Videochiamate tra padri e figli in tempi di emergenza sanitaria
04 Maggio 2020
Massima
La sospensione degli incontri tra padre e figli, sostituiti da videochiamate, è una questione che non discende da una valutazione delle competenze genitoriali, ma da un'interpretazione della normativa emergenziale vigente da parte del Servizio Tutela Minori. Il Tribunale dispone, pertanto, che tale servizio riferisca le ragioni giustificative della sospensione di questi incontri, che non possono discendere da valutazioni di opportunità, ma esclusivamente da preclusioni normative. Il caso
Un padre separato (non collocatario) denuncia la sospensione degli incontri personali con i suoi figli che, secondo le indicazioni dei Servizi Sociali, dovrebbero essere sostituiti da videochiamate a seguito delle misure sanitarie adottate in relazione all'emergenza sanitaria da Covid-19. Su tale premessa, il padre chiede il mutamento delle disposizioni relativamente all'affidamento dei figli e, in via subordinata, che i Servizi Sociali ristabiliscano gli incontri con i suoi figli. A parere del Tribunale interpellato, la questione appare meritevole di essere trattata, in termini di urgenza, nel periodo di sospensione delle attività giudiziali solo in riferimento all'esigenza che il Servizio Tutela Minori si conformi alle prescrizioni adottate in sede presidenziale. Nel caso di specie, il Tribunale di Busto Arsizio stabilisce che i Servizi Sociali riferiscano sulle ragioni che giustificano la sospensione dei rapporti e delle visite tra padre e figli, che non possono discendere da valutazioni di opportunità, bensì esclusivamente da preclusioni normative. Le soluzioni giuridiche
Il decreto adottato dal Tribunale di Busto Arsizio richiama le considerazioni svolte dal padre nel suo ricorso introduttivo, laddove sostiene che il diritto di visita dei figli di genitori separati e divorziati non debba subire alcuna limitazione a seguito della normativa emergenziale per fronteggiare la situazione di attuale pandemia, poiché senza dubbio tale diritto è da considerarsi rientrante tra i casi annoverabili nelle “situazioni di necessità” che legittimano lo spostamento sul territorio. Attualmente, l'art. 1, comma 2, lett. a) d.l. 25 marzo 2020, n. 19, prevede la possibilità di introdurre misure restrittive che comportino limitazioni all'allontanamento dalla propria residenza, domicilio o dimora, ad eccezione degli spostamenti individuali limitati nel tempo e nello spazio o motivati da esigenze lavorative, da situazioni di necessità o urgenza, da motivi di salute o altre specifiche ragioni. Ad avviso del padre, tra queste “specifiche ragioni” dovrebbero farsi rientrare, appunto, anche le visite ai figli. E ciò troverebbe conforto anche nel fatto che il modello di autodichiarazione pubblicato sul sito del Ministero degli Interni a seguito del d.l. n. 19/2020, espressamente, annovera, tra le motivazioni che consentono gli spostamenti individuali, gli “obblighi di affidamento dei minori”. La soluzione verso la quale sembra tendere il Tribunale di Busto Arsizio è favorevole ad un'interpretazione ampia delle disposizioni normative che consentono, in via eccezionale, gli spostamenti durante l'epidemia, così da ricomprendervi anche quelli che si rendono necessari per ottemperare agli obblighi di visita ai figli disposti dal Giudice in sede di separazione o divorzio. Si tratta, tuttavia, di una scelta interpretativa in contrasto con l'impostazione recepita, solo alcuni giorni prima, dalla Corte d'Appello di Bari secondo cui «il diritto-dovere dei genitori e dei figli minori di incontrarsi, nell'attuale momento emergenziale, è recessivo rispetto alle limitazioni alla circolazione delle persone, legalmente stabilite per ragioni, a mente dell'art. 16 Cost., ed al diritto alla salute, sancito dall'art. 32 Cost.» L'ambiguità derivante dall'attuale quadro normativo – contraddistinto anche da una confusa successione di provvedimenti e dalla sovrapposizione di fonti normative di vario livello – è confermata anche dalla recente richiesta di chiarimenti espressa dall'Unione delle Camere Minorili. Infatti, con il comunicato dal titolo “Emergenza Covid-19 e responsabilità genitoriale”, l'Unione delle Camere Minorili, sulla premessa che «si è in presenza di diritti fondamentali, il diritto alle relazioni familiari e il diritto alla salute, riconosciuti dalla Carta Costituzionale e dalla CEDU che hanno pari rango, ma vanno bilanciati ponendo al centro di tale equilibrio il migliore interesse delle persone minori di età», ha rivolto al Governo una richiesta di chiarimento in merito alla legittimità degli spostamenti per le visite ai figli e per i ricongiungimenti con la propria famiglia, anche da un comune all'altro o da una regione all'altra, ovviamente con le cautele del caso per ridurre il rischio di diffusione del contagio e fatti salvi gli obblighi imposti dalla quarantena. In questo contesto, infatti, il rischio concreto è che si arrivi a soluzioni difformi a seconda del Tribunale interpellato, del luogo in cui stanno figli e genitori e della relativa normativa regionale, o addirittura, comunale, di volta in volta applicabile. Il Tribunale di Milano, ad esempio, con decreto dell'11 marzo 2020, è stato il primo a pronunciarsi stabilendo che le disposizioni governative in materia di Covid-19 non debbano ritenersi preclusive dell'attuazione delle disposizioni di affido e collocamento dei minori «sicché alcuna chiusura di ambiti regionali può giustificare violazioni, in questo senso, di provvedimenti di separazione o divorzio vigenti»,cristallizzando così il principio del diritto alla bigenitorialità come prevalente. Tale decisione, però, è stata subito seguita da un provvedimento del Tribunale di Bari, con il quale si è deciso che gli incontri