Verso la telematizzazione del processo penale? Un approccio laico alla prospettiva dell’utilizzo degli strumenti informatici per la celebrazione delle udienze

Paolo Grillo
21 Aprile 2020

Le novità in tema di processo penale da remoto. Il Focus che approfondisce il tema.
Premessa

L'aggettivo “laico”, riferito all'approccio che provo a rappresentare ai nostri lettori, lascerebbe intendere che la tematica oggetto d'analisi abbia a che fare col mondo della religione: e in un certo senso è così, perché ad essere coinvolta dalle recenti novità normative è proprio la liturgia processuale, stravolta al punto da immaginare la possibilità di celebrare le udienze penali per mezzo di un computer e di un collegamento internet. Le previsioni contenute nel decreto legge n. 18/2020 sono – è noto a tutti – figlie dell'epidemia di COVID-19, e dovrebbero esaurire il loro ciclo vitale con il termine dell'emergenza pandemica che stiamo attraversando faticosamente. Il condizionale è d'obbligo, ed è la ragione principale che anima i timori soprattutto del mondo dell'avvocatura, comprensibilmente preoccupata del fatto che una qualsiasi modifica provvisoria possa, secondo il costume italico, mettere radici nel sistema e divenire più o meno definitiva.
La “smaterializzazione” del processo penale, come è stata a volte definita con evidente intonazione dispregiativa, è dai più vista come un abominio, del quale non si deve discutere nemmeno per ipotesi. Per puntellare il “no” categorico alla possibilità di celebrare le udienze da remoto si è fatto così ricorso a tutto l'armamentario della retorica processuale: la sacralità dell'aula d'udienza, l'indispensabilità della presenza fisica quale unico baluardo difensivo effettivo, la violazione del diritto di difesa, dei principi dell'oralità, del contraddittorio e dell'immediatezza, e via di questo passo. Di fronte, però, ad una prospettiva di modifica del modo in cui, in determinate occasioni, potrebbero celebrarsi le udienze penali, mi sembra che convenga lasciare per un attimo da parte i grandi principi fondamentali (e i richiami triti e ritriti alla centralità del ruolo del difensore, fortunatamente irrinunciabile protagonista del processo di ogni Stato di diritto) per guardare più da vicino a ciò che si vorrebbe architettare per mandare avanti un processo con strumenti telematici.
Vedremo nel prosieguo se un sistema del genere per come è stato frettolosamente concepito, al di là della sua ammissibilità teorica, è in grado di reggere oppure no.

Il d.l. 18/2020: lo stravolgimento del processo penale è nell'art. 83

Il punto di partenza da cui occorre prendere le mosse è costituito dall'art. 83 del d.l. 18/2020, per come integrato dall'emendamento governativo che ha passato l'esame del Senato il 9 aprile scorso. L'intervento del Governo, condensato nel decreto legge, ha purtroppo trovato una base d'appoggio piuttosto traballante e sbocconcellata. Sotto il profilo della digitalizzazione del processo penale, infatti, ben poca cosa si è fatta nel corso degli anni: sorvolando sui dettagli normativi, è certo che il video collegamento per la partecipazione a distanza alle sole udienze dibattimentali di certe categorie di soggetti è da tempo uno strumento ben conosciuto, al quale si è fatto in genere ricorso – fino ai recenti aggiornamenti legislativi del 2017 - tutte le volte in cui lo status detentivo di particolari categorie di dichiaranti, o esigenze di sicurezza derivanti dalla loro scelta di collaborare con la giustizia, hanno consigliato di limitarne o escluderne la presenza fisica nell'aula di udienza. Resta il fatto che la celebrazione dell'udienza si è sempre svolta all'interno dei palazzi di giustizia, o nelle aule bunker delle strutture detentive; il collegamento da remoto avviene per mezzo di sistemi di videoconferenza specifici ed è sempre garantita, oltre alla possibilità di interazione tra tutte le parti, presenti in aula e no, anche la comunicazione riservata tra difensore e dichiarante video-collegato.

