Patent box: dalla definizione partecipata al “fai da te”
29 Aprile 2020
Lineamenti generali del regime di Patent box
Il regime di Patent box italiano attualmente vigente consiste in una esclusione dal concorso alla formazione della base imponibile Irpef/Ires ed Irap di una quota pari al 50% dei redditi derivanti dalla utilizzazione di determinati beni immateriali (d'ora in poi “IP”). La disposizione è stata introdotta dalla Legge di stabilità 2015 (legge 23 dicembre 2014 n. 190), come modificata dal decreto legge del 24 gennaio 2015, n. 3 (“Investment compact”), all'articolo 1 commi 37 – 45. Nel Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze del 28 novembre 2017 (“Decreto MEF 28 novembre 2017”; tale decreto ha sostituito il decreto interministeriale del 30 luglio 2015, a seguito della necessità di adeguare la disciplina all'espungimento, dall'elenco dei beni agevolabili, dei marchi d'impresa, disposto dall'art. 56 del D.L. 24 aprile 2017 n. 50) è stata, poi, disegnata l'architettura e sono stati definiti i concetti base dell' agevolazione. L'agevolazione è riservata ai titolari di reddito di impresa che non si trovino assoggettati a determinate procedure concorsuali (articoli 2 e 3 del Decreto MEF 28 novembre 2017). Il reddito agevolabile può derivare: a) dalla concessione in uso a terzi del bene immateriale (c.d. "utilizzo indiretto"), nel qual caso il reddito agevolabile è costituito dalle royalties che rinvengono da tale concessione in uso, al netto dei costi fiscalmente rilevanti e connessi al singolo bene, diretti ed indiretti (per esempio: personale addetto a R&S, spese ricerca “esterne”, costi indiretti ed ammortamenti allocabili all'area ricerca, etc.), di competenza del periodo d'imposta (in tal senso Relazione illustrativa al DM 30.07.2015). b) dall'utilizzo diretto dell'IP da parte dell'impresa, nel qual caso è necessario individuarne il contributo economico, positivo o negativo, che ha concorso a formare il reddito d'impresa (art. 7 Decreto MEF 28 novembre 2017). Nel caso a) l'impresa può determinare l'agevolazione direttamente al momento della liquidazione delle imposte in dichiarazione. Nel caso b), invece, la fruizione del beneficio passa per la determinazione del reddito agevolabile dell'IP, che deve avvenire attraverso apposite metodologie mutuate dal regime del transfer princing, meglio analizzate nei successivi paragrafi Il presente contributo si concentra sull'analisi della fattispecie dell'uso diretto del bene immateriale (caso b). Una delle due condizioni per accedere al regime Patent Box è il possesso del diritto allo sfruttamento economico del bene (art. 2, comma 2, DM 28 novembre 2017). I beni immateriali, i cui redditi possono formare oggetto della parziale detassazione,possono essere considerati singolarmente, oppure possono essere collegati tra loro da un vincolo di complementarietà. Nella specie, i beni possono consistere in (articolo 7 del DM 28 novembre 2017): • software protetto da copyright; • brevetti industriali (anche in corso di concessione), brevetti per invenzione incluse le invenzioni biotecnologiche ed i relativi certificati complementari di protezione, brevetti per modello di utilità, nonché brevetti certificati per varietà vegetali e topografie di semiconduttori; • disegni e modelli giuridicamente tutelabili; • informazioni aziendali e esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali o scientifiche proteggibili come informazioni segrete, giuridicamente tutelabili (c.d. Know How). Per la definizione di tali beni immateriali e dei requisiti per la loro esistenza e protezione, si fa riferimento alle norme nazionali, dell'Unione Europea ed internazionali ed a quelle contenute in regolamenti dell'Unione europea, trattati e convenzioni internazionali in materia di proprietà industriale ed intellettuale, come riportato all'articolo 6, comma 2, del DM 28 novembre 2017. È questo un aspetto essenziale e costitutivo del diritto alla agevolazione: se sussistono dubbi sulla esistenza in senso giuridico del bene immateriale, è inutile e pericoloso procedere, in quanto si rischierebbe di vedersi disconosciuta l'agevolazione in seguito. L'altra condizione base per poter accedere al regime Patent Box è lo svolgimento di attività di ricerca e sviluppo finalizzata a sviluppo, mantenimento ed accrescimento del valore degli IP agevolabili (art. 1, comma 41, Legge di Stabilità 2015), come dettagliato nelle diverse tipologie di ricerca indicate all'art. 8 del DM 28 novembre 2017. Circa la sovrapponibilità della definizione di tali spese rispetto a quella contenute nella normativa sulla agevolazione del credito d'imposta per ricerca e sviluppo di cui all'art. 3, DL 23 dicembre 2013, n. 145, l'argomento richiederebbe un apposito approfondimento. Non è necessario che nell'anno di fruizione dell'agevolazione si siano sostenute le spese, essendo possibile che esse siano state sostenute in anni precedenti. Non è sufficiente che l'impresa sostenga generiche spese di ricerca e sviluppo, in quanto è necessario che sussista un collegamento tra esse ed il bene immateriale. Al fine di dimostrare tale nesso, l'impresa deve dotarsi di un adeguato sistema di tracciatura contabile o extracontabile (track&tracking) come previsto dall'art. 11 del DM 28 novembre 2017. Il sistema di tracciatura consentirà, altresì, di memorizzare le perdite prodotte dall'attività di investimento che dovranno essere scomputate dai redditi degli anni successivi rinvenienti dal medesimo bene, come meglio indicato in un successivo paragrafo. Poiché l'agevolazione mira a premiare l'attività di ricerca effettivamente svolta dall'azienda, è previsto che il beneficio sia proporzionale al rapporto tra i costi di ricerca e sviluppo che il contribuente direttamente sostiene ed i costi complessivamente sostenuti per produrre l'IP medesimo (art. 9 DM 28 novembre 2017), i quali comprendono anche i costi sostenuti per l'acquisizione presso terzi dell'IP nonché quelli derivanti da operazioni infragruppo (c.d."nexus ratio"), con alcuni correttivi ("up-lift"). Il nexus ratio, come indicato anche al § 10 della Circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 11/E del 7 aprile 2016,va costruito con un approccio additivo e, quindi, i costi da inserire nel rapporto vanno ogni anno aggiornati, a partire, in ogni caso, da quelli sostenuti a decorrere dal 2015, data di entrata in vigore della norma o, se più recente, dall'anno di primo sostenimento dei costi. Come anticipato, nel caso di utilizzo diretto del bene, il reddito agevolabile (definito anche “contributo economico” o “reddito figurativo”) consiste nella quota di reddito ascrivibile al bene o ai beni immateriali, incorporata nel reddito complessivo aziendale, reddito che il contribuente non avrebbe realizzato in assenza dell'IP stesso. Quindi, ai fini del calcolo, si assume l'esistenza di un ramo d'azienda virtuale ed autonomo all'interno dell'impresa, deputato alla concessione in uso del singolo IP allo stesso contribuente, per il quale va determinato un reddito. Allo scopo,va isolato un conto economico virtuale che tenga conto, dal lato dei ricavi, della royalty implicita che è incorporata nel prezzo di vendita dei beni ceduti/servizi prestati dall'impresa e, dal lato dei costi, di quelli, diretti ed indiretti, relativi alle attività connesse allo sviluppo, mantenimento, accrescimento dell'IP sostenuti nell'esercizio (§ 6.1 della Circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 11/E del 7 aprile 2016). La determinazione del contributo economico dell'IP deve essere effettuata sulla base dei dati contabili rilevati nei conti economici predisposti ai fini del bilancio di esercizio, oppure, a partire dai dati rinvenibili dalla contabilità analitica (o industriale), opportunamente riconciliati con i dati contabili. Il contributo economico deve, poi, essere rettificato in virtù delle variazioni fiscali previste dal TUIR, nonché con l'applicazione del nexus ratio.
