La “fedeltà” nella convivenza di fatto

07 Aprile 2020

La l. n. 76/2016, nella sua seconda parte, ha disciplinato la convivenza di fatto, riconoscendo ai conviventi alcuni diritti e posizioni di tutela sia durante la convivenza sia dopo la cessazione della stessa. I conviventi non sono tenuti all'adempimento di quegli obblighi che si rinvengono nel matrimonio e, seppur in misura ridotta, nell'unione civile. Eppure, come intende dimostrare l'Autore, il discorso sulla “fedeltà” non è estraneo alla convivenza di fatto. A determinate condizioni, anzi, il “tradimento” può essere fonte di responsabilità risarcitoria.
Il quadro normativo

Dopo un lungo e acceso dibattito nel Parlamento e nel Paese, la l. n. 76/2016 ha dettato la disciplina dell'unione civile (nella prima parte) e della convivenza di fatto (nella seconda parte).

La legge, in particolare, estende ai conviventi di fatto (eterosessuali o omosessuali) alcuni diritti previsti per i coniugi e per i contraenti l'unione civile. Ad esempio, in caso di malattia o di ricovero, i conviventi hanno diritto reciproco di visita (art. 1, comma 39, l. n. 76/2016). Certamente innovativa è quella disposizione per cui in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza, il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due e comunque non otre i cinque anni (art. 1, comma 42, l. n. 76/2016).

Meno innovative (costituendo in larga parte il consolidamento, nel diritto positivo, di un indirizzo giurisprudenziale da tempo affermatosi) sono altre disposizioni: quella secondo cui nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha la facoltà di succedergli nel contratto (art. 1, comma 44, l. n. 76/2016); quella per la quale in caso di decesso del convivente di fatto, derivante da fatto illecito di un terzo, nell'individuazione del danno risarcibile alla parte superstite si applicano i criteri individuati per il risarcimento del danno al coniuge superstite (art. 1, comma 49, l. n. 76/2016).

Infine, i conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza (art. 1, comma 50, l. n. 76/2016).

Qui non si parla mai di fedeltà o di altri obblighi tipici del matrimonio (o dell'unione civile). Eppure il tema non può considerarsi del tutto estraneo alla convivenza di fatto. Ciò almeno sotto due aspetti.

Innanzitutto la costituzione della convivenza si fonda sul riscontro di alcuni elementi di fatto, fra i quali vi sono i “legami affettivi”.

In secondo luogo l'accertamento della infedeltà, nell'ambito di una coppia convivente, a certe condizioni può costituire la fonte di un obbligo risarcitorio cui è tenuto il convivente fedifrago.

Su questi due aspetti ci si deve concentrare di seguito. Non prima però di aver chiarito la nozione di “fedeltà”.

Cosa si intende per “fedelta'”

Cos'è la fedeltà, nel 2020? Il tema, come è facile immaginare, si presta ad essere affrontato e declinato sotto molteplici prospettive. Qui però interessa il discorso giuridico. E allora ci si deve rivolgere necessariamente verso quell'istituto che, espressamente, prevede l'obbligo di fedeltà: il matrimonio (cfr. l'art. 143, comma 2, c.c.).

Ebbene, i giudici di legittimità insegnano che l'obbligo di fedeltà deve essere inteso non solo come astensione da relazioni sessuali extraconiugali, ma anche quale impegno, ricadente su ciascun coniuge, di non tradire la fiducia reciproca (Cass. 16 aprile 2018, n. 9384), ovvero di non tradire il rapporto di dedizione fisica e spirituale all'interno della coppia (Cass. 1° giugno 2012, n. 8862; Cass. 15 febbraio 2019, n. 4653).

Ne consegue che la relazione sentimentale di un coniuge, anche se non si sostanzi in un tradimento fisico, può essere rilevante al fine dell'addebito della separazione qualora sia stata la causa o la concausa della frattura del rapporto (Cass. 11 giugno 2008, n. 15557).

Per la Suprema Corte, inoltre, può incorrere nella violazione dell'obbligo in esame il coniuge che intrattenga una relazione con un'altra persona dando luogo (in considerazione delle circostanze e dell'ambiente in cui la coppia vive) a plausibili sospetti di infedeltà: ciò anche quando la stessa relazione non si sostanzi in un adulterio in senso fisico (Cass. 19 settembre 2017, n. 21657).

La Cassazione sembra compiere una sintesi dello stato dell'arte quando traduce il concetto di fedeltà in quello di lealtà, la quale impone di “sacrificare gli interessi e le scelte individuali” di marito e moglie che si rivelino in conflitto con gli impegni e le prospettive della vita comune. La fedeltà, si afferma ancora, si traduce nella “capacità di sacrificare” le proprie scelte personali rispetto alle esigenze imposte dal legame di coppia e dal sodalizio familiare (così Cass. 11 giugno 2008, n, 15557).

I giudici qui declinano la lealtà come “capacità di sacrificio”. Si può pensare, però, ad una nozione di fedeltà che ne illumini la sua componente construens: essa va intesa come rispetto del coniuge, come tutela dell'affidamento che lo stesso ha riposto sulla “comunione spirituale e materiale” nascente dal vincolo.

