La responsabilità pre-contrattuale della Pubblica Amministrazione tra tutela dell'interesse pubblico e privato

Alessandro di Majo
12 Maggio 2020

Va osservato, in primo luogo, che non è stato agevole affermare che, anche per la Pubblica Amministrazione (P.A.), la quale, nell'esercizio del suo operato, esercita un pubblico potere, ossia un potere di supremazia, soggetto solo ai limiti di legge posti nel pubblico interesse, possano avere rilevanza ad altro fine anche le c.d. regole di responsabilità e cioè regole che non si ricollegano, né in via diretta che indiretta, all'esercizio del pubblico potere ma, più in generale, a più semplici comportamenti o condotte, che sono propri di ogni rapporto che può instaurarsi tra soggetti.
Regole di “validità” e regole di “responsabilità”

Va osservato, in primo luogo, che non è stato agevole affermare che, anche per la Pubblica Amministrazione (P.A.), la quale, nell'esercizio del suo operato, esercita un pubblico potere, ossia un potere di supremazia, soggetto solo ai limiti di legge posti nel pubblico interesse, possano avere rilevanza ad altro fine anche le c.d. regole di responsabilità e cioè regole che non si ricollegano, né in via diretta che indiretta, all'esercizio del pubblico potere ma, più in generale, a più semplici comportamenti o condotte, che sono propri di ogni rapporto che può instaurarsi tra soggetti.

La distinzione tra regole di validità e regole di responsabilità ha origine civilistica e ha avuto l'autorevole avallo della Corte di Cassazione (Cass., Sez. Un. civ., 19 dicembre 2007, n. 26724).

Le prime attengono alla validità degli atti o dei negozi, come quelle che fissano ad es. i requisiti che deve rivestire il contratto per essere valido (art. 1325 c.c.), le altre si ricollegano all'osservanza di doveri, siano essi generali o specifici, e inducono la responsabilità del soggetto che non li osservi.

Nell'ambito ad es. dei contratti, la mancata osservanza del rispetto dei requisiti del contratto (art. 1325 c.c.) provoca la invalidità del contratto ma non la responsabilità del soggetto, che può avere avuto anche causa indiretta in tale mancata osservanza.

Per esservi responsabilità del soggetto, in tal caso dovrà aggiungersi che esso, pur a conoscenza della invalidità del contratto, non ne ha dato conoscenza alla controparte (art. 1338 c.c.). In tal caso il dovere, cui esso è venuto meno, è quello di correttezza (art. 1337 c.c.) (La nozione di culpa in contrahendo ha trovato da tempo riconoscimento in numerose codificazioni - v. per la nostra artt. 1337-1338 c.c.; parr. 122 e 307 codice tedesco-, alla stregua della quale l'un contraente può essere ritenuto “responsabile” per avere determinato nell'altro il ragionevole affidamento che il contratto si sarebbe concluso o non sarebbe stato affetto da vizi tali da invalidarlo. Rigorosamente parlando, la responsabilità in cui si incorre in tal caso non deriva da contratto e/o da una obbligazione contrattuale - perchè il contratto non è stato concluso o è stato invalidato- ma dalla mancata osservanza di doveri di comportamento -ad esempio di correttezza -, che pre-esistono al contratto e che sostanzialmente rappresentano un «limite» alla libertà contrattuale del soggetto. Si tratta di scelte di politica del diritto del legislatore. Ordinamenti diversi da quelli di Civil Law, come quello di Common Law, più attenti a garantire la libertà contrattuale dei soggetti perchè va difeso il carattere intrinsecamente «aleatorio» della negoziazione contrattuale, nel senso che l'esito di essa è per definizione incerto — non concepiscono che, in tale fase, possa esservi una obbligazione di fair dealing e cioè di onestamente comportarsi. Questa obbligazione è invece propria della fase della esecuzione -good faith in performance. Ma si può aggiungere qualcosa di più in ordine all'ambito della responsabilità pre-contrattuale. Questa è venuta estendendosi, al di là delle ipotesi tradizionali del mancato contratto e/o della successiva invalidazione di esso, per comprendere ipotesi in cui il comportamento del contraente ha riguardo non già ad accadimenti esterni al contratto -quali i vizi della volontà- ma al contenuto di esso. A tale eventualità, del resto, ha dato occasione lo stesso codice, ove parla di “buona fede” anche nella formazione del contratto - art. 1337 c.c. La formazione del contratto allude ad una fase diversa da quella delle trattative. È quella che investe più direttamente la costruzione del contratto).

Ciò premesso, è da verificare se una siffatta distinzione, ormai acquisita nel campo dei rapporti civili, può essere anche presente nel campo del rapporto tra Pubblica Amministrazione e privati.

