L'utilizzabilità delle intercettazioni illegittime svolte in altri procedimenti resta preclusa anche nella trattazione con rito abbreviato

Francesco Atzori
20 Maggio 2020

L'inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni svolte in altri procedimenti non viene necessariamente sanata dalla richiesta di giudizio abbreviato…
Massima

L'inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni svolte in altri procedimenti non viene necessariamente sanata dalla richiesta di giudizio abbreviato, risultando viceversa deducibili nel rito alternativo tutte le inutilizzabilità patologiche conseguenti all'assunzione di atti probatori in violazione di specifici divieti normativi.

Il caso

La ricorrente, ritenuta responsabile con doppia conforme in esito a giudizio abbreviato, del reato continuato di falso ideologico in atto pubblico e fraudolenta predisposizione di documenti relativi ad un sinistro stradale, ha proposto ricorso per Cassazione deducendo violazione di legge in ordine alla ritenuta utilizzabilità delle conversazioni telefoniche intercettate nel corso di altro procedimento, ed utilizzate come prova a sostegno dell'affermata responsabilità, nonostante la mera occasionalità del rapporto che aveva collegato le due vicende oggetto di indagine.

In particolare, si deduceva che l'utilizzo delle intercettazioni poteva considerarsi legittimo solo a seguito di una accertata stretta correlazione strutturale ed investigativa che fungesse da collegamento tra le ipotesi di reato perseguite, risultando in difetto vanificate le tutele accordate ai diritti di rango costituzionale in tema di libertà e diritti fondamentali della persona.

L'ambito entro il quale deve considerarsi legittimo l'utilizzo probatorio delle intercettazioni derivanti da altro procedimento, costituiva materia di esame già rimesso alla valutazione delle Sezioni Unite, che si sono pronunciate con la Sentenza (28.11,2019, depositata il 2 gennaio 2020, n.51), alle cui motivazioni la Quinta Sezione si è uniformata; quindi, cassata la decisione impugnata, ha disposto il rinvio al giudice del merito per una nuova valutazione delle risultanze probatorie del processo, escludendo la utilizzabilità delle intercettazioni contestate.

La questione

Le problematiche che la decisione si è trovata ad affrontare sono sostanzialmente due.

La prima, logicamente preliminare, derivante dalla denunciata violazione di legge con riferimento all'art.270, comma 1, c.p.p. ha comportato la verifica delle condizioni che consentono di definire “diverso” il processo nel quale, a norma dell'art.270, comma 1, c.p.p. è vietata l'utilizzazione dei risultati di intercettazioni, prendendo atto che il divieto non si estende fino ad escludere una possibilità di utilizzazione delle intercettazioni svolte in altri procedimenti, a condizione che le indagini, pur concernenti reati diversi, risultino strettamente connesse e collegate, sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico, al reato per il quale il mezzo di ricerca della prova è stato disposto; ed a seguire, ritenuto che la diversità che distingue i procedimenti deve essere intesa in senso “sostanziale”, andava accertato in concreto se, al di là del dato formale, si potesse ritenere sussistente un legame idoneo a collegare le fattispecie di reato in considerazione, quella perseguita e oggetto di intercettazione e quella emersa nel contesto delle operazioni di ascolto, secondo i parametri che la giurisprudenza ha individuato a questo fine, escludendo espressamente di attribuire rilievo dirimente al dato della iscrizione della notizia di reato.

La seconda questione, che in realtà non costituiva oggetto di doglianza formulata col ricorso, ma che è stata opportunamente affrontata “sua sponte” dalla Corte, ha riguardato la deducibilità, nel corso del giudizio abbreviato, della questione di inutilizzabilità probatoria delle intercettazioni provenienti da altro procedimento e riversate nel fascicolo del P.M. La circostanza ha consentito alla Corte di puntualizzare il suo punto di vista, in piena aderenza a quanto indicato dalle Sez. Unite, in merito allo spartiacque che distingue la inutilizzabilità “patologica” dell'atto probatorio rispetto alla inutilizzabilità definita “fisiologica”, come conseguenza della causa di invalidità che ne pregiudica la possibilità di utilizzo, escludendo che per effetto della scelta difensiva di richiedere il rito abbreviato si possa verificare un effetto sanante a favore dell'atto probatorio affetto da vizio “patologico”, che anzi risulta rilevabile anche d'ufficio ed in ogni stato e grado del procedimento.

