Pignoramento dello stipendio

Giuseppe Lauropoli
08 Aprile 2020

Si ha pignoramento dello stipendio quando il creditore sottoponga a pignoramento il trattamento retributivo erogato al proprio debitore da parte del datore di lavoro. Un tale trattamento retributivo non è assoggettabile a pignoramento nella sua interezza ma, almeno ordinariamente, nella misura del quinto dell'importo dovuto al lavoratore (al netto delle trattenute previdenziali e fiscali).
Inquadramento

Il pignoramento presso terzi è indubbiamente una delle forme di esecuzione forzata più rapide ed efficaci, in quanto consente al creditore (che nella procedura esecutiva viene identificato come l'esecutante) di ottenere l'assegnazione, in proprio favore, di un credito che il proprio debitore (individuato nella procedura esecutiva come l'esecutato) vanti nei confronti di uno o più terzi pignorati.

Diverse ragioni hanno contribuito al successo, nell'attuale contesto sociale, di un tale mezzo di espropriazione forzata, al punto che il ricorso a tale forma di esecuzione coattiva può ragionevolmente ritenersi come quello più di frequente utilizzato dinanzi ai tribunali italiani.

Anche in tema di espropriazione presso terzi trova applicazione il generale principio dettato dall'art. 2740 c.c., stando al quale il debitore risponde dell'adempimento delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri, potendosi da tale disposizione trarre una indicazione circa l'astratta sottoponibilità a pignoramento di qualsiasi credito.

E, tuttavia, la pignorabilità di taluni crediti incontra delle particolari limitazioni: sono così normativamente previste talune ipotesi di crediti totalmente impignorabili (si pensi, così, ai casi elencati nel comma 2 dell'art. 545 c.p.c.) e talune altre ipotesi di crediti relativamente impignorabili.

Viene così in rilievo, con riguardo al caso di crediti relativamente impignorabili, l'ipotesi dei crediti retributivi.

Non è affatto infrequente, infatti, che il creditore il quale vanti un credito nei confronti di un debitore titolare di un trattamento retributivo, sottoponga a pignoramento proprio il trattamento erogato al lavoratore/debitore da parte del proprio datore di lavoro.

La disciplina del pignoramento del trattamento retributivo trova, come cennato in precedenza, il suo principale riferimento normativo nell'art. 545 c.p.c. (recentemente integrato con alcune modifiche ad esso apportate dal d.l. n. 83/15, convertito in legge n. 132/2015), quanto meno per i dipendenti del settore privato (ma, come si esporrà più avanti, ha avuto luogo nel corso degli anni, una progressiva parificazione del trattamento delle retribuzioni dei dipendenti del settore pubblico e di quelli del settore privato quanto alla possibilità e ai limiti del pignoramento di tali emolumenti); alcuni importanti spunti normativi, poi, possono rinvenirsi in altre disposizioni di legge e, in particolare, con riferimento ai dipendenti del settore pubblico, nel d.P.R. n. 180/1950; infine, un importante apporto alla soluzione dei numerosissimi casi che nella prassi possono verificarsi viene fornito dalla giurisprudenza (sia di legittimità che di merito) e dalla dottrina.

In evidenza

Si ha pignoramento dello stipendio quando il creditore sottoponga a pignoramento il trattamento retributivo erogato al proprio debitore da parte del datore di lavoro.

Un tale trattamento retributivo non è assoggettabile a pignoramento nella sua interezza ma, almeno ordinariamente, nella misura del quinto dell'importo dovuto al lavoratore (al netto delle trattenute previdenziali e fiscali).

L'art. 545 c.p.c.: la regola generale della pignorabilità del quinto dello stipendio e le sue eccezioni

Può ritenersi che ad oggi la disciplina fondamentale in tema di pignoramento del trattamento retributivo, quanto meno per i lavoratori del settore privato, sia rinvenibile nell'art. 545 c.p.c.

Ebbene, quanto all'art. 545 c.p.c., i suoi commi terzo, quarto e quinto si concentrano sul pignoramento delle somme dovute a titolo di stipendio o di salario (ovvero altre indennità relative al rapporto di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento).

La regola generale, in tema di pignorabilità delle somme dovute a titolo di stipendio, è quella prevista al quarto comma dell'art. 545 c.p.c., stando al quale tali somme sono pignorabili e suscettibili di assegnazione nella misura di un quinto (tale quinto, poi, va riferito all'ammontare corrisposto periodicamente al lavoratore al netto delle ritenute fiscali e previdenziali).

