Covid-19 e diritti fondamentali nell'ambito della famiglia e dei minori: tra limitazioni ordinarie e straordinarie

12 Maggio 2020

Le misure adottate dal Governo italiano per il contenimento della diffusione della pandemia da Covid-19 hanno inciso in modo rilevante sui diritti e le libertà individuali garantiti dalla Costituzione e dalle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia. Nell'ambito del diritto di famiglia, la giurisprudenza di merito, nel bilanciare le limitazioni alla libertà di circolazione e le altre misure restrittive con i diritti individuali, ha adottato posizioni diverse, alla luce delle circostanze di ogni singolo caso concreto, in bilanciamento con il diritto alla salute (individuale e collettiva) . Nel presente focus si esamineranno i principali effetti delle misure di contenimento del virus sul diritto al rispetto della vita familiare e sui diritti dei minori, fornendo una chiave di lettura del bilanciamento tra diritti fondamentali alla luce delle più rilevanti norme internazionali in materia di tutela dei diritti umani.
Quadro introduttivo

L'emergenza scatenata dalla diffusione del nuovo coronavirus (comunemente noto come Covid-19), oltre a mettere a dura prova la tenuta del sistema sanitario nazionale, sta avendo ripercussioni a trecentosessanta gradi su tutti i settori della vita sociale, sulla stabilità dell'integrazione euro-unitaria, sull'economia e, per quanto qui interessa, sulla tutela e garanzia dei diritti fondamentali degli individui. Il diritto, costituzionale, sovranazionale e internazionale, non si presenta, tuttavia, totalmente impreparato né inadeguato a fronteggiare l'emergenza, posto che, per loro stessa natura, i diritti fondamentali sono suscettibili di un bilanciamento tra essi stessi e in relazione a diritti o interessi super-individuali o, più correttamente, collettivi. Ed infatti, «tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in un rapporto di integrazione reciproca e non è possibile individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri»(Corte cost., sent., 9 aprile 2013, n. 85).

In situazioni di emergenza, spesso, ad essere maggiormente colpite sono le categorie di individui già di per sé vulnerabili, come, nell'emergenza in corso, si sta verificando per i migranti e richiedenti asilo, i detenuti, i diversamente abili, gli anziani e, per quanto sarà maggiormente sarà messo a fuoco qui di seguito, i minori. Ed infatti, in considerazione di ciò, il 27 marzo 2020 l'Autorità Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza (di seguito, AGIA) ha richiesto al Presidente del Consiglio l'adozione di misure urgenti al riguardo, rilevando come le misure di contenimento del virus, pur finalizzate alla tutela della salute e indiscriminatamente applicate a tutta la popolazione, impattano «soprattutto su quei bambini e ragazzi che vivono, nella attuale situazione, una condizione di aggravata vulnerabilità, quali, ad esempio, i minorenni con disabilità, quelli che vivono fuori famiglia, quelli che versano in condizioni di povertà economica ed educativa o in condizioni di marginalità sociale, i ragazzi inseriti nel circuito penale, quelli segnati dall'epidemia». Una richiesta analoga, peraltro, è stata presentata dalla Rete Europea dei Garanti per l'Infanzia e l'Adolescenza (ENOC), invitando i Governi europei, la Commissione europea e il Consiglio d'Europa ad adottare ogni iniziativa utile a garantire il rispetto dei diritti previsti dalla Convenzione di New York, rilevando, in particolare, che «sebbene il diritto internazionale in materia di diritti umani consenta di interferire con i diritti in riposta alle emergenze, [ciò] richiede un'attenta valutazione e può essere giustificato solo quando strettamente necessario e proporzionato all'emergenza affrontata».

Nel presente scritto si esaminerà come le misure di contenimento adottate dal Governo italiano incidono sul diritto al rispetto della vita familiare, con un riferimento, in particolare, al diritto di visita del genitore non collocatario del minore, e sui diritti dei minori. Dopo una panoramica generale delle misure adottate e del loro impatto sulla tutela dei diritti fondamentali nell'ambito della famiglia, si esamineranno gli orientamenti contrastanti emersi in sede giurisprudenziale in relazione al diritto di visita ai tempi del Covid-19. La successiva analisi sarà realizzata alla luce del diritto internazionale sui diritti umani, per poi fare più esplicito riferimento alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). In un momento in cui le misure evolvono costantemente, fare chiarezza costituisce un obbligo, ma anche un onere, posto che, a seconda della prospettiva che si adotti, il piatto della bilancia potrebbe pendere dall'uno o dall'altro lato.

