Sulla portata dell'onere dichiarativo dei precedenti illeciti professionali commessi dall'operatore economico. Parola all'adunanza plenaria

Fausto Gaspari
26 Maggio 2020

Nella materia dei contratti pubblici particolarmente delicato è il tema dei requisiti tesi a verificare ed assicurare l'affidabilità complessivamente considerata dei soggetti con i quali l'Amministrazione intende giungere alla conclusione del contratto.
Premessa

Nella materia dei contratti pubblici particolarmente delicato è il tema dei requisiti tesi a verificare ed assicurare l'affidabilità complessivamente considerata dei soggetti con i quali l'Amministrazione intende giungere alla conclusione del contratto (Cfr. T.A.R. Valle d'Aosta, Aosta, Sez. I, 23 giugno 2017, n.36).

Tra le altre disposizioni che rispondono a questa ratio, sempre maggiori criticità derivano dall'applicazione dell'articolo 80, comma 5, lettera f-bis), che punisce con l'esclusione dalla gara l'operatore economico che abbia presentato nella procedura documentazione o dichiarazioni non veritiere (Occorre considerare che la disposizione trova amplissima applicazione, dal momento che si applica agli appalti e alle concessioni nei settori ordinari sia sopra che sotto soglia (art. 36, comma 5, c.c.p.) e, ai sensi dell'art. 136, ai settori speciali quando l'ente aggiudicatore è un'amministrazione aggiudicatrice).

Al riguardo, in giurisprudenza spesso si rinviene la regola secondo cui l'operatore economico, al fine di consentire alla stazione appaltante di svolgere un'adeguata e ponderata valutazione sull'affidabilità e sull'integrità del concorrente, è chiamato a dichiarare «qualunque circostanza che possa ragionevolmente avere influenza sul processo valutativo demandato all'amministrazione» (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 14 gennaio 2020, n. 168; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 31 gennaio 2020, n. 469), comprese, in particolare, le svariate ipotesi riconducibili nell'incerto concetto di «grave illecito professionale».

Detta regola, tuttavia, che sembra permeata di una logica di fondo del tutto condivisibile – quella che rinviene i propri presupposti nella massima trasparenza e nella leale collaborazione dell'operatore economico (V. F. FRANCARIO, Certezza del diritto ed operatori economici: note a margine di recenti riforme, in AA.VV., Le fonti nel diritto amministrativo, Annuario AIPDA 2015, Napoli, 2016, 269) – rischia di divenire, talvolta, irragionevole, nella misura in cui il concorrente è chiamato a dichiarare qualsiasi circostanza lo riguardi, anche astrattamente non rilevante ai fini della partecipazione alla gara.

Il che ha indotto parte della giurisprudenza ad osservare che, senza la individuazione di un generale limite di operatività, l'obbligo dichiarativo apparirebbe eccessivamente generalizzato ed oltremodo oneroso per l'operatore economico, imponendogli, di fatto, di esternare «vicende professionali del tutto insignificanti nel contesto della vita professionale di una impresa» (Così Cons. Stato, Sez. V, 3 settembre 2018, n. 5142; nello stesso senso, Cons. Stato, Sez. V, 22 luglio 2019, n. 5171, id. 28 ottobre 2019, n. 7387; id, 5 marzo 2020, n. 1605).

Ebbene, il vivace dibattito giurisprudenziale maturato sul punto ha indotto il Consiglio di Stato a rimettere all'Adunanza Plenaria (Cons. Stato, Sez. V, ord. 9 aprile 2020, n. 2332,) la questione relativa alla consistenza, alla perimetrazione ed agli effetti degli obblighi dichiarativi gravanti sugli operatori economici in sede di partecipazione alla procedura ad evidenza pubblica, con particolare riferimento a quelle vicende astrattamente riconducibili nel concetto di «grave illecito professionale» In dottrina già da tempo si segnalano i dubbi relativi alla legalità e trasparenza della normativa sulle cause di esclusione legate alla moralità professionale dell'operatore economico (Cfr. in particolare, F.G. SCOCA, Sul trattamento giuridico della moralità professionale degli imprenditori di lavori pubblici, in Riv. Trim. app., 1999, 531).

