Morte del familiare e pensione di reversibilità: non c'è spazio per la compensatio lucri cum damno

Francesco Agnino
22 Maggio 2020

La compensatio lucri cum damno opera nel caso di erogazione di prestazioni di reversibilità?
Massima

La c.d. compensatio lucri cum damno (la quale non costituisce un istituto a sè, ma una regola empirica di corretta aestimatio del danno) non opera quando il vantaggio conseguito dalla vittima dopo il fatto illecito sia destinato a ristorare pregiudizi ulteriori e diversi da quello di cui ha chiesto il risarcimento (nel caso di specie la Cassazione ha cassato la sentenza di appello che aveva scomputato dall'ammontare complessivo dovuto in favore degli attori le somme corrisposte loro dalle assicurazioni elvetiche a seguito del decesso, nell'incidente stradale, del loro congiunto, osservando che le prestazioni erogate dalle assicurazioni elvetiche si collocano nell'ambito delle prestazioni di reversibilità e sono, pertanto, volte al ristoro del danno patrimoniale sofferto dagli eredi e non di quello non patrimoniale e cagionato dal danneggiante).

Il caso

A seguito di un sinistro stradale, una donna decedeva e gli eredi – segnatamente marito e figlio – agivano in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali sofferti.

La Corte di Appello d'appello scomputava dall'ammontare complessivo dovuto in favore degli eredi le somme corrisposte loro dalle assicurazioni elvetiche a seguito del decesso del loro congiunto.

Avverso tale pronuncia gli eredi del de cuius promuovono ricorso per Cassazione sostenendo l'erroneità della compensazione operata tra rendita riconosciuta dalla assicurazione elvetica e riconoscimento del danno non patrimoniale.

La Corte con la sentenza in esame accoglie il ricorso ritenendolo fondato sulla scorta dei principi enunciati dalle Sezioni Unite il 22 maggio 2018 n. 12564, ai quali dichiara di aderire integralmente.

Infatti, la Corte di Cassazione rilevava che la Corte d'appello aveva errato nell'effettuare lo scorporo de quo dal momento che le prestazioni erogate dalle assicurazioni elvetiche erano equiparabili a prestazioni di reversibilità e, pertanto, volte al ristoro del danno patrimoniale sofferto dagli eredi e non di quello non patrimoniale e cagionato dal danneggiante.

La questione

La questione in esame è la seguente: la compensatio lucri cum damno opera nel caso di erogazione di prestazioni di reversibilità?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione con l'ordinanza in commento si conforma al principio di diritto a mente del quale la rendita costituita dall'Inail in favore dei superstiti, a norma dell'art. 85 del d.P.R n. 1124 del 1965, ha lo scopo di indennizzare un pregiudizio di natura patrimoniale, sicché il valore capitale di essa non può essere defalcato dal risarcimento del danno non patrimoniale spettante ai medesimi soggetti (Cass. civ., n. 26647/2019; Cass. civ., n. 27669/2017).

L'istituto della compensatio lucri cum damno non è disciplinato da una disposizione di diritto positivo, ma viene tradizionalmente individuato dalla giurisprudenza quale regola che concorre a delimitare l'ambito del danno risarcibile.

Il fondamento della regola è duplice: esso si rinviene, in primo luogo, nel principio di integralità della riparazione o del “danno effettivo”, in base al quale il risarcimento deve reintegrare totalmente il patrimonio del danneggiato della perdita subìta e del mancato guadagno (l'art. 1223 c.c.), facendo in modo che egli non sia reso né più ricco né più povero di quanto non fosse prima dell'inadempimento o dell'illecito; in secondo luogo, il fondamento si rinviene nel principio di causalità giuridica, che impone di tenere conto di tutte le conseguenze immediate e dirette (ancora l'art. 1223 c.c.) dell'evento dannoso, e dunque non solo delle conseguenze svantaggiose, ma anche di quelle vantaggiose, onde evitare che il risarcimento perda la sua funzione compensativo-riparatoria e determini un indebito arricchimento.

In altri termini, l'istituto risponde alla finalità di impedire che per il medesimo danno siano cumulate attribuzioni aventi la medesima finalità favorendo un ingiustificato arricchimento del danneggiato.