Le soluzioni giuriche

La sentenza risolve la prima delle problematiche devolute al suo esame, inserendosi nel solco tracciato recentemente dalla decisione delle Sez. Unite, “Cavallo” (28 novembre 2019, depositata il 2 gennaio 2020, n. 51) della quale accoglie in particolare quanto costituisce il risultato di un espresso approfondimento, svolto dalle Sez. Unite, nel contesto di “alcune ulteriori puntualizzazioni” espresse in calce alla motivazione con cui ha dato conto degli orientamenti espressi dalla giurisprudenza di legittimità e della soluzione prescelta in ordine al significato concreto ed effettivo da attribuire alla nozione di “diverso procedimento”.

Con un solido aggancio alla giurisprudenza costituzionale, le Sez. Unite, ricordano in primo luogo che l'art. 270 c.p.p. codifica un divieto, a fronte del quale, l'utilizzo delle intercettazioni in procedimento diverso da quello dove sono state disposte, si pone come eccezione alla regola, ed in quanto tale deve sottostare al rispetto di un rigido binario normativo in grado di assicurare la concreta tutela dei diritti primari in conflitto, cosicchè solo “eccezionalmente” e “nei casi tassativamente indicati dalla legge” è consentita “l'utilizzazione delle intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi, limitatamente all'accertamento di una categoria predeterminata di reati presuntivamente capaci di destare particolare allarme sociale” (C.C. sent. n. 63/1944). Le Sez. Unite, affermano di seguito che il punto di equilibrio per la tutela delle esigenze contrapposte (il rispetto dei diritti della persona costituzionalmente garantiti e le necessità conseguenti all'attività di prevenzione e repressione dei reati, cui è ugualmente attribuita rilevanza costituzionale) va individuato, e trova il suo fondamento, nella motivazione del provvedimento giudiziale di autorizzazione delle intercettazioni, la cui legittimità “esige l'effettività ed il saldo ancoraggio alla fattispecie concreta dell'autorizzazione del giudice, che deve dar conto dei “soggetti da sottoporre al controllo” e dei “fatti costituenti reato per i quali in concreto si procede” (C:C. sent.n.366/1991).

Ne deriva che ritenere utilizzabili i risultati delle intercettazioni disposte per uno dei reati che ne hanno legittimato l'autorizzazione, ad altre fattispecie di reato la cui conoscenza è occasionalmente emersa proprio grazie alle operazioni di intercettazione, indipendentemente da qualsiasi legame sostanziale esistente tra gli uni e gli altri, significherebbe attribuire al provvedimento del giudice la connotazione di una inaccettabile “autorizzazione in bianco” che si pone in assoluto contrasto con l'ordinamento costituzionale.

Le Sez. Unite, quindi, premesso che la tutela delle libertà e la segretezza delle comunicazioni non può subire restrizioni o limitazioni da alcuno dei poteri costituiti, se non in ragione dell'inderogabile soddisfacimento di un interesse pubblico primario, come quello riconosciuto all'esigenza di perseguire e reprimere i reati, e dopo aver individuato nel provvedimento giudiziale di autorizzazione delle intercettazioni, ed in particolare nell'assolvimento dell'obbligo della sua puntuale e precisa motivazione, il suo fondamento, approdano alla conclusione che è proprio nel contenuto del provvedimento di autorizzazione delle operazioni di intercettazione che si deve rinvenire l'elemento decisivo per la concreta verifica della sussistenza di quel legame sostanziale, indipendente dalla vicenda processuale, che deve consentire di individuare il collegamento tra il reato per il quale è stata autorizzata l'intercettazione ed il reato emerso a seguito delle operazioni di ascolto, perché solo in questo caso i risultati di quella attività probatoria possono essere utilizzati in altro procedimento.