Le misure di contenimento del virus e l'impatto sulla vita familiare

Come è noto, il 31 gennaio 2020, il Consiglio dei Ministri ha deliberato, ai sensi dell'art. 24 d.lgs. n.1/2018 (codice della protezione civile), lo “stato di emergenza nazionale in conseguenza del rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”, per la durata di sei mesi. Le ordinanze di protezione civile adottate ai sensi dell'art. 25 del suddetto decreto possono adottarsi “in deroga ad ogni disposizione vigente, nei limiti e con le modalità indicati nella deliberazione dello stati di emergenza e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico e delle norme dell'Unione Europea”. Il successivo d.l. 23 febbraio 2020, n. 6 (tempestivamente convertito con l. n. 12/2020), contenente “misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica”, ha delegato al Presidente del Consiglio dei Ministri il potere di adottare, con decreti presidenziali, gli ormai (tristemente) noti D.P.C.M., “ogni misura di contenimento adeguata e proporzionata all'evolversi della situazione epidemiologica”. Sul punto, sono stati sottolineati i dubbi di costituzionalità della norma, la quale prevede una “delega in bianco”, in (potenziale) contrasto con la riserva di legge prevista dalla Costituzione per le ipotesi di limitazione dei diritti fondamentali. Detto decreto è stato poi sostituito (e quasi integralmente abrogato) dal d.l. 25 marzo 2020, n. 19, recante “misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19”.

Le misure di contenimento adottate con i primi d.P.C.M. riguardavano esclusivamente gli ambiti territoriali maggiormente interessati dalla diffusione del virus, laddove invece, a partire dall'entrata in vigore del d.P.C.M. 9 marzo 2020 esse trovano applicazione con riferimento all'intero territorio nazionale, salve alcune differenziazioni (e con non pochi problemi di coordinamento) che possono derivare dal fatto che, ai sensi dell'art. 117 Cost., terzo comma, le competenze in materia di tutela della salute sono concorrenti tra Stato e Regioni, dunque le seconde possono adottare normativa di dettaglio nel rispetto dei principi generali stabiliti dalla prima. A partire dall'entrata in vigore del d.l. 25 marzo 2020, n. 19, anche le misure applicate sull'intero territorio nazionale trovano fondamento in un atto avente forza di legge, il quale contiene una tipizzazione delle misure che il Governo e le Regioni possono adottare, fino al 30 luglio 2020, nel rispetto dei “principi di proporzionalità e adeguatezza al rischio”, costituito dalla diffusione del virus.

La limitazione degli spostamenti e la permanenza domiciliare, due delle fondamentali misure adottate per contenere la diffusione del virus, producono una serie di considerevoli effetti sulla vita e sulle relazioni familiari. In particolare, con il d.P.C.M. 8 marzo 2020, applicabile a tutto il territorio nazionale in virtù del menzionato d.P.C.M. 9 marzo 2020, le eccezioni al divieto di spostamenti erano costituite esclusivamente da “comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti”. Quanto agli spostamenti da un Comune all'altro, è poi intervenuto il d.P.C.M. 22 marzo 2020, secondo cui è vietato “trasferirsi o spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati in un comune diverso a quello in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute”. Il medesimo decreto, inoltre, ha eliminato, quanto a tali spostamenti, l'eccezione costituita dalla possibilità di fare rientro al proprio domicilio, residenza o abitazione. Di fatto, dunque, chiunque, per qualsiasi motivo, si trovasse lontano dalla propria famiglia al momento dell'entrata in vigore del decreto, è costretto a restarvi per la durata dell'emergenza.

Il principale impatto delle misure di contenimento sulla vita familiare attiene alla garanzia del diritto di visita dei genitori separati (di cui si dirà più ampiamente in seguito). Occorre però rilevare che le misure possono incidere anche sul diritto dei nonni di mantenere rapporti significativi con i minori minorenni, di cui all'art. 317-bis c.c. Secondo le FAQ del Governo la collocazione temporanea dei minori presso i nonni dovrebbe costituire una misura residuale, in caso di ragioni di lavoro o forza maggiore che impediscano ai genitori di occuparsi dei figli senza metterli in pericolo. Al riguardo, è stato rilevato che, essendo strumentale alla realizzazione dell'esclusivo interesse del minore, tale diritto soccombe rispetto alle esigenze collettive relative alla salute pubblica (Di Bari). Tuttavia, pur condividendosi la conclusione (ossia l'idea per cui, a fronte dell'emergenza, siano preferibili modalità di alternative e a distanza di mantenimento delle relazioni), in realtà, proprio in quanto mirante alla garanzia dell'”esclusivo interesse del minore”, non è da escludersi che in alcune ipotesi il bilanciamento possa propendere verso il mantenimento delle frequentazioni, proprio quando l'esclusivo interesse del minore, per ragioni eccezionali, lo richieda, ovviamente nel rispetto di tutte le opportune cautele per proteggere tanto i nonni quanto i minori e chi conviva con loro, così come per evitare rischi di contagio.