L'esistenza dell'istituto della compensatio, inteso come regola di evidenza operativa per la stima e la liquidazione del danno, non è in realtà mai stata messa in discussione nella giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. civ., n. 3507/1978), in quanto «il risarcimento deve coprire tutto il danno cagionato, ma non può oltrepassarlo, non potendo costituire fonte di arricchimento del danneggiato, il quale deve invece essere collocato nella stessa curva di indifferenza in cui si sarebbe trovato se non avesse subito l'illecito: come l'ammontare del risarcimento non può superare quello del danno effettivamente prodotto, così occorre tener conto degli eventuali effetti vantaggiosi che il fatto dannoso ha provocato a favore del danneggiato, calcolando le poste positive in diminuzione del risarcimento».

Per la giurisprudenza prevalente (Cass. civ., n. 81/2000; Cass. civ., n. 4950/2010; Cass. civ., n. 12248/2013) il principio della compensatio lucri cum damno trova applicazione solo quando il lucro sia conseguenza immediata e diretta dello stesso fatto illecito che ha prodotto il danno, non potendo il lucro compensarsi con il danno se trae la sua fonte da titolo diverso.

Si esclude, in tal modo, che il danno risarcibile sia determinato tenendo conto anche di eventuali effetti vantaggiosi che non trovino nell'illecito la loro causa, ma la semplice occasione.

La sentenza in esame si inserisce nella serie delle pronunce orientate sui principi stabiliti dalle quattro sentenze delle Sezioni Unite del 22 maggio 2018 (nn. 12564, 12565, 12566 e 12567), indirizzate a definire l'ambito di applicabilità dell'istituto della compensatio lucri cum damno nella responsabilità civile, con il dichiarato intento di non proporre una regola generale, ma di fornire principi idonei a valutare caso per caso l'esistenza dei presupposti fondamentali (un collegamento funzionale tra la causa dell'attribuzione patrimoniale e l'obbligazione risarcitoria «nel senso che entrambe siano volte a rimuovere il pregiudizio derivante dall'illecito)»; - la previsione da parte del Legislatore di un meccanismo di surroga/rivalsa di cui l'Impresa assicuratrice/l'Ente beneficia per il solo fatto del pagamento del danno cagionato dal terzo responsabile) per l'applicazione della compensatio nel singolo caso.

Il giudice della nomofilachia ha fissato i seguenti principi: «(a) alla vittima d'un fatto illecito spetta il risarcimento del danno esistente nel suo patrimonio al momento della liquidazione; (b) nella stima di questo danno occorre tenere conto dei vantaggi che, prima della liquidazione, siano pervenuti o certamente perverranno alla vittima, a condizione che il vantaggio possa dirsi causato del fatto illecito, ed abbia per risultato diretto o mediato quello di attenuare il pregiudizio causato dall'illecito; (c) per stabilire se il vantaggio sia stato causato dal fatto illecito deve applicarsi la stessa regola di causalità utilizzata per stabilire se il danno sia conseguenza dell'illecito».

Al riguardo si osserva che ancor prima dell'intervento nomofilattico ai fini dell'operatività del principio della compensatio lucri cum damno (ossia di defalchi) era necessario che il vantaggio economico fosse arrecato direttamente dal medesimo fatto concreto che aveva prodotto il danno, «dall'importo liquidato a titolo di risarcimento del danno alla persona (patrimoniale o biologico) – così la Suprema Corte in plurime decisioni (Cass. civ., n. 17764/2005; Cass. civ., n. 11440/1997) - non può essere detratto quanto già percepito dal danneggiato a titolo di pensione di inabilità o di reversibilità, oppure a titolo di assegni, di equo indennizzo, o di qualsiasi altra speciale erogazione connessa alla morte od all'invalidità» (indennizzi da polizze infortuni compresi), tolti i casi di conseguimento, da parte del danneggiato, di una posta positiva direttamente scaturita dalla stessa condotta lesiva (illecito o inadempimento) o proveniente dal danneggiante, con finalità risarcitorie per quello specifico evento, nel contesto di una “unicità del rapporto obbligatorio” (questa, per es., la fattispecie affrontata da Cons. Stato, Ad. Plen., 23 febbraio 2018, n. 1), oppure di intervento del terzo in vece del responsabile civile o, ancora, di specifiche previsioni legislative recanti azioni di surrogazione, di regresso o, comunque, di “rivalsa” o “recupero”.