Le metodologie di determinazione del reddito agevolabile Nella determinazione dei metodi e criteri di calcolo del reddito agevolabile derivante dall'utilizzo diretto dei beni immateriali, si deve fare riferimento “agli standard internazionali rilevanti elaborati dall'OCSE, con particolare riferimento alle linee guida in materia di prezzi di trasferimento” (art. 12, comma 3,DM 28 novembre 2017). Tali standards precisano che la selezione del metodo più appropriato per la determinazione dei prezzi di trasferimento deve basarsi su un' analisi funzionale dell'impresa, che permetta di raggiungere una chiara comprensione delle modalità attraverso le quali i differenti beni immateriali interagiscono con le funzioni aziendali e di comprendere quali siano i rischi che caratterizzano l'attività di impresa (in tal senso § 7.1 della Circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 11/E del 07 aprile 2016). L'analisi funzionale è un modo di interpretare il funzionamento dell'azienda. Ciascuna funzione, “produrre”, “commercializzare”, “acquistare”, consiste in un insieme di operazioni di gestione. Si tratta di gruppi di operazioni omogenee, innanzitutto dal punto di vista tecnico, con cui il sistema-azienda persegue gli obiettivi della propria gestione. Con riferimento alle aziende industriali produttrici di beni, la loro gestione si scompone nelle seguenti aree funzionali: marketing, produzione e logistica, ricerca e sviluppo, che sono le funzioni più caratteristiche, in quanto quelle in cui maggiormente si concretizza il loro oggetto tipico. Ci sono poi le funzioni integrative, con carattere di supporto, che interessano attività alquanto disomogenee, in alcuni casi rivolte all'acquisizione di fattori produttivi ed alla loro gestione, in altri casi finalizzate alla produzione di informazioni sull'andamento della gestione e sul rispetto degli obiettivi aziendali. Sulla base di tali standard, i metodi da preferire sono quello del confronto del prezzo (CUP) e quello della ripartizione dei profitti (Profit Split Method). È consentito anche l'utilizzo di altri metodi, che però nella prassi risultano usati molto raramente.
Metodo CUP L'Agenzia delle Entrate ha espresso, nel § 7.2 della Circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 11/E del 07 aprile 2016, una preferenza per il metodo CUP, in quanto ritenuto “più immediatamente idoneo a quantificare la quota parte di reddito di impresa imputabile al "ramo d'azienda virtuale" deputato alla concessione in uso degli IP agevolati e di più agevole gestione”. Il metodo CUP può essere applicato in ottica interna, ossia attraverso il confronto delle royalties applicate in contratti conclusi tra l'impresa in esame e terzi ed in ottica esterna, ossia attraverso l'identificazione su banche dati esterne di royalties applicate in transazioni comparabili tra soggetti indipendenti L'applicazione del CUP richiede un elevato livello di comparabilità, che deve essere valutato tenendo conto dei cinque criteri identificati dall'OCSE: 1.caratteristiche dei beni e dei servizi oggetto della transazione; 2. analisi delle funzioni svolte, dei rischi assunti e dei beni strumentali utilizzati; 3.termini contrattuali; 4.condizioni economiche; 5.strategie d'impresa Attraverso l'analisi di transazioni comparabili si identifica il tasso di royalty "di mercato", che verrà applicato ai ricavi relativi alle linee di business per le quali il bene immateriale è utilizzato. Il valore risultante sostanzia la quota parte del reddito (lordo) attribuibile allo sfruttamento dei beni immateriali agevolabili. Orbene, in pratica è emersa la difficoltà di individuare “transazioni indipendenti” dotate dei livelli di comparabilità richiesti,nonché la difficoltà di individuare transazioni interne comunque comparabili. Forse per questi motivi nella prassi della sottoscrizione degli accordi di ruling di questi anni si è poi verificata una netta preferenza per il metodo del Profit Split, contrariamente alle indicazioni originariamente fornite dalla Agenzia delle Entrate.
Metodo Residual Profit Split ed analisi di benchmark In questo contributo si concentra l'attenzione sul metodo del Profit Split, in quanto anche la recente modifica recata dall'articolo 4 del Decreto legge 30 aprile 2019, n. 34, fornisce, come si vedrà nel prosieguo, importanti semplificazioni nella metodologia di determinazione del reddito, qualora si applichi questo metodo. Esso, ed in particolare il Residual profit split (“RPSM”), nell'ambito del regime di Patent box determina la ripartizione del reddito dell'impresa tra le diverse funzioni routinarie esercitate, al fine di isolare, per differenza, il profitto residuale attribuibile al bene immateriale (§ 7.2.2. della Circolare Agenzia delle Entrate n. 11/E del 7 aprile 2016). È, quindi, molto importante identificare preliminarmente tutte le funzioni dell'azienda, nonché gli eventuali altri fattori che contribuiscono alla creazione del valore dell'impresa. Successivamente alla identificazione di tutte le funzioni dell'azienda, l'applicazione del metodo Residual Profit Split si risolve nei seguenti steps, così come tracciati dall'Agenzia delle Entrate con Circolare n. 11/E del 7 aprile 2016: a) individuazione, sulla base dell'analisi funzionale sopra vista,del reddito di impresa da ripartire tra le diverse funzioni aziendali; b) remunerazione delle funzioni aziendali cosiddette routinarie. Questo passaggio è fondamentale nella quantificazione del beneficio dell'agevolazione ed uno degli aspetti che, limitatamente alle PMI (Piccole Medie Imprese), ha formato oggetto di novità a seguito dell'introduzione della procedura di “autoliquidazione” (art. 4 del D.L. 30 aprile 2019, n. 34). Per giungere alla quantificazione della remunerazione delle funzioni cosiddette “routinarie”, va isolato un conto economico analitico per ciascuna di esse. Successivamente, va sviluppata un'analisi di benchmark al fine di identificare i margini ottenuti da soggetti comparabili nello svolgimento delle medesime attività, basandosi sui principi, sui metodi e sui criteri contenuti nelle Linee Guida OCSE in materia di transfer pricing. Operativamente, si tratta di individuare un PLI (Profit Level Indicator) di mercato più idoneo per ciascuna delle funzioni routinarie (ad esempio, il Markup On Total Cost di mercato – EBIT/Totale Costi di produzione – per la funzione di produzione, oppure il Return on Sales di mercato – EBIT/Ricavi – per la funzione distributiva). Successivamente, avvalendosi di banche dati specializzate, andrà estratto un campione di aziende dello stesso settore industriale del contribuente, che svolgono le singole attività routinarie senza aver realizzato attività di R&S (ad esempio, la sola attività di produzione, oppure la sola attività commerciale), estrapolando il solo valore del PLI proprio del campione. Tale valore andrà applicato all'indicatore della funzione aziendale routinaria analizzata (per esempio, alla voce “Totale costi della produzione”), per determinare la redditività sotto forma di EBIT; c) determinazione dell'extra-profitto derivante dall'utilizzo di tutti i beni intangibili e degli eventuali altri fattori che contribuiscono alla creazione di valore, individuato come differenza tra risultato economico della società e remunerazione delle funzioni routinarie di cui al punto b). In particolare dall'EBIT risultante dal bilancio aziendale andranno sottratti gli EBIT delle funzioni routinarie come quantificati al precedente punto b); d) individuazione di tutti i beni intangibili e degli altri eventuali fattori cui può essere riferito il predetto extra-profitto e selezione del bene intangibile (o dei beni intangibili) oggetto di agevolazione; e) imputazione della quota parte di extra-profitto attribuibile al bene intangibile (o beni intangibili) oggetto di agevolazione, isolando la quota parte di extra-profitto attribuibile ad altri fattori che contribuiscono alla creazione di valore. Il criterio guida deve, infatti, sempre essere la determinazione della quota parte di reddito di impresa imputabile all'ipotetico “ramo d'azienda”, deputato alla concessione in uso degli IP agevolati allo stesso contribuente, ragione per cui non può essere oggetto di agevolazione la quota parte di extra-profitto eventualmente riferibile,ad esempio,ad un marchio oppure ai cosiddetti manufacturing returns (ad esempio, la particolare qualità dei prodotti commercializzati rispetto al mercato; particolari economie di scala produttive; ecc.) e ai cosiddetti marketing returns (ad esempio, posizione commerciale particolarmente importante della società sul mercato, eventualmente imputabile alla lista clienti ed altri marketing intangibles non agevolabili).