Se per la celebrazione delle udienze non si è mai andati oltre questo scenario, bisogna dire che ancora più lento, tortuoso e contraddittorio è stato il processo di ammodernamento degli altri segmenti del procedimento penale. Le notifiche a mezzo PEC sono state una conquista a metà, dato che fino all'insorgenza dell'epidemia da Coronavirus, era inimmaginabile che un difensore potesse depositare – quindi, tecnicamente, notificare – presso una cancelleria o segreteria di un ufficio giudiziario un atto difensivo, sia esso una lista testimoniale o un atto di impugnazione. Stando alle prassi applicative, il virus a forma di mina navale ha reso ciò improvvisamente possibile, consegnando - si spera per sempre - all'archivio della memoria i cavillosi ragionamenti di chi vi si opponeva in nome del formalismo normativo, o di chissà quale altro arzigogolante distinguo.

L'informatizzazione dei sistemi di consultazione dei fascicoli processuali è avvenuto, nel modo che tutti noi conosciamo, per mezzo degli Uffici TIAP, spesso sottodimensionati in relazione alle utenze e comunque non raggiungibili da remoto dai difensori. Questi ultimi devono, per studiare le carte di un processo e per averne copia, spostarsi fisicamente presso gli uffici giudiziari e, nei giorni “caldi”, sgomitare con i colleghi per conquistare una postazione dalla quale accedere al sistema.

Su questi sentieri, ancora impervi e monchi, il decretatore d'urgenza ha dovuto inoltrarsi con l'intento di non paralizzare del tutto l'attività giudiziaria durante la crisi sanitaria tuttora in atto. Due, come dicevamo, sono gli step temporali con cui si è approntata la disciplina contenuta nel decreto n. 18/2020.
Il testo originario si affannava innanzitutto a individuare quali fossero i procedimenti penali per i quali non si doveva provvedere al semplice rinvio delle udienze (soluzione emergenziale, quest'ultima, d'elezione). Poi, il testo dell'art. 83, comma 12, prevede, nel periodo compreso tra il 9 marzo e il 30 giugno, che i soggetti detenuti o internati ovvero in stato di custodia cautelare partecipino a qualsiasi udienza con sistemi di video-collegamento. Quindi, nell'intervento d'urgenza “prima versione” l'estensione alla partecipazione a distanza era più oggettiva (tutte le udienze, non soltanto quelle dibattimentali), che soggettiva. Sotto il profilo delle tecniche di collegamento, invece, si registra una novità su cui credo che occorra soffermare l'attenzione. Sono previste due ipotesi: l'una, espressamente descritta nella norma, e l'altra, invece, oggetto di un rimando extralegislativo.
La prima delle due fa riferimento ove possibile al già noto sistema di videoconferenza.
La seconda, invece, contiene una misteriosa “delega” al Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della Giustizia, finalizzata ad individuare gli strumenti tecnici coi quali eseguire il collegamento audio-video. Un provvedimento del Direttore dell'Organizzazione Giudiziaria del Ministero recante la data del 21 marzo, all'art. 3, stabilisce che il ricorso agli strumenti diversi dalla videoconferenza già a disposizione degli uffici giudiziari debba avvenire “laddove non sia necessario garantire la fonia riservata tra la persona detenuta….ed il suo difensore”. Per la cronaca, gli strumenti tecnici sarebbero le note piattaforme “Teams” e “Skype for businnes”.

Su questo canovaccio, che già aveva fatto discutere non poco, si è stratificato l'emendamento approvato dal Senato il 9 aprile scorso. L'estensione del ricorso all'udienza da remoto, questa volta, opera sul piano sia soggettivo che oggettivo, da un lato escludendo ogni riferimento allo status libertatis e, dall'altro lato, prevedendo, al comma 12-bis dell'art. 83 d.l. 18/2020, che tutte le udienze penali che non richiedono la partecipazione di soggetti diversi dalle parti processuali, dai difensori, da agenti di p.g., interpreti, consulenti o periti (quindi, si immagina, con esclusione di quelle che prevedono la partecipazione di testimoni) possono essere celebrate da remoto, previo avviso del giudice di giorno, ora e modalità del collegamento, con tecniche individuate dal solito Direttore Generale dei servizi informativi e automatizzati del Ministero. Le critiche e le censure, già spedite all'indirizzo della prima versione della norma, si sono, come era lecito attendersi, moltiplicate ed inasprite nonostante la precisazione, ovvia e retorica, secondo cui “lo svolgimento dell'udienza avviene con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione delle parti”. Come se potesse mai essere possibile il contrario. Secondo questa previsione normativa, l'attestazione dell'identità del soggetto assistito dal difensore avviene in duplice modo: per i detenuti vi provvede la p.g. che assiste alla videoconferenza, mentre per i soggetti non ristretti deve pensarci il difensore stesso e il collegamento con l'assistito avverrà dalla medesima postazione (quindi, si immagina, dallo studio professionale) che userà l'avvocato.