Il requisito dei “legami affettivi” per l'esistenza della convivenza di fatto

Si è visto che l'istituto della convivenza di fatto è previsto attualmente dal legislatore attraverso un'analitica disciplina. Ma quando si può discutere di “convivenze di fatto”? Lo dice la legge: sono conviventi di fatto due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile (art. 1, comma 36, l. n. 76/2016).

Ferma restando la sussistenza dei presupposti appena ricordati, per l'accertamento della stabile convivenza si deve fare riferimento alla dichiarazione anagrafica, prevista e disciplinata dall'art. 4 e 13, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 223/1989 (art. 1, comma 37, l. n. 76/2016).

Va precisato che la dichiarazione anagrafica (e quindi la coabitazione) dei soggetti conviventi costituisce elemento funzionale all'accertamento da compiere: tuttavia, tenuto conto anche del mutato assetto della società e della famiglia, non ci si può “appiattire” (come invece accadde nella prassi di alcuni comuni) sul mero dato della coabitazione. Pertanto, elementi costitutivi della convivenza di fatto sono i legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale (Cass. 13 aprile 2018, n. 9179; v. anche Trib. Como 12 aprile 2018, secondo cui si può discutere di “famiglia di fatto” anche senza il requisito della coabitazione).

Il fatto è che la convivenza di fatto si fonda sul consenso, quotidianamenterinnovato”, ad una sorta di comunione spirituale e materiale. Si può dire, è vero, che nella convivenza more uxorio non esistono obblighi come quelli dei coniugi; tuttavia l'accertamento del venir meno di determinati comportamenti “di tipo coniugale” (che costituiscono la normale manifestazione della comunione spirituale e materiale) può determinare la cessazione della convivenza di fatto.

In sintesi: il “legame affettivo” di cui all'art. 1, comma 36, della l. n. 76/2016, impone di accertare l'esistenza di un comportamento leale o, come si è detto in precedenza, di rispetto reciproco fra i conviventi: un comportamento, dunque, che richiama la moderna nozione di fedeltà nel matrimonio. E si dovrà dire che: (i) ove ab initio sia assente questo comportamento non potrà discutersi di “convivenza di fatto” nel senso specificato dalla l. n. 76/2016; (ii) allorché si provi il venire meno, nel corso del tempo, dell'anzidetto comportamento (o, come pure può dirsi, il venir meno di quella specifica comunione spirituale e materiale in cui consiste la convivenza di fatto), la “convivenza” stessa non potrà più dirsi esistente.

Profili risarcitori

Nella convivenza di fatto non vi sono quegli obblighi espressamente previsti per il matrimonio (art. 143, comma 2, c.c.) o per l'unione civile (art. 1, comma 11, l. n. 76/2016). Tuttavia, lo si è appena studiato, l'accertamento dell'esistenza di legami affettividi coppia e di reciproca assistenza morale e materiale è essenziale per poter inquadrare il vincolo nella cornice normativa della “convivenza di fatto”. Resta da capire se, a seguito dell'accertamento dell'infedeltà nell'ambito della convivenza di fatto, possano sorgere conseguenze risarcitorie in capo al convivente fedifrago.

Si cominci con il dire che, non essendo presidiata la convivenza di fatto dall'obbligo di fedeltà, non potrà certo invocarsi quella giurisprudenza, di merito e di legittimità, che negli ultimi anni ha riconosciuto in capo al coniuge tradito il diritto al risarcimento del danno, quando: (i) vi sia la violazione dell'obbligo di fedeltà; (ii) sussista un nesso causale tra il tradimento e la lesione di diritti costituzionalmente protetti (come quello alla salute); (iii) si verifichi un concreto pregiudizio subìto dal titolare dell'interesse leso (Cass. 15 settembre 2011, n. 18853; Cass. 1° giugno 2012, n. 8862).

Se tutto questo è vero, va pure aggiunto che le modalità del comportamentofedifrago”, nell'ambito di una convivenza di fatto, potrebbero integrare un fatto illecito (art. 2043 c.c.) che cagiona la lesione di un interesse costituzionalmente rilevante (le medesime considerazioni, è evidente, potranno essere svolte all'interno di una coppia che ha contratto l'unione civile).

In particolare, qualsiasi espressione di mancato rispetto dell'onore, del decoro, della reputazione realizzata verbalmente, con gli scritti, disegni, suoni, gesti nei confronti dei diretti interessati o di terzi, determina la lesione al diritto all'integrità morale (art. 4, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 8/2016; artt. 595 e 596 c.p.). Si pensi, ad esempio, a due persone che hanno da tempo instaurato una convivenza di fatto basata sulla reciproca fiducia. Ad un certo punto l'uomo inizia a frequentare un'altra donna. Accade che durante le uscite con la nuova partner il convivente di fatto inizi a denigrare ripetutamente, in pubblico, la sua convivente. In più occasioni, infatti, vengono offese le sue doti intellettuali e fisiche, con racconti particolari e scabrosi riguardanti la vita condotta durante la convivenza. La donna “tradita”, in questo caso, potrà lamentare la commissione di un fatto illecito che ha cagionato la lesione di un interesse costituzionalmente rilevante. Avrà dunque diritto al risarcimento del danno non patrimoniale subìto.