In altri termini, le somme elargite dall'Inail a titolo di rendita essendo destinate alla copertura di un danno patrimoniale non possono essere compensate con le somme riconosciute agli aventi diritto a titolo di danno non patrimoniale: la rendita Inail, ai sensi dell'art. 85 del d.P.R. n. 1124/1965, ha lo scopo di fornire un ristoro di tipo patrimoniale che non può, di conseguenza, essere falcidiato con una compensazione con una somma riconosciuta per altri e diversi tipi di danno (non patrimoniale).

Le rendite erogate sono dovute in esecuzione di una precisa obbligazione previdenziale, in virtù dei versamenti contributivi operati in vita dal congiunto all'Inail nel corso dell'attività lavorativa.

In altre parole, sarebbe la diversità dei titoli della prestazione indennitaria e di quella risarcitoria a giustificare la coesistenza delle rendite e del danno patrimoniale e, quindi, l'esclusione dell'applicabilità, alla fattispecie, della compensatio lucri cum damno.

La costituzione, da parte dell'assicuratore sociale, di una rendita in favore dei prossimi congiunti di persona deceduta in conseguenza di un sinistro stradale non esclude né riduce in alcun modo il loro diritto al risarcimento del danno patrimoniale nei confronti del responsabile, non operando in tale ipotesi il principio della compensatio lucri cum damno, a causa della diversità del titolo giustificativo della rendita rispetto a quello del risarcimento, di talché non sussiste alcuna duplicazione del danno ai sensi dell'art. 1916 c.c.

Tali principi sono stati confermati in modo autorevole delle Sezioni Unite che in termini piani hanno affermato che «nell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, la rendita INAIL costituisce una prestazione economica a contenuto indennitario erogata in funzione di copertura del pregiudizio (l'inabilità permanente generica, assoluta o parziale, e, a seguito della riforma apportata dal d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, anche il danno alla salute) occorso al lavoratore in caso di infortunio sulle vie del lavoro», sicché essa, pur potendo «presentare delle differenze nei valori monetari rispetto al danno civilistico», comunque «soddisfa, neutralizzandola in parte, la medesima perdita al cui integrale ristoro mira la disciplina della responsabilità risarcitoria del terzo, autore del fatto illecito, al quale sia addebitabile l'infortunio “in itinere” subito dal lavoratore» (Cass. civ., Sez. Un., n. 12564/2018).

Le relative fattispecie sono connotate da un elemento comune: la successione nel credito risarcitorio dell'assicurato/danneggiato (o, come nel caso che occupa, dei suoi eredi), la quale attribuisce all'ente gestore dell'assicurazione sociale che abbia indennizzato la vittima (ovvero, i suoi eredi) la titolarità della pretesa nei confronti dei distinti soggetti obbligati, al fine di ottenere il rimborso tanto dei ratei già versati quanto del valore capitalizzato delle prestazioni future.

Sicché l'incremento patrimoniale corrispondente all'acquisto del diritto alla reversibilità, ricollegandosi ad un sacrificio economico del lavoratore, non costituirebbe un vero e proprio lucro ed enunciando il principio per cui, per aversi nell'ambito del giudizio di responsabilità civile una riduzione del danno risarcibile, sarebbe necessario che con il danno prodotto concorresse un autentico lucro prodotto, vale a dire un gratuito vantaggio economico.

Appare evidente che quante volte la condotta del danneggiante costituisse semplicemente l'occasione per il sorgere di un'attribuzione patrimoniale avente la propria giustificazione in un corrispondente e precedente sacrificio, allora non si riscontrerebbe quel lucro che, unico, potrebbe compensare il danno e ridurre la responsabilità.

Pertanto, in caso di infortunio sulle vie del lavoro scaturito da un fatto illecito di un terzo estraneo al rapporto giuridico previdenziale, la vittima (in tale nozione potendosi includere il soggetto infortunato, ma anche, nell'ipotesi del suo decesso, i suoi familiari) può contare su un sistema combinato di tutele, basato sul concorso delle regole della protezione sociale garantita dall'Inail (vale a dire, del sistema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro) e di quanto riveniente dalle regole civilistiche in materia di responsabilità.