Il caso peculiare del diritto di visita. le divergenze giurisprudenziali come esempio dell'incertezza del bilanciamento

Fin dall'entrata in vigore delle prime misure si è posta la questione del se lo spostamento finalizzato alla frequentazione dei figli minori, da parte del genitore non collocatario, rientrasse tra le cause legittime di eccezione. La questione, in questi casi, è particolarmente delicata. Da un lato si pone il diritto di minori alla bigenitorialità e, dall'altro, il diritto alla salute (del minore, dei genitori e collettiva). Tuttavia, la bigenitorialità è anche funzionale alla garanzia della salute psico-fisica del minore. Preso atto della complessità della situazione, da più parti e, in particolare, dall'AGIA, si è invocato una spirito di leale collaborazione tra i genitori, nel trovare soluzioni rispondenti al superiore interesse dei minori. Tuttavia, le misure restrittive, in particolare in materia di spostamenti delle persone, la paura del contagio e, in generale la situazione, di emergenza, spesso costituiscono motivo dell'inasprimento dei conflitti familiari e, ancora peggio, vengono strumentalizzati per portare avanti ed acuire contrapposizioni preesistenti. Anche l'autorità giudiziaria, peraltro, ha messo in chiaro che “anche nella situazione emergenziale attuale non possono essere la legge, le ordinanze del Presidente della Regione o i provvedimenti dell'autorità giudiziaria a proteggere la salute dei bambini, ma il comportamento dei genitori” (Trib. Benevento, 22 marzo 2020), che sono quindi chiamati a tenere comportamenti responsabili nell'interesse dei minori.

La tesi, sostenuta anche dal Governo nelle FAQ pubblicate sul sito istituzionale, secondo cui tali spostamenti sarebbero ammissibili è fondata, primariamente, sulla considerazione per cui le visite e le frequentazioni non costituiscono solo esercizio del diritto alla vita familiare, dei minori e dei genitori, ma sono funzionali anche alla garanzia del diritto alla salute del minore. Il mantenimento di un rapporto equilibrato con entrambi i genitori, e dunque la garanzia delle bigenitorialità, infatti, contribuisce all'equilibrio psicofisico-fisico del minore, come riconosciuto dalla giurisprudenza nazionale e internazionale (Corte EDU, 17 novembre 2015, Bondavalli c. Italia; Corte cost., 25 gennaio 2017, n. 17; Cass, 8 aprile 2019, n. 9764). Secondo il Governo, quindi, gli spostamenti per raggiungere il figlio minorenne presso gli altri genitori e per condurli presso di sé sono consentiti, nel rispetto delle modalità previste dal giudice con il provvedimento di separazione o divorzio, ma anche, in assenza di tali provvedimenti, secondo quanto concordato tra i genitori (si veda, al riguardo, A. Figone, Covid-19: anche l'accordo tra i genitori può legittimare i trasferimenti del figlio minore).

La posizione del Governo espressa nella FAQ, in ogni caso, non ha valore normativo, bensì di mero indirizzo interpretativo. Bisogna dunque verificare come i giudici hanno interpretato le disposizioni relative ai divieti in relazione alle questioni connesse alle visite ed alle frequentazioni dei figli. Al riguardo, si sono contrapposti due diversi orientamenti.

Il primo orientamento, secondo cui il diritto di visita non è sospeso in conseguenza delle misure di contenimento del virus, sostenuto fin dall'inizio da parte della dottrina (si veda, in particolare, A. Simeone Affidamento ai tempi del Corona virus: il diritto di visita non si sospende), è stato accolto dal Tribunale di Milano (Trib. Milano, sez. IX, decr., 11 marzo 2020), il quale, espressamene richiamando le FAQ del Governo, ha ritenuto che “le previsioni di cui all'art. 1, comma 1, Lettera a), del DPCM 8 marzo 2020, n. 11 non siano preclusive dell'attuazione delle disposizioni di affido e collocamento dei minori, laddove consentono gli spostamenti finalizzati a rientri presso la “residenza o il domicilio”, sicché alcuna “chiusura” di ambiti regionali può giustificare violazioni, in questo senso, di provvedimenti di separazione o divorzio vigenti”. Tuttavia, l'espressa eccezione (rientro al domicilio o residenza) su cui si fonda la decisione è stata attualmente abrogata per quanto riguarda gli spostamenti tra Comuni. In ogni caso, però, il modulo per l'autodichiarazione, aggiornato al 26 marzo 2020, menziona gli “obblighi di affidamento di minori” nell'ambito delle circostanze che legittimano gli spostamenti. Secondo questo orientamento, il bilanciamento, propendente comunque verso la garanzia del mantenimento dei rapporti, impone anche che sia presa “ogni cautela nel rispetto delle indicazioni, circa gli spostamenti nella città e le misure di igiene previste nei provvedimenti governativi adottati per l'emergenza COVID-19” (Trib. Palermo, ord. 27 marzo 2020). Secondo tale primo orientamento giurisprudenziale, quindi, l'emergenza sanitaria, di per sé, non legittima la sospensione delle frequentazioni, a meno che non vi si ricolleghino rischi specifici (es. attività a rischio del genitori, conviventi maggiormente esposti ai rischi del contagi, pericoloso utilizzo di mezzi pubblici per gli spostamenti), che facciano propendere per il sacrificio del diritto di visita (si veda, in particolare, Di Bari). Anche il Tribunale di Roma, in una pronuncia del 7 aprile 2020, nel “bilanciare l'interesse primario dei figli minori e del genitore a veder garantito il pieno diritto alla bigenitorialità, con l'interesse della salute pubblica individuale (dei minori e dei genitori) e collettiva” ha “ritenuto che nel caso in esame la frequentazione tra il padre e i figli minori […] non espone gli stessi ad alcun rischio ulteriore che non sia quello normalmente connesso alla situazione emergenziale già in atto”, così ordinando alla resistente di porre fine al comportamento ostruzionistico che impediva al ricorrente di vedere i propri figli. In ogni caso, ha specificato il Tribunale, “le parti sono […] invitate ad adottare le cautele previste dalla vigente normativa in tema di spostamenti nelle città e rispettando le misure di igiene previste nel provvedimenti governativi” (Trib. Roma, Sez. I Civ., decreto del 7 aprile 2020). Da ultimo anche il Tribunale di Lecce, a seguito di una previa temporanea sospensione del diritto di visita del padre non collocatario per aver asseritamente esposto il figlio a rischi per la propria salute, e dopo aver accertato che “il contegno tenuto dal Tizio nell'esplicare sinora il proprio diritto di visita, seppur non improntato ad estrema cautela, non abbia concretamente comportato l'esposizione a pericolo del figlio minore” (Trib. Lecce, II Sez. Civ., ord. del 9 aprile 2020) ha ripristinato le frequentazioni. Queste ultime sono state regolate temporaneamente, in virtù dell'emergenza, prevedendo una permanenza di più giorni consecutivi presso il padre, in modo da ridurre i rischi di contagio dovuti agli spostamenti.