Si tratta cioè di vedere se, a fronte dell'interesse (legittimo) del privato acchè l'esercizio del potere da parte della P.A. si svolga secondo legge così da confermare la legittimità del provvedimento, sussista anche un interesse giuridicamente tutelato del privato acchè la P.A., nel rapporto instaurato con esso e per i comportamenti e/o condotte nel rapporto tenuti, si sia comportata nell'osservanza di quei doveri di correttezza e buona fede cui è tenuto qualsiasi soggetto, quando tratta con altri.

La responsabilità extracontrattuale da lesione di interessi legittimi e contrattuale per lesione dell'affidamento.

Si premette che la questione della eventuale responsabilità della P.A. non può che porsi, in linea generale, in due fondamentali fattispecie e cioè che, nell'una, a seguito dell'esercizio illegittimo del pubblico potere, viene negato al privato un bene della vita ad esso spettante (ad es. concessione negata) o, invece, nel comprimerlo (attraverso atti ablativi), così da provocare un danno al privato, da definire sicuramente “ingiusto”, data la spettanza al privato del bene disconosciuto o compresso e, nell'altra ipotesi, nell'aver leso un affidamento del privato riposto nella soddisfazione di un proprio interesse materiale, soddisfazione più che probabile, sotteso all'interesse legittimo e ciò all'esito di un procedimento amministrativo. Ebbene, ciò premesso, si tratta di meglio qualificare il rapporto tra queste due forme di responsabilità.

Quanto alla tutela dell'affidamento, così come enunciato per i rapporti civili, si pone diversamente la spettanza di un bene della vita, che è oggetto di un preciso diritto soggettivo, rispetto al bene della vita che può attendersi solo da un successivo atto o contratto e rispetto al quale un corretto comportamento della P.A. viene a costituire ma solo uno dei presupposti perché il soggetto possa ricevere alla fine il bene della vita o l'utilità auspicata.

Nei rapporti di diritto pubblico, le cose non si pongono in forma totalmente diversa.

Anche in essi, una aggiudicazione già decretata e poi illegittimamente annullata o per la quale non si è addivenuti alla conclusione del successivo contratto va equiparata alla lesione di un diritto già acquisito al soggetto, con tutti gli effetti che ne conseguono. Di qui la responsabilità extra-contrattuale della P.A. Ove invece l'aggiudicazione non sia ancora avvenuta, ma ove ne sussistano tutti i presupposti, illegittimamente negati dalla P.A., si può sempre ragionare in termini di lesione di una chance, che ha ormai la consistenza di un bene patrimoniale già acquisito al soggetto.

Resta quale terza fattispecie quella della responsabilità da affidamento nel comportamento della P.A.

Quanto a quest'ultima, va dunque ribadito come non sussistendo già una situazione soggettiva già chiaramente delineata ma essendosi ancora nel campo di situazioni in fieri, che attendono il maturarsi del procedimento amministrativo, entrano in campo non solo le norme di legge da seguire ma anche doveri di comportamento o di condotta, a fronte di interessi del soggetto con cui l'Amministrazione è entrata in rapporto e che possono avere veste di diritti soggettivi o di interesse giuridicamente protetti.

È codesto il macro-settore dell'affidamento, che anche i rapporti di diritto pubblico possono creare nei soggetti ad esso sottoposti.

L'oggetto del presente contributo si confronta esclusivamente con la fattispecie dell'affidamento riposto dal privato e che si colloca in una zona, che si può definire a mezza strada perché a cavallo tra l'interesse pubblico e quello privato. Di qui anche il titolo del presente Contributo.

La responsabilità da affidamento

Quanto dunque alla fattispecie dell'affidamento, riguardante non più l'esercizio del pubblico potere bensì la più generale condotta della P.A. nel rapporto instaurato con il privato e quindi, come tale, fonte eventuale di responsabilità, su di essa si sono arrovellate da tempo giurisprudenza e dottrina, specie avendo riguardo alla questione della alternativa tra giurisdizione ordinaria e amministrativa.

Dai fautori della supremazia della giurisdizione amministrativa si è sempre sostenuto la difficoltà di distinguere tra la più generale condotta della P.A. e l'esercizio del pubblico potere, data la interferenza tra l'una e l'altra e l'impossibilità di ravvisare nella condotta una fonte di responsabilità, a prescindere dall'esercizio del pubblico potere cui essa, in ultima analisi, è sempre collegata.

Eppure, codesto indirizzo è persistito per lungo tempo, se ancora nel 2017 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass., Sez. Un. Civ., 27 aprile 2017, n. 10413) affermavano essere jus receptum che la responsabilità precontrattuale della P.A. ha riguardo ma solo all'agire jure privatorum della P.A, in occasione di trattative finalizzate alla stipulazione di un contratto di diritto privato. Occorre allora chiedersi: analoga tutela è prevista allorchè l'Amministrazione ha agito in base al proprio potere di supremazia, rispetto al quale, con il limite del rispetto della norma di legge, è soggetto il privato?