Più in dettaglio, le difficoltà legate alle citate questioni risiedono nel fatto che, innanzitutto, l'indeterminatezza e la flessibilità delle pertinenti disposizioni finiscono per rendere non del tutto chiara, a monte, la definizione, affidata alla (oscillante e talvolta fallace) attività interpretativa del giudice (A.G. PIETROSANTI, Sui gravi illeciti professionali previsti dall'art. 80, comma 5, lettera c) del d. lgs. n. 50/2016, in Rivista Giuridica dell'Edilizia, fasc.4, 2018, 209; F. SORRENTINO, Il sistema delle fonti nel diritto amministrativo, in AA.VV., Le fonti nel diritto amministrativo, Annuario AIPDA 2015, Napoli, 2016, 11, che sottolinea come l'indeterminatezza del dato normativo è «destinata ad accrescere il tasso di discrezionalità normativa ed amministrativa, fonte sicura di incertezze ed arbitrii»), del «grave illecito professionale», concetto all'interno del quale la più recente giurisprudenza sembra ricondurre qualunque condotta, collegata all'esercizio dell'attività professionale, che si riveli contraria ad un dovere posto da una norma giuridica, sia essa di natura civile, penale o amministrativa (Cons. Stato, Sez. III, 13 febbraio 2020, n. 1174; id. 22 maggio 2019, n. 3331; id. 27 dicembre 2018, n. 7231; id., 5 settembre 2017, n. 4192; id. 11 giugno 2019, n. 3908; id. sez. V, 7 gennaio 2020, n. 70; id., 24 gennaio 2019, n. 586; id., 24 gennaio 2019, n. 591; id. 29 gennaio 2019, n. 727; id., 12 marzo 2019, n. 1644; id., 12 marzo 2019, n. 1649).

Inoltre, a tale difficile definizione, da operare a monte, si sommano le difficoltà legate a quelle valutazioni, da svolgere a valle, circa i limiti di operatività dell'onere dichiarativo, quando si discuta, ad esempio, se dichiarare illeciti professionali che abbiano perso effetto per decorso del tempo o se il concorrente possa essere escluso per non aver dichiarato vicende a lui sconosciute (perché riguardanti un soggetto diverso rispetto a quello chiamato a rendere la dichiarazione).

Con il presente scritto, pertanto, si intende ragionare – in termini, in un certo senso, propedeutici rispetto all'attesa pronuncia dell'Adunanza Plenaria – proprio sulla questione relativa alla portata dell'onere dichiarativo gravante in capo all'operatore economico dei precedenti illeciti professionali.

Anche così delimitato, tuttavia, l'oggetto dell'analisi rimane di ampia portata e difficilmente riconducibile entro schemi ben definiti, sicché diviene fondamentale l'ordine della trattazione, che conviene da subito esplicitare.

Una prima parte della trattazione sarà destinata ad una sintetica, ma (si spera) significativa analisi delle disposizioni (nazionali e comunitarie) che maggiormente interessano la tematica oggetto del presente contributo, nel tentativo di mettere in rapporto il codice nazionale con le direttive europee.

Nella seconda parte, nell'ottica di chiarire quali vicende l'operatore economico è astrattamente tenuto a dichiarare, si tenterà di descrivere la più recente giurisprudenza relativa al «grave illecito professionale», senza avere l'ambizione di ricostruire l'intera giurisprudenza formatasi sul tema: sarebbe impresa difficilmente perseguibile e, in fondo, neanche troppo utile all'obiettivo che si intende raggiungere. Piuttosto si ha l'intenzione di prendere in esame alcuni dei temi maggiormente affrontati dalle corti, nazionali e comunitarie, in ordine alle vicende da ricomprendere nel concetto di «grave illecito professionale», in modo da provare a porre le basi per poter poi riflettere – prima che sulla questione si pronunci l'Adunanza Plenaria – sullo stato dell'arte cui la giurisprudenza è giunta in tema di illeciti precedentemente commessi che il concorrente ha l'onere di dichiarare in gara.