Una diverso e contrapposto orientamento, invece, ha ritenuto che, in tali casi, prevale il diritto alla salute (anche collettiva) di cui all'art. 32 Cost., legittimando pertanto anche limitazioni del diritto dei minori a mantenere rapporti con entrambi i genitori. L'orientamento è stato inaugurato il 23 marzo 2020 dal Tribunale di Bologna che ha sospeso le visite di un padre, in virtù della necessità di bilanciare “il diritto di visita con l'esigenza di tutela della collettività e con la correlata limitazione degli spostamenti delle persone, allo stato consentiti solo per comprovate esigenze lavorative, assoluta urgenza ovvero per motivi di salute” (Trib. Bologna, decreto del 23 marzo 2020). Ha fatto seguito una successiva ordinanza (riportata qui), che ha ritenuto che il diritto-dovere dei genitori e dei figli minori di incontrarsi soccombe rispetto alle limitazioni alla circolazione delle persone, imposte per tutelare la salute (art. 32 Cost.), del minore, dei genitori, e di chiunque conviva con i genitori, considerando anche che vi sono modalità alternative per tutelare il diritto di visita, quali videochiamate o Skype “per periodi di tempo uguali a quelli fissati e secondo il medesimo calendario” (App. Bari, ord.26 marzo 2020). In particolare, nella pronuncia si statuisce che “il diritto paterno ad incontrare i figli, in presenza della pericolosissima espansione dell'epidemia in corso, che non accenna ancora a ridurre la sua aggressività […] deve considerarsi quindi recessivo rispetto al primario interesse dei minori a non esporsi al rischio di contagio, del quale potrebbero poi essere veicolo essi stessi, e ciò sia in ossequio al divieto normativo sia in forza dell'assoluta preminenza del diritto alla salute dei minori, che può essere compromesso dai contatti con il genitore, il quale sta continuando a lavorare in un call center e ha quindi frequentazioni con un numero indeterminato di persone, così rendendosi egli stesso possibile veicolo di infezione per i piccoli”. Il medesimo orientamento è stato infine fatto proprio dal Tribunale di Vasto, nel decreto del 2 aprile 2020, che ha rigettato la richiesta in via cautelare di un padre, il quale chiedeva che la figlia trascorresse una settimana consecutiva presso lo stesso, in modo da recuperare le frequentazioni in cui la calendarizzazione stabilita non è stata rispettata a causa dell'emergenza in corso. Il Tribunale, richiamando anche la precedente pronuncia del Tribunale di Bari, ha ritenuto che “lo scopo primario della normativa che regola la materia [i DPCM che dispongono misure finalizzate al contenimento del contagio] è quello di attuare una rigorosa e universale limitazione dei movimenti sul territorio (con il divieto di spostarsi in comuni diversi da quello di dimora), tesa al contenimento del contagio, con conseguente sacrificio di tutti i cittadini ed anche dei minori”. Il Tribunale ha però anche disposto che resta fermo il “diritto del padre a mantenere rapporti significativi e costanti con la figlia [che] può essere esercitato attraverso strumenti telematici che consentano conversazioni in videochiamata, con cadenza anche quotidiana”.

