Violenza sessuale: la valutazione della condotta equivoca e idonea

Simone Bonfante
21 Aprile 2020

In quale caso una condotta, astrattamente riconducibile alla categoria dell'atto sessuale, è in concreto idonea ad assumere tale connotazione? quale rilevanza assume il contesto familiare nella valutazione delle dichiarazioni della persona offesa?
Massima

La condotta vietata dall'art. 609-bis c.p. è quella finalizzata a soddisfare la concupiscenza dell'aggressore o a invadere e compromettere la libertà sessuale della vittima, con la conseguenza che il giudice, al fine di valutare la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato, non deve fare riferimento unicamente alle parti anatomiche aggredite ma deve tenere conto, con un approccio interpretativo di tipo sintetico, dell'intero contesto in cui il contatto si è realizzato e della dinamica intersoggettiva.

Il caso

La Corte di Appello di Bologna confermava la sentenza di assoluzione dell'imputato con la formula “perchè il fatto non sussiste” emessa dal Tribunale di Rimini rispetto alla contestazione dei reati di cui agli artt. 81, 609-bis, 609-ter c.p. consistita nel toccamento delle parti intime e del seno della figlia minore con gesti repentini.

Le parti civili proponevano ricorso per Cassazione lamentando, tra l'altro: 1) violazione di legge e vizio di motivazione in quanto dal compendio probatorio sarebbe emerso che i toccamenti in particolare al seno sarebbero stati posti in essere volontariamente con le mani: di qui la connotazione erotica della condotta; 2) vizio di motivazione circa la ritenuta assenza di circostanze estrinseche che deporrebbero nel senso della indole sessuale della condotta; 3) vizio di motivazione e violazione di legge in merito alla ritenuta equivocità dei ripetuti toccamenti del padre.

La Suprema Corte dichiarava i ricorsi inammissibili in quanto aventi ad oggetto valutazioni di fatto insindacabili in sede di legittimità. Riteneva inoltre congruamente motivate entrambe le sentenze di assoluzione emesse dai giudici del merito, concludendo nel senso che, nel caso di specie, non fosse stata raggiunta la prova della sussistenza nè dell'elemento materiale nè di quello soggettivo del delitto di violenza sessuale.

La questione

La questione di cui si è dovuta occupare la pronuncia in esame è la seguente: in quale caso una condotta, astrattamente riconducibile alla categoria dell'atto sessuale, è in concreto idonea ad assumere tale connotazione? quale rilevanza assume il contesto familiare nella valutazione delle dichiarazioni della persona offesa?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, nel dichiarare inammissibili i ricorsi, si è assestata su orientamenti ormai noti in materia di configurabilità sia dell'elemento oggettivo che di quello soggettivo del delitto di violenza sessuale.

Prima di esaminare tali arresti, nonché la soluzione offerta nel caso di specie dalla sentenza in commento, vale la pena ricordare che con il delitto contemplato dall'art. 609-bis c.p., introdotto dalla l. n. 66/1996, posto oggi a tutela non più del pudore ma della libertà di autodeterminazione sessuale della persona, si punisce chiunque, con “violenza o minaccia o mediante abuso di autorità”:

  1. costringe taluno a compiere o subire atti sessuali;
  2. oppure induce taluno o a compiere o subire atti sessuali abusando della sue condizioni di inferiorità o traendo in inganno la persona offesa.

Il fulcro della norma è, come noto, rappresentato dall'ampia locuzione “atti sessuali” con la quale si è inteso ricomprendere condotte riconducibili sia alla “congiunzione carnale” che agli “atti di libidine” previsti dalla previgente normativa (artt. 519 e 521 c.p.).

In giurisprudenza si è affermato come tale concetto rivesta, da un lato, una connotazione soggettiva, rappresentata dalla insorgenza o dall'appagamento di uno stato interiore psichico di desiderio sessuale, dall'altro oggettiva, costituita cioè dalla concreta idoneità del comportamento a compromettere la libertà di autodeterminazione della vittima (Cass. Sez. III, 2 maggio 2000, n. 7772, in Cass. Pen. 2001, 2116).

