Impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità: la domanda va respinta se in contrasto con l’interesse del minore

16 Aprile 2020

Il Tribunale di Roma chiamato a pronunciarsi a seguito dell'azione promossa dal curatore, nominato dal tribunale, avente ad oggetto l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità effettuato da entrambi i genitori nei confronti dei figli minori nati all'estero, all'esito di un percorso di gestazione per altri, dopo aver individuato gli ambiti di operatività dell'art. 263 c.c., ha analizzato l'evoluzione del principio di certezza degli status, in relazione al favor veritatis, sia con riferimento alla normativa e alla giurisprudenza e internazionale, avendo come punto di riferimento, in primis, l'interesse del minore e la sua tutela.
Massima

La domanda di impugnazione del riconoscimento del figlio minore per difetto di veridicità, ai sensi dell'art. 263 c.c., e conseguente rimozione dello status dei minori quali figli della coppia genitoriale che si è dichiarata tale, non può essere accolta qualora si tratti di una relazione fondata su un rapporto, già riconosciuto dall'ordinamento, per diversi anni di vita dei figli e risultato solido e positivo, perché è da ritenere in contrasto con l'interesse dei minori.

Un diverso esito comprometterebbe la certezza dell'identità dei figli, privandoli del legame legale di filiazione pienamente riconosciuto fino al (solo eventuale) riconoscimento di altro status, nonché produrrebbe conseguenze negative sulla identità personale dei minori, e sulla percezione della loro identità tra i terzi, stante il mutamento di status.

Il caso

Con atto di citazione notificato alle parti convenute, il Curatore speciale dei minori ha proposto azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità nei confronti di Tizio e Caia, indicati quali genitori dei minori nel certificato di nascita, formato all'estero e trascritto nei registri dello Stato Civile del Comune di Roma, nel quale sarebbero riportate risultanze difformi dal vero, non essendo i minori nati dai presunti genitori ma da soggetti diversi, a seguito di pratiche di gestazione per altri, illecite in Italia e sanzionate penalmente ex art. 12, comma 6, l. n. 40/2004.

In particolare, il Curatore dei minori, dopo aver insistito nella richiesta di perizia volta a verificare l'esistenza del legame genetico di filiazione tra i figli e gli attori, ha formulato le seguenti conclusioni:

i) accertare e dichiarare che non vi è la prova che la gestazione e il parto dei minori è avvenuta per effetto del “trasferimento nell'organismo di un'altra donna di un embrione umano, concepito dai coniugi”, come previsto dalla legge straniera e, di conseguenza, accertare e dichiarare che i minori non sono figli dei coniugi o non sono figli di Caia e, per gli effetti, ordinare all'Ufficiale di Stato Civile del Comune di Roma di provvedere alla prescritta annotazione nel relativo atto di nascita dei minori;

ii) accertare e dichiarare, ai sensi del diritto straniero, l'invalidità della procedura di maternità surrogata e/o del contratto intercorso tra i coniugi e la madre surrogata, nonché gli altri soggetti che all'estero hanno offerto loro i servizi relativi all'acquisizione di genitorialità e, di conseguenza, accertare e dichiarare che i minori non sono figli dei coniugi o non sono figli di Caia e, per gli effetti, ordinare all'Ufficiale di Stato Civile del Comune di Roma di provvedere alla prescritta annotazione nel relativo atto di nascita dei minori;

iii) accertare e dichiarare l'illiceità dell'acquisto dello status di genitore in capo ai coniugi ovvero a Caia, nonché accertare e dichiarare l'illiceità del contratto di maternità surrogata e la sua conseguente nullità ex artt. 5, 1418, 1322, 1344, 1346 ed anche ex artt. 2, 3, e 32 della Costituzione e, di conseguenza, accertare e dichiarare che i minori non sono figli dei coniugi o non sono figli della dichiarata madre e, per gli effetti, ordinare all'Ufficiale di Stato Civile del Comune di Roma di provvedere alla prescritta annotazione nel relativo atto di nascita dei minori;

iv) accertare e dichiarare l'inapplicabilità del diritto straniero in materia di determinazione di genitorialità del bambino nato in conseguenza dell'utilizzo di tecnologie di riproduzione assistita, in quanto contraria all'ordine pubblico internazionale ed italiano e, di conseguenza, accertare e dichiarare che i minori non sono figli dei coniugi o non sono figli di Caia e, per gli effetti, ordinare all'Ufficiale di Stato Civile del Comune di Roma di provvedere alla prescritta annotazione nel relativo atto di nascita dei minori;

v) in ogni caso, adottare ogni provvedimento ritenuto opportuno, anche di natura provvisoria, volto alla miglior tutela della stabilità psico-fisica dei minori, nonché delle loro esigenze materiali e relazionali.