Problemi ulteriori si pongono, come dimostra una pronuncia del Tribunale di Terni, qualora le frequentazioni avvengano in modalità protette (Spazio Neutro), ove si richiede la vigilanza da parte di un operatore del Servizio Sociale. Il Tribunale ha ritenuto che nel bilanciamento tra il diritto alla bigenitorialità di cui all'art. 30 Cost. e quello alla salute di cui all'art. 32 Cost. imponga modalità alternative di mantenimento del rapporto, evitando di mettere a rischio la salute psico-fisica dei minori, e, dunque, “modalità da remoto, quali ad esempio video chiamate (skype ovvero con chat whatsapp, ovvero con ogni altra modalità compatibile con le dotazioni nella disponibilità degli operatori e dei genitori) previa idonea preparazione dei figli, attuata con le medesime modalità, e assicurando che sia l'operatore a mettere in contatto il padre con ciascuno dei figli”, il quale peraltro dovrà essere presente durante tutta la chiamata (Trib. Terni, ord. 30 marzo 2020, Pres. Velletti).

Gli orientamenti contrastanti mostrano come sia impossibile predeterminare una soluzione astrattamente valida in tutti i casi. Occorrerà, piuttosto, un'attenta valutazione delle circostanze del singolo caso concreto, le quali siano idonee e dimostrare, da un lato, se vi sono rischi per la salute degli individui coinvolti (in particolare, il pericolo di contagio) e, dall'altro, se l'effettiva tutela dell'equilibrio psico-fisico del minore richieda il mantenimento delle frequentazioni o, invece, non possa essere, almeno momentaneamente, garantito con modalità alternative, quali telefonate e videoconferenze con il genitore non collocatario. Come sempre, quindi, la vera stella polare deve essere il best interest del minore, tenendo però anche a mente che, in una situazione emergenziale come quella attuale, esso non può considerarsi assoluto e, senza pregiudicare il minore stesso, può subire delle parziali limitazioni nel perseguimento di altre finalità, come la tutela della salute e il contenimento dei contagi. Il diritto del minore, in sostanza, può subire limitazioni per la tutela di diritti altrettanto costituzionalmente garantiti (Corte cost., 25 gennaio 2017, n. 17; Corte cost., 12 aprile 2017, n. 76). Le diverse conclusioni cui giungono i giudici costituiscono la naturale conseguenza della natura casistica del bilanciamento tra diritti fondamentali: non è possibile predeterminare in astratto il risultato del bilanciamento, che deriverà, invece, dalla valutazione delle circostanze di ogni singolo caso (si vedano, al riguardo, Cartabia e Pino). In una fase delicata come la presente, quindi, occorre evitare di cercare soluzione astratte e assolute: non vi è e non può esservi, ora più che mai, un “pensiero unico” (si veda quanto sostenuto da Civinini e Scarselli), dovendo piuttosto gli operatori giuridici (e le parti) ricercare la miglior soluzione nel contemperare esigenze contrapposte.

L'incidenza delle misure di contenimento sui diritti dei minori

Svariate sono anche le forme di incidenza delle misure di contenimento del virus sui diritti dei minori. Come messo in luce dall'ENOC, misure urgenti sono necessarie per garantire i diritti di informazione e partecipazione dei minori (specie degli adolescenti) di cui agli artt. 12 e 13 CRC, garantendo informazioni accessibili e comprensibili agli stessi. Gli artt. 19 e 34 CRC richiedono, poi, che ai minori sia garantita protezione da violenze e abusi, i quali rischiano di aumentare in virtù dell'obbligo di permanenza domiciliare di minori che vivono situazioni di rischio.

Occorre poi rilevare che già il d.P.C.M. 8 marzo 2020, introduceva una misura potenzialmente incidente su un diritto fondamentale dei minori e, in particolare, sul diritto all'istruzione, tutelato dall'art. 34 Cost., dall'art. 2 Prot. 1 CEDU, e dall'artt. 28 e 29 della CRC. Il decreto ha disposto la sospensione, sull'intero territorio nazionale, dei “servizi educativi per l'infanzia” e delle “attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, nonché la frequenza delle attività scolastiche e di formazione superiore”. Data l'ampia disponibilità di strumenti di fruizione alternativa e a distanza dei servizi scolastici, che più o meno ovunque sono stati, in tempi (è vero) più o meno lunghi, non si è ampiamento discusso delle (legittime e necessarie) limitazioni del diritto all'istruzione. Tuttavia, come evidenziato dall'AGIA, la digital divide, ossia la diversità di capacità economiche e dunque la conseguente disparità nella fruizione dei servizi educativi per il tramite di strumenti tecnologici, rischia di creare (e di fatto crea) discriminazioni, in violazione del principio di eguaglianza sostanziale, tra i minori provvisti e sprovvisti di tali strumenti (così come tra coloro che frequentano istituzioni maggiormente in grado di garantire servizi educativi a distanza e quelli che, invece, frequentano istituti e scuole ove tale modalità non è stata, per ragioni oggettive di carattere economico ed organizzativo, di fatto, attivata). L'assenza di specifiche misure a garanzia dell'uguaglianza nell'accesso a forme alternative di fruizione dell'istruzione potrebbe implicare una violazione dell'art. 14 CEDU (principio di non discriminazione), in relazione all'art. 2, Prot. 1 (diritto all'istruzione). Ed infatti, il Consiglio d'Europa, nel documento Respecting Democracy, rule of law and human rights in the framework of the COVID-19 sanitary crisis. A Toolkit for Member States, ha specificato che “particular attention must be paid […] to make sure that vulnerable groups continue to benefit from the right to education and have equal access to education means and materials in times of confinement”.

