Lottizzazione abusiva e proporzionalità della confisca: cognizione e poteri del giudice di legittimità a fronte della sopravvenuta prescrizione del reato

28 Maggio 2020

La sentenza in commento interviene quale atto terminale di una vicenda processuale che addebitava all'imputato, legale rappresentante di una impresa edile, la lottizzazione abusiva di un'area fondiaria in relazione alla costruzione solo parziale delle opere di urbanizzazione primaria oggetto della concessione edilizia rilasciata, cui aveva fatto seguito...
Massime
  • La confisca di cui all'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 può essere disposta anche in presenza di una causa estintiva determinata dalla prescrizione del reato, purché la sussistenza della lottizzazione abusiva sia stata già accertata, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell'ambito di un giudizio che abbia assicurato il pieno contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati, fermo restando che, una volta intervenuta detta causa, il giudizio non può, in applicazione dell'art. 129, comma 1, c.p.p., proseguire al solo fine di compiere il predetto accertamento
  • In caso di declaratoria, all'esito del giudizio di impugnazione, di estinzione del reato di lottizzazione abusiva per prescrizione, il giudice d'appello e la Corte di cassazione sono tenuti, in applicazione dell'art. 578-bis c.p.p., a decidere sull'impugnazione agli effetti della confisca di cui all'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001

Il caso

La sentenza in commento interviene quale atto terminale di una vicenda processuale che addebitava all'imputato, legale rappresentante di una impresa edile, la lottizzazione abusiva di un'area fondiaria in relazione alla costruzione solo parziale delle opere di urbanizzazione primaria oggetto della concessione edilizia rilasciata, cui aveva fatto seguito l'edificazione di dodici corpi di fabbrica fuori terra in assenza del necessario titolo abilitativo, in violazione del piano di lottizzazione approvato con deliberazione comunale nonché degli standard urbanistici vigenti nell'area, con particolare riferimento alla volumetria realizzabile, alle sagome dei corpi di fabbrica, al numero delle unità abitative, alle superfici coperte, alle opere di urbanizzazione, agli abitati insediabili ed alle distanze delle strade. I giudici di prime e seconde cure, nel condannare l'imputato, disponevano, quale sanzione concorrente, la confisca dell'area e dei fabbricati abusivamente realizzati. L'imputato proponeva ricorso per cassazione nei confronti della sentenza d'appello; la trattazione del ricorso, originariamente fissata per l'udienza del 18 luglio 2014, in attesa della pronuncia della Grande Camera della Corte Europea per i diritti dell'uomo circa la compatibilità convenzionale della disciplina della confisca urbanistica in ipotesi di sopravvenuta prescrizione del reato presupposto -come consolidatasi nel diritto vivente-, era dapprima rinviata al 17 luglio 2016 e, per la stessa ragione, su istanza della parte, a nuovo ruolo, con successiva fissazione al ruolo di trattazione all'udienza del 15 maggio 2019. Nel corso di tale udienza, i giudici della Terza sezione rilevavano il sopravvenuto decorso dei termini prescrizionali del reato oggetto di addebito.

Come noto, lo spirare del termine prescrizionale e la conseguente estinzione del reato presupposto non comportano, tuttavia, l'estinzione della confisca urbanistica, che, quale sanzione amministrativa, sopravvive all'estinguersi del reato purché nel giudizio di merito sia stata comunque accertata, con adeguata motivazione e nel contraddittorio tra le parti, la sussistenza del reato presupposto nei suoi elementi costitutivi, oggettivo e soggettivo (in termini, tra molte, Cass. 12 settembre 2019 n. 47280, Rv. 277363). Il capo della sentenza relativo alla confisca continua a prospettare, di conseguenza, a dispetto della prescrizione del reato, un tema giustiziabile, anche in sede di legittimità, nei limiti in cui -in disparte il tema della rilevabilità d'ufficio- il ricorso, che superi le soglie dell'ammissibilità, abbia dedotto specifici motivi di doglianza avverso la statuizione reale o avverso gli elementi che quella statuizione logicamente presuppone, con riguardo, quanto al primo profilo, al rispetto del requisito della proporzionalità della confisca rispetto alla concreta offensività del reato presupposto, e, quanto al secondo profilo, con riguardo alla configurabilità, nel caso di specie, del reato di lottizzazione abusiva e, quindi, del concorrere di tutte le relative componenti costitutive -nonché con riguardo, nell'eventuale incidente di esecuzione, alla eventuale buona fede del terzo acquirente del bene oggetto di confisca-.

Il persistere della materia del contendere, nonostante l'estinzione del reato, nutriva, nel caso de quo, i dubbi della Sezione rimettente in merito all'esatta delimitazione dei poteri decisori in sede di legittimità, inducendo il Collegio a formulare il quesito compiutamente illustrato nei successivi paragrafi.