Rilevato il difetto di legittimazione attiva del Curatore, con riferimento alle domande diverse da quella di impugnazione del riconoscimento dei minori per difetto di veridicità, comunque legittimamente proposta ai sensi dell'art. 263 c.c., il Tribunale ha ritenuto di rigettare la domanda di impugnazione del riconoscimento nei confronti di entrambi i convenuti: nello specifico, infatti, gli esiti dell'accertamento genetico hanno confermato che Tizio è il padre dei bambini; rispetto a Caia, invece, la domanda di rimozione dello status è stata respinta perché in contrasto con l'interesse dei minori, in quanto in grado di ledere e pregiudicare il loro equilibrio psichico, nonché la formazione della loro identità personale.

La questione

Chiamato a pronunciarsi a seguito dell'azione promossa dal Curatore, nominato dal tribunale, avente ad oggetto l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità effettuato da entrambi i genitori nei confronti dei figli minori nati all'estero, all'esito di un percorso di gestazione per altri, il Tribunale di Roma, dopo aver individuato gli ambiti di operatività dell'art. 263 c.c., ha analizzato l'evoluzione del principio di certezza degli status, in relazione al favor veritatis, sia con riferimento alla normativa e alla giurisprudenza interna, ma, altresì, alla luce delle influenze della giurisprudenza e della normativa internazionale. Ciò avendo come punto di riferimento, in primis, l'interesse del minore e la sua tutela.

Le soluzioni giuridiche

Prima di affrontare nel merito la domanda formulata dal Curatore, i giudici romani si sono interrogati sulla conformità con la lex loci del percorso di procreazione medicalmente assistita intrapreso all'estero dai convenuti, nonché sulle eccezioni preliminari sollevate dagli stessi nel corso del giudizio.

i)La conformità della pratica di PMA (Procreazione Medicalmente Assistita) alla legge straniera

Con riferimento alla prima questione, il Collegio non ha ritenuto necessario accogliere la richiesta del Curatore diretta all'acquisizione della documentazione relativa al percorso di gestazione per altri, al fine di verificare la conformità dell'iter seguito rispetto al dettato della legge straniera che secondo il Curatore stesso non sarebbe stata rispettata, in quanto il legame genetico soltanto con uno dei due genitori d'intenzione non sarebbe sufficiente.

Secondo il giudizio del Tribunale, invece, maturato anche a seguito di un'analisi più approfondita della legge vigente nello Stato di nascita dei minori, oltre ad essere sufficiente che vi sia un legame genetico del figlio anche solo con uno dei genitori, la conformità alla legge estera è chiaramente desumibile, nel caso di specie, altresì, dall'intervenuto rilascio, da parte della preposta Autorità straniera, dei certificati di nascita dei minori debitamente legalizzati, nonché dall'avvenuta trascrizione di tali atti da parte dell'Ufficiale di Stato civile Italiano.

Non solo. Utile in tale ricostruzione è stata, altresì, la valutazione dell'esito del procedimento penale avviato contro i convenuti, la cui condotta è stata considerata priva di rilevanza penale giacché, considerato che gli atti di nascita – in questo caso – sono stati redatti nel rispetto della legge straniera che consente la pratica della maternità surrogata, non possono essere considerati falsi proprio perché le dichiarazioni o attestazioni rese dinanzi all'Autorità straniera dagli indagati sono, secondo la legge di quel paese, veritiere.

ii) Il difetto di legittimazione attiva del Curatore

I convenuti hanno eccepito il difetto di legittimazione attiva di parte attrice, ritenendo la sua nomina del tutto irragionevole, stante la mancanza di un interesse del minore da tutelare. Soffermandosi, però, su una lettura più attenta dell'art. 264 c.c., il Tribunale ha ritenuto di non poter accogliere tale eccezione, potendo, invece, identificare le ragioni della nomina del Curatore nel decreto con cui, su sollecitazione del Pubblico Ministero, il Curatore stesso è stato autorizzato a proporre azione ex artt. 263 e 264 c.c..