Ebbene, a fronte di tale visuale, portata a negare che, anche nei rapporti nei quali la P.A. agisce quale soggetto investito di autorità, sia prevista una tutela del privato al di là del proprio interesse legittimo, si è venuta evolvendo una diversa visuale che avendo riguardo, in primo luogo, al fatto che, a prescindere dall'atto finale autoritativo, con cui l'Amministrazione esercita il pubblico – potere, esiste pur tuttavia un rapporto con il soggetto privato, e nel quale la posizione del privato non è solo di soggetto che subisce l'esercizio del pubblico potere, pur con il limite della sua conformità a legge, ma di soggetto che è anch'esso portatore di interessi giuridicamente rilevanti e degni di protezione.

Potrebbero valere le seguenti osservazioni.

Sarebbe infatti incompatibile con uno stato di diritto se il soggetto, pur nella persona della Pubblica Amministrazione, in occasione dell'esercizio di una pubblica funzione, fosse tenuto a rispettare solo le norme che, nell'interesse pubblico, lo vincolano e non anche quelle che, anche nell'interesse del soggetto privato, sono a tutelare l'interesse di quest'ultimo non già con riguardo alla spettanza del bene della vita, in ordine al quale la unica fonte è l'esercizio del pubblico potere, bensì alla correttezza e trasparenza della contrattazione.

Il vero è che della interferenza tra i due piani di regole, quelle di validità e/o di legittimità, riguardanti l'esercizio del pubblico potere, e quelle di responsabilità, riguardanti la singola condotta, tenuta dalla P.A., si è avuto sempre timore, appunto nei giudizi aventi ad oggetto l'interesse pubblico, e per il fatto che la mancata osservanza di regole di condotta avesse a determinare anche la illegittimità dell'atto amministrativo e ciò con risultati di obiettiva incertezza, così come viceversa, che atti amministrativi potessero essere considerati fonti di responsabilità, nella misura in cui la P.A. non avesse osservato regole di condotta.

Codesti timori avevano bene la loro ragione d'essere, dato il diverso piano su cui si collocano gli atti pubblici autoritativi rispetto a quelli negoziali dei privati.

Il sostenere ad es. che una Pubblica Amministrazione potesse essere ritenuta responsabile per la mancata approvazione del progetto esecutivo di un'opera, pur giustificata, codesta mancata approvazione, dall'interesse pubblico specie sopravvenuto e ciò allorquando l'opera era già stata legittimamente aggiudicata al soggetto, appariva una conseguenza non conforme a legge e, in ogni caso, contraria ai principi che regolano l'esercizio del pubblico potere (Cons. St., Sez. IV, 3 gennaio 2020, n. 61).

Lo stesso dicasi del caso, abbastanza frequente, della mancata stipula del contratto in presenza di una aggiudicazione valida, allorquando il privato abbia fatto un ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto (Cons. St., Sez. III, 15 aprile 2016, n. 1532). E può aggiungersi anche l'ipotesi in cui la P.A. con il proprio comportamento (ad es. approvativo di un progetto) abbia creato affidamento nel privato sulla conclusione del procedimento, ma con esito diverso a seguito di un ripensamento della P.A.

Le ordinanze del 2011 e del 2020 della Corte di Cassazione

Per cogliere il revirement che si è avuto, specie ad opera della giurisdizione ordinaria, si può muovere da tre ordinanze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 2011 (Cass., Sez. Un. civ., 23 marzo 2011, nn. 6594, 6595 e 6596). Esse hanno deciso che spetta al giudice ordinario:

a) La controversia sul risarcimento del danno per lesione dell'affidamento ingenerato dal provvedimento favorevole (nella specie, una concessione edilizia), poi legittimamente annullato in via di autotutela;

b) La controversia avente ad oggetto il risarcimento del danno per lesione dell'affidamento riposto nell'attendibilità della attestazione rilasciata dalla P.A. circa la edificabilità di una area;

c) La controversia avente ad oggetto il risarcimento del danno da colui che ha ottenuto una aggiudicazione di una gara per l'appalto successivamente annullata dal giudice amministrativo.

Emerge allora dall'indirizzo riferito come, nei casi considerati, non si ha tanto riguardo all'esercizio del pubblico potere, rappresentato da un provvedimento che risulta addirittura favorevole per il privato e poi legittimamente annullato – del provvedimento favorevole il privato non avrebbe certo ragione di lamentarsi – bensì del fatto che egli ha confidato nella legittimità del provvedimento e ciò nella presunzione che la P.A. quando agisce, agisce nel rispetto delle leggi. Ed è inutile eccepire che, anche in tal caso, pur venendo in questione l'esercizio del potere pubblico, quale rappresentato dal provvedimento di annullamento, tuttavia il privato non avrebbe ragione a dolersi di esso perché conforme al pubblico interesse – onde la giurisdizione del giudice amministrativo – bensì del comportamento della P.A., che, emanando il provvedimento, ha ingenerato giustamente nel privato l'affidamento nella sua legittimità. Oggetto di censura è dunque non già il provvedimento (di per sé favorevole al privato) ma l'averlo emesso e poi annullato, generando affidamento nel destinatario.