La confisca urbanistica: antinomie giurisprudenziali e dialoghi tra Corti

Il meno recente orientamento interpretativo affermatosi in sede di legittimità faceva obbligo al giudice di disporre la confisca del terreno abusivamente lottizzato e delle opere sullo stesso abusivamente costruite -ai sensi dell'art. 19 l. 28 febbraio 1985, n. 47, oggi sostituito dall'art. 44, comma II, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380- purché avesse accertato, indipendentemente da una pronuncia di condanna, la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva, non rilevando, a tal fine, l'indagine circa l'elemento soggettivo (cfr., tra molte, Cass. 21 novembre 2007, n. 9982 Rv. 238984; id. 7 luglio 2004 n. 37086, Rv. 230031), conclusione che traeva argomento dalla littera legis nonché dalla qualificazione della confisca quale sanzione amministrativa propter rem, applicabile anche nei confronti dei successivi proprietari del bene rimasti estranei al processo penale.

Al lume della giurisprudenza convenzionale (il riferimento è a Corte Edu, sez. II, 30 agosto 2007, Sud Fondi c. Italia), che di contro riconosceva alla confisca urbanistica natura essenzialmente penale in ragione degli scopi prevalentemente repressivi dello strumento ablatorio e, quindi, ribadiva la necessità che l'adozione della misura rispettasse il previo accertamento, da parte del giudice, dell'elemento soggettivo del reato, inteso quale legame psicologico, quantomeno a titolo di colpa, tra l'agente e la condotta, la giurisprudenza domestica ebbe a riconsiderare i propri orientamenti, esigendo, ai fini della confiscabilità dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite, pur al cospetto di una causa estintiva del reato, il positivo accertamento giudiziale del reato di lottizzazione abusiva tanto sotto il profilo oggettivo quanto sotto il profilo soggettivo, rilevando, quanto a tale ultimo aspetto, l'esistenza di profili -almeno- di colpa sotto l'aspetto dell'imprudenza, della negligenza o anche del difetto di vigilanza del soggetto nei confronti del quale la misura venisse ad incidere (Cass. 30 aprile 2009 n. 21188, Rv. 243630; id. 13 luglio 2009 n. 39078, Rv. 245347; id. 4 febbraio 2013 n. 17066, Rv. 255112). Gli attriti tra la disciplina nazionale -e la relativa elaborazione giurisprudenziale- e la giurisprudenza sovranazionale erano tuttavia destinati a riproporsi e a deflagrare con la nota sentenza Varvara (Corte Edu, sez. II, 29 ottobre 2013, Varvara c. Italia), che ad una prima lettura, avallata dalla stessa giurisprudenza di legittimità, sembrava contestare la stessa compatibilità convenzionale di un sistema processuale che, nel legittimare l'irrogazione di una sanzione sostanzialmente penale, quale la confisca urbanistica, ad opera di una sentenza di proscioglimento, perché ricognitiva della sopravvenuta estinzione del reato, sembrava contrastare con il principio di legalità enunciato dall'art. 7 della CEDU e con la garanzia, ad esso implicita, che l'irrogazione della pena presupponga la certezza della responsabilità dell'imputato, necessariamente consacrata in una statuizione, definitiva, di formale condanna.

(Segue). Convergenze parallele

Adita dalla Corte di legittimità - e da un giudice del merito -, la Consulta reinterpretò il principio di diritto affermato dalla sentenza Varvara, e, superando la dicotomia condanna/proscioglimento, ritenuta inconferente, nel formalismo della distinzione -e nella conseguente irrilevanza della stessa ai fini dell'individuazione di un nucleo sostanziale di garanzie a favore del soggetto attinto dalla confisca-, in vista della soluzione del quesito relativo alla legittimità di una confisca disposta contestualmente alla dichiarazione di estinzione del reato, concluse che l'unico elemento rilevante in grado di giustificare, anche nell'ottica convenzionale, la confisca urbanistica, fosse il concreto accertamento della responsabilità in ordine ai presupposti -oggettivi e soggettivi- della confisca, quantunque all'interno di una sentenza dichiarativa della sopravvenuta estinzione del reato (Corte cost. 26 marzo 2015 n. 49). La ratifica da parte della Corte europea della soluzione interpretativa proposta dal Giudice delle leggi (Corte Edu, Grande Camera, 28 giugno 2018, G.i.e.m. e altri c. Italia), ricompose, infine, il quadro interordinamentale, almeno con riguardo agli aspetti macroprocedurali: può, conclusivamente, affermarsi, per utilizzare le parole della sentenza in commento, che, nel diritto vivente, l'art. 44, comma II, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, nel correlare la confisca lottizzatoria all'accertamento del reato, non implica la necessità di una formale sentenza di condanna, fondandosi la legittimità della misura ablatoria su “un accertamento del fatto che, pur assumendo le forme esteriori di una pronuncia di proscioglimento per la sopravvenuta estinzione del reato, equivale, in forza della sua necessaria latitudine (estesa alla verifica, oltre che dell'elemento oggettivo, anche dell'esistenza di profili quantomeno di colpa sotto l'aspetto dell'imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza) e delle sue modalità di formazione (caratterizzate da un giudizio che assicuri il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati), ad una pronuncia di condanna come tale rispettosa ad un tempo dei principi del giusto processo e dei principi convenzionali”. La conformazione della confisca urbanistica allo strumento convenzionale non si è in ogni caso spinta al punto da provocarne una riqualificazione formale: nel consolidato indirizzo giurisprudenziale della Corte di legittimità, confortato anche dalla considerazione degli effetti dell'ablazione, che trasferiscono il bene confiscato al patrimonio del Comune e non già a quello dello Stato, unico monopolista della repressione penale, la confisca continua a manifestare natura di sanzione amministrativa, quantunque soggetta, quanto alle modalità accertative, allo statuto delle garanzie che, nel regime convenzionale, assistono le sanzioni sostanzialmente penali; la questione non è meramente nominalistica, in quanto la natura amministrativa della misura ablatoria da un lato giustifica la sopravvivenza della confisca all'estinzione del reato, dall'altro consente all'amministrazione comunale di adottare i provvedimenti sanzionatori previsti dall'art. 30 d.P.R. 380 cit., quando, essendo maturata l'estinzione per la sopravvenuta prescrizione del reato di lottizzazione in data antecedente all'esercizio stesso dell'azione penale, è precluso al giudice l'accertamento, a fini di confisca, degli elementi oggettivi e soggettivi della contravvenzione (Cass. 6 ottobre 2010 -dep. 2011 n. 5857, Rv. 249517).