È, poi, contemplata l'ipotesi specifica del fermo o dell'arresto, per le quali si prevede che tutti i partecipanti alla relativa udienza di convalida intervengano “dal più vicino ufficio della polizia giudiziaria attrezzato per la videoconferenza, quando disponibile”. Ci si chiede cosa debba farsi quando, invece, la videoconferenza non è disponibile: probabilmente, e le prassi applicative deporrebbero in questo senso, si dovrà fare ricorso alle altre piattaforme di video-chiamata già menzionate in precedenza.

Per i giudizi camerali e non camerali presso la Suprema Corte è stabilito dal comma 12-ter che si proceda per mezzo di un contraddittorio scritto, nel corso del quale le parti si “scambiano” le rispettive conclusioni, fermo restando il diritto del difensore del ricorrente a chiedere la discussione orale entro il termine perentorio di 25 giorni liberi da quello fissato per l'udienza; la richiesta provoca la sospensione dei termini di prescrizione e di custodia cautelare.

Il quadro delle novità continua con alcune previsioni dedicate alla fase delle indagini preliminari. Il comma 12-quater dell'art. 83, infatti, prevede che sia possibile compiere da remoto “atti che richiedono la partecipazione della persona sottoposta alle indagini, della persona offesa, del difensore, di consulenti, di esperti o di altre persone”. Il collegamento, da eseguirsi necessariamente presso un ufficio di p.g., dovrà assicurare alla persona indagata di consultarsi riservatamente col proprio difensore che, però, potrà scegliere di partecipare da remoto rimanendo nel proprio studio legale. In questa ipotesi non si fa riferimento alla videoconferenza, ma soltanto agli applicativi individuati dal DGSIA.

L'ultima novità – per molti la più scandalosa – riguarda la fase processuale della deliberazione della sentenza o dell'emissione dell'ordinanza nei procedimenti penali non sospesi. È il comma 12-quinquies a contenerla, prevedendo che con i programmi di video collegamento i collegi giudicanti possano “riunirsi” virtualmente per deliberare e stabilendo che il luogo, non meglio identificato, del collegamento viene “considerato camera di consiglio a tutti gli effetti di legge”. Il provvedimento adottato al termine della deliberazione deve essere depositato in cancelleria per l'inserimento nel fascicolo “il prima possibile e, in ogni caso, immediatamente dopo la cessazione dell'emergenza sanitaria”.

Ed è con questa disposizione che il “mito” della camera di consiglio, rappresentato come tempio di segretezza nel quale matura il convincimento del giudice, è stato secondo i più profanato e svilito.

La gestione telematica del processo penale: futuro praticabile o eresia?

Non è da dubitarsi che l'intransigente opposizione su tutta la linea sia – quantomeno – giustificabile. Il cambiamento di prospettiva, legato o no alla fase emergenziale, getta lo scompiglio più profondo nella concezione del processo penale, quale fino ad ora lo abbiamo conosciuto o anche soltanto mentalmente rappresentato a noi stessi. Prima di comprendere però se stiamo vivendo, processualmente parlando, un sogno o un incubo credo sia utile riflettere subito sulle condizioni di partenza, senza le quali non è nemmeno il caso – a mio modesto avviso – di concepire forme e tecniche di celebrazione delle udienze da remoto, sulle quali, poi, si potrà lungamente discutere per individuare casi e modi nei quali procedervi. Cominciamo dagli aspetti più operativi e meno astratti di un procedimento penale: sono i momenti meno solenni ma non per questo meno importanti.

Mi riferisco a tutta – ogni minimo passaggio incluso e nessuno escluso – la serie delle attività che portano alla formazione dei fascicoli di un processo. Creazione dei documenti, sottoscrizione, trasmissione, deposito, notifica, consultazione ed estrazione di copia. Se questi segmenti operativi continuano ad essere, anche soltanto in parte, possibili soltanto nelle forme “classiche” (e cioè con generazione fisica dei documenti, e loro fisica fruizione) siamo già di fronte ad un ostacolo insormontabile.