Per questa via si è pervenuti a considerare in giurisprudenza “atti sessuali” anche quelli aventi ad oggetto non solo i genitali ma anche le c.d. zone erogene, o comunque quelle suscettibili di eccitare la concupiscenza (Cass. Pen., Sez. III, 6 giugno 2008, n. 27762) ed anche a prescindere da un contatto fisico come nel caso di chi costringa due soggetti a compiere atti sessuali tra loro (in questo senso: Cass. Sez. III, 27 febbraio 2003, n. 18847, in Cass. Pen., 2004, 2024).

In dottrina si è inoltre affermato che gli atti sessuali sarebbero la “risultante di una lettura al tempo oggettiva e soggettiva, che tenga conto di ogni elemento contestuale (relazione intersoggettiva autore-vittima) nel quale la condotta medesima viene a realizzarsi” (E. Mengoni, Delitti sessuali e pedofilia, Milano, Giuffrè, 2008, 13). Anche la Suprema Corte, al fine di ritenere integrato o meno il delitto in parola, ha ritenuto fondamentale tenere in considerazione il “contesto” nel quale sono stati posti in essere gli “atti sessuali”. Si pensi, tanto per citare alcuni casi, al contesto lavorativo (nel quale la condizione di lavoratrice subordinata della vittima, ha contribuito a conferire una connotazione sessuale delle condotte poste in essere dal datore di lavoro: Cass. Sez. III, 2 luglio 2004, n. 37395, in Riv. Pen., 2005, 1189) oppure al contesto discendente dal rapporto medico-paziente, nel quale è stato considerato imprescindibile il consenso di quest'ultimo rispetto all'esecuzione di “manovre” da parte del sanitario che potrebbero astrattamente configurare atti sessuali (Cass. Pen., Sez. III, 22 febbraio 2019, n.18864). Contesto che anche la sentenza in commento valorizza, richiamando il noto orientamento secondo cui: “...il giudice, al fine di valutare la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato, non deve fare riferimento unicamente alle parti anatomiche aggredite ma deve tenere conto, con un approccio interpretativo di tipo sintetico, dell'intero contesto in cui il contatto si è realizzato e della dinamica intersoggettiva” (Cass., Sez. III, del 17 febbraio 2015, n. 24683).

Sotto il profilo soggettivo invece la fattispecie di cui all'art. 609-bis c.p. richiede il dolo generico consistente nella coscienza e volontà di compiere un atto lesivo della libertà personale della vittima, mentre si ritiene pacificamente irrilevante l'eventuale ulteriore finalità, ad esempio offensiva o ludica, perseguita dall'agente (B. Romano, Delitti contro la sfera sessuale della persona, Milano, Giuffrè, 2016, p. 257). Proprio in relazione ad un caso di toccamento del seno, la Suprema Corte, in linea con l'orientamento dominante della giurisprudenza di legittimità, ha affermato che: “Per il delitto di violenza sessuale è sufficiente il dolo generico di volontariamente invadere o compromettere la sfera di libertà sessuale della vittima, non occorrendo che tale condotta sia anche volta a soddisfare la concupiscenza o il desiderio sessuale dell'agente, né assumendo rilievo assorbente il fine ulteriore dell'agente, sicché il fatto che la condotta non abbia il fine di soddisfare istinti sessuali dell'imputato o la sua concupiscenza, bensì di offendere la vittima, nell'ambito di un acceso confronto tra essa e l'imputato, non esclude la configurabilità del reato (nella specie, l'imputato, nell'ambito di una accesa lite con una donna, in preda ad un raptus aveva scaricato la propria rabbia con un gesto repentino, strizzando con forza il seno della donna)”. (Cass. Pen., Sez. III, 12 aprile 2019, n. 35188, nello stesso senso: Cass. Pen. Sez. III, 03 ottobre 2017, n. 3648).

Osservazioni

Ebbene la sentenza in commento, pur inserendosi nel solco della consolidata giurisprudenza di legittimità in materia di violenza sessuale, merita di essere segnalata per la particolarità del caso concreto e per il percorso argomentativo seguito dal Supremo Collegio.

Pur non disponendo chi scrive dell'incartamento processuale ed in particolare dei verbali delle testimonianze assunte nel corso dell'istruttoria dibattimentale, non può infatti non rilevarsi come la decisione assolutoria desti quale perplessità alla luce di una valutazione complessiva degli elementi di fatto che si evincono dal testo della motivazione.