Molto più incidenti, inoltre, sono state le limitazioni al cd. “diritto al gioco” dei minori, specificamente previsto dall'art. 31 della Convenzione di New York, ai sensi del quale “gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età”. Il lockdown, ovvero il divieto di uscire di casa salvo che per esigenze di carattere fondamentale, in vigore sull'intero territorio nazionale a partire dall'entrata in vigore del d.P.C.M. 9 marzo 2020, ha senza dubbio inciso su tale diritto dei minori. Se, infatti, la libertà di riunirsi pacificamente, di cui all'art. 15 della medesima Convenzione, è espressamente limitabile nell'interesse della salute pubblica, apparentemente, ai sensi della Convenzione, alcuna limitazione è ammissibile quanto al diritto al gioco. Peraltro, nel Commento Generale n. 17 del 2013 del Comitato ONU sui diritti del fanciullo, “on the right of the child to rest, leisure, play, recreational activities, cultural life and the arts (art. 31)”, nel porre in relazione il diritto al gioco con il diritto alla salute dei minori, il Comitato non menziona limitazioni del primo in relazione alla garanzia del secondo, quanto, piuttosto, la sua funzionalità alla garanzia del diritto alla salute, statuendo che “[…] the realization of the right provided for in article 31 contribute to the healt, well being and development of children”. E, infatti, con specifico riferimento al gioco, il Comitato afferma che “while play is often considered non-essential, the Committee reaffirms that it is a fundamental and vital dimension of the pleasure of childhood, as well as an essential component of physical, social, cognitive, emotional and spiritual development”. Ovviamente, occorre escludere, anche con riferimento al diritto al gioco, visioni estreme e assolutizzanti: sarebbe illusiorio ritenere che, in una situazione di pandemia, il diritto al gioco prevalga sempre e comunque sulle esigenze della salute pubblica, anche e soprattutto se si considera che, nel piatto della bilancia, va posto anche il diritto alla salute dei bambini stessi. Di tali considerazioni, da ultimo, sembra aver tenuto conto il Governo italiano. Il Ministero dell'Interno, infatti, il 31 marzo 2020 ha diffuso una circolare interpretativa contenente chiarimenti relativi al divieto di assembramento e agli sposamenti delle persone fisiche, specificando che “è da ritenersi consentito, ad un solo genitore, camminare con i propri figli minori in quanto tale attività può essere ricondotta alle attività motorie all'aperto, purché in prossimità della propria abituazione” precisando, tuttavia, che “resta non consentito svolgere attività ludica o ricreativa all'aperto ed accedere ai parchi, alle ville, alle aree gioco e ai giardini pubblici”, pur sempre rispettando, inoltre, il divieto di assembramento e, dunque, la distanza minima di un metro. Il Governo, dunque, sembra aver accolto le richieste di numerosi psichiatri e associazioni volte alla tutela dei minori, che facevano presente l'impatto devastate che il lockdown può avere sui bambini, soprattutto se, in tenera età, sono incapaci di comprendere le ragioni dei divieti imposti. Nella ricerca del bilanciamento, sembra essersi adeguatamente tenuto conto della circostanza per cui, effettivamente, lo svago (anche una semplice passeggiata) sia fondamentale per la crescita e la tutela dei diritto alla salute dei minori. Secondo l'AGIA, peraltro, ciò sarebbe consentito di per sé da un'interpretazione sistematica delle norme vigenti: essendo consentito, agli adulti, passeggiare, sia pur vicino casa, impedire ai minori di farlo (i quali, ovviamente, richiedono la presenza di un genitori che li accompagni) costituirebbe un'indebita discriminazione.

