Partenariato pubblico-privato: lo schema di contratto standard al vaglio del Consiglio di Stato

01 Maggio 2020

Il Consiglio di Stato ha reso il parere sullo schema di contratto standard per l'affidamento della progettazione, costruzione e gestione di opere pubbliche a diretto utilizzo della pubblica amministrazione da realizzare in partenariato pubblico-privato.

Il Ministero dell'Economia e delle Finanze (MEF) - con apposita relazione, sottoscritta congiuntamente dal Ragioniere Generale dello Stato e dal Presidente f.f. dell'Autorità Nazionale Anticorruzione - ha chiesto al Consiglio di Stato di rendere, ai sensi dell'articolo 17, comma 25, lettera c), della legge n. 127 del 1997, parere sullo schema di contratto standard per l'affidamento della progettazione, costruzione e gestione di opere pubbliche a diretto utilizzo della pubblica amministrazione da realizzare in partenariato pubblico-privato.

Il MEF, nella sua richiesta, premette che il rilancio degli investimenti in infrastrutture attraverso moduli collaborativi pubblico e privato rappresenta ormai anche in Italia un obiettivo determinante a sostegno della crescita e della competitività, giacché la predisposizione di misure idonee a strutturare correttamente le operazioni di partenariato pubblico-privato per governarne gli impatti sui saldi di finanza pubblica costituisce una delle priorità per il 2020 dell'indirizzo politico espresso dal Ministro dell'Economia e delle Finanze.

Nella richiesta di parere, inoltre, il Ministero ha cura di evidenziare che lo schema di contratto sottoposto al Consiglio di Stato non soltanto è stato elaborato con la partecipazione attiva dell'ANAC, ma che è stato oggetto di due consultazioni pubbliche all'esito delle quali i contributi pervenuti dagli stakeholders - prima e dopo la modifica del Codice dei contratti pubblici - sono stati recepiti nel testo in quanto compatibili con la normativa di settore e con gli obiettivi di tutela della finanza pubblica perseguiti dal Gruppo di lavoro interistituzionale (GdL) istituito nel 2013 dalla Ragioneria Generale dello Stato - Ispettorato Generale per la Contabilità e la Finanza Pubblica proprio al fine di elaborare un contratto standard.

Ciò premesso, il MEF ha ritenuto opportuno precisare che “in coerenza con le indicazioni di cui agli articoli 71 e 213, comma 2, del Codice dei contratti pubblici, lo schema di contratto, non potendosi configurare alla stregua di un bando-tipo, non ha carattere vincolante ma rappresenta uno strumento di indirizzo per le pubbliche amministrazioni ai fini di una corretta configurazione dei contratti di partenariato pubblico privato, in termini sia di allocazione dei rischi sia di contabilizzazione dell'operazione”.

Nella medesima richiesta di parere si chiarisce altresì la precisa scelta di redigere lo schema di contratto prendendo a riferimento le c.d. opere fredde, cioè quelle in cui il privato che le realizza e gestisce ottiene la propria remunerazione esclusivamente (o principalmente) dai pagamenti effettuati dalla p.a.. Ciò tuttavia, ad avviso del Ministero, non osterebbe ad una sua facile estensione anche a tutte le altre tipologie di opere. Si rende noto, inoltre, che sono in corso di predisposizione anche alcuni schemi di contratti standard di settore per ciascuna tipologia di opera pubblica da realizzare in partenariato pubblico-privato i quali, pur aggiungendosi allo schema sottoposto al Consiglio di Stato, rappresenteranno solamente variazioni di quest'ultimo.

Venendo al contenuto del parere, e sintetizzandone i punti principali, il Consiglio di Stato, con un iniziale intento ricostruttivo, dopo aver delineato i tratti generali del partenariato pubblico-privato, ne individua due modelli principali:

a) partenariato pubblico-privato istituzionale, il quale consiste nella costituzione di un distinto soggetto giuridico ovvero nella privatizzazione di un'impresa pubblica preesistente;

b) partenariato pubblico-privato contrattuale, ossia derivante da un rapporto che nasce con un contratto. Lo schema più ricorrente è quello della concessione, sebbene, specialmente dopo l'entrata in vigore del Codice dei contratti pubblici, il partenariato pubblico privato contrattuale può ben attivarsi anche con differenti modalità, quali la finanza di progetto, la locazione finanziaria e il contratto di disponibilità.