La questione oggetto di rimessione alle sezioni unite. La proporzionalità della confisca urbanistica

Il formante sovranazionale, nelle pronunce richiamate, veicolava nell'ordinamento domestico un ulteriore requisito - non strettamente procedurale, quanto piuttosto - sostanziale di legittimità della confisca urbanistica, immediatamente discendente dalla natura dominicale della situazione soggettiva incisa dall'ablazione e dal rilievo che essa, inerendo all'ambito delle disponibilità materiali della persona, comunque assume nel prisma dei diritti tutelati dalla fonte sovranazionale. Il diritto di proprietà, invero, in ambito convenzionale, beneficia delle garanzie apprestate dall'art. 1 Prot. Add. CEDU a norma del quale “ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale”; la disposizione, che, peraltro, non è limitata alla matière pénale ma è applicabile ad ogni limitazione del diritto di proprietà che sia frutto dell'interferenza di una pubblica Autorità, evoca una ragionevole proporzione tra l'entità dell'ingerenza e l'interesse pubblico perseguito. In accordo a tale prospettiva, la giurisprudenza sovranazionale ha reiteratamente denunciato il contrasto tra la confisca urbanistica e l'art. 1 Prot. Add. CEDU: l'art. 44 d.P.R. 380 cit., invero, nella sua fisionomia disciplinare, configura una confisca obbligatoria, a fronte dell'accertamento del reato presupposto - e, quindi, del tutto disancorata dal rilievo delle circostanze del singolo caso, e anche dal grado della colpa o della negligenza dell'agente o all'effettivo contributo dell'agente alla realizzazione del fatto -, e, nella portata, estremamente afflittiva -investendo sia le opere abusivamente realizzate sia i terreni abusivamente lottizzati-, caratteri, l'uno e l'altro, di problematica compatibilità con la necessaria flessibilità che, invece, dovrebbe governare la dosimetria delle soluzioni sanzionatorie ispirate al principio di proporzionalità.

I riflessi procedurali nell'applicazione di tale criterio hanno rappresentato il retroterra della questione rimessa alle Sezioni unite - e, quindi, decisa con la sentenza in commento -, relativa all'estensione della cognizione del giudice di legittimità e agli strumenti di cui quel giudice disponga in relazione al capo della sentenza del giudice di merito relativo alla confisca urbanistica, in particolare, con riferimento al quesito se sia consentito alla Corte di legittimità, pur a fronte di un reato medio tempore prescritto, annullare con rinvio - e sulla base di quale norma - la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione sulla confisca ai fini della valutazione, da parte del giudice di rinvio, della proporzionalità della misura, in accordo ai principi richiamati, da ultimo, dalla sentenza della Corte EDU, 28 giugno 2018, cit. Il quesito, nella prospettazione argomentativa dell'ordinanza di rimessione (Cass., sez. III, 15 maggio 2019 n. 40380), problematizzava, in via preventiva, il sospetto di un paventato “eccesso di giurisdizione”, da parte della decisione del giudice di legittimità che disponesse, a fronte della constatata estinzione del reato, l'annullamento con rinvio, limitatamente alla confisca, in assenza di una norma processuale che sottendesse il rinvio; a fondare la legalità processuale, nel caso, a giudizio della Sezione rimettente, non apparivano invocabili:

  • l'art. 44 d.P.R. 380 cit., trattandosi di norma sostanziale e non processuale, in cui “la sentenza definitiva è menzionata unicamente quale presupposto della confisca e non è stata disciplinata nella cadenza procedimentale, quale esito di un giudizio”; né
  • l'art. 578-bisc.p.p. -come invece affermato da Cass. 11 aprile 2019 n. 22034, Rv. 275969- perché riferibile esclusivamente alla confisca cd. allargata e non anche alla confisca urbanistica -disposizione peraltro fortemente indiziata di un vizio di eccesso di delega, qualora piegata a giustificare la soluzione in discussione-; né infine
  • l'osservazione di casi analoghi, come invece affermato da Cass. 27 marzo 2019 n. 31282, Rv. 277167, che tuttavia, nell'enumerarli, considerava ipotesi affatto eccentriche rispetto alla confisca urbanistica -ed al relativo statuto funzionale e strutturale-, che riguardavano, propriamente, la confisca quale di misura di sicurezza (con riferimento all'ablazione della res illicita ex art. 240 c.p. o del prezzo o profitto del reato o dei beni strumentali alla sua consumazione) o, comunque, ipotesi di annullamento con rinvio per questioni diverse rispetto all'irrogazione di una misura ablatoria avente carattere sanzionatorio (con riferimento in specie alla prosecuzione del giudizio ai soli effetti della responsabilità civile ai sensi dell'art. 578 c.p.p.).
La risposta al quesito. Annotazioni critiche

Nel corpo di un'articolata motivazione, le Sezioni unite (sent. 30 gennaio 2020 – dep. 30 aprile 2020 n. 13539, ric. Perroni) muovono dalla considerazione, indiscutibile, per cui la coesistenza di una statuizione che dichiari l'estinzione del reato della prescrizione e di una statuizione che disponga la confisca, pacificamente riconosciuta anche dalla Corte EDU, acquista concreto rilievo e spessore applicativo, nella misura in cui “si consenta che, nonostante la intervenuta prescrizione maturata nel corso del giudizio di impugnazione, il giudice possa ugualmente disporre la confisca urbanistica”, conseguendone, logicamente, la pienezza della cognizione del giudice investito dell'impugnazione in ordine al capo relativo alla confisca - e alle questioni che la parte impugnante abbia illustrato con riguardo a quel capo-, pienezza di cognizione cui, in sede di legittimità, corrisponde necessariamente la disponibilità, da parte della Corte di cassazione, dell'insieme dei moduli decisori tipici della sede di legittimità, anche con riguardo all'eventuale annullamento con rinvio della decisione relativa alla confisca. Il referente normativo cui ancorare la riferita conclusione è dalle Sezioni unite individuato nell'art. 578-bis c.p.p., a mente del quale “quando è stata ordinata la confisca in casi particolari prevista dal primo comma dell'art. 240-bis del codice penale e da altre disposizioni di legge o la confisca prevista dall'art. 322-ter del codice penale, il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull'impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell'imputato”; sul punto la pronuncia supera le perplessità evidenziate dall'ordinanza di rimessione, dispiegando argomenti che non appaiono, tuttavia, del tutto persuasivi. Il principale argomento è di ordine letterale ed appare, invero, francamente discutibile: ad avviso delle Sezioni unite, la disposizione di cui all'art. 578-bis c.p.p. nel richiamare, in una alla confisca in casi particolari prevista dal primo comma dell'art. 240-bisc.p., la confisca “prevista da altre disposizioni di legge senza ulteriori specificazioni, non può non manifestare una valenza di carattere generale, “capace di ricomprendere in essa anche le confische disposte da fonti normative poste al di fuori del codice penale”; l'argomento cela, a giudizio di chi scrive, un'evidente torsione del dato letterale: il riferimento alla “confisca prevista da altre disposizioni” invero, sulla base dell'analisi del testo, esprime un complemento di causa efficiente, che si correla ad un predicato verbale - “prevista” - comune anche al primo ed omologo complemento -“dal primo comma dell'art. 240-bis del codice penale”- e che non può non rimandare, quanto al soggetto del predicato, al comune soggetto “la confisca in casi particolari”; apparirebbe quantomeno singolare che nella reiterazione dei complementi indiretti mutasse il soggetto del predicato, come, di contro, ritento dalle Sezioni unite. Il riferimento alle altre disposizioni di legge, in tale prospettiva, come del resto lucidamente ritenuto nell'ordinanza di rimessione, deve intendersi alle disposizioni, disseminate nella legislazione speciale che prevedono la confisca in casi particolari, id est le confische "allargate” relative al reato di cui all'art. 295, comma II, d.P.R. n. 43 del 1973 e quelle relative al reato di cui all'art. 73 d.P.R. n. 309 del 1993 - cui ora deve aggiungersi la confisca in casi particolari di cui all'art. 12-ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 -, che, in quanto disciplinate entrambe da testi unici, non avrebbero potuto, per il principio della riserva di codice di cui all'art. 3-bis c.p., essere espressamente menzionate nel codice penale. Anche con riguardo a tale profilo, peraltro, l'obiezione avanzata dalle Sezioni unite, per cui il principio della riserva di codice ha riguardo alle sole disposizioni che prevedono reati, le quali “possono essere introdotte nell'ordinamento solo se modificano il codice penale ovvero sono inserite in leggi che disciplinano in modo organico la materia”, e non sarebbe quindi invocabile, nella fattispecie, che piuttosto interessava la regolamentazione della confisca prevista da disposizioni incriminatrici già contemplate dall'ordinamento, non convince: invero, l'estrusione delle disposizioni in materia di confisca allargata dai contesti, sistematici, di regolamentazione delle rispettive materie -la criminalità legata al contrabbando ovvero alle sostanze stupefacenti- avrebbe certamente infranto l'organicità di quei plessi disciplinari, contribuendo a quella randomizzazione, nella collocazione topografica, delle disposizioni lato sensu sanzionatorie che appare poco coerente rispetto alla ratio che ha ispirato la formulazione del principio della tendenziale riserva di codice.