Di qui certo la difficoltà, anche concettuale, di distinguere l'atto di esercizio del pubblico potere, quale il provvedimento, con il comportamento da esso rappresentato poi fulminato da illegittimità nel suo aspetto di atto di esercizio di un pubblico potere.

Ma è proprio ciò che si è andato progressivamente evolvendo con riguardo all'operato della P.A., distinguendo tra gli atti che si riconducono al pubblico potere ed i comportamenti da essi rappresentati e che possono rilevare non già ai fini dell'interesse pubblico, ma dell'interesse di colui che entra in rapporto con la P.A.(Secondo, ad es., il Tar Lazio, Sez. I, 25 novembre 2019, n. 13508, “la legittimità del provvedimento emesso dalla Pubblica Amministrazione non è tale da scongiurare la responsabilità pre-contrattuale della stessa, atteso che il presupposto di tale fattispecie di responsabilità non è l'illegittimità del provvedimento finale, che darebbe tuttavia luogo ad ipotesi di responsabilità extra-contrattuale, bensì il generale comportamento tenuto dall'Amministrazione prima della stipulazione del contratto”).

Ebbene, proprio a seguito dell'indirizzo seguito dalle citate ordinanze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass., Sez. Un. civ., 23 marzo 2011, nn. 6594, 6595 e 6596) e alle critiche che esse hanno incontrato, è da affermare che esse hanno rappresentato un elemento di discontinuità rispetto all'indirizzo precedente, anche della Corte di legittimità (ad es. Cass. n. 8511/2009), la quale aveva sempre ritenuto sufficiente, per affermare la giurisdizione amministrativa, il mero collegamento della controversia con le materie indicate dalla legge amministrativa come proprie della giurisprudenza amministrativa (Ai sensi di detta sentenza della Corte di Cassazione n. 8511/2009, è stato stabilito che “la previsione della giurisdizione esclusiva amministrativa comporta che il riparto della giurisdizione non deve avvenire sulla base della consistenza della situazione giuridico soggettiva dedotta in giudizio - interesse legittimo o diritto soggettivo - ma esclusivamente in base all'insorgenza della controversia alla materia devoluta dalla legge alla competenza esclusiva del giudice amministrativo. E ciò comporta che la qualificazione della situazione giuridica dedotta in giudizio deve essere operata dall'unico giudice che conosce di tutte le controversie inerenti alla materia”. “In conclusione, il quadro normativo così ricostruito esclude che, nelle controversie relative a materie devolute alla giurisdizione esclusiva, la competenza del giudice amministrativo venga riconosciuta soltanto se la lite abbia ad oggetto la contestazione di attività autoritative dell'amministrazione. In tal caso, infatti, la giurisdizione amministrativa sarebbe quella generale di legittimità, nel cui ambito trovano, nell'attuale assetto normativo, tutela anche soggettivi consequenziali alla verifica di illegittimità dell'esercizio del potere amministrativo - vedi i riferimenti contenuti sub n. 4”. “Anzi, in linea generale, la scelta legislativa di attribuire determinate materie alla giurisdizione esclusiva -rispettosa del precetto costituzionale se la materia stessa vede la compresenza, in astratto e non certo nella controversia concreta, di poteri e di atti c.d. "paritetici" - comporta l'attribuzione alla competenza del giudice amministrativo della totalità delle controversie, nessuna esclusa, inerenti alla materia - come avviene per le controversie di lavoro del personale in regime di diritto pubblico, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 3 e art. 63, comma 4, comprese persino quelle aventi ad oggetto il pagamento di crediti già riconosciuti dall'amministrazione: vedi Cass., Sez. Un., 14 gennaio 2005, n. 601”. Alla stregua di tale indirizzo sembrerebbe non aver spazio la giurisdizione ordinaria in materia di responsabilità pre-contrattuale della P.A., in materia di competenza esclusiva del giudice amministrativo, essendo per tale materia fissata la competenza del giudice amministrativo in ragione della inerenza di ogni questione alla materia).

Invece, l'indirizzo più recente della Corte di Cassazione tende a valorizzare, come nei casi considerati, il fatto che il privato non si lamenta della lesione del proprio interesse legittimo ad ottenere un provvedimento amministrativo favorevole bensì dell'affidamento che esso ha riposto nella legittimità del provvedimento che gli ha riconosciuto il bene desiderato (V. le ordinanze della Cass., Sez. Un. Civ., nn. 6594, 6595 e 6596 del 23 marzo 2011. Sul punto cfr. anche l'ordinanza della Cass. civ., Sez. Un., 28 aprile 2020, n. 8236, la quale ha sostenuto che “spetta alla giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria la controversia relativa ad una pretesa risarcitoria fondata sulla lesione dell'affidamento del privato nell'emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di una condotta della pubblica amministrazione che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, atteso che la responsabilità della P.A. per il danno prodotto al privato, quale conseguenza della violazione dell'affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell'azione amministrativa, sorge da un rapporto tra soggetti - la pubblica amministrazione ed il privato che con questa sia entrato in relazione -, inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale, secondo lo schema della responsabilità relazionale o da “contatto sociale qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., e ciò non solo nel caso in cui tale danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto amministrativo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicchè il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell'amministrazione”. Sul punto cfr. altresì: Cass., Sez. I, 27 ottobre 2017, n. 25644; Cass., Sez. I, 12 luglio 2016, n. 14188).