Il partenariato contrattuale è, chiaramente, quello su cui si concentra il parere.

Sotto il profilo normativo la prima norma di riferimento è l'art. 3, comma 1, lettera eee) del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, che offre una definizione di contratto di partenariato pubblico-privato: esso è il “contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto con il quale una o più stazioni appaltanti conferiscono a uno o più operatori economici per un periodo determinato in funzione della durata dell'ammortamento dell'investimento o delle modalità di finanziamento fissate, un complesso di attività consistenti nella realizzazione, trasformazione, manutenzione e gestione operativa di un'opera in cambio della sua disponibilità, o del suo sfruttamento economico, o della fornitura di un servizio connesso all'utilizzo dell'opera stessa, con assunzione di rischio secondo modalità individuate nel contratto, da parte dell'operatore”.

Il Consiglio di Stato precisa, tuttavia, che l'espressione “partenariato pubblico-privato” non sembra identificare una categoria giuridica in senso proprio - neppure dopo l'entrata in vigore del Codice del 2016 – ma, conformemente a quanto rilevato dalla dottrina, si tratta di una nozione meramente descrittiva di istituti giuridici caratterizzati da alcuni elementi comuni.

In definitiva, è un modulo procedimentale diretto alla realizzazione degli interessi pubblici attraverso la collaborazione di privati e amministrazioni che si articola in schemi contrattuali tipici e atipici. La finalità è quella di individuare finanziamenti alternativi a quelli tradizionali attraverso un rapporto di lunga durata e una corretta allocazione del rischio in capo ai privati, secondo le modalità individuate nel contratto.

Per quanto concerne i ricavi dell'operatore economico, a norma dell'art. 180 del Codice, questi possono derivare tanto da canoni corrisposti dall'ente concedente, quanto da altre forme di contropartite economiche, ivi inclusi gli introiti prodotti dalla gestione di servizi ad utenza esterna.

Gravano sull'affidatario, invece, non soltanto i rischi di costruzione, ma anche quelli connessi alla disponibilità o alla domanda dei servizi resi.

L'assetto d'interessi deciso dalle parti deve peraltro preventivamente determinare i criteri di adeguamento della remunerazione all'effettiva fornitura del servizio o utilizzabilità dell'opera, al volume dei servizi erogati in corrispondenza della domanda, nonché, in generale, al rispetto dei livelli di qualità contrattualizzati.

In vista del perseguimento dell'equilibrio economico finanziario dell'operazione è inoltre possibile erogare al soggetto privato un contributo pubblico, purché esso non ecceda il 49% dell'investimento complessivo (art. 180, comma 6).

Chiariti questi aspetti, e focalizzando l'attenzione sull'istituto della concessione, il Consiglio di Stato non manca di rilevare quanto sia essenziale l'elemento del rischio in capo al privato. È bene precisare inoltre che, in ossequio alla normativa eurounitaria, deve trattarsi di un rischio “sul lato della domanda o sul lato dell'offerta, o entrambi”, dovendo peraltro derivare da fattori al di fuori del controllo delle parti.

Il fattore rischio, peraltro, non soltanto è fondamentale per distinguere la concessione dall'appalto, ma è altresì essenziale sotto il profilo tecnico-contabile. Il Consiglio di Stato, infatti, riprendendo quanto già segnalato dalla Corte dei Conti (sez. contr. Lombardia n. 359/2019/PAR del 24/09/2019), afferma che ove i rischi contrattuali siano correttamente allocati in capo all'operatore economico privato, in aderenza alle decisioni Eurostat (v. art. 3, comma 1, lett. eee), del Codice), l'operazione non va qualificata come indebitamento (rectius, debito) per l'amministrazione committente, ma considerata off balance.

