nei limiti fissati dal Codice Deontologico Forense, deve essere svolta con modalità che non siano lesive della dignità e del decoro propri di ogni pubblica manifestazione dell'avvocato ed in particolare di quelle manifestazioni dirette alla clientela reale o potenziale (Nel caso di specie, l'articolo -spacciato per intervista, peraltro rilasciata dietro contribuzione alle spese di pubblicazione - era in realtà una pubblicità “occulta” in cui, anche attraverso diverse fotografie, semplicemente si elogiavano la struttura, le competenze e le attività dello studio professionale).

CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, SENTENZA DEL 22 SETTEMBRE 2012, N. 121

La pubblicità informativa, essendo consentita nei limiti fissati dal Codice Deontologico Forense, deve essere svolta con modalità che non siano lesive della dignità e del decoro propri di ogni pubblica manifestazione dell'avvocato ed in particolare di quelle manifestazioni dirette alla clientela reale o potenziale (Nel caso di specie, l'articolo -spacciato per intervista- era in realtà una pubblicità “occulta” in cui, anche attraverso diverse fotografie, semplicemente si elogiavano la struttura, le competenze e le attività dello studio professionale).

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