Il processo amministrativo dell’emergenza: sempre più “speciale”

Nino Paolantonio
10 Aprile 2020

«Così non serve a niente», titola un brevissimo scritto del compianto Maestro Antonio Romano Tassone, comparso or sono quasi dieci anni. Leggendo l'art. 36 del d.l. n. 23, pubblicato l'8 aprile 2020, mi è tornato in mente quel titoletto, tanto eloquente quanto denso di amarezza; e, aggiungerei, tanto preveggente, ove mai alcuno si esercitasse nel redigere una statistica delle azioni di accertamento e di adempimento delibate ed accolte dal 2010 ad oggi (quelle azioni, cioè, che, cacciate fuori dalla porta di Palazzo Chigi, sono rientrate dalle finestre dei tribunali amministrativi e di Palazzo Spada ad opera di poche, coraggiose ed isolate decisioni).

«Così non serve a niente», titola un brevissimo scritto del compianto Maestro Antonio Romano Tassone, comparso or sono quasi dieci anni (A. Romano Tassone, Così non serve a niente, in Giustamm.it, n. 4-2010). Antonio si riferiva al codice del processo amministrativo nella versione “sforbiciata” (Per dirla con F. Merusi, In viaggio con Laband, ibidem), ossia amputata di alcuni istituti generali elaborati dalla Commissione paritetica (magistrati amministrativi, professori universitari, avvocati) incaricata di redigere l'articolato.

Leggendo l'art. 36 del d.l. n. 23, pubblicato l'8 aprile 2020, (v. anche M.A. Sandulli, Il “D.l. credito” proroga la sospensione dei termini del procedimento amministrativo e, un po', anche quelli dei giudizi amministrativi ) mi è tornato in mente quel titoletto, tanto eloquente quanto denso di amarezza; e, aggiungerei, tanto preveggente, ove mai alcuno si esercitasse nel redigere una statistica delle azioni di accertamento e di adempimento delibate ed accolte dal 2010 ad oggi (quelle azioni, cioè, che, cacciate fuori dalla porta di Palazzo Chigi, sono rientrate dalle finestre dei tribunali amministrativi e di Palazzo Spada ad opera di poche, coraggiose ed isolate decisioni).

Questa disposizione, al comma 3°, prevede che «nei giudizi disciplinati dal codice del processo amministrativo sono ulteriormente sospesi, dal 16 aprile al 3 maggio 2020 inclusi, esclusivamente i termini per la notificazione dei ricorsi, fermo restando quanto previsto dall'articolo 54, comma 3, dello stesso codice». I più informati ci riferiscono verbis che più che di una sforbiciata si è trattato di una “toppa” poiché – pare – l'art. 36 nasceva orfano di qualsivoglia disciplina emergenziale sul processo amministrativo, diversamente dal complicatissimo art. 84 del d.l. n. 18/2020, al quale bisognerà ancora fare riferimento, quindi.

La norma ci mostra un processo “speciale” anche nell'emergenza: la proroga della sospensione dei termini è inferiore a quella prevista per i giudizi civili (quest'ultima di quasi un mese); e, soprattutto, concerne solo i termini per la notificazione dei ricorsi, che la relazione illustrativa ci spiega comprendere anche quelli incidentali, le impugnazioni, i motivi aggiunti “etc.” (in questi “cetera” confluiranno le speculazioni interpretative degli studiosi in quarantena, dai regolamenti di competenza alle riassunzioni e così via, così, condivisibilmente, M.A. Sandulli, Nei giudizi amministrativi la nuova sospensione dei termini è “riservata” alle azioni: neglette le posizioni dei resistenti e dei controinteressati e il diritto al “pieno” contraddittorio difensivo, in Federalismi, 2020).

Tanto si potrebbe già osservare: un processo che si vuol dire di diritto soggettivo, governato dal “giudice ordinario” del potere e degli interessi legittimi, che nulla ha più da invidiare – sa mai alcunché vi abbia invidiato – al processo civile, viene trattato diversamente proprio da quel “fratello maggiore” che soccorre ogniqualvolta nel codice amministrativo vi sia un vacuum colmabile con la corrispondente norma processualcivilistica, purché espressione di principi generali (ad opera del rinvio esterno di cui all'art. 39).