Al contrario, nel caso in cui il meccanismo del partenariato pubblico-privato mascheri l'assunzione di debito per la p.a. committente, allocando i rischi prevalentemente su quest'ultima (es. a causa di garanzie, clausole di indicizzazione dei prezzi, mancata decurtazione del canone in assenza del godimento del bene, adeguamento del corrispettivo di riscatto in caso di incremento dei costi di costruzione, etc.), allora il contratto va ritenuto fonte di debito per l'amministrazione (e, come tale, contabilizzato on balance).

Quanto alla natura dello schema di contratto sottopostogli, il Consiglio di Stato, muovendo dalla qualificazione indicata dal MEF, afferma che si tratterebbe di un “mero contratto tipo ministeriale non vincolante,che verrebbe adottato dal Ministero dell'economia e delle finanze come supporto alle amministrazioni pubbliche, aperto ad adesioni puramente volontarie, senza alcuna efficacia propria degli atti di così detta “soft law” demandati in subiecta materia all'ANAC dal citato art. 213 del codice dei contratti pubblici (in questa impostazione l'apporto dell'ANAC sarebbe meramente istruttorio e tecnico)”. Sicché la competenza del MEF si spiegherebbe con riguardo alla finalità principale dell'iniziativa, ossia garantire la corretta collocazione delle operazioni sotto il profilo contabile e statistico, al fine di consentirne la classificazione off balance e di contabilizzare pertanto il valore totale (parte pubblica e parte privata) come non generativo di nuovo debito e di nuovo deficit, con effetti positivi per la finanza pubblica.

Se, invece, l'intenzione sottesa con l'approvazione dello schema di contratto è quella di dar vita ad un contratto-tipo ex art. 213, comma 2, Codice dei contratti pubblici, allora è necessario che tale schema venga adottato dall'ANAC: solo l'ANAC, infatti, ha il compito di assicurare la “omogeneità dei procedimenti amministrativi” e di favorire “lo sviluppo delle migliori pratiche” (art. 213, comma 2, Codice).

In conclusione, si legge nel parere “Se mancherà l'adozione da parte dell'ANAC, l'atto in questione potrà rimanere un utile ausilio per le pubbliche amministrazioni che, tuttavia, non saranno obbligate a considerarlo quale contratto-tipo anche sotto il profilo delle relative conseguenze giuridiche”.

Altro fronte è quello del rapporto tra le Linee guida ANAC n. 9 del 2018 e lo schema di contratto esaminato: sul punto si rinvia al punto n. 2 del parere. Basti solamente evidenziare che il Consiglio di Stato reputa che le possibili discordanze tra lo schema del contratto e le suddette Linee guida debbano esser risolte, nell'ottica della leale collaborazione, tra Ministero e ANAC. In chiosa, peraltro, i giudici di Palazzo Spada suggeriscono al MEF di intensificare, prima dell'emanazione definitivamente del documento, l'attività di coordinamento, oltre che tra Ministero e ANAC, anche con la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti in ragione delle rispettive competenze.

Chiarito ciò, nell'ultima parte del parere, il Consiglio di Stato procede alla risoluzione di alcuni interrogativi sottoposti dal Ministero richiedente.

In particolare, il MEF chiede al Consiglio di Stato di chiarire quando i soggetti terzi siano da qualificare come appaltatori rispetto al concessionario e quando, invece, debbano considerarsi subappaltatori. Il Ministero si interroga, inoltre, se il concessionario sia obbligato ad affidare agli appaltatori eventuali lavori oggetto del contratto attraverso procedure selettive concorsuali o se invece possa sceglierli con procedure semplificate, fermo il rispetto degli obblighi generali di trasparenza.

Sintetizzando le conclusioni a cui è giunto il Consiglio di Stato, quest'ultimo afferma che bisogna distinguere due ipotesi differenti.