Il percorso seguito dalla Cassazione, facendo iniziale chiarezza sull'equivoca utilizzazione semantica del termine “procedimento”, considerato alle volte come sinonimo di “reato”, prosegue con lo scopo di verificare quale “legame sostanziale” tra il reato in relazione al quale l'autorizzazione all'intercettazione è stata concessa, ed il reato emerso dai risultati di tale intercettazione, renda quest'ultimo riconducibile all'originario provvedimento di autorizzazione, salvandone la utilizzabilità.

Con le “ulteriori precisazioni” espresse nella prosecuzione del loro ragionamento, le SEZ. UNITE, si fanno carico di questa verifica, ed in tal modo approdano ad una soluzione che risolve la questione devoluta allo scrutinio della Quinta Sezione, incentrata sulla necessità di stabilire se il collegamento investigativo previsto dall'art. 371 c.p.p. sia idoneo ad integrare o meno, quel tipo di legame che consente l'utilizzo delle intercettazioni in altro procedimento, ed a questo fine ha osservato che mentre la previsione di connessione tipica descritta al comma 2, lettera a) dell'art.371 c.p.p. con il suo riferimento al disposto dell'art.12 c.p.p. , soddisfa certamente le caratteristiche di un “legame sostanziale” perché lo rende riconducibile all'originario provvedimento autorizzativo, non si può attribuire lo stesso significato alle modalità del collegamento tra le indagini che viene descritto al comma 2, lettere b) e c) dell'art 371, che quindi non consentono la migrazione del risultato delle intercettazioni per un uso probatorio da un procedimento ad un altro.

Valutazioni che danno implicita soluzione alla prima delle questioni proposte con il ricorso alla Quinta Sezione, che sulla base dei criteri di connessione previsti dall'art.12 c.p.p. , hanno sottoposto ad un rigoroso vaglio le risultanze del processo, riscontrando l'assenza di alcuna ipotesi di concorso di persone nel reato; l'assenza di situazioni riferibili ad un concorso formale o una continuazione tra reati, ed infine la mancanza di qualsiasi nesso di strumentalità tra i reati addebitati e quelli oggetto di autorizzazione delle intercettazioni, per cui hanno escluso l'esistenza di una situazione idonea ad integrare l'eccezione prevista dall'art. 270 c.p.p. dato emergendo al contrario semplicemente un rapporto di occasionalità irrilevante al fine considerato.

Quindi, escluso che il risultato delle intercettazioni fosse utilizzabile per la decisione, la Corte ha cassato, con rinvio al giudice del merito per una nuova valutazione degli altri elementi inseriti nel fascicolo del giudizio.

La vicenda processuale consente ai giudici della Quinta Sezione di esprimersi sull'ulteriore problema inerente il regime di deducibilità delle invalidità degli atti probatori e degli atti introduttivi e propulsivi del procedimento, in sede di rito abbreviato.

Infatti, assodato che i procedimenti interessati dalla richiesta di utilizzo dei risultati dell'intercettazione sono diversi, e posto che da tale circostanza deriva la inutilizzabilità dei risultati dell'intercettazione, si pone il problema dell'ammissibilità della eccezione di inutilizzabilità formulata in una sede processuale come quella del rito abbreviato, caratterizzato dalla contrazione dell'utilizzo probatorio del materiale riversato nel fascicolo del P.M. e dove sollevare eccezioni in ordine alla invalidità dell'atto probatorio risulta limitato.

Si tratta di una questione oggetto di ampio dibattito sin dall'entrata in vigore del codice del 1988, a partire dagli incerti confini ed il contenuto della categoria della “inutilizzabilità” prevista in termini generali dall'art.191 c.p.p. per la quale si è affermato con una pronuncia ormai risalente (Sez. Unite, 27 marzo 1996, Sala) che i divieti la cui violazione rende l'atto a contenuto probatorio inutilizzabile, non si limitano a quelli espressamente previsti dall'ordinamento processuale, ma si estendono anche a quelli da esso desumibili; il che accade tutte le volte in cui i divieti in materia probatoria non sono dissociabili dai presupposti normativi che condizionano la legittimità intrinseca del procedimento formativo o acquisitivo della prova.

