Praticata all'estero la procreazione medicalmente assistita, ma la bambina è nata in Italia. Impossibile, di conseguenza, indicare ufficialmente come madre non solo quella biologica ma anche la compagna di quest'ultima.
Stato civile. Casus belli è il rifiuto opposto dall'ufficiale di stato civile alla richiesta presentata da una coppia di donne – Paola e Laura, nomi di fanasia – di ricevere la loro dichiarazione congiunta di riconoscimento della bambina” nata in Italia dal grembo Laura a seguito di fecondazione assistita praticata all'estero.
Quel no è ritenuto corretto però anche dai giudici di merito, che respingono prima in Tribunale e poi in Corte d'Appello i reclami avanzati dalle due donne.
In particolare, in secondo grado, viene osservato che «la domanda aveva ad oggetto la rettifica, inammissibile nei termini richiesti, di un atto di nascita formato in Italia» e viene poi aggiunto che l'ufficiale di stato civile non aveva il potere di inserire in un atto dello stato civile dichiarazioni e indicazioni diverse da quelle consentite dalla legge – come quella relativa alla presunta filiazione tra la nata e Paola quale seconda madre, ostandovi il decreto del Presidente della Repubblica numero 396 del 3 novembre 2000, che vieta di manipolare o integrare gli atti dello stato civile.
Paola e Laura non si arrendono, però, e scelgono la strada del ricorso in Cassazione, rivendicando il loro diritto alla doppia maternità e sottolineando, soprattutto, la mancata corrispondenza dell'atto di nascita con la realtà generativa.
Chiara la loro linea: dimostrare ai giudici che si chiede solo di ripristinare la giusta corrispondenza tra atto di nascita e realtà, provvedendo alla esatta indicazione dei genitori della bambina, cioè col riferimento ufficiale a loro due come madri.
Cosa accade in Italia. Dalla Cassazione arriva però l'ennesimo no all'ipotesi che la bambina possa avere ufficialmente due madri, cioè quella biologica, Laura, e la sua compagna, Paola, dichiaratasi genitrice intenzionale per avere dato il consenso alla tecnica di procreazione medicalmente assistita cui si è sottoposta Laura all'estero.
Per i Supremi Giudici si è fatta, in questa vicenda, corretta applicazione del divieto di fare ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, cui «possono accedere solo le coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi». Conseguenza è che «implicitamente (ma chiaramente) una sola persona ha diritto di essere menzionata come madre nell'atto di nascita, in virtù di un rapporto di filiazione che presuppone il legame biologico e/o genetico con il nato», e tale restrizione «è attualmente vigente all'interno dell'ordinamento italiano e, dunque, applicabile agli atti di nascita formati o da formare in Italia, a prescindere dal luogo dove sia avvenuta la pratica fecondativa».
Per fare ulteriore chiarezza, poi, i Giudici della Cassazione richiamano i paletti fissati dalla Corte Costituzionale. Il riferimento, per la precisione, è al fatto che le più recenti tecniche offerte dalla scienza per favorire la procreazione vanno intese come «rimedio alla sterilità o alla infertilità umana avente una causa patologica e non altrimenti rimovibile», e così va escluso che «la procreazione medicalmente assistita possa rappresentare una modalità di realizzazione del desiderio di genitorialità alternativa ed equivalente al concepimento naturale, lasciata alla libera autodeterminazione delle persone interessate».
Allo stesso tempo, i riflettori, sempre secondo i Giudici costituzionali, vanno anche puntati sulla struttura del nucleo familiare scaturente dalle tecniche in questione. E a questo proposito «la legge prevede una serie di limitazioni di ordine soggettivo all'accesso alla procreazione medicalmente assistita, alla cui radice si colloca il trasparente intento di garantire che il suddetto nucleo familiare riproduca il modello della famiglia caratterizzata dalla presenza di una madre e di un padre».
Per i Giudici della Cassazioni non è in discussione la validità delle conclusioni tracciate dalla Consulta, nonostante gli ultimi orientamenti sull'adozione di minori da parte di coppie omosessuali e sul riconoscimento in Italia di atti formati all'estero, dichiarativi del rapporto di filiazione in confronto a genitori dello stesso sesso.
In questa ottica dalla Cassazione sottolineano che la Corte Costituzionale ha chiarito che «vi è [...] una differenza essenziale tra l'adozione e la procreazione medicalmente assistita. L'adozione presuppone l'esistenza in vita dell'adottando: essa non serve per dare un figlio a una coppia, ma precipuamente per dare una famiglia al minore che ne è privo. Nel caso dell'adozione, dunque, il minore è già nato ed emerge come specialmente meritevole di tutela l'interesse del minore stesso a mantenere relazioni affettive già di fatto instaurate e consolidate. La procreazione medicalmente assistita, di contro, serve a dare un figlio non ancora venuto ad esistenza a una coppia (o a un singolo), realizzandone le aspirazioni genitoriali. Il bambino, quindi, deve ancora nascere: non è, perciò, irragionevole che il legislatore si preoccupi di garantirgli quelle che, secondo la sua valutazione e alla luce degli apprezzamenti correnti nella comunità sociale, appaiono, in astratto, come le migliori condizioni di partenza». E «il solo fatto che un divieto possa essere eluso recandosi all'estero non può costituire una valida ragione per dubitare della sua conformità a Costituzione».
Allargando il ragionamento è evidente che «la possibilità di ottenere il riconoscimento in Italia di atti stranieri dichiarativi del rapporto di filiazione da due donne dello stesso sesso si giustifica in virtù del fatto che diverso è il parametro normativo applicabile. A venire in rilievo, in tal caso, è il principio di ordine pubblico con il quale si è ritenuto non contrastare il divieto normativamente imposto in Italia alle coppie formate da persone di sesso diverso di accedere alla procreazione medicalmente assistita, in relazione ad atti validamente formati all'estero per i quali è impellente la tutela del diritto alla continuità (e conservazione) dello status filiationis acquisito all'estero». E ciò «diversamente dalle coppie omosessuali maschili, per le quali la genitorialità artificiale passa necessariamente attraverso la pratica distinta della maternità surrogata (o gestazione per altri) che è vietata da una disposizione che si è ritenuta espressiva di un principio di ordine pubblico, a tutela di valori fondamentali, quali la dignità della gestante e l'istituto dell'adozione, non irragionevolmente ritenuti dal legislatore prevalenti sull'interesse del minore, salva la possibilità di conferire comunque rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l'adozione».
Tirando le somme, non è pertinente il riferimento fatto da Paola e Laura alla nozione ristretta di ordine pubblico, poiché «l'atto di nascita che si chiede di rettificare si è formato in Italia (dove la bambina è nata) e non rileva che la pratica fecondativa medicalmente assistita sia avvenuta all'estero».
Fonte:dirittoegiustizia.it