Case popolari: la delicata questione dei figli maggiorenni in tema di ampliamento del nucleo familiare
27 Aprile 2020
A seguito della morte del padre, Tizio subentra nell'assegnazione dell'alloggio, si sposa e chiede l'ampliamento del nucleo familiare includendo anche il figlio della moglie. La richiesta viene negata dall'Aler di Milano secondo una legge regionale. Nonostante il ragazzo sia maggiorenne, non è autosufficiente, pertanto deve vivere in famiglia, come può Tizio agire a livello legale per tutelare la sua situazione e non rischiare di perdere l'assegnazione dell'alloggio? Al momento la presenza in casa del ragazzo è giustificata con ospitalità con scadenza fine maggio 2020.
Ai fini di una possibile risposta al quesito esposto occorre analizzare la disciplina regionale di riferimento; successivamente, occorre interpretarla secondo i principi del diritto di famiglia. Ebbene, i servizi abitativi pubblici in Lombardia (SAP) sono regolati dalla l.r. n. 16/2016 e dal regolamento regionale n. 4/2017. Quanto al subentro, l'art. 22, comma 12, l. n. 16/2016 recita che «il diritto di subentro nell'alloggio sociale è consentito solo ai componenti del nucleo familiare presenti all'atto dell'assegnazione e che abbiano convissuto continuativamente con l'assegnatario sino al momento del decesso di quest'ultimo, purché in possesso dei requisiti di permanenza nei servizi abitativi pubblici. Resta fermo il diritto di subentro nell'alloggio sociale per coloro che, successivamente all'assegnazione, entrano a far parte del nucleo familiare per ampliamento dello stesso a seguito di nascita, matrimonio, unione civile, convivenza di fatto con il titolare dell'assegnazione o provvedimento dell'autorità giudiziaria». A questo punto, occorre esaminare la questione dell'ampliamento alla luce dell'art. 18 del regolamento regionale n. 4/2017. Di particolare importanza si riporta il comma 1 secondo cui «si ha ampliamento del nucleo familiare nei casi di accrescimento naturale o legittimo, matrimonio, unione civile, convivenza di fatto o provvedimento dell'autorità giudiziaria purché non comporti la perdita di uno o più dei requisiti previsti per la permanenza nei servizi abitativi pubblici; il comma 1-bis, invece, recita che “è altresì ammesso l'ampliamento del nucleo familiare nel caso di: ascendenti di primo grado (genitori); discendenti di primo grado (figli) che, già facenti parte del nucleo assegnatario, siano usciti dallo stesso e ne facciano rientro”. Premesso quanto innanzi esposto, in merito alle citate regole, possiamo dire che l'utente è subentrato al padre. Successivamente, la moglie è subentrata nell'assegnazione come coniuge dell'utente; quindi, ampliamento del nucleo familiare dell'utente. Quanto al figlio maggiorenne avuto da altra relazione, secondo le citate disposizioni, non sembra che l'ipotesi contemplata dall'utente rientri nei casi previsti in quanto il legislatore ha previsto solo rapporti diretti (matrimonio, convivenza, unione civile, nascita, ecc.) Per meglio dire, per comprendere la finalità di tale assunto, occorre richiamare i principi di diritto sull'argomento elaborati dalla dottrina in materia di famiglia. Invero, da un punto di vista socio-giuridico, le persone che vengono a trovarsi in “questi panni” sono definite “genitori sociali” o “terzi genitori”. In proposito, alcuni autori hanno osservato che nel nostro ordinamento, una volta definiti i diritti e i doveri del genitore biologico, non vi è modo di estendere tali facoltà e doveri a terzi. Ne deriva che non è possibile per il “genitore sociale” assumere responsabilità o potestà proprie di quello biologico e ciò anche quando al divorzio tra i due genitori segua un nuovo matrimonio (civile) tra uno dei due genitori ed un altro partner. Più in particolare sul nuovo partner non grava alcun dovere di mantenimento e nessun obbligo c.d. “alimentare”. Secondo la legge (art. 433 c.c.), infatti, i familiari verso i quali si ha un obbligo di assistenza sono tassativamente: il coniuge; i figli anche adottivi, e, in loro mancanza, i discendenti prossimi; i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi; gli adottanti; i generi e le nuore; il suocero e la suocera; i fratelli e le sorelle germani o unilaterali, con precedenza dei germani sugli unilaterali. Ciò posto, nel caso in cui, sussistendo “figli di precedente matrimonio” sia celebrato un altro matrimonio, il nuovo partner – fermo restando il dovere di assistenza verso il proprio coniuge e di collaborazione nell'interesse della famiglia (art. 143 c.c.) – non è tenuto a “mantenere” i figli che non sono suoi, poiché secondo la legge non ha, con questi ultimi, alcun tipo di legame familiare o giuridico. A causa del presente vuoto normativo, l'unica disciplina presente in Italia è quella che prevede la possibilità di adozione del figlio del coniuge. Solo grazie a questa legge (art. 44 let. b) della l. n. 184/1983), il genitore può – a determinate condizioni – acquisire la responsabilità genitoriale nei confronti del figlio del proprio compagno e farsi carico di una serie di doveri nei suoi confronti. In conclusione, attesa la particolarità della vicenda e gli aspetti in gioco (immobiliare e famiglia), occorre una maggiore tutela da parte del legislatore atteso che, in Italia, le famiglie “ricostituite” sono sempre più numerose, così come numerosi sono i partner che vivono con i figli minori delle proprie compagne; così come figli maggiorenni, come nel caso in questione, esclusi dal riconoscimento delicato del subentro/ampliamento nell'ambito degli alloggi popolari.
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