Il regime della rilevabilità in ordine alla inutilizzabilità della prova si applica ad una duplice gamma di ipotesi, ricomprendendo sia l'ambito applicativo della sanzione posta in via generale a corredo dei divieti probatori enucleati dall'interprete, sia a determinare la portata operativa delle ipotesi di inutilizzabilità speciale individuate espressamente dal legislatore all'interno della disciplina dei singoli mezzi di ricerca e di acquisizione del materiale probatorio. In questa seconda categoria si inserisce - quale previsione di inutilizzabilità speciale che riguarda il settore delle intercettazioni telefoniche – l'art.271c.p.p. che sanziona da un lato le intercettazioni intrinsecamente illegittime per essere state disposte al di fuori dei casi previsti dalla legge, e, dall'altro i risultati intercettativi ottenuti in violazione di specifiche modalità di esecuzione ex artt.267 e 268, commi 1 e 3, c.p.p.

La scelta del legislatore volta a estendere l'operatività della radicale sanzione dell'inutilizzabilità al di fuori del suo perimetro naturale, circoscritto alla violazione di divieti probatori, fino a coprire talune inosservanze relative alle modalità di formazione della prova, si giustifica in ragione della copertura costituzionale accordata al diritto alla libertà ed alla riservatezza delle conversazioni, la cui limitazione può avvenire solo nei casi previsti dalla legge e con atto motivato, e quindi sindacabile, dell'autorità giudiziaria, che ne costituisce il fulcro della legittimità.

Le questioni inerenti la tipologia del vizio da cui sarebbe affetto l'atto probatorio, e la categoria della patologia che ne determina la invalidità, assumevano una particolare rilevanza in sede di svolgimento del rito abbreviato, nel quale veniva dato per implicito l'assunto che la richiesta del rito alternativo comprendesse, oltre alla accettazione del giudizio allo stato degli atti, anche la contestuale rinuncia a proporre eccezioni sulla ritualità degli atti probatori inseriti nel fascicolo da utilizzare per il giudizio, con una conseguente tacita acquiescenza verso le patologie che si fossero prodotte nell'ambito del procedimento, e quindi sterilizzando l'ambito del contesto probatorio su cui si sarebbe pronunciato il giudice. A margine di questo orientamento ne emergeva uno minoritario, per il quale viceversa sarebbe stato sempre possibile eccepire le nullità assolute e le invalidità generali di cui all'art. 191 c.p.p., ritenute rilevabili anche d'ufficio ed in ogni stato e grado del procedimento.

Con la pronuncia “Tammaro” (Sez. Unite, 21 giugno 2000, n. 16) resa in relazione al tema delle inutilizzabilità, si è affermato il fondamentale principio per il quale sebbene il rito abbreviato costituisca un procedimento ”a prova contratta”, che trova fondamento su un patteggiamento negoziale “sul rito”, da cui deriva che le parti accettano che il giudizio sia definito all'udienza preliminare sulla base degli atti di indagine già acquisiti, il relativo accordo può comprendere solo quanto è oggetto di poteri che rientrano nella sfera della disponibilità degli interessati, senza avere alcuna possibilità di incidere limitando il potere-dovere del giudice di essere, anche in quel rito speciale, il garante del corretto procedimento probatorio.