Tale approccio metodologico, se da un lato porta inevitabilmente a tralasciare alcuni profili peculiari delle singole fattispecie esaminate dalla giurisprudenza, dall'altro si ritiene possa aiutare, appunto, a svolgere delle riflessioni sulle questioni che l'Adunanza Plenaria è chiamata ad affrontare, con il fine di tentare di ragione su quale possa essere un ideale perimetro (indicando i possibili limiti di operatività) dell'onere dichiarativo del concorrente.

Ci si chiederà, allora, per meglio comprendere le questioni rimesse alla Plenaria, quali debbano essere ed in che modo debbano operare i limiti agli obblighi dichiarativi, sottolineando che la possibilità di individuare determinati limiti (come si vedrà, di carattere logico, oltre che temporale) porterebbe a ritenere che non si possa pretendere dall'operatore economico di dichiarare alcune vicende che la stazione appaltante non dovrebbe conoscere, poiché irrilevanti (vuoi perché eccessivamente datate, vuoi perché non incidenti sulla serietà professionale del concorrente) con riferimento alla valutazione che l'Amministrazione è chiamata a svolgere in ordine all'affidabilità ed integrità dell'operatore economico.

Inoltre, occorrerà interrogarsi su quali debbano essere le conseguenze dell'omessa dichiarazione di una vicenda che astrattamente avrebbe dovuto essere portata a conoscenza della stazione appaltante, domandandosi se l'esclusione dalla gara possa avvenire in maniera automatica, senza che la stazione appaltante valuti prima la rilevanza del fatto omesso o da cosa è dipesa la mancata ostensione e se questa, in definitiva, sia effettivamente in grado di incidere sull'affidabilità dell'operatore economico.

Invero, è possibile qui anticipare quanto si dirà più diffusamente nel corso del presente contributo, rilevando che i principi generali di efficienza, imparzialità dell'azione amministrativa e di parità di trattamento (T.A.R. Veneto, Venezia, Sez. I, 30 gennaio 2019, n. 1171), nonché quello di economicità (che in dottrina è stato ritenuto «un meta-principio di cui gli altri sono una esplicazione», M. CAVINO, Il codice dei contratti pubblici. Principi e ambito applicativo in M. CAVINO, B. MAMELI, I. PAGANI (a cura di), Lezioni sulle procedure di acquisto della pubblica amministrazione, Torino, 2011, 10) paiono suggerire che solamente circostanze che, in concreto, possano avere, alla stregua della normativa vigente, una ragionevole influenza sul processo valutativo demandato all'Amministrazione è lecito pretendere che vengano dichiarate. Ma se il fatto non è di per sé oggettivamente rilevante, sembra opportuno domandarsi se sia ragionevole pretendere dall'operatore economico di dichiarare anche i fatti irrilevanti sul processo decisionale della stazione appaltante e se dal rilievo di tale omessa dichiarazione possa conseguirne automaticamente l'esclusione dalla gara.

Insomma, sono diversi gli aspetti che meritano di essere approfonditi in ordine all'onere dichiarativo e se si ritiene di dover studiare la tematica è in ragione dei numerosi interessi coinvolti, che vanno dalla necessità di assicurare che l'appalto sia affidato a soggetti che offrano garanzia di integrità ed affidabilità alla necessità di garantire una reale concorrenzialità nella gara; dall'interesse pubblico alla completezza delle dichiarazioni all'interesse privato (anche questo irrinunciabilmente da perseguire) a non dichiarare alcune vicende.