Se è vero che la condotta dell'imputato consistente nell'aver abbracciato da dietro la figlia minore toccandole il petto, non può, di per sé considerata, rivestire il carattere della univocità, è altrettanto vero che, volendo dar credito a quanto sostenuto dalla parte civile ricorrente, il padre avrebbe compiuto tale gesto non tanto in segno di affetto (che giustificherebbe un inavvertito toccamento del seno) ma proprio per verificare l'accrescimento del seno (circostanza questa emersa nel corso dell'esame imputato). Sempre secondo la parte civile, inoltre, tale palpeggiamento sarebbe proseguito nonostante la figlia avesse espresso il suo disappunto, lamentando dolore.

Ora, logica impone che, se si può al limite dubitare in relazione a tali ultimi particolari descritti dalla vittima, assodato che il toccamento del seno si è verificato, difficilmente si può ritenere che in sede di ricorso per Cassazione la parte civile abbia introdotto un argomento del tutto “inventato” come quello dell'ammissione dell'imputato circa la finalità del gesto (quella appunto di verificare la crescita del seno).

Finalità che, a parere di chi scrive, difficilmente è conciliabile con un “maldestro abbraccio” sfornito di alcuna rilevanza, secondo la sentenza in commento, sia sotto il profilo materiale che soggettivo.

Non solo.

Anche il dato del «contesto familiare conflittuale» pare essere stato valorizzato dalla Corte, a sommesso avviso dello scrivente, un po' troppo a senso unico.

Se infatti può condividersi la cautela con la quale debbono essere considerate le accuse di un minore che promanano dall'iniziativa di un genitore in via di separazione, è altrettanto vero che nel caso di specie non si trattava di una bimba in tenera età, ma di una adolescente, che, con ogni probabilità, ben comprendeva la gravità delle accuse che stava muovendo, non nei confronti di chicchessia, ma pur sempre del padre.

Quanto invece alle perplessità in merito all'<<iniziativa del genitore>> cui fa riferimento la Suprema Corte nella sentenza in commento, è appena il caso di rilevare come la giurisprudenza di legittimità sia unanime nel ritenere configurata una responsabilità concorsuale, ex art. 40, cpv., c.p., del genitore che, venuto a conoscenza della violenza sessuale, non si attivi quanto meno per evitare il reiterarsi dell'evento, anche attraverso la denuncia del fatto: “In tema di reati contro la libertà sessuale, risponde del reato di cui agli artt. 110 e 609-bis c.p., il genitore che essendo a conoscenza degli abusi sessuali subiti dal proprio figlio minore li abbia tollerati e comunque non li abbia impediti, omettendo di denunciarli, atteso che sullo stesso grava l'obbligo di educazione e protezione del minore così da impedire se non il verificarsi quantomeno il protrarsi di fatti delittuosi in danno dello stesso”. (Cassazione penale sez. III, 06/12/2006, n.42210, in Cass. Pen., 2007, 10, 3729, negli stessi termini: Cassazione penale sez. III, 27 aprile 2007, n.19739, in Cass. Pen. 2008, 6, 2471; Cass. Pen., Sez. III, 4 febbraio 2010 n. 11243, in Cass. Pen., 2011, II, p. 583).

Stando così le cose, l'«iniziativa» della madre doveva ritenersi giustificata, in primo luogo, perché, in base alla versione riferita dalla figlia, il padre non si sarebbe limitato ad un fugace palpeggiamento del seno, ma le avrebbe altresì toccata le parti intime. In secondo luogo, sempre con riferimento alla posizione della madre, non potevano non tenersi in considerazione i precedenti del padre che, se è pur vero che non erano specifici, da un lato, rappresentavano l'indice di una inclinazione a delinquere dell'imputato e, dall'altro, attenevano comunque alla violazione dei doveri imposti ai genitore nei confronti dei figli minori dall'art. 147 c.c., fra cui rientra non solo quello di educare e mantenere la prole, ma anche quello di salvaguardarne l'integrità e la libertà sessuale (in questo senso: Cass. Pen., Sez. III, 2 ottobre 2001, n.40712, in Riv. Pen., 2002).

Guida all'approfondimento

E. Mengoni, Delitti sessuali e pedofilia, Milano, Giuffrè, 2008;

B. Romano, Delitti contro la sfera sessuale della persona, Milano, Giuffrè, 2016;

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