Nel caso in cui vi siano beni intangibili agevolabili, collegati da un vincolo di complementarietà, tali per cui la finalizzazione di un prodotto, o di un processo, sia subordinata all'uso congiunto degli stessi, tali beni immateriali possono costituire un solo bene, ai fini dell'imputazione della quota parte di extra-profitto.
Dall'ammontare dei componenti positivi come sopra determinati, andranno poi sottratte le componenti negative relative ai beni agevolati (§ 6.4 della Circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 11/E del 7 aprile 2016), vale a dire i costi diretti, ossia di R&S sostenuti nel corso dell'esercizio per la produzione dello specifico IP ed i costi indiretti, ossia i costi comuni a più funzioni ed a più beni immateriali, quali quelli di tipo amministrativo, utilizzo di attrezzature in comune con altri IP, etc.; inoltre, il reddito deve essere rettificato per tener conto della rispettiva quota dei proventi e degli oneri finanziari, da calcolare con apposita ripartizione. Tutti i costi così identificati vanno, comunque, assunti nella loro rilevanza fiscale, ai sensi delle ordinarie disposizioni dei TUIR; al reddito fiscale così determinato andrà applicata la percentuale del 50% ottenendola variazione fiscale in diminuzione da applicare ai fini IRPEF/IRES ed IRAP (§ 11 della Circolare n. 11/E del 7 aprile 2016). Come visto, per ogni IP va fatto un conto economico “virtuale”, e ciò non solo per gli esercizi di fruizione della agevolazione, ma anche per gli esercizi pregressi, a partire dal 2015 (in tal senso § 12 della Circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 11/E del 7 aprile 2016), primo anno di monitoraggio. Pertanto, le eventuali perdite maturate in ciascuno di tali esercizi,e riferite ad ogni singolo IP, andranno memorizzate con il sistema di tracciatura e dovranno decurtare il reddito del primo periodo di imposta agevolabile ed anche quello dei successivi, sino al loro completo riassorbimento. Questa situazione è frequente, soprattutto nel settore farmaceutico, nel quale, a fronte di ingenti investimenti in R&S, i ricavi possono manifestarsi a distanza di qualche anno. Si ritiene, in ogni caso, che le perdite degli anni più vecchi debbano considerarsi riassorbite da eventuali utili di esercizi successivi ma anteriori al primo periodo agevolato (in tema, E. Hoizmiller “Patent box, le perdite ante-istanza riducono l'agevolazione” in Il Sole 24 Ore del 12.10.2019). L'impianto tratteggiato dalla Circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 11/E del 7 aprile 2016 si fonda sulla sostanziale diversificazione tra la procedura di ruling obbligatorio e quella di ruling facoltativo. I titolari di reddito di impresa che utilizzano direttamente l'IP devono necessariamente attivare la procedura di accordo preventivo con l'Amministrazione finanziaria (il ruling, per l'appunto), al fine di definire in contraddittorio i metodi ed i crediti di determinazione del reddito agevolabile. Ai sensi dell'art. 4, comma 3, del DM del 28 novembre 2017, qualora la quota di reddito agevolabile sia determinata ai sensi dell'articolo 1, comma 39, secondo periodo o quarto periodo della Legge di Stabilità 2015, l'opzione ha efficacia dal periodo di imposta in cui è presentata la richiesta di ruling, ai sensi dell'art. 31 – ter, comma 6, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Nel caso di ruling obbligatorio, l'opzione per il regime Patent Box, comunicata con modalità telematiche all'Agenzia delle Entrate, ha efficacia per cinque periodi di imposta (ed è irrevocabile e rinnovabile) a partire dall'anno di presentazione dell'istanza di ruling. Tuttavia, qualora il contribuente dopo aver presentato l'istanza, ometta di presentare o integrare la documentazione entro 120 giorni dalla produzione di detta istanza (articolo 6 del Provvedimento dell'Agenzia delle Entrate n. 2015/154278 del 1 dicembre 2015), l'opzione esercitata per la procedura Patent Box rimane senza efficacia, senza alcuna conseguenza per il contribuente. Il tema del differimento dell'efficacia dell'opzione va diversamente declinato in caso di ruling facoltativo, vale a dire quando: a) il reddito derivante dall'utilizzo di IP viene realizzato nell'ambito di operazioni con società che direttamente o indirettamente controllano l'impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa; b) le plusvalenze derivanti dalla cessione di IP sono realizzate nell'ambito di operazioni con società che direttamente o indirettamente controllano l'impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa. In questo caso, come chiarito dalla stessa Amministrazione finanziaria con Circolare n. 11/E del 7 aprile 2016 (pag. 15 e ss..), qualora venga esercitata l'opzione e non venga presentata l'istanza per il ruling facoltativo, l'opzione rimane comunque efficace ed il quinquennio inizia a decorrete; il titolare del reddito di imprese determina autonomamente il reddito agevolabile. Tuttavia, se nel corso del quinquennio il titolare di reddito di impresa presenta istanza di ruling facoltativo, lo stesso non potrà continuare a determinare il reddito autonomamente, ma dovrà attendere la conclusione dell'accordo con l'Agenzia delle Entrate. Se dopo aver attivato l'opzione ed aver presentato istanza di ruling, il contribuente non presenta o non integra la documentazione entro il termine di 120 giorni (art. 6 del Provvedimento dell'Agenzia delle Entrate n. 2015/154278 del 1 dicembre 2015), l'istanza sarà considerata decaduta, ma l'opzione, a differenza di quanto accade per il ruling obbligatorio, resterà valida, potendo il contribuente continuare a determinare autonomamente il reddito agevolabile o presentare nuova istanza di ruling.