In attesa che sul tema si esprima l'Adunanza Plenaria, pertanto, sembra utile porre attenzione sui dubbi legati alle questioni che il massimo consesso amministrativo prenderà in esame. Sarà possibile, in questo modo, quando si sarà pronunciata la Plenaria, valutare con un maggior grado di consapevolezza quali e quanti di questi dubbi potranno dirsi risolti.

La cornice normativa

Prima di analizzare le più significative pronunce giurisprudenziali, pare opportuno soffermarsi brevemente sulle disposizioni (nazionali e comunitarie) che maggiormente interessano la tematica oggetto del presente contributo, partendo – come non potrebbe essere diversamente – dall'art. 80 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, che contiene la disciplina dei motivi di esclusione dalla gara (individuati nei commi 1, 2, 4 e 5), sulla quale in più momenti il legislatore nazionale è intervenuto (Per una ricostruzione dell'impianto normativo relativo ai gravi illeciti professionali e per una descrizione dell'evoluzione della pertinente normativa, si v. M.A. SANDULLI, R. DE NICTOLIS (a cura di), Trattato sui contratti pubblici, Vol. II, Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2019, pp. 841 ss).

Più in dettaglio, il comma 1 della disposizione in argomento prevede l'esclusione automatica in caso di determinati provvedimenti penali per taluni reati specificamente indicati nello stesso comma. In queste ipotesi l'attività della stazione appaltante è vincolata, nel senso che quest'ultima non è chiamata a compiere alcuna autonoma valutazione circa l'affidabilità del concorrente, dovendo senz'altro procedere, in presenza del presupposto previsto dalla norma, all'esclusione (in tal senso, appunto, automatica) dell'operatore economico.

Diversamente, l'ipotesi di esclusione per «grave illecito professionale» richiede che la sussistenza del presupposto dell'esclusione debba essere valutato dalla stazione appaltante nell'esercizio della propria discrezionalità.

Al riguardo, lasciando per il momento da parte le ulteriori cause di esclusione previste nei diversi commi dell'art. 80 (prevede ulteriori cause di esclusione dalla gara nell'interdittiva antimafia ex comma 2, nelle violazioni fiscali, contributive e previdenziali ex comma 4, nonché nelle ulteriori specifiche situazioni individuate nelle diverse lettere del comma 5) è necessario porre attenzione alla lettera c) del comma 5 della predetta disposizione.

L'art. 80, comma 5, lett. c) del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, nella sua versione originaria, prevedeva che le stazioni appaltanti dovessero escludere dalla gara un operatore economico laddove si fosse dimostrato con mezzi adeguati che il medesimo «si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità. Tra questi rientrano: le significative carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all'esito di un giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni; il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio; il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull'esclusione, la selezione o l'aggiudicazione ovvero l'omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione». Tale disposizione ha una portata più ampia rispetto alla disciplina contenuta nell'art. 38 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, in quanto, a differenza della precedente normativa, non distingue tra precedenti rapporti contrattuali con la stessa o con una differente stazione appaltante e, inoltre, non prende ad oggetto solo la negligenza e l'errore professionale, ma più in generale l'illecito professionale, concetto che abbraccia numerose fattispecie, che riguardano sia la fase di esecuzione del contratto che quella di gara), ove è stato riprodotto l'art. 57, paragrafo 4, lettera c), della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, il quale sinteticamente prevede, come causa di possibile esclusione dalla gara, il caso in cui «l'amministrazione aggiudicatrice può dimostrare con mezzi adeguati che l'operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, il che rende dubbia la sua integrità» (Con riferimento al recepito della disposizione in ambito nazionale, si V. M.A. SANDULLI, R. DE NICTOLIS (a cura di), Trattato sui contratti pubblici, Vol. II, p. 846, ove viene posto in evidenza come il legislatore nazionale non abbia specificato il contenuto di alcuni concetti (in particolare, quello di «mezzi adeguati» e di «significative carenze»). Al riguardo, viene richiamato Cons. Stato, Adunanza della Commissione speciale, 14 settembre 2017, n. 2042, laddove è stato sottolineato che il concetto di «grave illecito professionale» è stato introdotto dal legislatore nazionale mediante «una particolare tecnica legislativa nella quale, per individuare il fatto produttivo di effetti giuridici, la norma non descrive la fattispecie astratta in maniera tassativa ed esaustiva, ma rinvia, per la sussunzione del fatto concreto nell'ipotesi normativa, all'integrazione dell'interprete, mediante l'utilizzo di concetti che vanno completati e specificati con elementi o criteri extragiuridici».