Pertanto, l'azione di parte attrice è stata ritenuta legittima, esclusivamente con riferimento alla richiesta di impugnazione del riconoscimento dei minori per difetto di veridicità e non anche alle altre conclusioni dalla stessa formulate, e in precedenza richiamate, in quanto collegate a valutazioni diverse dall'oggetto del presente giudizio.

iii)L'esperibilità dell'azione ex art. 263 c.c.

Il Tribunale romano ha ritenuto non condivisibile l'eccezione sollevata dai convenuti in merito all'inammissibilità della domanda di cui all'art. 263 c.c., perché proponibile solo con riferimento ai nati fuori dal vincolo matrimoniale e, pertanto, non applicabile alla fattispecie in esame poiché i minori risultano figli di Tizio e Caia, unitisi in matrimonio in data precedente alla loro nascita.

Secondo i giudici romani, infatti, affinché possa operare la presunzione di paternità, è necessario che il figlio venga dato alla luce da una donna coniugata ovvero che sia applicabile, in caso di procreazione medicalmente assistita, il principio di cui all'art. 8, l. 40/2004, che attribuisce la titolarità del rapporto di filiazione al genitore che ha manifestato il consenso al trattamento di fecondazione assistita.

Nella fattispecie in questione, Caia non risulta essere madre partoriente, né madre genetica, pertanto, l'azione disciplinata dall'art. 263 c.c. è, di fatto, l'unica azione esperibile.

Anche l'eccezione relativa alla decadenza dell'azione per essere trascorso il termine di cinque anni dall'annotazione del riconoscimento previsto dal comma 3 dell'art. 263 c.c., va respinta. Infatti, il Curatore ha esercitato l'azione in nome e per conto dei minori per i quali, a seguito della novella di cui al d.lgs. n. 154/2013, l'azione di impugnazione per difetto di veridicità è imprescrittibile.

E, in ogni caso, anche se si volesse ritenere che il Curatore del minore sia qualificabile tra coloro che hanno interesse a proporre l'azione, il termine per il suo esperimento non potrebbe essere considerato trascorso, dovendo applicarsi l'art. 104, d. lgs. n. 154/2013, ai sensi del quale nel caso di riconoscimento annotato sull'atto di nascita prima dell'entrata in vigore di tale decreto, il termine decadenziale di cinque anni decorre dall'entrata in vigore del decreto stesso.

iv)Il merito della domanda: impugnazione del riconoscimento, favor veritatis e interesse del minore

Dopo aver ribadito l'illiceità della pratica della maternità surrogata, sanzionata penalmente dall'art. 12, l. 40/2004, da considerare principio di ordine pubblico, come già evidenziato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 12193/2019 – pronuncia relativa al riconoscimento dell'efficacia di un provvedimento giurisdizionale straniero volto ad accertare il rapporto di filiazione, non ancora riconosciuto in Italia, tra un minore nato all'estero all'esito di un percorso di gestazione per altri e il genitore d'intenzione munito della cittadinanza italiana – il Tribunale romano si è soffermato sulla rilevanza assunta dal principio di certezza degli status, che, a volte, può anche prevalere sul favor veritatis.

Richiamando la sentenza della Corte Costituzionale n. 272/2017, il Collegio evidenzia come il giudice sia chiamato a svolgere due valutazioni differenti per valutare fattispecie apparentemente analoghe, ma profondamente diverse.

Infatti, partendo dallo stesso punto di partenza e cioè l'assoluto divieto di maternità surrogata, è evidente come, mentre nel verificare la contrarietà all'ordine pubblico dell'atto estero – che riconosce il legame di filiazione tra il minore e il genitore intenzionale – per la sua trascrizione, al giudice chiamato a riconoscere l'efficacia del provvedimento estero attestante tale legame, non sia concesso alcun margine di discrezionalità, diversa è la situazione in cui oggetto del giudizio sia la domanda di rimozione di uno status già acquisito dal minore dichiarato nell'atto di nascita, redatto ai sensi della legge straniera, che diventa oggetto di richiesta di trascrizione in Italia.