Da qui la rilevanza della inutilizzabilità “patologica”, posta come sanzione attribuita agli atti probatori assunti contra legem, il cui impiego è vietato in modo assoluto non solo nel dibattimento ma in qualsiasi altra fase del procedimento, ivi comprese le indagini preliminari, l'udienza preliminare, le procedure incidentali cautelari e quelle negoziali di merito. Si tratta di una condizione di invalidità che non può essere modificata né sanata in alcun modo, ed anzi è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento, per cui non può costituire materia di accordo negoziale, e tanto meno essere oggetto di una rinuncia implicita, a differenza di ciò che integra una inutilizzabilità “fisiologica” dell'atto, la cui attenuata condizione di gravità determina un diverso tipo di incidenza nel processo.

La motivazione della sentenza contiene poi una casistica di decisioni, tutte relative a situazioni affette da anomalia “patologica”, accompagnate dalla opportuna precisazione che “nel fenomeno della “inutilizzabilità patologica” rientrano tanto le prove oggettivamente vietate quanto le prove comunque formate o acquisite in violazione – o con modalità lesive- dei diritti fondamentali della persona tutelati dalla Costituzione e perciò assoluti e irrinunciabili, a prescindere dall'esistenza di un espresso o tacito divieto al loro impiego nel procedimento contenuto nella legge processuale (C. Cost: n. 34 / 1973)

Risultava quindi compiutamente delineata una cornice di chiara sussunzione delle fattispecie integranti l'ipotesi di inutilizzabilità patologica, includente numerose violazioni verificatesi nell'iter formativo della prova.

Con riferimento alle intercettazioni, il perimetro dei divieti che ne impedivano l'utilizzo in altro procedimento, aveva trovato poi una significativa descrizione nel contenuto di quanto affermato dalle Sezioni Unite con la decisione n. 1153/2008 secondo cui “Va ricordato che l'art. 271 c.p.p. sancisce il “divieto di utilizzazione” dei risultati delle intercettazioni “qualora non siano state osservate le disposizioni previste dell'art. 267 c.p.p. e art. 268 c.p.p. comma 1 e 3; trattasi di previsione che quella sanzione commina in tutti i casi in cui vi siano violazioni di quelle disposizioni, tutte, evidentemente, ritenute definitivamente “patologiche”.

In quella decisione si affermava inoltre che: “Costituisce, invero, ius receptum che:

-in tema di inutilizzabilità, la disciplina applicabile nella materia delle intercettazioni è quella contenuta nell'art. 271 c.p.p. norma a carattere specifico che prevale, perciò, su quella generale di cui all'art. 191 c.p.p.;

- l'inutilizzabilità colpisce non l'intercettazione in quanto mezzo di ricerca della prova, bensì i suoi risultati, che a loro volta possono rivestire sia la natura di prova, tipica della fase di giudizio, sia quella di indizio, tipica della fase delle indagini preliminari;

- l'art. 271 c.p.p. accomuna tutte le violazioni ivi indicate nell'unica sanzione dell'inutilizzabilità, per cui è irragionevole operare qualsivoglia distinzione tra tipi diversi di violazione (sostanziale-formale) al fine di collegare la sanzione processuale solo ad alcuni di essi, ed è altresì irragionevole ricollegare la sanzione stessa (inutilizzabilità) alla fase del procedimento.

Il fondamento di tale equiparazione aveva trovato autorevole premessa nella giurisprudenza costituzionale (sent. n. 443/2004), che aveva precisato come ogni compressione del diritto alla riservatezza, tutelato dall'art. 15 Cost. dovesse trovare la sua fonte di legittimazione in un provvedimento motivato dal giudice, con la conseguenza che a tale garanzia non possono essere sottratte le modalità concrete con le quali si procede alle autorizzate intercettazioni (sent. n. 34/1973; n. 81/1993; ord. n. 275/2004 e Cass. pen.,Sez. Unite, n. 2737/2006).

Proseguendo la decisione affermava “Ciò non altro può significare che, al cospetto di intercettazioni eseguite fuori dai casi previsti dalla legge, ovvero in violazione dell'art. 267 c.p.p. ed art. 268 c.p.p. comma 1 e 3, si versa in ipotesi di chiara “illegalità”, al di là della sanzione che il legislatore denomina inutilizzabilità, donde la condivisibile affermazione che costituendo la disciplina delle intercettazioni concreta attuazione del precetto costituzionale, in quanto attuativa delle garanzie da esso richieste a presidio della libertà e della segretezza delle comunicazioni, la sua inosservanza deve determinare la totale “espunzione” del materiale processuale delle intercettazioni illegittime, che si concreta nella loro giuridica inutilizzabilità e nella “fisica eliminazione” (C. Cost. sent. N. 720/75); Sez. Un. 3/96).

