Non sussiste la giurisdizione amministrativa sulle controversie inerenti un atto di autotutela c.d. interna al contratto di appalto (in corso di esecuzione)

Giusj Simone
14 Maggio 2020

Appartengono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo non solo le controversie sulla procedura pubblicistica di affidamento dell'appalto, ma anche le controversie che, seppure relative a momenti successivi alla stipula del contratto, interessino l'esercizio da parte della pubblica amministrazione di poteri autoritativi incidenti solo indirettamente sul rapporto contrattuale, avendo ad oggetto il riesame del provvedimento di aggiudicazione. Diventa dirimente, pertanto, stabilire se la controversia inerisce un atto di autotutela c.d. esterna al contratto di appalto, che incide cioè sul provvedimento conclusivo della procedura di evidenza pubblica (es. atti di ritiro dell'aggiudicazione: annullamento, decadenza, revoca) e solo di riflesso sul contratto, nel qual caso è soggetta alla giurisdizione amministrativa, oppure un atto di autotutela c.d. interna, che incide invero direttamente sul contratto (es. recesso, risoluzione) e ricade, in quanto atto privatistico, nella giurisdizione ordinaria.

Il caso. Viene in rilievo, nel caso di specie, la controversa legittimità della risoluzione di contratto di appalto avente ad oggetto lavori di ristrutturazione edilizia – disposta dalla stazione appaltante per la perdita in capo all'appaltatore, in corso di esecuzione contrattuale, del requisito di qualificazione di cui agli artt. 83 e 84 del Codice dei contratti pubblici, aggravata dagli addebiti contestati dalla direzione lavori all'appaltatore medesimo per inadempimenti contrattuali – e dei conseguenti provvedimenti di scorrimento della graduatoria per individuare il nuovo aggiudicatario e stipulare un nuovo contratto per la prosecuzione dei lavori, nonché di escussione della polizza fideiussoria. A dire di parte ricorrente, la stazione appaltante avrebbe risolto il contratto al di fuori delle ipotesi tassative previste dall'art. 108 del Codice – tra le quali non sarebbe contemplata la perdita del requisito di partecipazione alla gara in corso di esecuzione contrattuale – e, quindi, in violazione dello stesso; sarebbero conseguentemente nulle le previsioni del capitolato e del contratto che prevedono, per la predetta ipotesi, la risoluzione del contratto per inadempimento. In ogni caso non sarebbe stato assegnato termine all'appaltatore per controdedurre, né sulla risoluzione né sugli inadempimenti contrattuali.

Eccezione preliminare e assorbente. Il difetto di giurisdizione dell'adito giudice amministrativo, eccepito in via preliminare dalla stazione appaltante resistente, viene ritenuto fondato.

È ormai pacifico in giurisprudenza che appartengono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo non solo le controversie sulla procedura pubblicistica di affidamento dell'appalto, ma anche le controversie che, seppure relative a momenti successivi alla stipula del contratto, interessino l'esercizio da parte della pubblica amministrazione di poteri autoritativi incidenti solo indirettamente sul rapporto contrattuale, avendo ad oggetto il riesame del provvedimento di aggiudicazione.

Si tratta, pertanto, di stabilire se nel caso di specie la contestata risoluzione sia classificabile quale atto di autotutela c.d. esterna al contratto di appalto, che incide cioè sul provvedimento conclusivo della procedura di evidenza pubblica (es. atti di ritiro dell'aggiudicazione: annullamento, decadenza, revoca) e solo di riflesso sul contratto, soggetto in quanto tale alla giurisdizione amministrativa, oppure quale atto di autotutela c.d. interna, che incide invero direttamente sul contratto (es. recesso, risoluzione) e ricade, in quanto atto privatistico, nella giurisdizione ordinaria.

Il TAR capitolino ritiene di poter escludere, nel caso in esame, che l'Amministrazione resistente abbia esercitato, ponendo in essere il provvedimento di risoluzione del contratto di appalto, un potere di autotutela “esterna” (non trattandosi infatti di un provvedimento di secondo grado che incide sull'aggiudicazione), ravvisando, al contrario, nello stesso l'esercizio di autotutela “interna” riconducibile al potere privatistico di reazione, mediante la risoluzione del contratto, ad un asserito inadempimento della controparte alle obbligazioni assunte con il negozio giuridico di diritto privato per tutta la durata del rapporto contrattuale.

Né può ritenersi fondata la replica della ricorrente, secondo la quale sussisterebbe la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sul provvedimento di scorrimento della graduatoria, per cui l'accertamento della affermata illegittimità della risoluzione contrattuale spetterebbe al giudice amministrativo in via incidentale, rappresentando la risoluzione il presupposto necessario per l'esercizio del potere di scorrimento della graduatoria; a ben vedere, a giudizio del TAR, non esiste alcun provvedimento di scorrimento di graduatoria, non essendo ancora stato affidato l'appalto ad altro concorrente inserito in graduatoria; la determinazione, contenuta nell'atto impugnato, di interpellare progressivamente i soggetti che hanno partecipato all'originaria procedura di gara, al fine della stipulazione di un nuovo contratto per la prosecuzione dei lavori, rappresenta l'avvio del procedimento di affidamento dell'appalto ad altra impresa, ma non si configura come provvedimento effettivamente e concretamente lesivo per la ricorrente; la lesione della posizione soggettiva della ricorrente, in sostanza, è riconducibile all'atto di risoluzione del contratto, per cui lo scorrimento della graduatoria di gara si risolve in null'altro che in attività amministrativa conseguenziale a quella oggetto della controversia.

In conclusione. Il TAR capitolino dichiara il proprio difetto di giurisdizione sul ricorso de quo, inerendo lo stesso la risoluzione del contratto di appalto stipulato, quindi attinente alla fase di esecuzione del contratto, la cui cognizione è devoluta alla giurisdizione ordinaria, innanzi alla quale il giudizio potrà essere riassunto entro il termine perentorio di tre mesi, decorrente dal passaggio in giudicato della sentenza in esame, con conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda, in applicazione dell'art. 11, comma 2, c.p.a.