In tale ipotesi, infatti, anche la Consulta, nel 2017, ha dichiarato come sia fondamentale effettuare un bilanciamento case by case tra il favor veritatis e il diritto del figlio alla stabilità della relazione, pur in assenza di legame genetico con i genitori e come, pur in presenza di divieti come quello della maternità surrogata, l'interesse del minore non possa essere cancellato.

Del resto, la tutela del principio della certezza degli status, anche a discapito del favor veritatis è desumibile dalla riforma della filiazione del 2012/2013 che ha posto l'interesse del figlio alla stabilità del rapporto al centro anche delle azioni di stato e ciò è facilmente desumibile dalla introduzione della previsione relativa alla imprescrittibilità – solo per il figlio – sia dell'azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità (art. 263 c.c.), sia dell'azione di disconoscimento della paternità (art. 244 c.c.).

È, poi, nella stessa disciplina relativa alla Procreazione Medicalmente Assistita vigente nel nostro ordinamento, che viene riconosciuta prevalenza al diritto del minore alla conservazione dello status acquisito. È, in particolare, l'art. 9 l. 40/2004 a sancire il divieto, per il genitore che abbia acconsentito al ricorso alla fecondazione eterologa, di esperire l'azione di disconoscimento di paternità ovvero di impugnare il riconoscimento, oltre al divieto per la madre di poter scegliere di non essere nominata alla nascita.

Numerose sono, poi, le norme sovranazionali che garantiscono la centralità dell'interesse del minore. Si pensi, ad esempio, all'art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo, nonché l'art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea che prevedono che all'interesse superiore del fanciullo sia da riconoscere una considerazione preminente in tutte le decisioni in cui lo stesso è coinvolto.

Non solo.

A livello europeo, infatti, la centralità riconosciuta all'interesse del minore è desumibile dalla lettura dell'art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo che sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare, e, quindi, alla stabilità dell'identità personale, da interpretarsi alla luce della rilevanza dell'interesse del minore, da considerare come “principio cardine”, nonché dall'analisi del Regolamento UE n. 1111/2019 nel quale, in materia di competenza, riconoscimento e esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale, viene enunciato – ancora una volta – il principio fondamentale della preminenza dell'interesse del minore quale regola giuridica che, in primo luogo, l'autorità giurisdizionale deve applicare e rispettare.

Da tutto ciò discende, pertanto, la necessità di evitare di incorrere nell'applicazione di errati automatismi nella valutazione di questioni inerenti i diritti dei minori, che potrebbero pericolosamente pregiudicare la tutela del loro benessere e, per questo motivo, essere altresì considerati in contrasto con i principi della nostra Carta Costituzionale.

Questo principio vale, ancor di più, nell'ambito dei giudizi relativi alle azioni di stato, inerenti a un rapporto di filiazione già giuridicamente riconosciuto (stante l'avvenuta trascrizione dell'atto di nascita) rispetto al quale è inevitabile che il giudizio si fondi su elementi concreti e non su categorie generali e astratte.

È a queste ultime che, ad esempio, può essere ricondotto il concetto di lesione dell'ordine pubblico – mai richiamato nell'ambito delle azioni di stato – idoneo a negare la trascrizione dell'atto formato all'estero.

Alla luce di tali osservazioni, il Tribunale romano ha ritenuto, pertanto, che procedere alla rimozione dello status del figlio, decisione che potrebbe essere giustificata dalla vigenza di una norma penale che sanziona chi intraprende un percorso di gestazione per altri, significherebbe procedere all'applicazione – erronea – di un automatismo totalmente “astratto”, se solo si considera che il genitore d'intenzione, nel caso di specie, pur sottoposto a un procedimento penale, non è stato ritenuto colpevole della violazione di tale disposizione.

