Gli accordi quadro per la valutazione dei test sierologici volti ad appurare la presenza di anticorpi anti Covid-19 sono assoggettati all’evidenza pubblica?

24 Aprile 2020

Gli accordi volti all'implementazione dei test sierologici dovrebbero essere assoggettati alla disciplina sull'evidenza pubblica nel caso in cui gli stessi non si esauriscano in una pura e semplice collaborazione scientifica tra l'operatore che li ha sviluppati e l'ente pubblico che è chiamato ad adoperarli.I decreti cautelari sono appellabili solo nel caso in cui sia dimostrato il pericolo concreto di irreversibile perdita di un “bene della vita” tutelato da norme costituzionali.

La vicenda. Com'è noto, nella c.d. fase due dell'epidemia dovrebbero acquisire un ruolo centrale i test sierologici che sono in grado di verificare se il soggetto che vi si sottopone abbia o meno sviluppato gli anticorpi anti COVID-19.

Le pronunce cautelari di cui si dà notizia hanno ad oggetto la delibera assunta da un Policlinico con cui è stata accettata “la proposta di collaborazione avanzata [da un operatore economico] per la valutazione di test sierologici e molecolari per la diagnosi di infezione da SARS-Cov-2”. Proposta di collaborazione che, a dire del ricorrente, non avrebbe dovuto essere accolta, dovendo il Policlinico individuare il proprio partner per lo sviluppo di detti test solo a valle di una procedura assoggettata alle regole dell'evidenza pubblica.

Il Decreto del Presidente del TAR Lombardia. Con Decreto Presidenziale n. 596/2020, il Presidente del TAR Lombardia ha rigettato l'istanza cautelare ex art. 56 c.p.a. proposta da parte ricorrente per via della insussistenza del “requisito dell'estrema gravità e urgenza”. In detto Decreto - e da qui il motivo per cui si ritiene che lo stesso sia degno di nota - si evidenzia tuttavia, con riferimento al fumus boni iuris, che l'accordo contestato non parrebbe, prima facie, un accordo di “pura collaborazione scientifica”. E ciò perché esso presenterebbe “precisi vantaggi economici”, che, come tali, avrebbero dovuto imporre di assoggettarlo al “confronto concorrenziale”.

A tal riguardo si legge infatti nel Decreto in questione che l'accordo “non sembra finalizzato alla valutazione clinica di un dispositivo diagnostico già pronto”, sibbene “all'elaborazione di nuovi test molecolari e sierologici per la diagnosi di infezione da SARS-Cov-2, sulla base di un prototipo (…) che dovrà essere implementato in esecuzione dell'accordo”. Il quale prevede, altresì, il “riconoscimento dei diritti economici riguardanti la titolarità dell'invenzione per i ricercatori che hanno preso parte al progetto da cui è derivata l'invenzione medesima”.

Da tali elementi sembrerebbe scaturire la necessità, quand'anche l'accordo in questione fosse riconducibile alle “ipotesi di collaborazione delineate dall'art. 8, quinto comma, d.lgs. n. 288/2003”, di assoggettare lo stesso “al rispetto dei principi interni ed eurounitari in materia di contratti pubblici”.

Il Decreto del Presidente della III sezione del Consiglio di Stato. Nelle more della decisione collegiale sull'istanza cautelare, che è prevista per il prossimo 13 maggio, parte ricorrente ha appellato il suddetto Decreto Presidenziale innanzi al Consiglio di Stato.

Da detto appello è scaturito il Decreto n. 596/2020, col quale lo stesso è stato ritenuto inammissibile. E ciò alla luce alla luce “della consolidata giurisprudenza (…) che ammette l'appello avverso decreto presidenziale del T.A.R. soltanto allorché sia dimostrato il pericolo concreto di irreversibile perdita di un “bene della vita” tutelato da norme costituzionali. Pericolo che, nella specie, è stato implicitamente ritenuto insussistente.

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