Né, ancora, può sottacersi che l'interpretazione avallata dalle Sezioni unite si esponga ad un serio dubbio di costituzionalità -ulteriore rispetto a quello avanzato dall'ordinanza di rimessione - in ragione del vizio di eccesso di delega cui darebbe luogo: invero, in accordo all'interpretazione delle Sezioni unite, la disposizione di cui all'art. 578-bis c.p.p. - introdotta, come noto, ad opera del d.lgs. 1° marzo 2018, n. 21 in attuazione della delega di cui alla l. 23 giugno 2017, n. 103 - si riferirebbe alla confisca in casi particolari prevista dall'art. 240-bis c.p. e ad ogni altra forma di confisca, anche prevista dalla legislazione speciale; dovrebbe quindi concludersi che possa farsi applicazione della disposizione anche a fronte delle confische cd. per equivalente (cfr., tra le altre, le confische per equivalente di cui all'art. 12 bis d. l.gs 10 marzo 2000, n. 74, in tema di criminalità tributaria, o di cui all'648 quater, comma secondo, c.p.), e che, a fronte della prescrizione del reato, maturata nel corso del giudizio di impugnazione, possa essere mantenuta ferma la statuizione relativa alla confisca per equivalente, in netta contraddizione rispetto alla natura pacificamente sanzionatoria riconosciuta a tali confische e che ne preclude l'adozione a fronte di un reato estinto, al pari delle comuni pene detentive o pecuniarie -e a differenza delle confische cd. dirette- (Cass. sez. un. 26 giugno 2015, n. 31617, Lucci) in assenza di una delega parlamentare, a favore del legislatore delegato, a fondamento di una tale profonda eversione dell'“ordine penale”. Se da un lato è incontestabile, come ricordato dalle Sezioni unite, che “i principi e criteri direttivi servono, da un lato, a circoscrivere il campo della delega, sì da evitare che essa venga esercitata in modo divergente dalle finalità che l'hanno determinata, ma, dall'altro, devono anche consentire al potere delegato la possibilità di valutare le particolari situazioni giuridiche da regolamentare nella fisiologica attività di riempimento che lega i due livelli normativi, sicché la determinazione dei principi e dei criteri suddetti non osta all'emanazione di norme che rappresentino un coerente sviluppo e, se del caso, anche un completamento delle scelte espresse dal legislatore”, dall'altro è evidente che l'estensione dell'art. 578-bis c.p.p. al campo della confisca urbanistica, così come a quello delle confische per equivalente, esprima un risultato interpretativo del tutto eccentrico rispetto ai principi e ai criteri direttivi impartiti dal legislatore delegante che chiamavano il legislatore delegato ad una mera opera di riordino compilativo delle disposizioni extravaganti, riunificandole nel testo del codice penale, in accordo al principio della riserva di codice, e, quindi, ad un'opera legiferativa cui erano del tutto estranei interventi manipolativi della disciplina, che si sarebbero, del resto, realizzati in assenza di principi direttivi, posto che il legislatore delegante non aveva indicato, tra i criteri e i principi direttivi, altro che “l'attuazione, sia pure tendenziale, del principio della riserva di codice nella materia penale, al fine di una migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni e quindi dell'effettività della funzione rieducativa della pena, presupposto indispensabile perché l'intero ordinamento penitenziario sia pienamente conforme ai principi costituzionali, attraverso l'inserimento nel codice penale di tutte le fattispecie criminose previste da disposizioni di legge in vigore che abbiano a diretto oggetto di tutela beni di rilevanza costituzionale” (art. 1, comma 85, lett. q, l. 23 giugno 2017, n. 103). Del resto, che l'art. 578-bis c.p.p. non abbia alcuna vocazione a disciplinare le confische, quali che siano, discende dalla genesi stessa della norma, che era introdotta nel testo del codice di rito ad opera dell'art. 6 del d.lgs. 21 del 2018, una disposizione, questa, “monotematicamente” dedicata alla confisca in casi particolari - avendo, invero, introdotto l'art. 240-bis c.p., nonché le norme in materia di gestione e di esecuzione della confisca in casi particolari, nonché, infine, ricollocato nelle rispettive sedi regolative la confisca in casi particolari, quanto alla criminalità da contrabbando e a quella legata agli stupefacenti- sì che apparirebbe del tutto singolare che l'art. 578-bis c.p.p., che pure costituiva l'uno dei commi intermedi del ridetto art. 6, si sia riferito -in via del tutto eccezionale rispetto al baricentro regolativo della disposizione in cui era inserito e in assenza di qualsivoglia indicazione in tal senso nella stessa Relazione che accompagnava il decreto delegato- ad ogni forma di confisca. In tal senso, un ulteriore indice può trarsi dalla stessa formulazione dell'art. 578-bis c.p.p., che, nel riferirsi all'art. 240-bis c.p., limita il richiamo alla sola confisca prevista dal primo comma della disposizione e non anche a quella (per sproporzione per equivalente) prevista dal secondo comma della medesima disposizione.