Con riferimento alle concessioni già in essere (ed aggiudicate in precedenza senza gara) occorre prevedere l'obbligo di indire regolare procedura di evidenza pubblica per la scelta degli appaltatori. Solo in questo modo, infatti, si garantirà la concorrenza. Infatti, ogni qual volta sia mancata la gara “a monte” per la scelta del concessionario, è necessario garantire la concorrenza “a valle”, prevedendo delle gare pubbliche, per la scelta degli appaltatori.

Oltre a siffatta eventualità, a norma dell'articolo 164, comma 4, del Codice, le procedure di evidenza pubblica dovranno necessariamente essere rispettate in relazione “agli appalti di lavori pubblici affidati dai concessionari che sono amministrazioni aggiudicatrici”.

Con riferimento ai concessionari di lavori pubblici che, invece, non sono amministrazioni aggiudicatrici (e che sono stati scelti previo esperimento di gara pubblica) per gli appalti di lavori affidati a terzi essi sono tenuti all'osservanza delle disposizioni contenute agli artt. 164-178 del Codice (parte III) nonché delle disposizioni di cui alle parti I e II in materia di subappalto, progettazione, collaudo e piani di sicurezza, purché non derogate dalla parte III. Da ciò si ricava che tali concessionari, essendo stati scelti normalmente tramite gara, e non rientrando tra le amministrazioni aggiudicatrici, potranno ricorrere al sub-appalto, più che all'appalto, nel rispetto di quanto stabilito dall'art. 174 Codice.

Un altro quesito proposto dal Ministero ha ad oggetto le modifiche al contratto.

Sotto tale profilo il Consiglio di Stato si limita a osservare che è opportuno che lo schema di contratto faccia esclusivamente rinvio alle disposizioni di legge (a partire dall'art. 175 del Codice), onde evitare che il sovrapporsi delle regole possa generare contenzioso.

Con riguardo, invece, al punto riguardante il contributo pubblico nelle c.d. opere fredde è sufficiente evidenziare che il Consiglio di Stato, tenendo conto del quadro giuridico nazionale ed eurounitario, ha solamente osservato che il suo regime non può essere né equiparato né esteso a quello delle opere c.d. calde, data la profonda differenza che intercorre tra le due situazioni, anche sotto il profilo della redditività.

Infine un ulteriore aspetto lambito nel parere è quello del riparto degli oneri e degli obblighi di acquisizione dei titoli autorizzativi necessari alla realizzazione dell'opera.

Il contratto standard prevede che l'ottenimento delle autorizzazioni competa in parte al concedente e in parte al concessionario, con l'annessa responsabilità in caso di ritardo dovuto a terzi e circa la perdurante validità delle autorizzazioni acquisite. Ad avviso del Consiglio di Stato tale soluzione, pur non influenzando il trattamento statistico, potrebbe avere un'incidenza negativa sulla bancabilità del progetto.

In più, sintetizzando l'iter argomentativo del parere, il Consiglio di Stato, pur non esprimendo alcuna valutazione specifica dello schema di contratto sul punto, afferma in via generale che “il riparto tra concedente e concessionario degli oneri deve essere calibrato, per un verso, con riferimento all'oggetto della concessione che si vuole porre in essere e, per altro verso, alla necessità di evitare “fughe di responsabilità” sulla base di asserite mancanze (in realtà non) imputabili alla controparte”.

Infine il Consiglio di Stato si è concentrato su altri due aspetti:

(i) la previsione, contenuta nello schema di contratto, che l'opera passi al concedente al termine del contratto, senza il pagamento di un valore residuo. In merito il Consiglio di Stato non evidenzia elementi di rilevanza sotto il profilo di legittimità;

(ii) i termini di pagamento. Anche in questo caso il Consiglio di Stato non formula rilievi in merito alla scelta di recepire, con riserva di verifica finale a seguito dell'approvazione del testo definitivo dell'adottando regolamento unico di cui all'articolo 216, come 27-octies, del Codice dei contratti pubblici, le indicazioni al riguardo desumibili dal Governo, che ha condiviso con la Commissione europea gli elementi essenziali della disciplina sui pagamenti da inserire nel predetto regolamento unico in corso di elaborazione, al fine di superare la procedura di infrazione comunitaria n. 2017/2090.

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