Il quadro delineato dalla sentenza “Tammaro”, apparentemente risolutivo, non è rimasto immune dal tentativo di demolire la strenua difesa delle garanzie poste a fondamento dei diritti fondamentali della persona, in funzione di una maggiore capacità di repressione del sistema nei confronti dell'attività criminale, e ben presto la problematica interpretativa si è spostata dalla definizione delle tipologie dei vizi deducibili in sede di rito abbreviato, alla concreta e specifica qualificazione delle tipologie di inutilizzabilità e di nullità afferenti i singoli atti, inaugurandosi una spinta che ha finito col ridurre drasticamente la portata del principio affermato dalle Sezioni Unite, e dando luogo alla formazione di una giurisprudenza, che seppure formalmente ossequiosa ai principi della sentenza Tammaro, di fatto se n'è discostata aggirandone il rigore garantistico, e riconducendo per via interpretativa talune ipotesi di inutilizzabilità e di nullità, in origine classificate rispettivamente patologiche e/o assolute, e come tali comprese nell'ambito della deducibilità consentita alla difesa anche nel corso del giudizio abbreviato, nel perimetro delle inutilizzabilità fisiologiche, ovvero delle nullità a regime intermedio e relative, suscettibili di subire gli effetti della scelta negoziale sul rito.

La rigorosa applicazione del divieto sanzionato della inutilizzabilità ha quindi iniziato a subire subisce una strisciante erosione, facilmente verificabile nella nutrita casistica di violazioni che, in materia di intercettazioni, attingevano al momento formativo della prova, in violazione dei precetti che ne delimitavano il corretto svolgimento, sono trasmigrate nel novero delle inutilizzabilità fisiologiche per via interpretativa con la ovvia contrazione del contenuto e degli spazi di operatività annessi al concetto di “inutilizzabilità patologica”, che al momento appare confinata nel rango di ipotesi estrema e residuale, ravvisata solo con riguardo a quegli atti la cui assunzione comporta una manifesta violazione dei principi fondamentali dell'ordinamento o comunque abbia prodotto un pregiudizio grave ed insuperabile al diritto di difesa dell'imputato; com'è chiaramente desumibile dal significato testuale della pronuncia (Cass. pen.,Sez. III, 9 giugno 2017, n. 882) in cui si afferma che “nella categoria della inutilizzabilità patologica sono compresi non tutti gli atti probatori assunti “contra legem(che, in tal caso, non sarebbe comprensibile la distinzione rispetto alla categoria della inutilizzabilità fisiologica), ma solo quegli atti probatori il cui impiego è vietato in modo assoluto, per essere la relativa assunzione avvenuta in contrasto radicale con la normativa che li disciplina”.

Proprio le intercettazioni, in funzione della rilevante valenza investigativa maturata nel tempo, hanno incentivato un forte interesse a salvarne il contenuto probatorio, e questo risultato è stato ottenuto attraverso una interpretazione meno severa delle conseguenze connesse all'imperfetta formazione in termini operativi del loro contenuto.

Con le scelte operate dalle modifiche legislative introdotte con la legge 23 giugno 2017, n.103, si è prodotta una riforma che ha profondamente inciso sulla disciplina del giudizio abbreviato, interessando espressamente la problematica che concerne il regime di deducibilità delle invalidità degli atti probatori e di quelli introduttivi e propulsivi, oltre ad introdurre un chiaro sbarramento alla questione di incompetenza per territorio del giudice procedente nel contesto dl rito abbreviato.