tra papà e figlio, residente con la mamma in un comune diverso da quello paterno, si debbano sospendere. Il Tribunale di Bari, infatti, accoglie la richiesta della madre, ponendo a fondamento della propria decisione la convinzione che «lo scopo primario della normativa che regola la materia è una rigorosa e universale limitazione dei movimenti sul territorio (attualmente con divieto di spostarsi in comuni diversi da quello di dimora), tesa al contenimento del contagio, con conseguente sacrificio di tutti i cittadini ed anche dei minori». Secondo questo Tribunale non è possibile verificare se il figlio, nel corso dell'incontro con il padre, sia stato esposto a rischio, con conseguente pericolo per lo stesso e per coloro che il bambino ritroverà al rientro presso l'abitazione della madre. Dunque, secondo l'interpretazione del Tribunale pugliese, nell'attuale momento di emergenza sanitaria «il diritto-dovere dei genitori e dei figli minori di incontrarsi è recessivo rispetto alle limitazioni alla circolazione delle persone», in base agli articoli 16 e 32 della Costituzione. Il Tribunale di Bari ritene, quindi, che il diritto di visita padre-figlio minore non debba essere qualificato come motivo di assoluta urgenza, idoneo a giustificare lo spostamento da un comune all'altro, e stabilisce di interrompere momentaneamente le visite, autorizzando, come provvisoria alternativa di mantenimento del contatto padre-figlio, incontri telematici con videochiamate per periodi di tempo uguali a quelli già fissati, nel rispetto dell'usuale calendario. In linea con la pronuncia di Bari, ricordo, altresì, la pronuncia del Trib. Vasto 2 aprile 2020. Anche in questo caso, il diritto di visita del padre è stato limitato all'uso di strumenti informatici, e considerato, quindi, recessivo rispetto alle esigenze di sicurezza e di limitare la libera circolazione. È però da considerare che, in quest'ultimo caso, il padre proveniva da Milano, zona ad alto rischio epidemiologico, per cui, la difficoltà di verificare in concreto il rischio per la salute della figlia ha fatto decidere per la sospensione delle frequentazioni. Nel caso specifico, il Tribunale evidenzia come Roma, città di residenza del padre, sia da considerarsi una zona meno a rischio del Trentino Alto Adige, dove la bambina si trovava con la madre. Osservazioni
Il diritto alla salute può considerarsi di pari rango rispetto ad altri diritti fondamentali, come quello al mantenimento delle relazioni familiari, forse ancora di più in un momento di emergenza come questo, che mette sotto pressione la tenuta di tante delicate realtà familiari, nonché – di conseguenza – anche l'equilibrio psicofisico dei bambini coinvolti. Occorre, pertanto, trovare soluzioni fondate sul buon senso e sulla ragionevolezza, considerando sempre le specificità e le peculiarità del singolo caso, ed evitando così di esporre i bambini a situazioni potenzialmente di maggior rischio per loro e per i soggetti particolarmente fragili e vulnerabili. Pare, però, doveroso ricordare che proprio il Governo, sin dall'inizio dell'emergenza sanitaria in corso, aveva pubblicato sul proprio sito, tra le FAQ, alcune indicazioni che avevano confortato tutti i genitori separati o divorziati non collocatari dei figli con risposte come questa: «gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso altro genitore o comunque presso l'affidatario, oppure condurli presso di sé, sono consentiti anche da un Comune all'altro». Tali spostamenti dovranno in ogni caso avvenire scegliendo il tragitto più breve e nel rispetto di tutte le prescrizioni di tipo sanitario, nonché secondo le modalità previste dal giudice con provvedimento di separazione o divorzio o, in assenza di tali provvedimenti, secondo quanto concordato dai genitori (FAQ del 9 aprile 2020). Dunque, il Governo continua ad autorizzare tutti gli spostamenti dei genitori per raggiungere i figli minori. Ma quando si tratta di decidere se lo spostamento finisca per pregiudicare o meno la salute dei minori e dell'altro genitore, la parola spetta ai Tribunali e, di conseguenza, le decisioni sono destinate a diversificarsi, in base all'orientamento adottato, con la conseguenza che si pervenga a soluzioni tra loro difformi a seconda del Tribunale interpellato, e della specificità del caso concreto. Un'ultima considerazione va effettuata rispetto al fatto che, troppo spesso, nei provvedimenti di affidamento non sono chiari i poteri (e i limiti) attribuiti dai giudici al Servizio di Tutela dei minori. Talvolta si tratta di un mandato generico che non consente di capire quali sono gli specifici poteri attribuiti al servizio sociale, né di comprendere se e in che modo tale servizio possa contrastare le decisioni assunte dai genitori. La legge non determina la durata di tali provvedimenti anche se, per espressa previsione normativa, devono avere natura temporanea. Secondo la giurisprudenza prevalente, la natura provvisoria del provvedimento impedisce ai genitori il reclamo alla corte di appello (a meno che non vengano emessi nell'ambito dei provvedimenti temporanei ed urgenti presidenziali in materia di separazione o divorzio), e la mancanza di termini predeterminati dalla legge fa in modo che, a volte, tale situazione di provvisorietà si prolunghi anche per anni. L'istituto dell'affidamento ai servizi sociali è, oggi, ampiamente utilizzato dai Tribunali e sarebbe opportuno rivedere la normativa di riferimento, anche per modificare i molti aspetti che risultano ormai lontani dall'odierno e mutato contesto sociale e culturale. Ricordiamo, infatti, che la prima legge che disciplinava l'istituto dell'affidamento ai servizi sociali risale al 1934 (r.d.l. 1404/1934). Successivamente, a modifica della suddetta norma, è intervenuta la l. 888/1956. |