Tale pignorabilità si estende, oltre che alla retribuzione corrisposta mensilmente, anche alle somme che vengono liquidate al lavoratore, alla cessazione del rapporto, a titolo di trattamento di fine rapporto.

Si tratta, come appena esposto, della misura che trova generalmente applicazione: esistono infatti casi in cui il pignoramento dello stipendio può estendersi oltre il limite del quinto, così come esistono casi in cui il pignoramento degli emolumenti spettanti a titolo di retribuzione può contrarsi sotto tale importo o anche azzerarsi del tutto.

Può essere utile esaminare alcuni di tali casi.

Una prima eccezione alla cennata regola generale è costituita dalla previsione contenuta nel comma tre del menzionato articolo, laddove si afferma che i crediti relativi a somme spettanti a titolo di stipendio sono pignorabili, allorché il credito fatto valere abbia natura alimentare, nella misura autorizzata dal presidente del tribunale, o da un giudice da lui delegato.

Deve dunque evincersene che, allorché venga in rilievo un credito di natura alimentare, il pignoramento possa estendersi anche oltre il quinto della somma spettante a titolo di stipendio.

La norma non prevede, in particolare, in questo caso, un preciso limite fino al quale possa estendersi il pignoramento e si tratta di una previsione ragionevole, dal momento che un tale accertamento, che avrà necessariamente natura preventiva rispetto alla stessa introduzione della procedura esecutiva (ad una tale conclusione induce la circostanza che sia demandata proprio al presidente del tribunale, e non al giudice dell'esecuzione, l'autorizzazione del pignoramento oltre i limiti di cui al comma 4 dell'art. 545 c.p.c.), deve avere riguardo al caso concreto che venga in esame ed avere di mira il contemperamento di opposte esigenze: quella del lavoratore a vedere preservata una quota di stipendio idonea a consentirgli di condurre una vita dignitosa e quella dei creditori procedenti che vantano un credito avente natura alimentare.

Ulteriore eccezione alla regola generale dettata in tema di pignorabilità degli stipendi è quella prevista al quinto comma della norma in questione, laddove si afferma che, nel caso di simultaneo concorso di diverse cause di credito previste nella norma, il pignoramento non possa comunque mai estendersi oltre il limite massimo della metà dello stipendio.

Viene, in quest'ultimo caso, in rilievo il caso in cui in una medesima procedura esecutiva (il riferimento normativo alla necessaria simultaneità della concorrenza di crediti induce infatti a ritenere che tale previsione possa trovare applicazione solo se crediti, di natura diversa, vengano fatti valere nella medesima procedura, anche se deve rilevarsi come la Suprema Corte, quanto meno con riferimento al pignoramento di stipendi di dipendenti pubblici, si sia espressa in termini diversi nella sentenza n. 6432/2003) vengano fatti valere contemporaneamente crediti di natura tributaria, crediti aventi natura alimentare e crediti privi di tali caratteri: in questi casi il giudice dell'esecuzione potrà assegnare anche una quota dello stipendio netto superiore al quinto, ma non oltre la metà dello stesso.

Va da sé che, qualora non ricorra alcuna delle ipotesi previste al terzo e quinto comma dell'art. 545 c.p.c., ove al momento del pignoramento dello stipendio la retribuzione risulti già gravata da una precedente ordinanza di assegnazione del quinto dello stipendio (ordinanza derivante da un precedente atto di pignoramento), il pignoramento da ultimo effettuato potrà condurre ad una assegnazione del quinto dello stipendio che tuttavia avrà efficacia solo quando si saranno esauriti gli effetti della precedente ordinanza di assegnazione.

È stato escluso, poi, dalla giurisprudenza costituzionale che in materia di crediti retributivi possa configurarsi un “minimo impignorabile”, da ritenersi del tutto sottratto al pignoramento, come invece previsto in tema di pignoramento della pensione (Corte cost. n. 248/2015 e, più di recente, Corte cost., ord., n. 202/2018).

È bene precisare, poi, che la giurisprudenza di legittimità ritiene estensibile un tale regime di pignorabilità ai crediti derivanti da tutte le tipologie di rapporto lavorativo contemplate dall'art. 409 c.p.c. (Cass. civ., n. 685/2012).

Una disciplina speciale in tema di pignoramento dello stipendio, parzialmente derogatoria delle misure e dei limiti appena esposti, viene poi prevista, per il caso di riscossione esattoriale, dall'art. 72-ter del d.P.R. n. 602/73.