Giungere ad una conclusione del genere, dunque, comporterebbe una grave disparità tra i figli nati da maternità surrogata i cui genitori intenzionali non abbiano subìto alcuna sanzione penale e quelli nati grazie alla volontà di coloro che sono stati poi condannati per aver commesso il reato di alterazione di stato, ai quali, comunque, non potrebbe essere applicata la conseguenza automatica della decadenza dalla responsabilità genitoriale (eliminata con sentenza della Corte cost. n. 31/2012).

Non solo. Rimuovere lo status già acquisito, e ormai intrinsecamente facente parte delle loro vite da oltre 9 anni, finirebbe per minare l'identità personale dei minori, ormai riconosciuti nella società come figli di quei genitori, così fortemente pregiudicando l'equilibrio raggiunto.

Nessuno sarebbe poi il vantaggio che i minori potrebbero trarre da una tale soluzione; l'unico effetto di una tale decisione sarebbe quello di sanzionare indirettamente la condotta dei genitori, in virtù dell'applicazione di una norma penale che rende tale condotta – in astratto – illecita, ma che non è stata neppure accertata e penalmente sanzionata in concreto.

Né, tantomeno, una diversa soluzione – come il riconoscimento di un legame di adozione tra la madre intenzionale e i minori tramite il ricorso all'adozione in casi particolari, di cui all'art. 44. lett. b), l. n. 184/1983, potrebbe facilmente sostituire il vulnus che la rimozione dello status di filiazione, sino ad oggi goduto dai minori, andrebbe certamente ad arrecare.

Innanzitutto, il lasso di tempo che intercorrerebbe tra la rimozione dello status filiationis in essere e l'accertamento del nuovo status di figli adottivi potrebbe pregiudicare il loro diritto alla continuità affettiva e comportare, altresì, la perdita di quei diritti precedentemente acquisiti in virtù del legame genitoriale, quali il diritto al mantenimento o i diritti successori.

E anche qualora il legame adottivo venisse riconosciuto, la filiazione non potrebbe essere completamente parificata a quella “piena”, stante la possibilità di revoca dell'adozione in casi particolari, nonché la mancata costituzione di un legame di parentela con il ramo genitoriale del genitore adottivo. In conclusione, il ricorso ad un riconoscimento alternativo del rapporto genitoriale, invece che contribuire ad un corretto ed equilibrato bilanciamento di interessi, costituirebbe un pregiudizio eccessivamente sproporzionato per i minori.

Tra l'altro, ciò è ancor più vero se solo si considera l'esito positivo degli accertamenti compiuti con ascolto indiretto dei minori, tramite l'intervento dei responsabili del servizio socio assistenziale, in seguito al quale è emerso il rapporto sano e positivo con i genitori, dal quale si può facilmente far discendere la presunzione della volontà dei bambini al mantenimento dello stato di figli già in essere.

È, dunque, sulla base di tali osservazioni che il Tribunale romano ha ritenuto di non accogliere la domanda del Curatore, stante la necessità di riconoscere prevalenza alla stabilità del rapporto –instauratosi tra genitori e figli – anche rispetto al dato formale della filiazione, in quanto in grado di garantire tutela all'interesse fondamentale dei minori, ravvisabile nella necessità di mantenere l'identità personale acquisita, in qualità di figli di genitori che, anche in assenza di legami genetici o biologici, hanno provveduto ad accudirli, mantenerli e educarli, e sono stati riconosciuti dalla collettività come i loro genitori.

Osservazioni

Un plauso va, dunque, riconosciuto ai giudici del Collegio romano che hanno confermato il riconoscimento della preminenza dell'interesse del minore, ancora una volta definito la “stella polare” che guida il giudice chiamato a valutare azioni che possano avere riflessi diretti sulle relazioni affettive dei figli, sul loro equilibrio psichico, sulla formazione della identità personale e sulla tutela della vita familiare.

A fronte della prevalenza del principio di tutela del minore, nel giudizio avente ad oggetto il bilanciamento tra il favor veritatis e il favor minoris, appare, dunque, sempre più forte l'idea di relativizzazione del concetto di interesse pubblico alla verità biologica o genetica che cede il passo all'affermazione degli affetti, nonché alla costruzione di quella realtà familiare che, pur se non fondata su “legami di sangue”, ritrova le sue radici nella responsabilità, nella volontà e nell'impegno di ogni soggetto di portare avanti quei legami.

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