Il ripristino del carcere cautelare nel d.l. 29/2020
18 Maggio 2020
Come emerge sin dalla sua rubrica, il d.l. n. 29 del 2020 - pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 119 del 10 maggio 2020, Serie generale - si ripropone, fra l'altro, la possibilità di disporre (nuovamente) il carcere per i soggetti che, in conseguenza dell'emergenza sanitaria del Covid-19, hanno potuto usufruire della detenzione domiciliare o degli arresti domiciliari.
Secondo l'art. 5 del citato decreto legge le previsioni riguardano i provvedimenti emessi dopo il 23 febbraio 2020: tutti i termini per la verifica delle condizioni di permanenza del provvedimento decorrono dalla data di entrata in vigore del decreto legge. In altri termini, si prevede che sia per i provvedimenti a termini esauriti, sia per quelli collocati “a cavallo”, il termine di quindici giorni decorre dall'entrata in vigore del decreto legge.
L'art. 3 del d.l. fa riferimento a due categorie di soggetti: l'una riguarda gli imputati dei delitti di cui all'art. 270, 270-bis, 416-bis c.p., 74 comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, o delitti commessi avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l'associazione mafiosa o per un delitto commesso con finalità di terrorismo ai sensi dell'art. 270-sexies c.p.; l'altra riguarda gli imputati sottoposti al regime previsto dall'art. 41-bis l. n. 354 del 1975. Nei confronti di questi soggetti, il P.M. verifica entro il termine di quindici giorni la permanenza delle condizioni di cui all'emergenza Covid-19 che hanno determinato la sostituzione delle misure e in caso di esito positivo (cioè, di permanenza delle esigenze securitarie), con successiva cadenza mensile, ma anche immediatamente appena la compatibilità della misura inframuraria sia comunicata dal DAP. Acquisiti gli elementi del superamento della fase emergenziale il P.M., ove permangano le originarie esigenze cautelari, chiede al giudice il ripristino della custodia in carcere. Non è chiaro se il P.M., all'esito della attività informativa espletata, ove ritenga di non richiedere il ripristino della misura debba emettere un motivato provvedimento negativo, forse necessario, quantomeno, per far decorrere il termine del controllo nel successivo mese. Dal combinato disposto delle due previsioni richiamate sembra emergere che il termine di quindici giorni sia quello entro il quale il P.M. debba attivarsi, restando fermo che la richiesta al giudice del ripristino dovrà essere inoltrata solo nel caso in cui il P.M. abbia valutato la necessità del ripristino della custodia in carcere, tenuto anche conto del permanere delle originarie esigenze cautelari.
Un discorso leggermente diverso deve farsi con riferimento alla comunicazione del DAP relativamente alla disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta adeguate alle condizioni di salute dell'imputato: in tal caso sembrerebbero integrarsi le condizioni per il ripristino delle misure, ma deve ritenersi che permanga in capo al P.M. la valutazione sul ripristino della misura, ancorché in una dimensione maggiormente ristretta. Permane, del resto, nella sua sfera di giudizio la possibilità dell'eventuale modifica delle esigenze cautelari. L'insieme di questi elementi - modifica della situazione emergenziale e esigenze cautelari – saranno valutate dal giudice secondo quanto previsto dal comma 2 dell'art. 3. A tal fine si stabilisce che, ai fini della decisione, il giudice, prima di provvedere, deve sentire l'autorità sanitaria regionale (nella persona del Presidente della Regione) in ordine alla situazione sanitaria locale, nonché tener conto delle indicazioni del DAP in ordine alla disponibilità delle strutture penitenziarie o dei reparti di medicina protetta. Invero, questi elementi dovrebbero essere stati trasmessi con la richiesta del ripristino delle misure inframurarie da parte del Pubblico ministero. Il giudice provvederà considerando prioritariamente che le riferite indicazioni evitino di pregiudicare la salute dell'imputato, con l'alternativa, in caso di impossibilità di decidere allo stato degli atti, di disporre anche d'ufficio e informalmente, accertamenti sullo stato di salute dell'imputato ovvero una perizia nelle forme dell'art. 220 e segg. c.p.p., che dovrà essere espletata entro quindici giorni. Ai sensi dell'incipit del comma 2 dell'art. 3 resta ferma la possibilità per il giudice di revocare la misura della custodia in carcere ove risultino mancanti anche per fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità di cui agli artt. 273, 274 e 275 c.p.p.
Ebbene, va sottolineato come l'art. 3 del d.l. non faccia nessun riferimento all'esercizio del diritto di difesa. Al riguardo si impongono alcune riflessioni. Considerato che è obbligatorio e preventivato un intervento del P.M., la difesa potrà, nei quindici giorni previsti, indirizzare alla procura della repubblica memorie e documenti, e quant'altro ritenga utile per tutelare l'imputato anche ai fini di una riconsiderazione delle originarie esigenze cautelari nei ristretti spazi in cui le ipotesi criminose di cui al provvedimento lo consentono. Si tratta, infatti, in larga parte di ipotesi delittuose governate dalla presunzione assoluta della pericolosità sociale, di cui all'art. 275, comma 3, c.p.p. Questi elementi dovrebbero essere dal P.M. trasmessi al giudice con la richiesta del ripristino della misura e dovrebbero essere valutati dal giudice nel provvedimento con cui viene disposta la misura carceraria, anche al fine di un'eventuale impugnazione, che – secondo la giurisprudenza – dovrebbe essere svolta attraverso l'art. 310 c.p.p., cioè, con l'appello. Si consideri altresì che la giurisprudenza ritiene che l'applicazione della nuova misura non richiede lo svolgimento dell'interrogatorio di garanzia. Alcuni spazi difensivi potrebbero prospettarsi – sempre nei riferiti limiti di cui all'art. 275, comma 3, c.p.p., in relazione alle situazioni di fragilità soggettiva, ancorati a profili di eccezionale pericolosità, ostativi al ritorno in carcere. Ancora, nei riferiti angusti spazi consentiti dalla tipologia dei reati contemplati dal decreto legge, a fronte d'una richiesta difensiva di sostituzione della misura, degli arresti domiciliari con altra non custodiale, il giudice dovrebbe sentire l'imputato secondo le indicazioni dell'art. 299, comma 4, c.p.p. Per concludere, come emerge da queste brevissime considerazioni, gli spazi difensivi nell'ambito della nuova procedura sono a dir poco angusti, se non addirittura inesistenti. |