La necessità di un bilanciamento del caso concreto

Dall'analisi realizzata risulta come nell'attuale momento storico emerga la drammatica delicatezza delle operazioni di bilanciamento tra diritti fondamentali, e l'incertezza che le stesse possono produrre in assenza di chiare indicazioni (in particolare della giurisprudenza, che, come si è visto, si mostra divisa). L'emergenza COVID-19, infatti, pone sull'altro piatto della bilancia (dunque, in contrapposizione, volta per volta, ad ogni singolo diritto fondamentale) il diritto alla salute, inteso “come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività” (art. 32, comma 1, Cost.). Il problema, tuttavia, è che, innanzitutto, è impossibile predeterminare in astratto gli esiti del bilanciamento, non costituendo il diritto alla salute una sorta di “super-diritto” automaticamente prevalente sugli altri (si veda, al riguardo, Civinini e Scarselli, che mette in chiaro che l'idea secondo cui “il diritto alla salute è il primo, assoluto, diritto della persona, e che ogni altro diritto, comprese la libertà personale e l'economia, devono semplicemente cedere il passo, senza alcun contemperamento tra un diritto e l'altro […] è probabilmente condivisibile di fronte alla pandemia che stiamo ancora vivendo [ma] una idea del genere non emerge dalla Costituzione, e non è mai stata sostenuta da alcun costituzionalista ad oggi”). Al riguardo, si consideri anche che la Corte costituzionale nel caso Ilva ha espressamente statuito che il diritto alla salute possa essere oggetto di bilanciamento con altri diritti fondamentali (Corte cost., sent. 7 febbraio 2018, n. 58). La seconda difficoltà deriva dal fatto per cui, come è stato sostenuto da Gatta, per fronteggiare l'emergenza è stata sviluppata un'apposita normativa: “il diritto del coronavirus è un diritto dell'emergenza, che comprime le libertà fondamentali”. Il carattere straordinario (emergenziale) della normativa complica quindi ulteriormente l'operazione di bilanciamento.

Come si è detto, nell'ambito dell'emergenza in corso risulta difficile fornire criteri astratti e predeterminati per il bilanciamento. Pertanto, anche volendo restringere, come abbiamo fatto, l'analisi al solo rispetto del diritto al rispetto della vita familiare, tale operazione non può che essere meramente indicativa e fondata sulle circostanze di ogni caso concreto. Laddove, poi, vi siano minori, la questione si complica ulteriormente. Occorre, cioè, bilanciare, da un lato, la primary consideration del best interest of the child di cui all'art. 3 della Convenzione di New York del 1989, ricomprendente in sé i vari diritti e interessi dei minori e, dall'altro, l'interesse, certamente anch'esso primario e impellente in un momento come quello attuale, alla salute collettiva.

Le molteplici limitazioni dei diritti fondamentali messe in evidenza non possono non essere messe in relazione con quella che è stata definita da Gatta, assieme alla Costituzione, la “stella polare” per la tutela dei diritti umani nel nostro ordinamento, ossia la CEDU. Come è noto, l'art. 8 CEDU, al par. 2, (così come molte altre disposizioni della stessa) consentono ingerenze dell'autorità pubblica nel godimento del diritto al rispetto della vita familiare quando queste siano necessarie, tra l'altro, al fine della protezione della “salute pubblica”. Come disposto dalla norma e ormai consolidato nella giurisprudenza della Corte europea, affinché tali misure siano legittime è necessario che le stesse siano previste per legge (in virtù del principio di legalità), imposte nel perseguimento di uno scopo legittimo (dunque nel perseguimento di interessi generali e della collettività), e necessarie in una società democratica. La Corte, in particolare, ha interpretato quest'ultimo requisito ritenendo che debbano sussistere, da un lato, un “pressing social need” in relazione alla tutela di quell'interesse generale e, dall'altro, un ragionevole rapporto di proporzionalità tra le misure adottate e lo scopo perseguito, dovendo preferire, a parità di efficacia della misura, quella che incide in modo minore sul diritto in questione. Con specifico riguardo ai diritti dei minori, poi, occorre rilevare che anche la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, con riferimento ad alcuni dei diritti sanciti (quali il diritto di abbandonare il proprio Paese, la libertà di espressione, la libertà di manifestare la propria religione e le proprie convinzioni, nonché la libertà di associazione e di riunirsi pacificamente) consente “limitazioni stabilite dalla legislazione, necessarie ai fini della protezione della sicurezza interna, dell'ordine pubblico, della sanità e della moralità pubbliche, oppure delle libertà e dei diritti fondamentali dell'uomo”.

L'art. 15 della Convenzione europea disciplina, invece, le deroghe in caso di urgenza, vale a dire la sospensione degli obblighi convenzionali nel caso in cui lo Stato membro della CEDU si trovi ad affrontare un “pericolo che minacci la vita della nazione”. A tal fine sarà necessario notificare la deroga al Segretario Generale del Consiglio d'Europa. In ogni caso, anche le misure derogatorie devono essere proporzionate allo scopo perseguito, posto che possono adottarsi “nella stretta misura in cui la situazione lo richieda”. Il secondo paragrafo indica poi una serie di diritti che restano, anche in tali situazioni, inderogabili, tra i quali non figura l'art. 8. Tuttavia, con specifico riferimento ai minori, occorre considerare che il paragrafo 1 richiede che le misure “non siano in conflitto con gli altri obblighi derivanti dal diritto internazionale”. Tale espressione ricomprende senza dubbio gli obblighi pattizi dello Stato, dovendo quindi ritenersi che le misure derogatorie debbano in ogni caso rispettare gli obblighi derivanti dalla Convenzione sui diritti del fanciullo.