Con il nuovo comma 6-bis dell'art.438 c.p.p. risulta infatti che: “La richiesta di giudizio abbreviato proposta nell'udienza preliminare determina la sanatoria delle nullità, sempre che non siano assolute, e la non rilevabilità delle inutilizzabilità, salve quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio. Essa preclude altresì ogni questione sulla competenza per territorio del giudice.”

L'effetto “sanante” che prima veniva attribuito implicitamente alla scelta difensiva del rito speciale, adesso è conseguenza dell'espressa formulazione normativa.

Apparentemente la modifica legislativa non ha espressamente inciso sul nodo fondamentale della individuazione della corretta linea di confine tra le due categorie di inutilizzabilità create dalla interpretazione giurisprudenziale, ma di fatto, avendo attribuito l'effetto sanante della scelta processuale del rito abbreviato a tutto ciò che non può essere definito “nullità assoluta” o “inutilizzabilità derivante dalla violazione di un divieto probatorio” , da leggersi nel quadro della interpretazione giurisprudenziale precedente, ha contribuito ad avvallare una visione della “inutilizzabilità patologica” come categoria residuale, limitandone la concreta incidenza nel perimetro delle eccezioni formulabili in sede di rito abbreviato.

Rimane comunque affermato che nel giudizio abbreviato - contestualmente alla richiesta, o nel corso del suo svolgimento, ed anche nei successivi gradi di giudizio –restano rilevabili, anche d'ufficio, tanto le fattispecie di inutilizzabilità patologica che le nullità assolute verificatesi in ordine alla formazione della prova (e specificatamente per le intercettazioni) mentre si conferma esclusa la possibilità di eccepire le patologie che danno luogo alle inutilizzabilità fisiologiche e relative, oltre a quelle intermedie e relative, maturate prima della scelta del rito.

Qualche perplessità permane in ordine al diverso trattamento che subisce l'eccezione di incompetenza per territorio, sollevata nei riti speciali, perché mentre nel giudizio immediato l'art. 458, comma 1, c.p.p. consente che unitamente alla richiesta di rito abbreviato possa anche essere sollevata l'eccezione di incompetenza, nel procedimento per decreto, con la opposizione formulata ai sensi dell'art.464 c.p.p. richiedendo il rito abbreviato, rimane espressamente impedita la formulazione dell'eccezione, per effetto dell'espresso rinvio normativo all'applicazione dell'art. 438, comma 6-bis, c.p.p.

Osservazioni

Va segnalato infine che la normativa oggetto della decisione in commento è stata interessata dal recente intervento legislativo culminato con la conversione in legge con modifiche del D.L. 30 dicembre 2019, n.161, pubblicato sulla G.U. n. 50 del 28 febbraio 2020, che ha introdotto significative innovazioni sul testo dell'art.270, comma 1, c.p.p. che attualmente dispone: “I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino rilevanti ed indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza, e dei reati di cui all'art. 266, comma 1”.

La modifica introduce una previsione di valutazione di “rilevanza”, accomunata alla originaria “indispensabilità”, che costituiscono parametri di valutazione in relazione al superamento del divieto normativo previsto dall'art.270 c.p.p. per consentire la repressione di quei reati che in origine erano solo i delitti per i quali è obbligatorio l‘arresto in flagranza, ed ai quali sono stati affiancati quelli contenuti nel catalogo elencato dall'art. 266, comma 1,c.p.p. arricchito delle ulteriori fattispecie inserite con la nuova lettera f-quinquies, dilatando quindi l'ambito di applicazione della deroga al divieto previsto dall'art. 270 c.p.p. e consentendo l'ammissibilità di utilizzo della intercettazione proveniente da diverso procedimento anche ad una più vasta platea di ipotesi di reato.

Nel quadro delle modifiche di recente introduzione legislativa è stata inserita anche una nuova formulazione del capoverso dell'art. 266, 1-bis, che, ribaltando il divieto espresso nel testo previgente, introduce una previsione di consenso espresso all'utilizzo delle risultanze di una attività di ascolto realizzata con l'uso del captatore informatico esteso “a reati diversi” rispetto a quelli oggetto della iniziale autorizzazione, per cui attualmente “I risultati delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile possono essere utilizzati per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione, qualora risultino indispensabili per l'accertamento dei delitti indicati dall'art. 266, comma 2-bis”.