Fino ad oggi, osservavo in apertura, abbiamo fatto un uso parziale, ridotto degli strumenti informatici a nostra disposizione: la storia delle notifiche a mezzo PEC è, sotto questo aspetto, assai emblematica. L'impossibilità di depositare telematicamente un atto di impugnazione o di chiedere ed ottenere la copia di un atto processuale da remoto è un impedimento a qualsiasi forma di tecnicizzazione del processo penale. Che senso ha fantasticare di una udienza in video-collegamento se l'avvocato, ma anche il p.m., deve andare di persona a consultare le carte? Il sistema TIAP rappresenta una interessante risorsa: ma bisogna renderlo fruibile anche dall'utenza privata. Il pagamento dei diritti di copia non sarà certamente così complicato, basta predisporre applicazioni ad hoc, e fare ricorso al consueto strumento dell'home banking, col quale oggi possiamo compiere praticamente tutte le normali transazioni. L'accesso telematico al fascicolo del giudice, o del p.m. è, quindi, il primo passo da compiere e l'emergenza sanitaria che stiamo dolorosamente attraversando può benissimo essere un'occasione per stabilizzare un passo in avanti del genere.

Dopo avere consentito alle parti ed al giudice di avere le carte a disposizione, diamo uno sguardo alla disciplina dell'udienza. Non mi pare che il principale problema sia l'incostituzionalità del concetto stesso di celebrazione a distanza dell'udienza: i sistemi di videoconferenza, come abbiamo visto, esistono e sono ben collaudati, riuscendo a garantire effettivamente sia il rispetto dell'oralità, sia del contraddittorio che dell'immediatezza. È più, a mio avviso, una questione di ciò che si può fare e di ciò che non si può (né deve) fare da remoto a dover guidare l'analisi.

Certo è che la disciplina d'emergenza introdotta col decreto legge 18/2020, emendamenti inclusi, genera molte perplessità. Lo strumentario normativo ha forse dato per scontato che effettivamente esistano le risorse tecnologiche necessarie ed indispensabili per garantire l'operatività concreta di quelle innovazioni, a prescindere dal fatto che siano esse o meno temporanee e legate esclusivamente all'emergenza. Tutto lascia però credere che questo affidamento riposi molto sul credito, e in parte nemmeno su quello: sappiamo bene che il momento celebrativo dell'udienza è delicato per definizione. Non avere previsto una piattaforma comunicativa specifica quale unico sistema di collegamento è già un grosso problema, perché il buon funzionamento – è proprio il caso di dirlo – dell'udienza non può certamente essere garantito per mezzo di collegamenti la cui efficienza dipenderà sempre e comunque dalle personalissime dotazioni degli utenti.

Non si può nemmeno condividere, di conseguenza, quella parte della normativa che rimette la scelta degli applicativi ad un atto amministrativo: non è per fare uso di luoghi comuni, ma la “importanza” – mettiamola così – del processo penale merita di essere, nelle sue fasi strutturali, regolata necessariamente con legge o con atti a questa equiparati. E nemmeno questa delega agli organi amministrativi – cioè al Direttore Generale dei servizi informativi e automatizzati del Ministero della Giustizia – può essere ritenuta soddisfacente solo perché la scelta delle piattaforme diverse dalla videoconferenza “ufficiale”, già collaudata e ben operante presso gli uffici giudiziari, è limitati ai casi nei quali non deve essere garantita la fonìa riservata tra difensore e assistito. Basta, a questo proposito, ricordare che nel processo penale un momento del genere – fatti salvi i casi nei quali l'assistito per sua scelta non compare – semplicemente non esiste.