Trattasi dunque della lesione di una situazione giuridica soggettiva (quella ingenerata dall'affidamento), diversa dall'interesse legittimo. Si tratta cioè di una fattispecie complessa che richiede il concorso, con tale illegittimità, di ulteriori circostanze, la cui attitudine a fondare la fiducia incolpevole deve essere valutata caso per caso. Ed è questo proprio l'ambito di una responsabilità, come quella civile, il cui modello implica un giudizio che comprenda elementi soggettivi (colpa o dolo) ed oggettivi (danno ingiusto) nonché un giudizio complessivo che è anche attento “alle circostanze del caso”.

In definitiva, atto di esercizio del pubblico potere e comportamenti (fonte di responsabilità) si collocano, ciascuno, in una diversa dimensione.

Già si è detto come, a fronte dell'atto di esercizio del pubblico potere, il privato non si trova in una dimensione relazionale, ma in quella di soggetto che è destinato a subire l'esercizio del pubblico potere, purchè secondo legge. Nel caso invece della rilevanza di un mero comportamento, il soggetto invece si trova in una dimensione relazionale, ove si ha riguardo al rapporto intrattenuto con la P.A. e ai doveri che ne conseguono. In tal caso potrebbe addirittura non esservi neanche un atto di esercizio di pubblico potere (come nel caso oggetto delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, n. 8236 del 28 aprile 2020, ove la P.A. non abbia emanato alcun provvedimento ma avendo richiesto solo al privato ulteriore documentazione per decidere e facendo così venir meno i termini procedimentali. E la difesa dell'Amministrazione, nel caso di specie, aveva insistito sulla mancanza di alcun provvedimento positivo, tale da generare affidamento, onde il privato avrebbe potuto lamentarsi solo del danno da ritardo).

La natura unitaria della responsabilità come responsabilità da rapporto, ingenerato dal contatto sociale

È dunque da interrogarsi qual è stato il supporto teorico che ha consentito alla giurisprudenza amministrativa di superare quella che può definirsi una vera e propria impasse nei rapporti tra tutela offerta in via ordinaria ai soggetti delle contrattazioni, pubblici e privati, che essi fossero, e la tutela offerta in via amministrativa.

Ebbene, da larga giurisprudenza amministrativa questo supporto è stato rinvenuto abbastanza facilmente, nella asserita co-esistenza accanto al procedimento amministrativo che regola l'esercizio del pubblico potere e che è fonte di regole di validità, in quanto connesse all'interesse pubblico (ad es. il buon andamento della P.A. art. 97 Cost.), di un parallelo procedimento negoziale (In tal senso Tar Calabria, n. 627/2009).

Si sostiene infatti “come la previsione legislativa di un procedimento pubblicistico imponga necessariamente che anche la volontà negoziale si formi in maniera progressiva nel rispetto di determinate regole procedimentali predefinite, non derogabili dalle parti, che articolano normalmente l'iter formativo in un invito ad offrire della P.A. cui segue la proposta della controparte, e l'accettazione finale della stessa P.A.” (Sempre Tar Calabria, n. 627/2009, cit.).

Si sostiene, dal giudice amministrativo, che i motivi di carattere pubblico, se giuridicamente irrilevanti nel procedimento negoziale privato, perché meri “motivi”, sono invece rilevanti nel procedimento amministrativo.

In buona sostanza, sussiste netta separazione tra i due piani, quello delle regole “di validità”, operative nel campo del procedimento amministrativo e del provvedimento che ne è alla fine, e quello delle regole “di condotta”, e quindi di responsabilità, ove violate, operative nel versante per c.d. privatistico dell'operato della P.A. al di là dell'esercizio del pubblico potere.

L'illegittimità in cui la P.A. può incorrere nel procedimento amministrativo si pone, in via autonoma, rispetto alla responsabilità in cui essa può incorrere per la sua condotta, non ricollegabile all'esercizio del pubblico potere.

Onde è stato affermato che, anche se legittimo il provvedimento amministrativo finale, può non essere esclusa la responsabilità della P.A. per violazione di regole di condotta, realizzanti una responsabilità pre-contrattuale della P.A. (Cfr. TAR Lazio, Sez. I, 25 novembre 2019, n. 13508. La decisione riguardava l'annullamento di una gara per mancata considerazione del progetto dell'opera e quindi violazione delle regole di buona fede e correttezza “per non essere stato comunicato all'interessato tempestivamente il procedimento di annullamento di ufficio”).