Cenni sulla progressiva equiparazione, ai fini del pignoramento, fra il trattamento economico dei dipendenti pubblici e quello dei dipendenti del settore privato

La disciplina concernente il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, dei salari e delle pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni era originariamente contenuta nel d.P.R. n. 180/1950 e conteneva un trattamento speciale (in parte sicuramente di favore) per tali dipendenti, rispetto a quanto previsto per i dipendenti da rapporto di lavoro privato.

Veniva infatti prevista, dall'art. 1 d.P.R. n. 180/1950, una generale regola di impignorabilità, insequestrabilità ed incedibilità degli emolumenti percepiti, fatte salve alcune eccezioni contenute nell'art. 2 d.P.R. n. 180/1950

Tuttavia, deve segnalarsi come abbia avuto luogo, nel corso degli anni, un progressivo superamento di un tale regime speciale dettato per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni.

Tappe importanti, in questo senso, sono rappresentate da due pronunce della Corte costituzionale: la n. 89/1987 e la n. 878/1988 che hanno sancito, dapprima per i dipendenti di enti pubblici e poi anche per i dipendenti delle amministrazioni dello Stato, il superamento del particolare regime di favore originariamente previsto per tali dipendenti dal d.P.R. n. 180/1950, dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, n. 3, di tale provvedimento normativo.

Ulteriore intervento della Corte costituzionale rivolto a favorire una equiparazione dei trattamento delle due forme di lavoro ha riguardato poi la assoggettabilità a pignoramento del quinto del trattamento di fine servizio del dipendente pubblico, alla stessa stregua di quanto previsto per il dipendente del settore privato (Corte cost. n. 99/1993).

Ulteriori tappe rilevanti sono rappresentate da leggen. 311/2004 e legge n. 80/2005, che con le loro modifiche al d.P.R. n. 180/1950 hanno sancito in maniera ancora più esplicita la tendenziale parificazione fra tali due rapporti lavorativi, quanto meno sotto il profilo della pignorabilità.

Non a caso, allora, la giurisprudenza di legittimità, in una pronuncia già in precedenza citata, ha avuto modo di affermare che «in tema di espropriazione forzata presso terzi, le modifiche apportate da legge 12 marzo 2004, n. 311 e legge 14 maggio 2005, n. 80 (di conversione del d.l. 14 marzo 2005, n. 35) al d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche amministrazioni) hanno comportato la totale estensione al settore del lavoro privato delle disposizioni originariamente dettate per il lavoro pubblico» (si veda ancora Cass. civ., n. 685/2012).

Da tale posizione assunta dalla giurisprudenza di legittimità può anche evincersi che il trattamento delle retribuzioni dei dipendenti pubblici sia assimilato a quello dei dipendenti da rapporto di lavoro privato anche con riferimento all'azione esecutiva avente ad oggetto crediti di natura alimentare e a quella in cui concorrano crediti di diversa natura.

Una differenza tra la posizione dei due trattamenti economici (quello del dipendente del settore privato e quella del dipendente pubblico) può ancora rinvenirsi, tuttavia, nell'art. 68 del d.P.R. n. 180/1950 che prevede una possibile compressione della quota pignorabile dello stipendio in presenza di cessioni del quinto della retribuzione effettuate dal lavoratore antecedentemente alla notifica del pignoramento, previsione che non può allo stato ritenersi recepita anche per i dipendenti del settore privato (in tal senso sembrano esprimersi le pronunce della Corte costituzionale espressesi sul citato art. 68, fra le quali si veda l. n. 258/2000).

Altra rilevante differenza è quella che sembra emergere dall'art. 33 del d.P.R. n. 3/1957 per i soli dipendenti dello Stato, laddove viene previsto che la cessione, il sequestro, il pignoramento della retribuzione di tali dipendenti non possa comunque superare il quinto dell'intero stipendio: riguardo a tali dipendenti dovrebbe allora escludersi che il simultaneo concorso di diversi crediti possa comportare un prelievo sullo stipendio complessivamente superiore al quinto.

Pignoramento del conto corrente e suo rapporto con il pignoramento dello stipendio

Il d.l. n. 83/15 ha inciso, come precedentemente cennato, sulla formulazione dell'art. 545 c.p.c., apportando una nuova previsione normativa, al comma ottavo della disposizione, che si incentra sulla ipotesi di pignoramento del conto corrente sul quale vengano canalizzate somme percepite dal debitore esecutato a titolo di stipendio o di pensione.

