Emergenza sanitaria: le autodichiarazioni e i reati di falso
03 Aprile 2020
La situazione sanitaria di attuale emergenza epidemiologica viene fronteggiata dal Governo con l'adozione di atti normativi urgenti, mediante i quali vengono disposte e attuate le misure di contenimento ritenute più efficaci al fine di arrestare la diffusione del contagio. Le cautele adottate incidono significativamente sui diritti costituzionalmente garantiti in capo a ciascun individuo (così per le libertà di circolazione e di riunione, ma anche per l'esercizio delle attività economiche e di impresa, come per il libero esercizio del culto religioso) che subiscono una grave compressione a fronte della necessità di tutelare non solo la salute, ma la vita stessa di un numero – ormai elevatissimo - di persone. Le attuali restrizioni alle libertà di ciascuno subiscono poche eccezioni, con riferimento al diritto di circolazione, quando sussistono comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero sussistono motivi di salute. Non si vuole qui offrire l'ennesimo chiarimento su quali giustificazioni siano o meno legittimanti lo spostamento dalla propria abitazione, né sulle modalità sanzionatorie (prima penali, ma oblazionabili, oggi solo amministrative) che intervengono per punire chi viola le restrizioni imposte in assenza delle situazioni di necessità normate. Qui si vuole, invece, offrire un quadro informativo sulla connessa materia dei reati di falso, configurabili in capo al soggetto che dovesse rendere mendaci dichiarazioni alla Autorità in sede di controllo, in particolare nell'atto di riferire le proprie generalità anagrafiche o le diverse circostanze che giustificano la sua presenza al di fuori di casa. Il tema appare vieppiù interessante alla luce dei continui aggiornamenti relativi al modello di “autodichiarazione” ai sensi degli artt. 46 e 47 d.P.R. 445/2000 che viene pubblicato onlinedal Ministero dell'Interno, con cui ciascuno è chiamato a dichiarare: le proprie generalità (tra cui, la propria utenza telefonica); di essere consapevole delle conseguenze penali previste in caso di dichiarazioni mendaci a pubblico ufficiale (art. 495 c.p.); di non essere sottoposto alla misura della quarantena; di non essere risultato positivo al virus Covid-19; di essersi spostato dal luogo A con destinazione B; di essere a conoscenza delle misure di contenimento del contagio adottate con d.l. 25 marzo 2020, n. 19; di essere a conoscenza delle limitazioni ulteriori adottate dal Presidente della propria Regione di appartenenza; di essere a conoscenza delle sanzioni previste dall'art. 4 del d.l. 25 marzo 2020, n. 19. Ebbene, il reato di cui all'art. 495 c.p. è rubricato Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri e punisce con la pena della reclusione da uno a sei anni chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l'identità, lo stato o altre qualità della propria o dell'altrui persona. Con il termine identità devono intendersi il nome, il cognome, la data e il luogo di nascita, la paternità e la maternità, la residenza; invece, per stato si intendono cittadinanza, capacità di agire, parentela, patria potestà, stato libero o coniugale, eccetera. Con il termine di altre qualità, infine, si vogliono ricomprendere le indicazioni cui l'ordinamento riconnette effetti giuridici e che concorrono a stabilire le condizioni della persona, a individuare il soggetto e consentire la sua identificazione, e sono soltanto quelle che servono a completare lo stato e l'identità della persona ai fini della sua corretta individuazione. Restano, perciò, fuori della tutela penale le richieste dell'Autorità su condizioni personali del soggetto non giustificate da esigenze di identificazione. Così, con riferimento alla configurabilità del reato di falso ex art. 495 c.p. in capo a chi venga fermato per un controllo e dichiari o attesti il falso al pubblico ufficiale, si deve ritenere che la stessa ricorra laddove l'oggetto del mendacio riguardi gli elementi appena evidenziati, ovvero quelli che concernono l'identità, lo stato e le condizioni/qualità della persona. E non appaiono tali quelli che sono oggetto delle dichiarazioni relative: alle circostanze di moto dal luogo A al luogo B; alla conoscenza delle norme (statali o regionali che siano) concernenti le misure di contenimento; alla conoscenza delle sanzioni; alle giustificazioni dello spostamento. Appare meno dubbia, invece, l'applicabilità della fattispecie di cui all'art. 495 c.p. con riferimento alla propria condizione di stato (quarantena) o di salute (Covid-19 negativo), trattandosi di qualità della persona certamente rilevanti ai fini della sua completa e corretta identificazione in una situazione di emergenza sanitaria per epidemia. Nel vero, con una recente decisione (26 settembre 2019, n. 44111) la V Sezione