Osservazioni

La Corte di Cassazione con la pronuncia in commento ha dato risposta al quesito se, al momento di procedere al risarcimento di un danno provocato da un fatto illecito, si debba procedere sempre ad una riduzione dell'ammontare del danno civilistico, detraendo tutti quei benefici economici che, successivamente al verificarsi dell'illecito, si sono prodotti per il danneggiato stesso (benefici erogati da soggetti pubblici o privati), oppure se questi benefici possano essere cumulati al risarcimento, soprattutto laddove questi vantaggi derivino da un titolo diverso dal fatto illecito (un contratto, una disposizione normativa, ecc.) e vi siano due soggetti obbligati, appunto sulla base di fonti differenti.

Se vi è unicità del soggetto responsabile del fatto illecito fonte di danni e che contestualmente è obbligato a corrispondere al danneggiato un beneficio (una provvidenza, un vantaggio), non vi sono dubbi che operi sempre il principio della compensatio.

Nel caso di prestazioni di reversibilità, nella fattispecie oggi esaminata è stata esclusa l'operatività della compensatio lucri cum damno giacché tale provvidenza realizza una tutela previdenziale connessa ad un peculiare fondamento solidaristico e non geneticamente connotata dalla finalità di rimuovere le conseguenze prodottesi nel patrimonio del danneggiato per effetto dell'illecito del terzo (prestando ossequio ai principi di Cass. civ., Sez. Un., sent. 22 maggio 2018, n. 12564).

L'erogazione della pensione di reversibilità non è geneticamente connotata dalla finalità di rimuovere le conseguenze prodottesi nel patrimonio del danneggiato per effetto dell'illecito del terzo.

Quell'erogazione non soggiace ad una logica e ad una finalità di tipo indennitario, ma costituisce piuttosto l'adempimento di una promessa rivolta dall'ordinamento al lavoratore-assicurato che, attraverso il sacrificio di una parte del proprio reddito lavorativo, ha contribuito ad alimentare la propria posizione previdenziale: la promessa che, a far tempo dal momento in cui il lavoratore, prima o dopo il pensionamento, avrà cessato di vivere, quale che sia la causa o l'origine dell'evento protetto, vi è la garanzia, per i suoi congiunti, di un trattamento diretto a tutelare la continuità del sostentamento e a prevenire o ad alleviare lo stato di bisogno.

Sussisterebbe, dunque, una ragione giustificatrice che non consentirebbe il computo della pensione di reversibilità in differenza alle conseguenze negative che derivano dall'illecito, perché quel trattamento previdenziale non sarebbe erogato in funzione di risarcimento del pregiudizio subito dal danneggiato, ma risponderebbe ad un diverso disegno attributivo causale.

La causa più autentica di tale beneficio dovrebbe essere individuata nel rapporto di lavoro pregresso, nei contributi versati e nella previsione di legge: tutti fattori che si configurerebbero come serie causale indipendente e assorbente rispetto alla circostanza (occasionale e giuridicamente irrilevante) che determina la morte.

In questa prospettiva, il fatto illecito altrui dal quale consegue il decesso, resterebbe del tutto confinata all'esterno di questa erogazione previdenziale; e scomputarne l'importo quando per evenienza il decesso abbia origine da un illecito civile produrrebbe conseguenze di dubbia costituzionalità.

Al riguardo si è osservato che la pretesa del danneggiante di dedurre dal risarcimento un determinato “beneficio collaterale” dovrebbe poter trovare giustificazione soltanto laddove il danneggiato si sia arricchito in suo danno sine causa, il che non può affermarsi ogniqualvolta a seguito dell'evento lesivo la persona lesa o, per reagire al suo dramma, si sia trovato ad effettuare delle scelte rilevatesi poi “vantaggiose” (in tal caso egli ha semplicemente esercitato il suo diritto ad autodeterminarsi) oppure abbia acquisito determinate esternalità positive con “giusta causa”, cioè sulla base di una norma di welfare assicurativo o previdenziale o, ancora, di una polizza privata o di altro.

Guida all'approfondimento

E. BASSO, Compensatio lucri cum damno e infortunio in itinere: le Sezioni Unite mettono un punto fermo sulla detraibilità della rendita INAIL, in Ridare.it;

M. BONA, Le sezioni unite 2018 sulla compesatio: nulla di dirimente, in Ridare.it;

A. PENTA, Le sentenze delle Sezioni Unite sulla compensatio lucri cum damno: aspetti condivisibili e aspetti critici, in Ridare.it;

M. RODOLFI, Applicabilità e limiti del principio della c.d. compensatio lucri cum damno, in Ridare.it;

D. SPERA, A. PENTA, Danno differenziale, in Ridare.it.

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