Per entrambe le tipologie di ruling, nelle more della stipula dell'accordo preventivo, come specificato dall'art. 4 del DM del 28 novembre 2017, il contribuente è tenuto a determinare il reddito di impresa secondo le regole ordinarie. Tuttavia, al fine di garantire l'accesso al beneficio fin dal periodo di imposta in cui è presentata l'istanza di ruling, il comma 4 del predetto articolo, precisa che la quota di reddito agevolabile, relativa ai periodi di imposta compresi tra la data di presentazione dell'istanza e la data di sottoscrizione dell'accordo, può essere indicata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta di sottoscrizione dell'accordo. L'Amministrazione finanziaria, nel Provvedimento n. 2015/154278 del 1° dicembre 2015, non fa alcun cenno ai rimedi esperibili dal contribuente nel caso di mancato raggiungimento dell'accordo, consacrato nel verbale di chiusura. Se si considera che il Patent Box è un'“agevolazione fiscale”, sembra corretto ritenere che il verbale mediante il quale è fatto esplicitamente constatare il mancato raggiungimento dell'accordo in sede di “ruling” da Patent Box, è un atto impugnabile ai sensi dell'art. 19, comma 1°, lett. h), D.Lgs. n. 546 del 1992, in quanto diniego di agevolazione che lede immediatamente e direttamente la sfera giuridica del contribuente. La procedura si perfeziona con la sottoscrizione del responsabile dell'ufficio competente e del legale rappresentante o di altra persona munita dei poteri di rappresentanza dell'impresa, di un accordo nel quale: a. sono definiti i metodi e criteri di calcolo del contributo economico alla produzione del reddito d'impresa o della perdita, in caso di utilizzo diretto dei beni di cui all'articolo 6 del DM 28 novembre 2017; b. sono definiti i metodi e criteri di calcolo dei redditi derivanti dall'utilizzo dei beni di cui all'articolo 6 del DM 28 novembre 2017, in ipotesi diverse da quelle di cui alla precedente lettera a, realizzati nell'ambito di operazioni con società che direttamente o indirettamente, controllano l'impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa; c. sono definiti i metodi e criteri di calcolo delle plusvalenze di cui all'art. 10 del DM 28 novembre 2017, realizzate nell'ambito di operazioni con società che direttamente o indirettamente, controllano l'impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa. L'accordo acquista efficacia vincolante per entrambe le parti che lo hanno sottoscritto e rimane in vigore per il periodo di imposta in cui è presentata l'istanza di accordo preventivo e per i quattro periodi di imposta successivi, ai sensi dell'art. 4, comma 3, del DM 28 novembre 2017 (art. 8 del Provvedimento dell'Agenzia delle Entrate n. 2015/154278 del 1 dicembre 2015). Vediamo in dettaglio le metodologie di determinazione del reddito.
Il Disegno di Legge al D.L. 30 aprile 2019, n. 34 (“Decreto Crescita”), ben evidenzia la volontà del Legislatore di semplificare le procedure di fruizione della tassazione agevolata sui redditi derivanti dall'utilizzo di taluni beni immateriali, consentendo ai contribuenti di determinare e dichiarare direttamente il proprio reddito agevolabile. In particolare, il comma 1, primo periodo, dell'articolo 4 stabilisce che, a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore della legge, i soggetti titolari di reddito di impresa che optano per il regime agevolativo “patent box” (disciplinato dall'articolo 1, commi da 37 a 45, della legge 23 dicembre 2014, n. 190) possono scegliere, in alternativa alla procedura di cui all'articolo 31-ter del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (ovvero mediante accordo preventivo e in contraddittorio con l'Agenzia delle entrate, come descritta al precedente capitolo 2), di determinare e dichiarare direttamente il reddito agevolabile sulla base di calcoli eseguiti in autonomia dal contribuente, rimandando il relativo confronto con l'Amministrazione finanziaria ad una successiva fase di controllo, indicando i dati necessari al computo dello stesso nella “Documentazione Idonea” di cui all'art. 4 del D.L. 30 aprile 2019, n. 34 e di cui al Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate prot. n. 658445/2019 del 30 luglio 2019 (su cui si tornerà infra). Ictu oculi emerge sin da subito la novità rilevante introdotta dal Decreto Crescita: il procedimento di “autoliquidazione” si “affianca” ma non sostituisce la procedura di ruling. Essendo tale procedura di “autoliquidazione” alternativa a quella di ruling e non essendoci indicazioni contrarie né nell'art. 4 del D.L. 30 aprile 2019, n. 34, né nel Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate prot. n. 658445/2019 del 30 luglio 2019, si può ragionevolmente ritenere che la stessa sia esperibile qualora il bene immateriale (vale a dire l' IP) sia utilizzato direttamente (nel qual cosa la presentazione dell'istanza di ruling è obbligatoria), sia nell'eventualità in cui lo stesso venga utilizzato indirettamente (nel qual cosa la presentazione dell'istanza di ruling è facoltativa), come del resto osservato, condivisibilmente da Assonime (Circolare n. 1 del 24 gennaio 2020, pagg. 20 e 21). Due sono gli elementi che connotano la procedura di “autoliquidazione”: a) la predisposizione di “Documentazione Idonea”, la quale è costituita da un documento, articolato in due sezioni (A e B), contenenti i dati e le informazioni rispettivamente riferibili al periodo di imposta ed al periodo dell'agevolazione Patent Box; b) la variazione in diminuzione, a seguito dell'esercizio dell'opzione, è ripartita in tre quote annuali, di pari importo, da indicare nella dichiarazione dei redditi ed Irap relativa al periodo di esercizio dell'opzione ed in quelle successive. L'opzione ha durata annuale, è irrevocabile e rinnovabile. Vediamo nel dettaglio. L'art. 4, comma 4, del D.L. 30 aprile 2019, n. 34, prevede che la procedura di “autoliquidazione” sia applicabile anche alle procedure attivate in anni precedenti ai sensi dell'articolo 31-ter del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Si riporta testualmente: “le disposizioni di cui al presente articolo, si applicano anche in caso di attivazione delle procedure previste dall'articolo 31 ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, a condizione che non sia stato concluso il relativo accordo, previa comunicazione all'Agenzia delle Entrate dell'espressa volontà di rinuncia alla medesima procedura”. La Relazione Tecnica al D.L. de quo ha chiarito che “Tale disciplina si applica anche nel caso in cui sia in corso la procedura prevista dall'articolo 31-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973”. Questa norma è stata prevista al fine di accelerare la fruizione del beneficio, alla luce dei considerevoli tempi tecnici richiesti dalle procedure di ruling. L'Agenzia si è orientata nel senso di ritenere che solo per le istanze di ruling già presentate alla data di entrata in vigore del Decreto 34 (decreto Crescita) il contribuente possa rinunciare alla procedura di ruling già presentata ed optare per la “autoliquidazione”, mentre tale "passaggio" non sarebbe consentito per il futuro. Ed infatti al § 7 del Provvedimento del Direttore dell'Agenzia prot. n. 658445/2019 del 30 luglio 2019, si legge che “coloro che abbiano in corsouna procedura di Patent Box alla data di entrata in vigore del decreto Crescita possono esercitare l'opzione di cui al punto 1.1”. In realtà l'articolo 4, comma 4, del D.L. citato statuisce un concetto più ampio, ossia che “le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche in caso di attivazione delle procedure previste dall'articolo 31-ter del DPR 600/73”. A sommesso avviso di chi scrive, l'utilizzo della congiunzione “anche” non limita l'applicazione della disposizione alle procedure di ruling “in corso” alla data di entrata in vigore del D.L. 30 aprile 2019, n. 34 e, quindi, alla data del 01.05.2019, ma se ne ritrae la conclusione che essa sia una opzione applicabile a regime. Tale dettato normativo (art. 4, comma 4, del D.L. 30 aprile 2019, n. 34), non può in alcun modo essere sconfessato da un Provvedimento di attuazione, quale è quello del Direttore dell'Agenzia delle Entrate. Sul punto è intervenuto anche Assonime con Circolare n. 1 del 24 gennaio 2020, il quale ha osservato che la soluzione interpretativa dell'Agenzia “non può essere condivisa, perché oltremodo penalizzante per le imprese e, com'è intuitivo, in contrasto con la stessa ratio ispiratrice dell'art. 4 del Decreto Crescita che, per l'appunto, è volto a "rilanciare" l'agevolazione fiscale in commento, superando così il regime dell'autoliquidazione le lungaggini del meccanismo operativo basato sulla procedura di ruling” (pag. 22). Si può ragionevolmente concludere che, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 4 del D.L. 30 aprile 2019, n. 34, la presentazione dell'istanza di ruling non ha più efficacia ostativa alla possibilità di determinare autonomamente il reddito; solo la conclusione dell'accordo segna il punto di non ritorno.