Del pari evidente è l'irrazionalità della restrizione della minore sospensione ai soli termini per ricorrere (o appellare): se l'esigenza è quella di far sì che il “servizio giustizia” possa essere reso nel rispetto dei principi di equità e parità delle armi, mettendo quindi tutte le parti in condizione di esercitare un diritto di difesa effettivo, è davvero poco comprensibile la scelta di sospendere solo i termini per agire e non anche quelli per contraddire: così non serve a niente, appunto, per parafrasare Antonio Romano Tassone; quanto meno, non serve ad agevolare le attività difensive di quelle parti assistite da avvocati magari anziani o semplicemente poco adusi all'informatica (ammesso che sia solo questa la panacea della difesa giudiziale), e quindi non assistiti da un personale di staff che possa coadiuvarli non già nella redazione degli atti, ma negli adempimenti processuali telematici di cui occorre una padronanza che non s'acquisisce dall'oggi al domani.

Ma l'abusato esempio della donna o dell'uomo avanti negli anni – ricordo una polemichetta politica di alcuni mesi fa circa l'opportunità o meno di incoraggiare l'uso dei pagamenti elettronici perché le “vecchine” non vanno notoriamente a far la spesa col bancomat – in un tempo in cui a soffrire e spesso a perdere la vita sono, purtroppo, proprio i soggetti più deboli ed esposti, può essere più elegantemente ma non meno drammaticamente affiancato da quello del default di un device casalingo sul quale difficilmente si potrà intervenire in tempi brevi, quando si è a ridosso di una scadenza.

Davvero insoddisfacente è allora la spiegazione fornita dalla relazione governativa: la disposizione intende «… agevolare il graduale, ma immediato, ritorno alla trattazione dei processi amministrativi, sebbene in forma esclusivamente scritta».

Sarebbe troppo facile rispondere che se i processi non si introducono non si trattano neppure. E che la doverosa franchigia della sospensione dalle azioni cautelari non ha mai interrotto, neppure in questo triste periodo, la trattazione di alcunché.

Ma la controreplica sarebbe probabilmente che, almeno, si tratterebbero quelli già introdotti: il che però vuol dire contraddire la ratio della norma emergenziale, ispirata ad un prudente prolungamento della sospensione delle attività processuali ordinarie in ragione delle limitazioni alla mobilità imposte in vista del contenimento del contagio.

Neppure si spiega il riferimento alla circoscrizione temporale della misura in ragione dello “iato temporale” tra le attività difensive del ricorrente e quelle del resistente: come la relazione onestamente ma contraddittoriamente riconosce, questo “iato” – ma, meglio, questo spatium a salvaguardia dei diritti di difesa – concerne il solo processo cautelare, che non ha mai subito (ovviamente e giustamente) sospensioni di sorta sin dall'inizio della stagione dell'emergenza.

Viceversa, una trattazione fissata successivamente al 15 aprile 2020deadline indicata dall'art. 84 del d.l. n. 18/2020 – sarà comunque celebrata, e lo sarà con il farraginoso meccanismo di cui al comma 5°: le brevi note due giorni liberi prima della trattazione collegiale o il rinvio su richiesta di anche una sola parte che non si sia avvalsa di tale facoltà.

Ma allora, tacendo della efficacia del rimedio di cui al comma 5°, che pure ha inteso ovviare alla “dimenticanza” del Governo dei cc.dd. termini a “ritroso”, di cui all'art. 3, comma 1°, del d.l. n. 11/2020, viene da chiedersi come c'entri la graduale ripresa della trattazione dei processi amministrativi con la sospensione dei termini per agire.

Escluso che questa giustificazione concerna le azioni cautelari, l'art. 36 si limita ad interrompere bruscamente al 15 aprile 2020 un regime di sospensione generalizzata dei termini che davvero non pare consonante con il “perdurare dell'emergenza epidemiologica”, cui pure la relazione si riferisce allorché introduce e giustifica l'ulteriore proroga del regime di sospensione dei termini – e contestuale rinvio delle udienze – dei processi civili.

Insomma, un giudice speciale anche nell'emergenza, a causa di una disposizione – di cui i magistrati amministrativi, laboriosi e responsabili, non sono colpevoli – che rischia di gettare un'ombra sgradita e sgradevole su di un apparato che contribuisce quotidianamente a riaffermare la legalità, anche dove patentemente e quasi sfacciatamente brutalizzata (Mi riferisco al parere della Prima Sezione del Consiglio di Stato sull'affare n. 260/2020 reso il 7 aprile 2020 su richiesta ex art. 138, d.lgs. 267/2000, del Governo, in relazione ad un inusitato provvedimento emergenziale adottato dal Sindaco di Messina, assurto agli onori delle cronache e, purtroppo, delle diatribe politiche).

Ma così, davvero, non serve a niente.

Per un maggior approfondimento in tema di emergenza sanitaria e giustizia amministrativa v. anche Speciale Coronavirus