Nessun reale argomento, a sostegno della soluzione avallata dalle Sezioni unite, sembra correlabile alla introduzione, ad opera della legge cd. spazzacorrotti (l. 9 gennaio 2019, n. 3) dell'inciso, nel testo dell'art. 578-bis c.p.p., che ne ha esteso l'applicabilità alle confische contemplate dall'art. 322-ter c.p., anche se la giustapposizione di una ulteriore confisca a quelle oggetto della originaria previsione appare, obiettivamente, contraddire la ritenuta vocazione universale della disciplina originaria, il cui perimetro applicativo avrebbe già dovuto ricomprendere la confisca successivamente interpolatavi. Caduto l'argomento letterale, l'interpretazione proposta dalle Sezioni unite si fonda, di fatto, sul solo argomento della evidente razionalità” del riferimento dell'art. 578-bis c.p.p. alla confisca urbanistica, posto che non si comprenderebbe “quale senso potrebbe avere consentire che il mero fatto di una prescrizione sopravvenuta in grado di appello o in quello di legittimità (ovvero, in altri termini, il sopravvenire di una situazione che, ove prodottasi già in primo grado, non avrebbe comunque potuto impedire l'adozione della sanzione amministrativa de qua) impedisca al giudice dell'impugnazione di decidere comunque agli effetti della confisca”. Tale argomento, di indiscutibile linearità - cui del resto può aggiungersi anche l'osservazione che la concentrazione del procedimento penale della sanzione amministrativa realizza quel simultaneus processus che pone al riparo l'interessato dalla apertura di un successivo procedimento amministrativo, finalizzato all'applicazione delle sanzioni amministrative inapplicate dal giudice penale, tema sul cui sfondo si staglia, evidentemente, la problematica del divieto di bis in idem -, appare, tuttavia, insufficiente per fondarvi un'interpretazione antiletterale e in forte sospetto di incostituzionalità, quale l'interpretazione estensiva patrocinata dalla Suprema Corte, ma può essere, almeno in prima approssimazione, la premessa di una interpretazione analogica dell'art. 578-bis c.p.p., che soccorra a colmare una lacuna legislativa, o, preferibilmente, la premessa di un'interpretazione condotta su altra matrice normativa, quale la disposizione di cui all'art. 620,lett. l), c.p.p., a mente del quale la Corte di cassazione pronuncia annullamento senza rinvio “se ritiene di poter decidere, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, o di rideterminare la pena sulla base delle statuizioni del giudice di merito o di adottare i provvedimenti necessari, e in ogni altro caso in cui ritiene superfluo il rinvio”. La norma, nel testo attuale, è il frutto della legge 23 giugno 2017, n. 103, che con l'art. 1, comma 67, l'ha integralmente riscritta, ampliando i poteri della Corte di legittimità che è chiamata a pronunciare “sentenza di annullamento senza rinvio se ritiene superfluo il rinvio e se, anche all'esito di valutazioni discrezionali, può decidere la causa alla stregua degli elementi di fatto già accertati o sulla base delle statuizioni adottate dal giudice di merito, non risultando necessari ulteriori accertamenti” (Cass. sez. un. 30 novembre 2017, n. 3464, Rv. 271831). Letta nel suo ideale ribaltamento, la norma consente alla Corte di annullare con rinvio al giudice del merito ogniqualvolta ritenga di non poter decidere sulla base degli atti di cui dispone. L'esperienza applicativa ha espressamente - e condivisibilmente - ricondotto a tale clausola processuale anche il sindacato, da parte della Corte di legittimità, in merito al giudizio di proporzionalità delle sanzioni - penale e amministrativa - irrogate nell'ambito di due separati procedimenti, nelle forme, alternativamente -per quanto di interesse nella presente sede-, dell'annullamento con o senza rinvio, in ragione del compendio probatorio di cui la Corte disponga e, quindi, della esaustività della base probatoria a fondarvi o meno l'adozione, direttamente da parte della Corte di legittimità, di una pronuncia terminativa del procedimento (cfr., in tema di manipolazione del mercato, Cass. 16 luglio 2018 n. 45829, Rv. 274179; Cass. 15 aprile 2019 n. 39999, non massimata). Appare evidente la contiguità, se non proprio la sovrapponibilità, tra il sindacato esperibile in relazione alla proporzionalità della confisca urbanistica -anche quando non si accompagni all'irrogazione di una pena, detentiva o pecuniaria, in ragione della sopravvenuta estinzione del reato - e il sindacato esperibile in ordine alla proporzionalità del cumulo sanzionatorio, nell'una come nell'altra fattispecie venendo in rilievo questioni relative alla ragionevolezza afflittiva di sanzioni -anche- amministrative; ne discende l'arbitrarietà di interpretazioni che facciano leva sulle potenzialità espansive, analogicamente o estensivamente condotte, dell'art. 578-bis c.p.p. -esperimenti interpretativi che, peraltro, scontano il limite della eterogeneità strutturale e funzionale della confisca in casi particolari così come della confisca ex art. 322-ter c.p. rispetto alla confisca urbanistica-, posto che, a ben vedere, il sistema non denuncia alcuna lacuna normativa, alla luce della disposizione di cui all'art. 620, lett. l), c.p.p., nella in-disponibilità, da parte della Corte di legittimità, di strumenti che assicurino l'effettività dell'applicazione della confisca, almeno con riguardo alla possibilità di un rinvio al giudice di merito della sentenza cassata per ragioni relative all'insufficiente approfondimento delle questioni relative al giudizio di proporzionalità della confisca. In tale ottica, l'estinzione del reato presupposto non appare circostanza rilevante, in quanto l'estinzione del reato -e la conseguente “impunibilità” dell'autore- non esaurisce la regiudicanda, che, in accordo a quanto ritenuto dalle stesse Sezioni unite, ricomprende necessariamente anche l'insieme delle condizioni legittimanti l'adozione della confisca sia, come ricordato, con riguardo alla verifica del requisito della proporzionalità della misura sia, a maggior ragione, con riguardo al tema della stessa legittimità della misura -perché si contesti la sussistenza stessa del reato presupposto e, quindi, il difetto della principale condizione cui è subordinata l'adozione della misura da parte del giudice penale-, anche in tale eventualità, del resto, potendo richiamarsi l'art. 620 c.p.p. che, quale norma che ammette la Corte di legittimità al sindacato in merito alla proporzionalità della confisca -anche laddove esiti in un annullamento con rinvio-, non può, a fortiori, non consentire l'esercizio, da parte delle Corte regolatrice, di un sindacato di analoga intensità con riguardo alla stessa adottabilità della misura.

