La Corte Suprema ritorna sulla differenza fra assegno di separazione e di divorzio
24 Aprile 2020
Tizia ha presentato ricorso in Cassazione per chiedere l'annullamento della sentenza della Corte d'Appello di Milano, che determinava in € 10.000 l'assegno divorzile che l'ex marito era obbligato a versarle mensilmente, mentre Caio resisteva con controricorso e contestuale ricorso incidentale, formulando altrettanti motivi. La Corte di Cassazione ha dapprima precisato la diversa natura dell'assegno di divorzio rispetto a quello di separazione, per poi soffermarsi sui presupposti dell'assegno divorzile e sull'incidenza del criterio del tenore di vita. Procedendo con ordine occorre, innanzitutto, rilevare come la separazione – e di conseguenza anche il relativo assegno – presupponga la permanenza del vincolo coniugale: si ha, infatti, solo una sospensione dei doveri “personali” del matrimonio (quali quello di convivenza, di fedeltà e di collaborazione), mentre permangono i doveri di natura economica. Nell'ambito del divorzio, invece, sono recisi tutti i rapporti tra i coniugi, personali ed economici. Due piani da considerare distintamente. Tanto è vero che l'ordinanza in questione, nell'esaminare la decisione della Corte d'Appello, ha evidenziato come quest'ultima abbia «erroneamente ritenuto che la res iudicata formatasi sulla misura del contributo al mantenimento riconosciuto (…) in sede di separazione (…) avrebbe esteso i propri effetti fino a coprire anche la misura dell'assegno divorzile». Il Supremo Collegio ha, dunque, voluto ribadire le differenze tra i due ambiti, sottolineando come tale interpretazione sia stata resa in evidente contrasto con la completa autonomia dei due giudizi: di separazione e divorzio, appunto. Dalla struttura delineata discende così la diversa natura assolta dai due correlati assegni: quello di separazione mira in buona sostanza a mantenere, in favore del coniuge più debole economicamente, lo stesso tenore di vita che aveva durante il matrimonio, l'assegno di divorzio, invece, ha solo lo scopo di garantire all'ex coniuge, più debole economicamente, il necessario per vivere ed essere autosufficiente: non deve essere calcolato, dunque, in base al precedente tenore di vita della coppia. Come noto, il parametro per valutare l'adeguatezza dei mezzi del richiedente era stato individuato, già dal 1990, proprio nel tenore di vita analogo a quello esistente durante il matrimonio. È con la sentenza Cass. civ. n. 11504/2017 che la Cassazione abbandona questo criterio, superando, di fatto, la concezione «patrimonialistica» del matrimonio, intesa quale “sistemazione definitiva”, facendo prevalere l'idea di atto di libertà e di autoresponsabilità. Venendo meno l'aspetto patrimonialistico, non è parso ritenuto corretto prolungare in modo forzoso gli effetti del matrimonio anche dopo la sua fine: non è più necessario considerare il tenore di vita, dunque, ma conta il criterio dell'indipendenza o autosufficienza economica. Questa corrente di pensiero ha inevitabilmente innescato un contrasto giurisprudenziale con l'orientamento precedente: sul punto sono intervenute le Sezioni Unite, con la ben nota sentenza Cass. civ. n. 18287/2018, che hanno applicato un correttivo al criterio suindicato, affermando che la sussistenza del diritto all'assegno di divorzio va valutata in base ad un criterio composito. Più precisamente, l'assegno divorzile in favore dell'ex coniuge ha natura assistenziale, ma anche perequativo-compensativa, discendente direttamente dal principio costituzionale di solidarietà, che permette la determinazione di un contributo volto, non a conseguire l'autosufficienza economica del richiedente sulla base di un parametro astratto, bensì un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella vita familiare in concreto, tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate, della inadeguatezza dei mezzi del richiedente e l'impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive e fermo restando che la funzione equilibratrice non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e dell'apporto fornito dall'ex coniuge, economicamente più debole, alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi. È proprio in base al quadro descritto che deve essere letta e considerata l'ordinanza in esame. Il provvedimento, infatti, esplicita chiaramente come «Secondo la più recente giurisprudenza di legittimità per la piena definizione operatane dalle Sezioni Unite di questa Corte, non entra più a comporre la cornice dell'assegno divorzile il mantenimento del pregresso tenore di vita», sottolineando come quest'ultimo abbia rilievo «in caso di assegno di mantenimento da fissarsi in sede di separazione», mentre – prosegue il Supremo Collegio – «nella determinazione dell'assegno ex art. 5 l. n. 898/1970 (…) debba restare estranea ogni esigenza di mantenimento del pregresso tenore di vita». In conclusione la Corte di Cassazione ha ritenuto, “in accoglimento dei motivi introdotti” di cassare la sentenza impugnata della Corte d'Appello di Milano, rinviando alla stessa Corte in composizione diversa per permetterne una rilettura, alla luce del nuovo orientamento affermatosi, oltre che per regolamentare le spese. |