La prospettazione così delineata non può non indurre a riflessione. Essa seziona in due parti un procedimento che si presenta unitario e orientato, nella sua destinazione, all'interesse pubblico e che non sembra possa essere scisso, a tal punto da determinare l'osservanza di regole differenti aventi diversa destinazione. L'un piano è orientato alla tutela dello interesse pubblico (procedimento amministrativo), l'altro a quello del privato (procedimento negoziale).

In primo luogo, le procedure amministrative, nel campo del diritto pubblico, non sono eguali. Esistono le procedure “negoziate” e quelle “non negoziate”.

È discutibile che, per le seconde, abbia a parlarsi di “una trattativa” tra le parti, tale da generare l'affidamento legittimo del privato nella sua conclusione. Si giustifica dunque quell'indirizzo del giudice amministrativo che limita l'operatività delle regole di condotta alle procedure “negoziate”. Oppure, se si è in presenza di una procedura non negoziata, tale tutela è relativa alla fase successiva alla scelta del contraente, nella quale cioè si individua il soggetto portatore di un interesse (Cons. St., Sez. IV, 11 novembre 2008, n. 5633 e Cons. St., Sez. IV, 7 marzo 2005, n. 920).

È da tenere conto tuttavia come la tesi dell'allineamento della responsabilità pre-contrattuale della P.A., sul modello di quella privatistica del codice civile, è destinata ad incontrare non pochi ostacoli nel suo cammino.

Essa non sembra reggere all'eccezione che l'interesse che qui si assume violato, e cioè quello alla correttezza dell'azione della P.A. è un interesse meramente strumentale, che, come tale, “non è qualificabile, quale bene della vita, suscettibile di rappresentare un danno autonomamente risarcibile” (In un caso deciso dal Consiglio di Stato -Cons. St., Sez. IV, 3 gennaio 2020, n. 61-, una società chiedeva non solo il risarcimento pieno del danno a seguito dell'annullamento di atti espropriativi, finalizzati alla realizzazione di interventi di edilizia agevolata e convenzionata, ma anche il danno per violazione di obblighi procedimentali per responsabilità precontrattuale. In particolare, la società prospettava la responsabilità “da contatto” dell'Amministrazione, nella violazione di obblighi di buona fede derivanti dagli artt. 1337 e 1338 c.c. e nella violazione di obblighi procedimentali. Ed a tal riguardo il Consiglio di Stato ha ritenuto di non potere accogliere la domanda di responsabilità per colpa in contrahendo perché “non può trovare risarcimento il mero interesse procedimentale, inteso quale interesse alla correttezza della complessiva gestione del procedimento da parte dell'Amministrazione, poiché lo stesso si pone quale situazione meramente strumentale alla tutela di una posizione di interesse legittimo”. “L'interesse procedimentale quindi non di per sé è qualificabile come bene della vita, suscettibile di autonoma protezione mediante il risarcimento del danno e resta avulso da ogni riferimento alla spettanza dell'interesse sostanziale, al cui conseguimento il procedimento stesso è finalizzato” –Cfr. anche Cons. St., Sez. V, 18 marzo 2019, n. 1740, con riguardo al danno da ritardo).

Non è detto che l'agire “corretto” avrebbe soddisfatto, di per sé, l'interesse del privato, nel riconoscergli il bene della vita. Anche la ripetizione dell'atto, pur corretto, avrebbe potuto dare analogo risultato.

Essa sembra inoltre presupporre che il soggetto privato venga già individuato, quale soggetto beneficiario dell'atto amministrativo (ad es. concessione), onde del suo (successivo) annullamento esso possa avere titolo a lamentarsi.

Ma ciò è in contrasto con ampia giurisprudenza, secondo la quale la tutela del privato si può configurare anche nel momento precedente alla aggiudicazione. E, in realtà, se l'aggiudicazione segue il momento in cui prende consistenza il danno patrimoniale subito dal privato, è però da convenire che l'interesse di esso e che può risultare pregiudicato può trovarsi collocato nella fase precedente (ad es. per omissione informativa) (V. Cons. St., Adunanza Plenaria, 4 maggio 2018, n.5, che ha sostenuto che “Nell'ambito del procedimento di evidenza pubblica, i doveri di correttezza e buona fede sussistono, anche prima e a prescindere dell'aggiudicazione, in seno a tutte le fasi della procedura ad evidenza pubblica, con conseguente possibilità di configurare una responsabilità precontrattuale da comportamento scorretto nonostante la legittimità dei singoli provvedimenti che scandiscono il procedimento”). La verità è che il rapporto tra P.A. e privato non deriva solo dall'emissione dell'atto amministrativo ma è ad esso precedente ed inizia dal c.d. “contatto” che può avere vari aspetti, e non solo formali e dal rapporto che ne consegue.