Penale della Corte di Cassazione ha ritenuto che “la tutela penale della fede pubblica — ancorché abbia sempre ad oggetto i connotati della persona che ne costituiscono l'identità o lo status — si estende anche ad altri connotati della persona, integrativi o sostitutivi che siano, se una particolare norma collega loro effetti giuridici e, quindi, se determinate situazioni di fatto che attengono alla persona costituiscano presupposti o condizioni di legittimazione nei rapporti intersoggettivi”, principio che è stato affermato, nell'ambito di una fattispecie concreta, con riferimento alla qualità di “convivente”, che avrebbe consentito al soggetto di accedere nell'istituto carcerario per intrattenere il colloquio con un soggetto vi era rinchiuso. Dichiarare falsamente di non essere sottoposto a quarantena o di non essere Covid-19 positivo, significa mentire in ordine alla qualità di soggetto pericoloso perché “probabilmente contagioso”, così da ottenere una libertà di spostamento altrimenti preclusa. Esiste, tuttavia, altra fattispecie di reato di falso che potrebbe ricorrere nel mendacio reso in sede di autodichiarazione. L'art. 483 c.p. Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, punisce con la pena della reclusione fino a due anni chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità. Il reato di cui all'art. 483 c.p. è escluso, per giurisprudenza che si azzarda a qualificare come consolidata, quando l'atto non provi la verità di fatti obbiettivi, ma riferisca manifestazioni di volontà o futuri intenti. Il delitto in parola sussiste laddove l'attestazione consista in una affermazione o negazione di verità, e mai in una dichiarazione di volontà, e laddove il dichiarante abbia l'obbligo giuridico dell'esposizione veritiera. Pertanto, in difetto di tali requisiti, non ricorrono gli estremi del reato di falso ideologico ex art. 483 c.p. secondo un principio ripetutamente sancito dalla giurisprudenza di legittimità in materia di falsa indicazione fornita dal proprietario di una imbarcazione ai fini dell'iscrizione nell'apposito registro, circa la destinazione che egli intende dare all'imbarcazione, trattandosi di semplice dichiarazione di volontà. Il delitto di falsità ideologica in atto pubblico commessa dal privato può dirsi sussistere quando l'atto in cui è stata trasfusa la sua dichiarazione sia destinato a provare la verità dei fatti narrati, “e cioè quando una norma giuridica obblighi il privato a dichiarare il vero, ricollegando specifici effetti all'atto-documento nel quale la sua dichiarazione è inserita dal pubblico ufficiale ricevente”, come la afferma Cass. pen., Sez. V, 15 gennaio 2018, n. 5365. È necessario, dunque, che esista una norma giuridica che imponga l'obbligo per il privato a dire il vero. Ma non è necessario che tale obbligo sia esplicito. Così, nel caso dello smarrimento della carta di identità, in assenza di una norma che esplicitasse il dovere di verità in capo al privato in sede di denuncia di smarrimento, la Corte di legittimità ha fatto discendere la configurabilità del reato di cui all'art. 483 c.p. dalla previsione normativa di un obbligo di denuncia e dal fatto che detta denuncia costituisce il presupposto per l'avvio dell'iter amministrativo volto alla formazione e al rilascio del relativo duplicato in favore del denunziante: “con la dichiarazione di smarrimento si attesta, nell'atto pubblico, il fatto dello smarrimento, che è condizione necessaria per l'ottenimento del duplicato della carta di identità, sicché è consequenziale l'obbligo di dire la verità al pubblico ufficiale e l'atto pubblico, in cui la dichiarazione è trasfusa, "certifica" l'evento denunciato” (Cass. pen., Sez. V, 17 settembre 2018, n. 48884). Occorre, quindi, valutare se un eventuale mendacio dichiarato in sede di autodichiarazione in emergenza Covid-19 possa condurre alla commissione del delitto di cui all'art 483 c.p. E la risposta non può che essere affermativa. Seguendo quanto offerto in lettura da un recente contributo a firma di Filippo Lombardi su Giurisprudenza Penale, non si può non evidenziare, a questo fine, che l'attestazione circa la giustificazione che può derogare all'obbligo di restare a casa non può rientrare nella previsione di cui all'art. 46 d.P.R. 445/2000, che consente di comprovarecon dichiarazioni, anche contestuali all'istanza, sottoscritte dall'interessato e prodotte in sostituzione delle normali certificazioni, stati, qualità personali e fatti tassativamente indicati, i quali sarebbero, in assenza di autocertificazione, rinvenibili in pubblici registri o comunque sarebbero già di dominio della pubblica amministrazione. L'attestazione parrebbe rientrare, invece, nell'ambito dell'art. 47 d.P.R. 445/2000, che ammette di sostituire l'atto di notorietà con una dichiarazione sostitutiva che abbia