Cosa accade, pertanto, qualora il titolare del reddito di impresa decida di abbandonare la procedura di ruling per percorrere la strada dell' “autoliquidazione”? In primis, si può ragionevolmente ritenere che nel momento in cui il titolare del reddito di impresa (il quale utilizzi direttamente o indirettamente l'IP) opti per l'“autoliquidazione”, dovrà predisporre la “Documentazione Idonea” di cui al Provvedimento del Direttore dell'Agenzia prot. n. 658445/2019 del 30 luglio 2019, avuta considerazione del fatto che il punto 7.2 del sopracitato Provvedimento chiarisce che “il contribuente predispone la documentazione come prevista nel presente provvedimento in relazione ai periodi di imposta cui si riferisce la procedura”. Ciò sembrerebbe significare che i titolari del reddito di impresa siano tenuti a predisporre la documentazione non solo per i periodi di imposta interessati dall' “autoliquidazione”, ma anche per ciascuno dei periodi di imposta precedenti per i quali era stata attivata la procedura di ruling, poi rinunciata. Sul versante “dichiarativo”, il titolare del reddito di impresa che scelga di determinare da sé il reddito, deve annualmente manifestare tale volontà (l'opzione è, per l'appunto, annuale, irrevocabile e rinnovabile) nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta al quale si riferisce l'agevolazione Patent Box. In tal caso, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta in cui viene esercitata l'opzione per “l'autoliquidazione”, il contribuente dovrà operare una variazione in diminuzione del reddito in misura pari ad un terzo dell'importo totale delle quote di reddito agevolabile spettanti per l'esercizio di riferimento e per ciascuno dei periodi di imposta precedenti, per i quali era stata attivata la procedura di ruling. Per i restanti due terzi, la variazione in diminuzione dovrà essere operata nelle dichiarazioni dei redditi relative ai due periodi di imposta successivi a quello di esercizio dell'opzione (art. 4, comma 4, D.L. 30 aprile 2019, n. 34 e punto 7 del Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate prot. n. 658445/2019 del 30 luglio 2019).
Un interrogativo ci si pone. Cosa accade se il contribuente, dopo aver rinunciato alla procedura di ruling, optando per l'“autoliquidazione” decida, poi, di non rinnovare la stessa? A questo proposito, Assonime nella Circolare n. 1 del 24 gennaio 2020, ha osservato che “il mancato rinnovo della stessa determinerà il "ripristino" della disciplina originaria per le ulteriori annualità e, quindi, in caso di utilizzo "diretto" dell'IP, la necessità di presentare istanza di ruling per i restanti periodi d'imposta interessati dal Patent Box”. Tale soluzione sembrerebbe suscitare un po' di perplessità, avuta considerazione del fatto che la volontà iniziale di recedere dal contraddittorio con l'Agenzia è “irrevocabile”, così come chiarito dal punto 7 del Provvedimento del Direttore dell'Agenzia prot. n. 658445/2019 del 30 luglio 2019; tale “irrevocabilità” trova una ragion d'essere nella volontà di conferire maggior appeal al Patent Box, sicché consentire al contribuente di ritornare sui suoi passi, abbandonando la strada dell'“autoliquidazione” per poi riprendere quella dell'accordo preventivo suonerebbe incomprensibile, significando la volontà di ritornare nel limbo di indefiniti tempi di attesa non in linea con le esigenze di celerità e con le dinamiche degli investimenti in attività di ricerca e sviluppo. Ed a siffatta conclusione dovrebbe giungersi anche qualora il titolare del reddito di impresa decida fin da subito di “autoliquidarsi”; l'essere tale procedura più snella, consentendo al contribuente di fruire subito dell'agevolazione, mal si concilia con la scelta di recedere dalla stessa per accedere ad un procedimento dai tempi incerti. Elemento costitutivo per fruire dell'agevolazione con la "autoliquidazione" è il possesso della "Documentazione idonea". Più esattamente, il comma 1 dell'art. 4 del D.L. 30 aprile 2019, n. 34, a tenore del quale “a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, i soggetti titolari di reddito di impresa che optano per il regime agevolativo di cui all'articolo 1, commi da 37 a 45, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, possono scegliere, in alternativa alla procedura di cui all'articolo 31- ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, ove applicabile, di determinare e dichiarare il reddito agevolabile, indicando le informazioni necessarie alla predetta determinazione in idonea documentazione predisposta secondo quanto previsto da un provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate”. Dalla previsione di cui innanzi si ritrae che la “Documentazione Idonea” costituisce condicio sine qua non perla fruizione dell'agevolazione in questione, oltreché, come si vedrà, per la non irrogazione delle sanzioni in caso di contestazioni. La motivazione è ben comprensibile: mentre nel caso di accordo preventivo la determinazione del reddito agevolabile avviene in contraddittorio con l'Agenzia, nel caso di “autoliquidazione” questo controllo è successivo (e non preventivo), sicché occorre che via sia un riscontro ed oltretutto “idoneo”, finalizzato a comprendere il metodo di detta determinazione. Di seguito il contenuto minimo della citata "Documentazione idonea":
Come facilmente riscontrabile, la “Documentazione Idonea” ha un contenuto più corposo rispetto a quanto richiesto in sede di ruling.