Ma se codesto è il quadro degli interessi da cui partire è necessario andare anche al di là della prospettiva privatistica della responsabilità “da trattative”, in ragione della quale, a seguito di esse, prende inizio un parallelo procedimento negoziale accanto a quello amministrativo, fonte di regole di condotta, per pensare invece alla tutela della posizione del privato che si trova nella necessità, già nel procedimento di carattere pubblico, di dovere altresì autonomamente e consapevolmente assumere una propria decisione consapevole nel rapporto con la P.A.

Né più e meno trattasi del diritto di autodeterminazione, la cui rilevanza non può fare differenza a seconda che esso si collochi in un rapporto privato o in uno pubblico.

E tale diritto merita autonoma tutela anche nell'ambito di un rapporto di diritto pubblico.

Ancor più si può dire che ciò vale nel rapporto di diritto pubblico anzichè in un procedimento negoziale tra privati, che vede una parità tra soggetti.

Il che significa che, a seguito “del rapporto” con la P.A., il soggetto privato deve essere, in primo luogo, garantito nella sua capacità di autodeterminazione in ordine all'assetto di interessi che dovrà venire in essere con la P.A. Onde a fronte di una qualsiasi omissione, sia in buona che in mala fede, da parte di quest'ultima, e per aspetti rilevanti per tale assetto di interessi, e ciò sia prima che successivamente alla individuazione del soggetto vittorioso nella aggiudicazione e/o quale titolare del contratto, il soggetto privato deve essere tutelato nella sua capacità di autodeterminazione.

La circostanza che, solo successivamente, esso potrà risultare aggiudicatario della concessione cui ha concorso, potrà determinare, solo da questo momento, la rilevanza di un danno patrimoniale risarcibile ex art. 2043 c.c. ma non potrà condizionare la sua legittimazione attiva ad agire per la violazione del suo diritto all'autodeterminazione.

Sembra che, in tal modo, sia consentito anche di superare la preordinata diffidenza verso l'interferenza tra i due piani delineati della responsabilità, quella, extracontrattuale, per lesione dell'interesse legittimo alla spettanza di un bene della vita e ciò a seguito dell'illegittimità dell'atto amministrativo e quello, anch'esso extracontrattuale, per lesione dell'affidamento del privato nel provvedimento ad esso favorevole. In realtà, la responsabilità è destinata ad avere una fonte unica, è quella “del rapporto” nato da “contatto” instaurato con la P.A. e, nel procedimento amministrativo da esso derivante, ove convivono, in pari grado, accanto ai poteri della P.A., i diritti del privato, che non possono essere compressi dalla P.A., perché inerenti alla capacità negoziale, ad esso riconosciuta, di potersi autonomamente determinare, nei rapporti con terzi (e quindi anche con la P.A.).

Ed è destinato anche a restare irrilevante il riferimento al carattere meramente strumentale dell'interesse “alla correttezza” della P.A., perché, si osserva, a contrario che esso non avrebbe diretta connessione con il bene della vita cui invece aspira l'interesse legittimo, come sostenuto in molte sentenze dei giudici amministrativi (Ha sostenuto il Cons. St., Sez. V, 1 aprile 2011, n. 2031, che in materia di risarcimento del danno da attività provvedimentale è necessaria la prova rigorosa della spettanza del bene della vita in stretta relazione con il giudicato. E tale non sussisterebbe nel caso degli interessi procedimentali puri cioè delle mere aspettative o dei ritardi procedimentali (cfr. anche Cons. St., Sez. V, 10 febbraio 2015, n. 675).

Vale invece l'opposto. Sussistendo infatti una violazione del principio di auto-determinazione nell'esercizio di un proprio diritto e spettante al soggetto che è in rapporto con la P.A. ed una volta accertato il pregiudizio che da tale violazione può derivare anche “al bene della vita” cui il privato aspira, sia pure per la via indiretta dell'interesse legittimo, e non per la via di un diritto soggettivo a pretenderlo, non v'è più posto per sostenere che tale violazione abbia carattere meramente strumentale.