Viene in rilievo, a ben vedere, una norma certamente molto innovativa rispetto al preesistente panorama normativo, con la quale è stata istituita una soglia di impignorabilità anche con riguardo alle giacenze presenti su conto corrente bancario o postale, ogni volta che le stesse rinvengano dall'accredito di stipendi o pensioni.

Deve rilevarsi, a riguardo, come anteriormente all'adozione di una tale disposizione fosse per lo più esclusa la possibilità di configurare una impignorabilità, sia pure relativa, del saldo del conto corrente sul quale confluissero tali emolumenti corrisposti a titolo di stipendio o pensione.

L'ottavo comma dell'art. 545 c.p.c. si articola, in particolare, in due parti ben distinte: nella prima si fa riferimento ai limiti di pignorabilità del saldo presente sul conto bancario o postale al momento della notifica del pignoramento, mentre nella seconda si fa riferimento ai limiti alla pignorabilità delle somme che confluiscano sul conto nel corso della procedura esecutiva.

Quanto alle somme già presenti sul conto al momento in cui si perfezioni la notifica del pignoramento presso terzi, viene previsto che le stesse siano pignorabili ad eccezione di un importo pari al triplo dell'assegno sociale, importo quest'ultimo da ritenersi sottratto a pignoramento.

Quanto, poi, alla disposizione contenuta nella seconda parte del nuovo ottavo comma dell'art. 545 c.p.c., mediante la stessa viene previsto che il pignoramento (qualora le somme, eccedenti il triplo dell'assegno sociale, rinvenute sul saldo del conto al momento dell'inizio dell'esecuzione, non superino l'importo previsto dall'art. 546, comma 1, c.p.c., pari al credito precettato aumentato della metà) estenda la sua efficacia anche alle ulteriori somme che vengano accreditate (a titolo di stipendio o di pensione) sul conto nel corso della procedura esecutiva, sia pure entro i limiti previsti dall'art. 545, commi 3, 4, 5 e 7 c.p.c. (con l'effetto che le somme accreditate in corso di procedura a titolo di stipendio saranno ordinariamente pignorabili nei limiti di un quinto).

Qualche problema poi si pone nel caso in cui il creditore procedente abbia sottoposto a pignoramento, con un unico atto, tanto lo stipendio del lavoratore (presso il datore di lavoro, quindi), quanto il conto corrente dello stesso sul quale viene canalizzato lo stipendio: in questi casi pare escluso che possa operare la seconda parte del comma ottavo dell'art. 545 c.p.c., dal momento che essendo lo stipendio, fin dalla notifica del pignoramento, già sottoposto ad un prelievo del quinto presso il datore di lavoro, sottoporre ad ulteriore prelievo del quinto anche le somme confluite sul conto corrente a titolo di stipendio successivamente alla notifica del pignoramento finirebbe per integrare una elusione della generale previsione che limita la pignorabilità dello stipendio, ordinariamente, entro la misura del quinto.

L'ordinanza di assegnazione del quinto dello stipendio

La procedura esecutiva nella quale sia stata pignorata una quota dello stipendio del lavoratore si conclude, ordinariamente (fatti salvi, cioè, l'opposizione ovvero altri eventi che incidano sulla prosecuzione della procedura), con l'ordinanza di assegnazione.

Si tratta, in questo caso, di un provvedimento che assegna al creditore procedente una quota del trattamento retributivo (sia essa pari ad un quinto dello stipendio netto, ovvero ad una misura maggiore o minore sulla base di quanto esposto in precedenza) percepito dal debitore esecutato: tale ordinanza di assegnazione non ha ad oggetto soltanto le quote di stipendio maturate fra la data di notifica del pignoramento e la data di assunzione del provvedimento di assegnazione, ma anche gli ulteriori ratei di stipendio che andranno a maturare successivamente alla emissione del provvedimento definitorio della procedura esecutiva, fino alla concorrenza del complessivo importo vantato a titolo di sorte, di interessi e di spese di precetto e di esecuzione.

Da tale provvedimento definitorio della procedura esecutiva scaturirà, dunque, l'obbligo per il datore di lavoro di corrispondere una parte dello stipendio originariamente dovuto al lavoratore direttamente al creditore procedente, in virtù della cessione forzosa del credito operata in forza della ordinanza di assegnazione.

Tale ordinanza, poi, proprio come tutti provvedimenti giudiziali di questo tipo, costituirà titolo esecutivo nei confronti del terzo pignorato datore di lavoro e contro lo stesso potrà essere posta in esecuzione, in caso di mancato adempimento spontaneo dell'obbligo di versamento in favore del creditore procedente, quanto meno per la quota di credito maturata fra la data di notifica del pignoramento e la data di intimazione del precetto da parte del creditore procedente.