Nella materia che qui interessa, inoltre, potrebbe venire in considerazione la lesione del c.d. diritto alla riservatezza, che intende tutelare la sfera personale e familiare di ciascun individuo. Oggi la giurisprudenza riconosce un generale diritto al riserbo della vita privata, che peraltro trova un fondamento costituzionale (art. 2 Cost.) e in alcune fonti internazionali (art. 8 CEDU). Si consideri, ad esempio, il comportamento di un convivente di fatto che, dopo qualche tempo dall'instaurazione della convivenza, inizi ad intrattenere una relazione sentimentale con un'altra persona. In occasione delle uscite pubbliche accade che molti particolari della vita privata dei conviventi vengano esternati ed appresi da numerose persone. I fatti, in sé considerati, potrebbero non considerarsi lesivi dell'integrità morale del convivente. Quest'ultimo, d'altra parte, potrà lamentare la lesione del diritto alla privacy e domandare il risarcimento del danno non patrimoniale.

Tradimento via web, whatsapp e facebook

Le osservazioni sin qui compiute a proposito della rilevanza della “fedeltà” all'interno della convivenza di fatto, trovano conferma ove si accenni al tema (oggi molto dibattuto) del tradimento via web, WhatsApp e Facebook.

Una premessa va fatta. La giurisprudenza in precedenza esaminata restituisce una nozione ampia di infedeltà, idonea a comprendere quei comportamenti in cui può dirsi messa in discussione la “lealtà” all'interno della coppia (Cass. 11 giugno 2008, n, 15557). Il che spiega perché anche il tradimento via web (ossia l'intrattenimento amoroso di un coniuge con un'altra persona attraverso internet) possa condurre alla pronuncia di una sentenza con addebito. Per la giurisprudenza della Suprema Corte è giustificato l'allontanamento della moglie dalla casa coniugale, senza preavviso, per la scoperta della condotta del marito consistita nella navigazione su siti internet dedicati alla ricerca di relazioni extraconiugali. Questa condotta, si afferma, costituisce una circostanza oggettivamente idonea a compromettere la fiducia tra i coniugi e a provocare l'insorgere della crisi matrimoniale all'origine della separazione (Cass. 16 aprile 2018, n. 9384). Quando però le comunicazioni di un coniuge via internet non assumono il connotato di “reciproco coinvolgimento sentimentale”, non può parlarsi di infedeltà matrimoniale (Cass. 12 aprile 2013, n. 8929).

Si torni, però, alla nostra materia. Ebbene, poiché la convivenza di fatto si fonda su legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, pure l'intrattenimento amoroso via internet di un convivente di fatto, in quanto circostanza idonea a compromettere la reciproca fiducia all'interno della coppia, potrà porsi come elemento disgregativo della convivenza (e perfino come elemento ostativo alla sua costituzione).

E ancora, il tradimento via web o attraverso i social di per sé non fa nascere conseguenze risarcitorie. A meno che le modalità di questo tradimento integrino un fatto illecito in grado di determinare la lesione di un interesse costituzionalmente rilevante. I danni conseguenti, allora, andranno risarciti. Viene in considerazione, ad esempio, la condotta di un convivente che, intrattenendo una relazione via internet con un'altra persona, denigri l'onore, il decoro, la reputazione della compagna.

In conclusione

Soltanto una visione superficiale delle cose può portare a dire che il tema della “fedeltà” sia estraneo all'istituto della convivenza di fatto.

In primo luogo, la convivenza di fatto si fonda, come previsto dalla legge, su un “legame affettivo” della coppia, ossia su un comportamento di rispetto reciproco fra i conviventi (comportamento richiama la moderna nozione di fedeltà nel matrimonio). Questo vuol dire che: (i) ove sin dall'inizio sia assente questo comportamento non potrà discutersi di “convivenza di fatto” nel senso specificato dalla l. n. 76/2016; (ii) allorché si provi il venire meno, nel corso del tempo, dell'anzidetto comportamento, la “convivenza” stessa non potrà più dirsi esistente.

In secondo luogo, le modalità del comportamentofedifrago”, nell'ambito di una convivenza di fatto, potrebbero integrare un fatto illecito (art. 2043 c.c.) che cagiona la lesione di un interesse costituzionalmente rilevante. I danni conseguenti a questa lesione, così, saranno risarcibili.

Quest'ultima conclusione si pone in linea con la forte capacità espansiva della responsabilità civile, in grado di porsi come baluardo contro comportamenti illeciti, al di là del modello organizzativo di riferimento (famiglia matrimoniale, unione civile, convivenza di fatto, relazione affettiva). Per questa via, la nota metafora di Jemolo sul rapporto tra diritto e famiglia merita di essere riconsiderata. La famiglia, o meglio le famiglie, sono oggi diventate un arcipelago che il mare del diritto, nelle sue varie articolazioni, tocca con intensità ora lieve ora più decisa.

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