Obbligo di immediata declaratoria della causa di estinzione del reato e prosecuzione del giudizio di primo grado

Quantunque estraneo al quesito sottoposto alle Sezioni unite dall'ordinanza di rimessione, la sentenza in commento affronta, per evidenti ragioni di organicità nella sistemazione della materia, anche il punto relativo alla eventuale protrazione del giudizio, in primo grado, successivamente al maturare della prescrizione, in vista dell'accertamento del reato urbanistico preliminare alla – sola - disposizione della confisca. A fronte di un orientamento favorevole al “congelamento” della previsione di cui all'art. 129, comma 1, c.p.p., che, come noto, fa obbligo al giudice, che riconosca che il reato è estinto, di dichiararlo di ufficio con sentenza in ogni stato e grado del processo (Cass. 25 ottobre 2019, n. 2292, non massimata; Cass. 13 luglio 2017 n. 53692, Rv. 272791), le Sezioni unite ribadiscono, del tutto condivisibilmente, il tradizionale insegnamento per cui la disposizione evocata non consente alcun margine di “negoziazione” al giudice il quale è tenuto a pronunciare con immediatezza, nel momento di in cui si verifichi l'estinzione del reato ed indipendentemente da quello che sia lo stato e il grado del processo, il proscioglimento (Cass. 6 luglio 2004, n. 33129, Rv. 229387; Cass.18 febbraio 2002 n. 12174, Rv. 221392). Sul punto, la sentenza in commento si allinea ad argomentazioni già note -perché risalenti, almeno, a Cass. Sez. Un. 27 febbraio 2002 n. 17179, Rv. 221403 -, che riconoscono alla norma di cui all'art. 129 c.p.p. due funzioni essenziali - entrambe convergenti nella tempestività dell'adozione della relativa pronuncia-, l'una attenta a favorire l'imputato meritevole di proscioglimento, l'altra attenta ad accelerare l'exitus del processo, ove non appaia concretamente realizzabile la pretesa punitiva dello Stato: l'art. 129 c.p.p. si colloca pertanto “nella prospettiva di troncare, allorché emerga una causa di non punibilità, qualsiasi ulteriore attività processuale e di addivenire immediatamente al giudizio, anche se fondato su elementi incompleti ai fini di un compiuto accertamento della verità da un punto di vista storico”.

Soggiungono le Sezioni unite che laddove il principio di immediatezza del proscioglimento fosse derogabile in ragione della necessità di accertare il fatto in vista della confisca urbanistica, e, quindi, in senso sfavorevole all'imputato, si produrrebbe un'evidente sperequazione, in danno dell'imputato, che non potrebbe contare sulla prosecuzione del processo, in vista di un proscioglimento nel merito, e, quindi, più favorevole rispetto alla constatazione dell'estinzione del reato, essendosi costantemente esclusa dalla giurisprudenza di legittimità la possibilità di una prosecuzione del processo a tal fine per il contrasto che determinerebbe con il disposto dell'art. 129 c.p.p. L'argomento, suggestivo, non appare tuttavia insuperabile, in quanto, almeno con riguardo all'estinzione del reato per il sopravvenuto maturare del termine prescrizionale, l'imputato interessato al proscioglimento nel merito potrebbe comunque rinunciare alla prescrizione ed affrontare un ordinario processo cognitivo, aperto, nell'istruzione, ai contributi probatori delle parti, ed esposto, negli esiti, alla “pienezza” delle fisiologiche formule terminative.