Se si guarda alla prassi relativa all'emergenza COVID-19, può facilmente notarsi che notifiche di deroga sono state ampiamente depositate, ma esclusivamente da Paesi dell'est Europa (allo stato attuale, Lettonia, Romania, Armenia, Moldavia, Estonia, Georgia, Albania, Macedonia del Nord e Serbia cui, da ultimo, si è aggiunta la Repubblica di San Marino). L'invocazione dell'art. 15, infatti, pone di fronte a complesse scelte di carattere politico. Da un lato, la notificazione di deroga costituisce un atto profondamente democratico, in quanto incardina la gestione della crisi pur sempre nell'ambito di quanto legittimamente previsto dalla CEDU, correttamente qualificando le misure adottate come straordinarie ed eccezionali, e quindi impedendo che queste possano essere, nel tempo, “normalizzate” (una delle condizioni di legittimità delle misure derogatorie è che queste siano temporanee). Dall'altro, l'art. 15 costituisce anche uno strumento pericoloso: la legittimità della deroga, infatti, è ricostruita in termini particolarmente ampi, essendo riconosciuto un largo margine di apprezzamento agli Stati. Oltre a un rischio di abuso, peraltro, vi è la possibilità che l'opinione pubblica qualifichi l'atto come dichiarazione della limitazione, ormai chiara e palese, dei diritti degli individui.

Le questioni relative alla necessità e all'opportunità di una deroga, ormai, costituiscono oggetto di ampio dibattito. Tuttavia, per quanto qui rileva, e dunque, con esplicito riferimento all'art. 8, la questione sembra più chiara. Come si è visto, molte delle misure limitative (in particolare alla libertà di movimento delle persone, ma anche all'obbligo di restare in casa), prevedono in sé delle eccezioni, che lasciano presumere che la situazione sia, in ogni caso, inquadrabile nell'ambito di manovra concesso dall'art. 8, par. 2, CEDU. Può dunque ritenersi che il bilanciamento realizzato dall'autorità italiana tra diritti individuali e interesse collettivo alla salute rientri ancora nell'ambito della “normalità”, dunque delle limitazioni ordinarie. Allo stesso tempo, però, nell'opinione di chi scrive, sarebbe stato opportuno che lo Stato italiano, anche solo con finalità meramente cautelative, procedesse a notificare la deroga ai sensi dell'art. 15 CEDU: le misure adottate, generalizzate e (quasi) indiscriminatamente applicabili alla popolazione, incidono, nel complesso, in modo molto forte su uno spettro amplissimo di diritti convenzionalmente garantiti. D'altro canto, non sembra potersi discutere sul fatto che l'emergenza in corso sia qualificabile con “minaccia per la vita della Nazione” nel senso che l'interpretazione della Corte EDU vi ha attribuito. È ormai chiaro, tuttavia, che la maggiorparte degli Stati europei non hanno provveduto né hanno intenzione di procedere, probabilmente (e auspicabilmente) ritenendo in buona fede che, in ogni caso, le misure rientrassero nell'ambito delle limitazioni dei diritti normalmente imponibili.

In conclusione

L'analisi svolta mette in luce che le ricadute delle misure di contenimento del virus sulla garanzia dei diritti fondamentali nell'ambito della famiglia sono tante e troppe per poter essere oggetto di una generalizzazione. Così come, allo stato, risulta impossibile chiarire se le stesse rientrino nell'ambito di limitazioni ordinariamente previste dalle norme in materia di diritti fondamentali, o fuoriescano dalle stesse configurandosi come vere e proprie deroghe, allo stesso tempo risulta difficile pronunciarsi in termini netti ed assoluti sulla loro opportunità ed ammissibili. In una situazione di estrema incertezza, non possono non condividersi le parole dell'AGIA, che invita a interventi fondati sull'ascolto e, in particolare, “a intercettare le necessità e i bisogni di tutti e in particolare dei più fragili che spesso sono meno evidenti, ma non per questo meno importanti”.

Guida all'approfondimento

M. Di Bari, Covid-19: misure di contenimento ed effetti collaterali sulla crisi familiare, in www.giustiziainsieme.it;

M. Cartabbia, I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale italiana, Roma, Palazzo della Consulta 24-26 ottobre 2013;

G.Pino, Diritti fondamentali e principio di proporzionalità, in Ragion Pratica, 2014;

M.G. Civinni, G. Scarselli, Emergenza sanitaria. Dubbi di costituzionalità di un giudice e di un avvocato, in questionedigiustizia.it;

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