Andiamo adesso alla gamma delle attività di udienza che potrebbero essere celebrate da remoto: non credo che sia esecrabile celebrare con modalità telematica le udienze di mero rinvio, quelle nelle quali non deve procedersi all'audizione di un dichiarante, o nel corso delle quali debba semplicemente sciogliersi una riserva del giudice su una determinata questione. L'elenco delle attività eseguibili da remoto potrebbe essere ancora più lungo. Mi sembra invece perlomeno censurabile l'elencazione – che si dovrebbe ritenere tassativa – contenuta nel comma 12-bis del decreto 18/2020. In esso, come già osservato, non si fa cenno all'esame del testimone. E' prevista, invece, la celebrazione da remoto dell'udienza a cui debba prendere parte un perito o un consulente tecnico. Quale è la ragione di questa differenza? E poi: senza avere possibilità di consultare da remoto i fascicoli come si può pensare di condurre l'esame o il controesame di un perito, o di un consulente tecnico? Sarebbe stato certamente preferibile escludere in radice la possibilità di celebrare udienze in cui debba darsi corso all'assunzione di prove orali, e disporne il loro rinvio.

Con riferimento alle udienze di convalida dell'arresto o del fermo, anche in questo caso il problema non è ideologico – se celebrarle o non celebrarle da remoto – ma essenzialmente pratico. È “psicologicamente” corretto che l'arrestato o il fermato debbano intervenire dall'ufficio di polizia più vicino, presso il quale ci sia la disponibilità del videocollegamento? Sotto questo specifico aspetto, per meglio tutelare la libertà o per meglio dire la spontaneità espressiva del soggetto raggiunto dalla precautela, sarebbe probabilmente stato più corretto consentirne il collegamento da un'aula appositamente dedicata presso gli uffici giudiziari competenti a procedere alla convalida. Questi ultimi, oltre ad essere attrezzati per la videoconferenza, rappresentano anche idealmente lo “spazio neutrale” di appannaggio del giudice, piuttosto che della p.g. che ha operato l'arresto o il fermo.

Anche con riguardo alla possibilità di compiere attività da remoto nel corso delle indagini preliminari si può discutere: il principale appunto che, però, si può sollevare sin da subito riguarda l'imprescindibilità della presenza dell'indagato presso gli uffici di p.g., mentre il difensore può a propria scelta rimanere presso il suo studio professionale. Su questo aspetto le disattenzioni del decretatore d'urgenza sono (almeno) due: la prima si individua nel non aver reso obbligatoria la presenza dell'indagato presso gli uffici di p.g. soltanto per il disbrigo degli adempimenti legati alla identificazione ed elezione del domicilio. La seconda risiede nella scelta tecnica: dalla formulazione della norma sembra che il collegamento debba essere effettuato con strumenti diversi dalla videoconferenza perché – lo si ricava per esclusione – questo sarebbe uno di quei momenti in cui non vi sarebbe necessità di garantire la fonìa riservata tra assistito e difensore. Nulla di più sbagliato: se prendiamo come esempio l'interrogatorio della persona sottoposta ad indagini non possiamo certamente negare che quello è, anzi, un momento nel quale difensore e assistito devono poter comunicare riservatamente, non foss'altro che per concordare le legittime strategie difensive da mettere in pratica.

La cima apicale dell'eterodossia, lo abbiamo già visto in precedenza, si raggiunge nella disciplina della camera di consiglio virtuale. Momento essenziale, decisivo di ogni procedimento penale, meritava certamente più attenzione sotto il profilo della garanzia della segretezza. Non è per amore di retorica – dalla quale per natura rifuggo – ma piuttosto per scongiurare possibili dubbi sulla correttezza di una decisione assunta da un collegamento tra giudici collocati in non meglio precisati luoghi diversi tra di loro. A questo proposito sarebbe certamente stato più corretto – nel rispetto del distanziamento sociale e di tutti gli altri presidi anticontagio – prevedere che l'unico luogo dal quale partecipare alla camera di consiglio virtuale fosse la sede istituzionale del giudice, cioè la stanza dell'ufficio nel quale egli abitualmente lavora. Metà delle critiche sollevate nei confronti di questa norma forse non avrebbero avuto ragione d'esistere. In ultimo, non si può essere d'accordo con la norma che prevede il deposito in cancelleria “il prima possibile” del provvedimento adottato all'esito della camera di consiglio. Anche in questo caso non sarebbe stato difficile prevedere che il collegio potesse formare il documento e firmarlo digitalmente per inserirlo nel fascicolo e renderlo così consultabile da remoto.

E così siamo ritornati al punto di partenza: se il fascicolo telematico del processo non esiste, come potrà mai funzionare un sistema per metà tradizionale e per metà innovativo? La domanda, soltanto per questa volta, è retorica.

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