Si tratta di una modifica per la quale, con riferimento a un mezzo di investigazione particolarmente invasivo della sfera delle libertà personali, risulta consentita l'utilizzazione probatoria degli esiti dell'intercettazione tra presenti anche per ipotesi di reato diverse rispetto a quelle indicate nella originaria autorizzazione, purchè previsti nel novero desunto dall'art. 266, comma 2-bis c.p.p.

Non è del tutto evidente invece il significato dell'introduzione del parametro di “rilevanza” aggiunto a quello della “indispensabilità”, di cui sembrerebbe voler rafforzare il rilievo, ma che al contrario potrebbe risultare di dubbia utilità laddove si verifichino situazioni in cui il “rilevante” possa anche non convivere contestualmente con “l'indispensabile”, e ponendo quindi problemi di interpretazione che si riflettono sulla tenuta argomentativa dell'eccezione che consente l'utilizzazione.

Guida all'approfondimento

In giurisprudenza si veda anche:

Cass. pen., Sez. Unite, 28/11/2019 n. 59 “Cavallo”

Cass. pen., Sez. Unite, 26/06/2014 n. 32697

Cass. pen., Sez. Unite, 21/06/2000 n. 16, “Tammaro”

Cass. pen., Sez. Unite, 01/10/1990, “Sini” in CED 188581

Casistica

In ordine ai “vizi” delle intercettazioni che non costituiscono “inutilizzabilità patologica”:

Cass. pen., Sez. V, 24/10/2018, n. 15041 (negato accesso al server dell'ufficio inquirente)

Cass. pen., Sez. V, 14/09/2017, n. 48978 (intercettazioni disposte da giudice incompetente)

Cass. pen., Sez. III, 09/06/2017, n. 882 (intercettazione mediante impianti della P.G.)

Cass. pen., Sez. IV 06/06/2017, n. 44006 (negato accesso al server dell'ufficio inquirente)

Cass. pen., Sez. II, 24/02/2016 n. 10134 (intercettazione mediante impianti della P.G.)

Giurisprudenza della Corte EDU

Corte e.d.u. IV 29.03.2005 Mattreron c. Francia D.P.P. 2005 n. 649 condanna della Francia per violazione dell'art. 8 c.e.d.u. a seguito dell'utilizzo dei risultati di un'intercettazione disposta in un diverso procedimento, senza che l'interessato nei cui confronti si è verificato l'uso abbia potuto verificarne la sua legittima assunzione nel procedimento dove è stata disposta. Con plurime successive decisioni nello stesso senso.

Dottrina

A. MARANDOLA, Le intercettazioni, in Manuale Teorico Pratico di Diritto Processuale Penale, Milano, 2018

L. FILIPPI, Le nuove norme su intercettazioni e tabulati, Pacini Giuridica 2018

L. FILIPPI, Le Sez. Unite, contraddicono la Consulta, Dir. Pen. e Proc. 2005 5.565

L. FILIPPI, L'intercettazione di comunicazioni, Milano 1997;

G. SPANGHER, Il D.L. Intercettazioni, in Giustizia Insieme, 2020;

G. SPANGHER, Le intercettazioni in La pratica del processo penale, CEDAM, 2014
T. AIESCI, La nuova fisionomia del giudizio abbreviato, in La Riforma Orlando, Pacini Giuridica 2017

C. IASEVOLI, Le patologie processuali sui riti alternativi, in Le invalidità processuali, UTET 2015

GALANTINI, Inutilizzabilità” (dir. proc. pen.) in Enc. Dir. Milano 1997

M.S. CHELO, Divieto di utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ex art.270 c.p.p. sull'effettiva portata di “procedimento diverso” in ilPenalista, 24/02/2020

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