Il punto 2 del già citato Provvedimento prevede al § 2.1. – (iii) – che debba essere descritto il “modello organizzativo dell'impresa”, indicando i responsabili delle varie articolazioni aziendali (oltre che indicando il numero di risorse assegnate e le risorse che operano in maniera trasversale ai diversi ambiti); tali informazioni devono essere accompagnate da una sintetica descrizione delle attività svolte da ciascuna articolazione aziendale. Al punto (vi) – “funzioni, rischi e beni dell'impresa” – si legge: “tali informazioni possono essere fornite attraverso una nota descrittiva dei processi, delle attività e delle funzioni svolte, dei beni impiegati nei diversi processi aziendali e dei rischi assunti; tale nota, dovrà, altresì, specificare le modalità di utilizzo degli IP agevolabili cui si riferisce l'autoliquidazione”. Il riferimento alle “attività” contenuto in tale ultimo punto (vi) non sembrerebbe altro che una ripetizione di quanto già previsto al punto (iii). Si ritiene che, al fine di meglio comprendere tale punto, si potrebbe fare riferimento a quanto contenuto nel Provvedimento dell'Agenzia delle Entrate prot. n. 2010/137654 e Circolare Agenzia delle Entrate n. 58/E del 15 dicembre 2010, chiarimenti di prassi resi con riferimento alla disciplina del Transfer Pricing, la quale trova applicazione nell'ambito del Patent Box (al riguardo, paragrafo 2.3. del Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate prot. n. 658445/2019 del 30 luglio 2019, in cui si legge che “qualora parte delle informazioni previste alle sezioni A e B del presente provvedimento siano già contenute nella documentazione predisposta ai fini del regime degli oneri documentali in materia di prezzi di trasferimento o nella documentazione esibita nell'ambito della procedura di Patent Box, il contribuente ha facoltà di operare un mero richiamo alla documentazione già in suo possesso”). In specie, particolare attenzione dovrà essere posta ai cambiamenti intervenuti a seguito di operazioni di riorganizzazione aziendale. È di tutta evidenza che, con riferimento ai beni strumentali, non sarà necessaria una minuziosa elencazione di ogni singola variazione intervenuta a seguito di dismissioni o acquisto di singoli cespiti, bensì un'indicazione di massima di mutamenti rilevanti nella composizione e nel peso dei beni strumentali complessivamente considerati, allocati presso le singole entità del gruppo (Circolare Agenzia delle Entrate n. 58/E del 15 dicembre 2010, pag. 15). Al contrario, per quanto riguarda la descrizione delle modalità di utilizzo degli IP agevolabili cui si riferisce l' “autoliquidazione”, si ritiene che la stessa debba essere il più particolareggiata possibile, anche in virtù di quanto previsto al successivo punto (vii), in cui si prevede, altresì, che il contribuente dovrà disporre, in relazione a ciascun IP oggetto di agevolazione, della documentazione attestante la sussistenza dei requisiti richiesti dalla disciplina Patent Box (vale a dire il diretto collegamento tra le attività di ricerca e sviluppo e gli IP, nonché tra questi ultimi ed il reddito agevolabile derivante dai medesimi: art. 11 D.M. 28 novembre 2017). In particolare, in relazione agli IP agevolabili sarà utile una precisazione che tenga conto delle funzioni di sviluppo, mantenimento, protezione e sfruttamento dei predetti.
Il punto (v) – “descrizione della catena di valore dell'impresa” – richiede che tali informazioni possano essere fornite attraverso una nota descrittiva delle strategie commerciali, dei fattori generatori di valore dell'impresa e delle modalità attraverso cui tali fattori contribuiscono a creare o mantenere il vantaggio competitivo. In specie, sembrerebbe potersi ritenere che, al fine di fornire evidenza del “valore dell'impresa”, sia utile far riferimento alla catena di valore dell'impresa di Michael Porter, il quale ha suddiviso le attività in: a) primarie: logistica interna, operations, logistica esterna, marketing e vendite, servizi; b) di supporto: infrastruttura dell'impresa, gestione delle risorse umane, sviluppo della tecnologia, approvvigionamenti (vedasi anche nota 2 infra). Il riferimento, operato dall'Amministrazione finanziaria, alle “modalità attraverso cui tali fattori contribuiscono a creare o mantenere il vantaggio competitivo”, sembrerebbe potersi intendere connesso agli IP immateriali; i fattori che “contribuiscono a creare o mantenere il vantaggio competitivo” altro non sarebbero che gli IP immateriali. Come notorio, infatti, l'IP deve avere valore economico, requisito, questo, interpretato secondo il criterio del vantaggio concorrenziale: l'utilizzo delle informazioni correlate all'IP deve consentire al titolare delle stesse di mantenere o aumentare la quota di mercato. Sul punto si attendono, comunque, chiarimenti. Semplificazione per le PMI - Il Benchmark della Agenzia delle Entrate
Il Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate Prot. 658445/2019 del 30 luglio 2015 prevede al punto 3 che le micro, piccole e medie imprese (come definite nel D.M. 18.04.2005, ossia realtà aziendali con meno di 250 occupati ed un fatturato annuo non superiore ad € 50 milioni oppure, in alternativa al fatturato, un attivo non superiore ad € 43 milioni), nel caso applichino il metodo Residual Profit Split, possano utilizzare una analisi di benchmark fornita dalla Agenzia delle Entrate, a seguito di richiesta, formulata alla Direzione Centrale Grandi Contribuenti, tramite mail o PEC, con riferimento al codice attività comunicato dal contribuente. Il primo punto di riflessione è che, poiché tale analisi di benchmark può essere utilizzata dal contribuente soltanto nel caso in cui si applichi il metodo RPSM, cosa succederebbe se l'Amministrazione finanziaria contesti che non andava applicato il metodo RPSM ma il metodo CUP? Ed inoltre, poiché l'analisi di benchmark ha ad oggetto un campione di aziende ricomprese in un determinato codice attività, ipotizzando che il contribuente abbia individuato attraverso l'analisi funzionale due funzioni routinarie, per esempio la produzione e la commercializzazione, dovrà fare l'analisi di benchmark per le due funzioni, oppure, come sostenuto da alcuni, l'analisi di benchmark fornita dalla Agenzia delle Entrate deve intendersi riferita alla redditività di tutte le funzioni “routinarie” del contribuente? Si propende decisamente per la seconda ipotesi, anche in considerazione delle finalità della norma di semplificazione delle modalità di fruizione della agevolazione, come già manifestata in una comunicazione inviata nel settembre 2018 dall'Agenzia delle Entrate al Ministero dello Sviluppo Economico, quando, vigente la sola procedura di ruling preventivo, erano noti i problemi connessi all'analisi di benchmark. In ottica di semplificazione, l'idea era di definire, per i diversi codici di attività delle imprese, parametri di riferimento che aiutassero a calcolare in modo standardizzato il valore dei beni intangibili. Si puntava ad applicare il metodo del «Residual profit split» in una modalità standardizzata, in base alla quale il contribuente non avrebbe dovuto predisporre un'analisi di benchmark “ad hoc” per valutare la remunerazione delle attività routinarie. In pratica, la Direzione Centrale Grandi Contribuenti avrebbe fornito analisi di benchmark predefinite, distinte per i codici attività Ateco 2007, in modo da ricoprire tutti i settori economici. «Una volta individuata la remunerazione delle attività routinarie – si leggeva nella comunicazione delle Entrate – si potrà individuare, per differenza, la remunerazione riferibile al bene immateriale oggetto di agevolazione». Ad ogni modo, le analisi di benchmark esaminate dagli estensori forniscono al contribuente due PLI, il ROS Return on sales EBIT/Valore della produzione ed il RTCT, definito come EBIT/costi operativi. Rientrerà nelle valutazioni dell'azienda beneficiaria la determinazione del PLI più idoneo, in relazione al contesto specifico. Inoltre si evidenzia il problema, peraltro emerso già nei contraddittori svolti in regime di ruling preventivo, derivante dal fatto che l'Agenzia non inserisce nella analisi di benchmark le imprese in perdita. Di conseguenza le imprese comparabili hanno utili più alti e la possibile agevolazione si riduce. Il PLI viene fornito in un intervallo di valori nelle configurazioni minimo-1°quartile-mediana-3° quartile-massimo e spetterà, quindi, al contribuente posizionare la redditività delle attività routinarie all'interno del range interquartile, che rappresenta la gamma di “libera concorrenza”, sulla base della analisi funzionale e di rischio, svolte in aderenza al punto iii. della Sezione B della “Documentazione Idonea”. Il punto 6.2. del Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate Prot. 658445/2019 del 