In entrambi i casi, la responsabilità ha una comune natura, come sostenuto da una sentenza del Consiglio di Stato (Cons. St., Sez. VI, 10 dicembre 2015, n. 5611), la quale sostiene che è fuori posto parlare, in entrambi i casi, di responsabilità extracontrattuale (Ma vedi in senso opposto Cons. St., Sez. IV, 3 gennaio 2020, n. 61, secondo il quale la responsabilità extra-contrattuale della P.A. presuppone che: a) l'interesse materiale o il bene della vita finale non sia contra jus; b) che esso spetti al soggetto; c) e che occorre osservare in un giudizio complessivo anche i doveri di solidarietà sociale -art. 2 Cost.- rivolti anche ai soggetti privati. Il modello sembra essere quello civilistico della responsabilità extracontrattuale. Sul punto cfr. altresì: Cons. St., Adunanza Plenaria, 27 aprile 2015, n.5; Cons. St., Adunanza Plenaria, 25 febbraio 2014, n.9 e Cons. St., Sez. IV, 27 novembre 2010, n. 8291). La responsabilità, data l'esistenza, a monte, “di un contatto” rilevante giuridicamente, impedisce che si possa parlare della responsabilità di un soggetto non avente alcun rapporto con la parte danneggiata (responsabilità extracontrattuale) così come, per altro verso, accade con un soggetto con il quale già ci si trova in rapporto. E, se, nell'un caso, della responsabilità da esercizio illegittimo del pubblico potere, v'è quale fonte la lesione dell'interesse legittimo anch'esso rappresentante una situazione giuridica soggettiva, sia pure meno forte del diritto soggettivo, in quanto solo “occasionalmente” protetta ove la P.A. non abbia rispettato le norme di legge, nella responsabilità pre-contrattuale invece v‘è la violazione di regole di condotta, che vanno osservate anche nell'esercizio di un pubblico potere e specialmente ove esse si trovino a tutelare un diritto fondamentale del privato alla capacità di autodeterminarsi nel rapporto con la P.A. Esattamente una sentenza del Consiglio di Stato (Cons. St., Sez. VI, 10 dicembre 2015, n. 5611) parla, in tal caso, di “abuso della libertà negoziale della parte pubblica che, in contrasto con la buona fede (artt. 1337-1338 cod. civ.), intesa come lealtà di comportamento, incide sulla libertà negoziale dei partecipanti nella fase delle trattative” (Cfr. anche Cass. civ., Sez. I, 12 maggio 2015, n. 9636). E tale abuso, è evidente, data la posizione asimmetrica che caratterizza quella del privato rispetto alla P.A.

Di qui forse, come risulta da qualche accenno della stessa giurisprudenza amministrativa, di una responsabilità a carattere speciale (Cons. St., Sez. VI, 10 dicembre 2015, n. 5611), che si sottrae alla alternativa tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. Può parlarsi di una responsabilità da rapporto, così come indotto da un “contatto sociale”, rapporto che va al di là dell'esercizio dell'atto del pubblico potere e che in certo qual modo lo precede e lo accompagna (V. sulla responsabilità “da contatto” Cass., Sez. I, 11 luglio 2012, n. 11642, ove si richiama la responsabilità derivante dalla attività e funzione esercitata dai soggetti, in ragione del loro status professionale ma ciò non implica che tale responsabilità “oltre il contratto” debba definirsi contrattuale e non aquiliana, laddove il contatto, sia pure definito “qualificato”, derivi poi dall'applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. Sul punto cfr. altresì: Cass., Sez. I, 27 ottobre 2017, n. 25644; Cass., Sez. I, 12 luglio 2016, n. 14188. È codesto l'errore della Cass., Sez. III, 13 ottobre 2017, n. 24071, con riguardo alla mancata assistenza prestata ai pazienti di un istituto termale da parte dei dipendenti dell'azienda. Delle due dunque l'una: ove il “contatto” viene riferito al principio di buona fede recato dagli artt. 1175 e 1375 c.c., la nozione di “contatto sociale” si rileva inutile, perché doppiata dall'obbligo di agire secondo buona fede; ove invece esso si ponga autonomamente, perché situato “oltre il contratto”, come sembrerebbe nel caso di specie, si conferma una responsabilità da rapporto).

Il suindicato rapporto, si può dire, si presenta a carattere misto, in cui confluiscono regole diverse, le une a tutela dell'interesse pubblico, le altre a quella del privato.

La responsabilità pre-contrattuale della P.A. va collocata in tale contesto normativo.

Essa, si è visto, è a mezza strada tra la responsabilità extracontrattuale derivante da lesione di interessi legittimi a seguito di atto amministrativo illegittimo e quella contrattuale per violazione di diritti stabilmente acquisiti, derivante ad es. da convenzioni che la P.A. ha stipulato con il privato o da atti assolutamente vincolati e non discrezionali. La responsabilità pre-contrattuale non ha di fronte a sé alcun interesse legittimo ma la violazione di regole di condotta che impongono alla P.A. di agire correttamente, anche al di là del rispetto delle leggi amministrative, così ad es., trattandosi di un procedimento amministrativo, e nell'inserimento in esso di una trattativa negoziale, a tutela del pari diritto del privato ad essere garantito, specie a livello informativo, nelle proprie legittime aspettative o addirittura nel diritto ad essere in grado di autodeterminarsi. Ove la P.A. non abbia rispettato il dovere di correttamente agire, essa risponde del danno risentito dal privato, ove sussista connessione causale tra l'agire scorretto e il danno dal privato subito (sia pure nel limite dell'interesse negativo e non già con riguardo al mancato conseguimento del bene della vita).

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