Va da sé che, trattandosi di assegnazione di somme che maturano nel corso del tempo, sulla idoneità di tale ordinanza a costituire titolo esecutivo potranno incidere le vicende del rapporto di lavoro successive alla emissione della ordinanza di assegnazione, cosicché la stessa ben potrà perdere la propria efficacia laddove il rapporto di lavoro vada a cessare successivamente alla sua emissione e prima che sia maturato il credito complessivamente spettante al creditore procedente.

Trattandosi di un provvedimento che produce i suoi effetti nel corso del tempo, infine, può anche accadere che le parti, procedente o esecutata, chiedano al giudice dell'esecuzione una modifica o una revoca della stessa anche a distanza di molto tempo dalla sua emissione (ad esempio per un sopravvenuto accordo, ovvero perché sia venuto meno il titolo esecutivo sul quale si fondava la procedura esecutiva poi definita con l'ordinanza di assegnazione): si tende, tuttavia, ad escludere che residui in capo al giudice dell'esecuzione il potere di incidere sul contenuto di tale provvedimento (una volta decorso il termine di venti giorni per spiegare opposizione agli atti esecutivi contro l'ordinanza di assegnazione), attesa la idoneità di tale ordinanza a definire la procedura esecutiva, con conseguente chiusura della stessa.

L'opposizione con la quale si rilevi la impignorabilità relativa dello stipendio e la rilevabilità d'ufficio di tale questione

Ove la parte esecutata ritenga che il pignoramento effettuato dal creditore procedente sia stato effettuato in misura diversa da quella di legge la stessa potrà certamente proporre opposizione ai sensi dell'art. 615, comma 2, c.p.c.

Una opposizione che si articolerà nella duplice fase disegnata dal legislatore e, dunque, una prima fase necessaria a cognizione sommaria, dinanzi al giudice dell'esecuzione ed una seconda fase, solo eventuale, a cognizione piena dinanzi al giudice del merito.

Una tale opposizione, tuttavia, pur essendo senza dubbio esperibile, può ritenersi non necessaria, essendo la questione della impignorabilità relativa dello stipendio sicuramente rilevabile d'ufficio.

Se è vero, infatti, che nella impostazione più tradizionale, si riteneva che i casi di impignorabilità fossero posti prevalentemente a presidio di specifiche esigenze del debitore e veniva così ritenuto, tanto dalla dottrina, quanto alla giurisprudenza di legittimità, che la impignorabilità di uno o più beni attinti in sede di espropriazione forzata dovesse essere dedotta mediante opposizione all'esecuzione (da proporsi nelle forme dell'art. 615, comma 2, c.p.c.), nulla ostando, in mancanza di una tale doglianza di parte, alla prosecuzione del processo di esecuzione, è anche vero che si è fatta progressivamente largo nel tempo la possibilità con riferimento ad alcune tipologie di crediti, di sollevare tale questione d'ufficio da parte del giudice dell'esecuzione.

In particolare, si è fatta largo, più di recente, una impostazione che ravvisa la sussistenza dei presupposti perché il giudice dell'esecuzione rilevi anche d'ufficio l'esistenza di specifiche ipotesi di impignorabilità ogni volta che sussista un interesse pubblico posto all'origine della ipotesi di impignorabilità sancita dalla norma (una tale ipotesi di impignorabilità rilevabile d'ufficio veniva così individuata dalla giurisprudenza di legittimità – vedi Cass. civ., n. 6548/2011 - con riferimento ai crediti di natura pensionistica).

Un tale principio è stato poi recepito anche dal legislatore con specifico riguardo tanto ai crediti di natura pensionistica, quanto ai crediti di natura retributiva, mediante l'introduzione del comma 9 dell'art. 545 c.p.c., ad opera del d.l. n. 83/15 (convertito in legge n. 132/2015).

Deve allora ritenersi che in presenza di un pignoramento effettuato oltre i limiti previsti dall'art. 545 c.p.c. il giudice dell'esecuzione possa rilevare d'ufficio una tale violazione, dichiarando la parziale inefficacia dello stesso relativamente alla parte di credito non suscettibile di pignoramento.

Riferimenti
  • Auletta, Il pignoramento di stipendi e pensioni, in www.ilprocessocivile.it;
  • Castoro, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, Milano, 2019;
  • Crivelli, Il pignoramento di crediti da retribuzioni e pensioni versati su conto corrente bancario o postale, in www.ilprocessocivile.it;
  • Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, Padova, 2019.

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