30 luglio 2015 precisa che “la documentazione deve essere firmata dal legale rappresentante del contribuente o da un suo delegato mediante firma elettronica con marca temporale da apporre entro la data di presentazione della dichiarazione dei redditi”. Ai sensi del successivo punto 6.4, l'assenza della firma elettronica con marca temporale o la non corrispondenza al vero, in tutto o in parte delle informazioni fornite nella documentazione esibita, comportano, anche disgiuntamente, il recupero integrale dell'agevolazione Patent Box, con conseguente applicazione degli interessi e delle sanzioni. Si potrebbe osservare che risulta di difficile comprensione la previsione secondo cui la marca temporale deve essere apposta entro la data di presentazione della dichiarazione dei redditi, avuta considerazione del fatto che la consegna della documentazione all'Amministrazione finanziaria deve essere, comunque, effettuata entro e non oltre 20 giorni dalla relativa richiesta (punto 5.1 del Provvedimento citato). Occorre ricordare che il comma 3 dell'art. 4 del D.L. 30 aprile 2019, n. 34, prevede espressamente che “il contribuente che detiene la documentazione prevista nel provvedimento di cui al comma 1, deve darne comunicazione all'Amministrazione finanziaria nella dichiarazione relativa al periodo di imposta per il quale beneficia dell'agevolazione” (in tal senso anche punto 4 del Provvedimento). La quota parte di reddito agevolabile indicata in dichiarazione altro non rappresenta se non che la proiezione del procedimento attestato dalla “Documentazione Idonea”; ciò spiega il perché la marca temporale debba essere apposta entro il termine di presentazione della dichiarazione. La circostanza secondo cui il contribuente, in sede di accessi, ispezioni o verifiche, può esibire la “Documentazione Idonea” entro 20 giorni, sembrerebbe da intendersi quale disposizione di favore, nel caso in cui il soggetto verificato sia impossibilitato a consegnare, illico et immediate, siffatta Documentazione, non involgendo in alcun modo il profilo dell'apposizione della marca temporale. Penalty protection
Come anticipato, ai sensi dell'art. 4, comma 2, D.L. 30 aprile 2019, n. 34, “in caso di rettifica del reddito escluso dal concorso alla formazione del reddito di impresa, ai sensi del regime agevolativo di cui al comma 1, determinato direttamente dai soggetti ivi indicati, da cui derivi una maggiore imposta o una differenza del credito, la sanzione di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, non si applica qualora, nel corso di accessi, ispezioni, verifiche o di altra attività istruttoria, il contribuente consegni all'Amministrazione finanziaria la documentazione indicata nel provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate di cui al comma 1 idonea a consentire il riscontro della corretta determinazione della quota di reddito escluso, sia con riferimento all'ammontare dei componenti positivi di reddito, ivi inclusi quelli impliciti derivanti dall'utilizzo diretto dei beni indicati, sia con riferimento ai criteri ed alla individuazione dei componenti negativi riferibili ai predetti componenti positivi”. La Relazione Tecnica al D.L. 30 aprile 2019, n. 34, ha affermato che “Tale impostazione si pone in un rapporto di coerenza con analoghi meccanismi premiali concessi ai contribuenti, laddove gli stessi si sottopongano a complessi regimi di oneri documentali che, in presenza di idoneità della documentazione, prevedono la disapplicazione delle sanzioni per infedele dichiarazione”. Fermandosi alla lettura di tale disposto ed al chiarimento che dello stesso è stato reso dalla Relazione Tecnica, si potrebbe inferire che la mancata consegna della “documentazione idonea” abbia quale unica conseguenza quella dell'irrogazione della sanzione per infedele dichiarazione. In realtà, rileva quanto affermato al punto 6.4 del Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate in cui si legge che “la totale assenza di documentazione comporta il recupero integrale dell'agevolazione, con conseguente applicazione degli interessi e irrogazione delle sanzioni” (contra, Assonime, Circolare n. 1 del 24 gennaio 2020, pag. 27). L'irrogazione della sanzione per infedele dichiarazione e il disconoscimento dell'agevolazione scattano quando, pur avendo il contribuente Oltre che in tale caso, adempiuto a tali oneri documentali, la “Documentazione Idonea” non risponda ai requisiti indicati nel § 2 del più volte citato Provvedimento Direttoriale, vale a dire la stessa non possa essere considerata “idonea”. Pertanto, tale “idoneità” deve essere saggiata alla luce delle indicazioni contenute nel § 2 del Provvedimento Direttoriale ed in particolare del punto 6.6. Il punto 6.6. del Provvedimento chiarisce che “la documentazione è considerata idonea in tutti i casi in cui la stessa fornisca agli organi di controllo i dati e gli elementi necessari per riscontrare la corretta determinazione del reddito agevolabile, a prescindere dalla circostanza che il metodo utilizzato, le modalità applicative e i criteri adottati dal contribuente risultino diversi da quelli individuati dall'Amministrazione finanziaria”. Si può ritenere che la Documentazione possa considerarsi “idonea” quando, essendo articolata in due sezioni (A e B), contenga tutti i dati, le informazioni e gli elementi indicati nel Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate prot. n. 658445/2019 del 30 luglio 2019 (riassunti nella Tabella testé riportata). Di conseguenza, quanto chiarito al punto 6.5. del Provvedimento, secondo cui la presentazione, nel corso delle attività di controllo, del documento informativo, non vincola l'Amministrazione alla disapplicazione delle sanzioni, quando, pur rispettando i contenuti informativi previsti nel Provvedimento stesso, in relazione alle singole fattispecie, gli stessi non forniscono, nel complesso, un'informazione chiara e completa e conforme alle disposizioni contenute nel Provvedimento stesso, dovrebbe essere riferito anche al disconoscimento dell'agevolazione. In pratica, se i contenuti della “Documentazione Idonea” predisposta dal contribuente, non riescono a fornire un'informazione chiara e completa e conforme alle disposizioni contenute nel Provvedimento stesso, significa che vengono meno proprio quei “dati ed elementi necessari per riscontrare la corretta determinazione del reddito agevolabile” la sussistenza dei quali fa sì che la documentazione predisposta possa essere considerata “idonea”, ai sensi del punto 6.6. del citato Provvedimento. Al contrario, le ipotesi di omissioni o inesattezze, anche parziali, non suscettibili di compromettere l'analisi degli organi di controllo, non costituiscono causa ostativa alla disapplicazione delle sanzioni per infedele dichiarazione, secondo quanto disposto al punto 6.7. del Provvedimento Direttoriale ma, si aggiunge sempre in linea con l'interpretazione innanzi declinata, non costituiscono nemmeno valido motivo per il disconoscimento dell'agevolazione (il chiarimento ricalca quanto previsto al punto 8.3 del Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate prot. n. 2010/137654). In questo contesto occorre comprendere il significato della previsione secondo cui “la non corrispondenza al vero, in tutto o in parte, delle informazioni fornite nella documentazione esibita”, comporta il recupero integrale dell'agevolazione Patent Box, con conseguente applicazione degli interessi e irrogazione delle sanzioni (punto 6.4. del Provvedimento). Sul punto non vi sono né indicazioni di legge, né di prassi; da rilevare, altresì, che tale previsione si discosta da quanto previsto in materia di Transfer Pricing dal Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate prot. n. 2010/137654, paragrafo 8.3, laddove si legge che la non corrispondenza al vero, in tutto o in parte, delle informazioni fornite nella documentazione comporta la decadenza dal regime di penalty protection. In via interpretativa, procedendo ad un raffronto con la diversa fattispecie innanzi analizzata relativa alle “ipotesi di omissioni o inesattezze parziali, non suscettibili di compromettere l'analisi degli organi di controllo”, le quali non costituiscono causa ostativa né al disconoscimento dell'agevolazione né alla disapplicazione della sanzione per infedele dichiarazione (punto 6.7 del già citato Provvedimento Direttoriale), si può ragionevolmente ritenere che la “non corrispondenza al vero, in tutto o in parte”, delle informazioni fornite con la “Documentazione Idonea” sia da intendere come l'incapacità di fornire una completa e chiara evidenza dei “dati ed elementi necessari per riscontrare la corretta determinazione del reddito agevolabile” (anche qualora siano rispettati i contenuti informativi previsti nel Provvedimento Direttoriale: punto 6.5).