Infine, a sostegno della soluzione affermata sul punto - e compendiata nella prima delle due massime in epigrafe -, la pronuncia in commento rammenta come, nella disciplina di contrasto alle violazioni urbanistiche, e alle lottizzazioni abusive in particolare, non si rinviene “una sorta di pregiudiziale penale”, sicché, ai fini dell'acquisizione in via amministrativa del terreno lottizzato al patrimonio disponibile del Comune, “è irrilevante che possa venire a mancare una pronuncia di confisca in sede penale” e, quindi, un accertamento del reato di cui all'art. 44 d.P.R. 380 cit., restando, quindi, confermato che neppure “ragioni di tutela dell'interesse superindividuale alla corretta pianificazione territoriale potrebbero rappresentare motivo di deroga all'immediata applicabilità”, nel caso, della disposizione di cui all'art. 129, comma I, c.p.p.

Il maturare della prescrizione in primo grado, tuttavia, nell'avviso delle Sezioni unite, non è di ostacolo alla disposizione della confisca, da parte del primo giudice, quando “anteriormente al momento di maturazione della prescrizione, sia stato comunque già accertato, nel contraddittorio delle parti, il fatto di lottizzazione nelle sue componenti oggettive e soggettive”; la conclusione, sia pure di modesta portata applicativa in quanto verosimilmente destinata ad operare nelle limitate ipotesi in cui la prescrizione maturi nell'intervallo che separi la conclusione dell'istruttoria dibattimentale e la decisione -posto che solo la conclusione dell'attività istruttoria garantisce il rispetto del contraddittorio, almeno con riguardo al fondamentale aspetto dell'assunzione e dell'acquisizione dei mezzi di prova-, appare radicalmente innovativa rispetto agli indirizzi consolidati (cfr. Cass. sez. un. 26 giugno 2015, n. 31617, cit.) che, con riguardo alla confisca diretta -e, quindi, a misure ablatorie prive, nella sostanza, di un reale contenuto afflittivo, a differenza della confisca urbanistica, in quanto finalizzate a ripristinare la legalità violata, neutralizzando il vantaggio direttamente conseguente al reato, e come tali, del resto sottratte a qualsivoglia giudizio di proporzionalità-, esigono, ai fini della legittimità della confisca, in ipotesi di sopravvenuta prescrizione del reato, una condanna, nei precedenti gradi di giudizio, che abbia accertato il reato -purché tale accertamento non sia stato messo in dubbio nei gradi successivi-, pur se il procedimento, infine, non sia approdato ad una condanna definitiva in ragione del sopravvenuto maturare della prescrizione.

Riflessi della nuova disciplina in materia di prescrizione del reato

Infine, un cenno merita, anche se il punto non è stato, comprensibilmente, affrontato dalla pronuncia in commento, il profilo relativo ai riflessi sulla problematica in esame della disciplina in materia di prescrizione del reato in vigore dal 1° gennaio 2020, per i fatti di reato commessi a partire da tale data. La l. 9 gennaio 2019, n. 3 nel sancire l'imprescrittibilità dei reati successivamente all'emissione della sentenza di primo grado -o del decreto penale di condanna- sembra invero prefigurare un naturale -ma non totale- esaurimento dell'istituto della confisca senza condanna: nei giudizi di impugnazione, invero, la sospensione del termine di prescrizione renderà di fatto irrealizzabile l'evaporazione della condanna, per il decorso della prescrizione, sì che generalmente la confisca si accompagnerà alla condanna; nel giudizio di primo grado, l'immediato operare della causa estintiva, in accordo al dictum delle Sezioni unite, determinerà la repentina cesura del giudizio cui potrà accompagnarsi la confisca urbanistica nelle limitate ipotesi in cui, come ricordato, precedentemente al maturare della prescrizione, sia stato comunque già accertato, nel contraddittorio delle parti, il fatto di lottizzazione nelle sue componenti oggettive e soggettive: entro questi limiti, quindi, una volta esaurito lo sciame giudiziario delle lottizzazioni abusive anteatte alla data di entrata in vigore della riforma, la tematica della confisca senza condanna potrà continuare a suscitare l'interesse degli operatori.

Guida all'approfondimento

A. GALLUCCIO, Ancora sulla confisca urbanistica: le Sezioni Unite chiamate a decidere sulla possibilità di rinviare al giudice del merito le valutazioni in ordine alla proporzionalità della misura, nonostante la prescrizione del reato, in Sist. pen., 18 novembre 2019;

G. VARRASO, La decisione sugli effetti civili e la confisca senza condanna in sede di impugnazione. La legge n. 3 del 2019 (c.d. "spazzacorrotti") trasforma gli artt. 578 e 578-bis c.p.p. in una disciplina "a termine", in Dir. pen. cont., 4 febbraio 2019;

A PULVIRENTI, Il difficile connubio dell'art. 578-bis c.p.p. con la “sentenza Giem” della Corte europea tra arretramenti ermeneutici e ipotesi d'innalzamento del livello (interno) di tutela, in Arch. pen., 2/2019.

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