ad oggetto, tra gli altri, “fatti che siano a diretta conoscenza dell'interessato” (comma 1); oltre che “nei rapporti con la pubblica amministrazione (… omissis) tutti gli stati, le qualità personali e i fatti non espressamente indicati nell'articolo 46 possonoesserecomprovati dall'interessato mediante la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà”(comma 3). L'art. 47 conferisce, dunque, il potere di “comprovare” i fatti di cui si è a conoscenza con la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà; così facendo l'ordinamento attribuisce efficacia probatoria alla dichiarazione. Il successivo art. 76, per parte sua, assume la generale funzione obbligare al vero nell'elaborazione dell'autodichiarazione, stabilendo che “le dichiarazioni sostitutive rese ai sensi degli articoli 46 e 47 (… omissis) sono considerate come fatte a pubblico ufficiale”, in questo modo richiamando il precetto di cui all'art. 483 c.p. Non ogni mendacio nell'autodichiarazione, tuttavia, può soddisfare la norma incriminatrice. Se è vero, infatti, che l'oggetto del falso può essere unicamente un fatto oggettivo e storicamente vero, allora potranno essere attestati solo fatti già compiuti. Qualora sia falsa tale attestazione, il reato in parola sarà configurabile. Si potrà punire, se falsa, l'attestazione di un fatto che si è già realizzato nella realtà fenomenica (“sono stato in Farmacia per acquistare medicine”, “sono stato in Tribunale come difensore di un arrestato”, “sono stato in Ospedale perché infermiere”, eccetera). Diverso è dichiarare l'intenzione di compiere un fatto non ancora realizzato nella sua materialità (“sto andando in Farmacia”, “sto andando in Tribunale”, “sto andando in Ospedale”). La dichiarazione, in questi casi ultimi, ha per oggetto una mera intenzione e, in quanto tale, pare rientrare in quegli arresti giurisprudenziali che non ammettono di ritenere configurata la fattispecie delittuosa, in quanto a essere attestato è un mero intento, un proposito che, in quanto tale sfugge all'oggetto del mendacio penalmente rilevante. Insomma, si dovrà porre grande attenzione nel valutare e verificare le notizie di reato concernenti i falsi commessi nella autodichiarazioni, distinguendo ora le dichiarazioni mendaci rese in ordine agli elementi identificativi (anche con riguardo alle proprie condizioni in relazione al Covid-19), rilevanti ai sensi dell'art. 495 c.p. ; ora con riferimento alle dichiarazioni rese in ordine ai fatti già compiuti, rilevanti con riguardo all'art. 483 c.p.; ora con riguardo alle dichiarazioni inveritiere riguardanti le intenzioni (e, quindi, tutte quelle che concernono le “destinazioni” dei propri spostamenti) che, in quanto future ed incompiute, non possono rappresentare “fatti” su cui fondare la punizione per il reato di falso in parola. Un'ultima considerazione merita l'ulteriore circostanza che si chiede di attestare in sede di autodichiarazione, quanto meno con riferimento al modello oggi vigente: la conoscenza dei provvedimenti normativi dettati in tema di contenimento del contagio da Covid-19 sia dallo Stato che dalle Regioni. Orbene, la dichiarazione di scienza che si richiede appare del tutto inutile sotto il profilo della rilevanza penale del falso per carenza di offensività. Nel vero, dichiarare falsamente di conoscere la norma, quale offesa può arrecare alla fede pubblica o, più in generale, alla collettività? Del resto, è la legge stessa che non ammette ignoranza e, pertanto, negarla – falsamente – appare francamente irrilevante. Ciò appare inopinabile al di là di qualsivoglia dissertazione giuridica (o filosofica) sulla differenza tra ciò che è la dichiarazione di un fatto, e ciò che è la dichiarazione di mera scienza. Salvo ritenere che il Legislatore abbia inteso costringere tutti coloro che vengono sottoposti a controllo ad ammettere fin da subito di conoscere la legge (anche contrariamente al vero) al solo fine di impedire che gli stessi, ove sanzionati, possano ricorrere avverso il provvedimento, richiamando a loro difesa un principio di diritto ormai acquisito al nostro ordinamento: l'ignoranza della legge non scusa, salvo che la stessa sia scusabile; e niente appare più scusabile dell'errore nella corretta conoscenza delle norme in un contesto storico, quale quello odierno, in cui i provvedimenti di legge vengono prima annunciati, per poi essere corretti; quindi emanati e pubblicati in maniera difforme da quanto annunciato, e infine, nuovamente modificati, prima negli annunci e poi, di nuovo, negli atti. Se il fine della pretesa dichiarazione di scienza in ordine agli atti normativi vigenti non è quello (come parrebbe) di informare le persone controllate, bensì quello di porre un limite al diritto di difesa, allora, forse, la “febbre” da Covid-19 non ha risparmiato neppure chi ci governa. |