Altre osservazioni si impongono.
Il punto 5.3 del Provvedimento menzionato include i criteri di costruzione del nexus ratio nell'alveo i quelle informazioni che possono (facoltà del titolare del reddito di impresa) integrare la “Documentazione Idonea”. Sembrerebbe, quindi, che l'indicazione del nexus ratio sia fuori dall'ambito della penalty protection. Tuttavia, occorre rifarsi al punto 2.2 lettera (i)del Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate prot. n. 658445/2019 del 30 luglio 2019, secondo cui le informazioni di sintesi sulla determinazione del reddito agevolabile devono rappresentare anche l'esito dell'applicazione della formula del nexus ratio utilizzato per la determinazione della stessa. Il nexus ratio, come visto,è il coefficiente dato dal rapporto tra i costi di attività di R&S sostenuti per il mantenimento, l'accrescimento e lo sviluppo del bene immateriale ed i costi complessivi sostenuti per produrre tale IP. Avuta considerazione del fatto che l'agevolazione Patent Box è spettante quando vi sia il diretto collegamento tra l'attività di R&S e gli IP, nonché fra questi ultimi ed il reddito agevolabile derivante dai medesimi, ne consegue che il titolare del reddito di impresa debba chiaramente indicare i criteri di costruzione del nexus ratio al fine di fruire della penalty protection oltre che (sembrerebbe logico ritenere) al fine di vedersi riconosciuto il beneficio.
Ulteriore interrogativo. Il Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate prot. n. 658445/2019 del 30 luglio 2019 prevede che il contribuente, anche nell'ambito della quantificazione delle marginalità delle attività routinarie, possa utilizzare un metodo diverso rispetto al CUP ed al RPSM, predisponendo un prospetto che dia evidenza del calcolo effettuato, dei criteri adottati e delle assunzioni poste a base dello stesso. Tale prospetto deve essere integrato da una nota descrittiva delle ragioni per le quali il CUP ed il RSPM sono stati considerati meno appropriati o non praticabili nelle circostanze di specie. Si ritiene, pertanto, che l'Amministrazione finanziaria non possa disapplicare la penalty protection, né disconoscere il beneficio qualora il contribuente utilizzi un metodo diverso rispetto al CUP ed al RPSM fornendo chiaramente ed esaustivamente i dati ed elementi necessari per riscontrare la corretta determinazione del reddito agevolabile.
Ricordando ciò che sta accadendo in tema di credito di imposta R&S, ove vengono sollevate contestazioni squisitamente tecniche e tecnologiche, occorre chiedersi cosa accade nel caso in cui, in occasione di successive verifiche dell'Agenzia, questa ultima contesti la giuridica esistenza del bene (ad esempio, il “know how”). Come notorio, l'Agenzia delle Entrate, con Circolare n. 11/E del 7 aprile 2016 (§ 4.1.5) ha chiarito che la prova dell'esistenza di informazioni segrete e giuridicamente tutelabili deve risultare da una dichiarazione sostitutiva, ai sensi del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, da trasmettere all'Agenzia delle Entrate, dichiarazione che attesti la legittima detenzione delle informazioni riservate in capo al richiedente, avendole lo sesso acquisite a titolo originario o derivativo (in questo secondo caso specificando il negozio da cui deriva l'acquisto) e la sussistenza dei requisiti di tutela. L'Agenzia, nella predetta Circolare, ha chiarito che “ai fini del regime opzionale non saranno, pertanto, prese in considerazione dichiarazioni o clausole che rimandino, genericamente, alla riservatezza di tutte le informazioni contenute negli atti o nei contratti cui si fa riferimento o il generico richiamo all'obbligo di riservatezza che grava sui dipendenti ai sensi dell'art. 2105 c.c., essendo necessario identificare con sufficiente precisione quali siano le informazioni su cui viene posto il vincolo di segretezza”. Appare necessario, pertanto, per non incorrere nella disapplicazione della penalty protection e nel disconoscimento del beneficio, che il legale rappresentante rilasci la propria dichiarazione sulla scorta di un parere rilasciato da un esperto di proprietà industriale, che abbia verificato la sussistenza dei requisiti giuridici di esistenza del bene. Il D.L. 30 aprile 2019, n. 34 ed il Provvedimento Direttoriale non fanno alcuna menzione dell'ambito penale. Dal punto di vista penalistico, sembrerebbe necessaria una ulteriore riflessione in merito all'indicazione della presenza o meno della documentazione relativa all'indicazione del metodo adottato per il calcolo del reddito agevolabile. A tali fini rileva l'art.4 del D.Lgs. n. 74 del 2000 ed, in specie, il comma 1 – bis dello stesso (rimasto inalterato a seguito delle modifiche apportate dall'art. 39, comma 1, D.L. 26 ottobre 2019, n. 124), a tenore del quale “Ai fini dell'applicazione della disposizione del comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali”. Stante il dettato normativo, occorre chiedersi quale possa essere lo scenario nel caso in cui il titolare del reddito di impresa non abbia indicato nella “Documentazione Idonea” i criteri concretamente applicati. Il Legislatore appare chiaro: l'indicazione del metodo adottato per la determinazione del reddito è condizione necessaria per l'irrilevanza penale della non corretta valutazione degli elementi attivi o passivi. In virtù di quanto innanzi, la predisposizione in modo chiaro e veritiero della “Documentazione Idonea” (articolata nelle sezioni A e B) sembrerebbe avere evidenti benefici oltre che sul versante amministrativo anche su quello penalistico. |