L'art. 5, comma 1 del d.l. 14 dicembre 2018, n. 135, convertito dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12, poi, ha sdoppiato nelle successive lettere c-bis) e c-ter) la preesistente lettera c), mantenendo peraltro nella lettera c) la previsione di portata generale (Cons. Stato, Sez. V, 22 luglio 2019, n. 5171. Sulle modifiche apportate con il del d.l. 135/2018 si v. M.A. SANDULLI, R. DE NICTOLIS (a cura di), Trattato sui contratti pubblici, Vol. II, p. 849-850, ove si mette in evidenza che, «Oltre ad aver effettuato uno spacchettamento della disposizione originaria in autonome fattispecie contemplate nelle nuove lett. c-bis) e c-ter), con tale innesto normativo il legislatore (i) ha eliminato l'elencazione esemplificativa dei gravi illeciti professionali che stata introdotta con l'inciso tra questi rientrano”; (ii) ha aggiunto l'onere per la stazione appaltante di motivare, in caso di significative o persistenti carenze anche con riferimento al tempo trascorso dalla violazione e alla gravità della stessa”; (iii) ha rimosso il passaggio normativo contenuto nell'originario art. 80, co. 5, lett. c), secondo cui la risoluzione anticipata”, ai fini della rilevanza escludente, doveva essere «non contestata in giudizio, ovvero confermata all'esito di un giudizio»).

Un primo intervento di modifica sull'art. 80, tuttavia, era stato effettuato con il d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56 (c.d. “correttivo”), che – tra le varie cose – ha inserito, nell'ambito del comma 5, la lettera f-bis), in ragione della quale le stazioni appaltanti escludono «l'operatore economico che presenti nella procedura di gara in corso e negli affidamenti di subappalti documentazione o dichiarazioni non veritiere» (Con lo stesso intervento normativo, inoltre, è stata introdotta nel comma 5 dell'art. 80 la lettera f-ter, secondo la quale le stazioni appaltati escludono l'operatore economico iscritto nel casellario informatico ANAC «per aver presentato false dichiarazioni o falsa documentazione nelle procedure di gara e negli affidamenti di subappalti»).

Questi ripetuti interventi sulla disciplina testimoniano l'affanno che il legislatore nazionale ha incontrato nella faticosa opera di ricerca della corretta soluzione (probabilmente, mai del tutto individuata) di recepimento della direttiva (Cfr. M.A. SANDULLI, R. DE NICTOLIS (a cura di), Trattato sui contratti pubblici, Vol. II, p. 846, ove si mostra come le situazioni contemplate dalla normativa comunitaria (che appaiono come “species” di un più ampio “genus” escludente) siano state recepite dal legislatore nazionale «in un'unica (macro categoria di) causa di esclusione riguardante, per l'appunto, i «gravi illeciti professionali»), rimasta al contrario invariata rispetto all'originaria versione. Sintomo di dette difficoltà, inoltre, è la complessa e stratificata giurisprudenza (che si analizzerà, sebbene solo in parte, nel seguito) formatasi in materia, talvolta seguita dallo stesso legislatore nei vari interventi di modifica.

Ai fini delle riflessioni che si intendono svolgere nel presente contributo, poi, non è possibile tralasciare l'art. 80, comma 10 del codice, con cui è stata data attuazione all'art. 57, paragrafo 7, della citata direttiva 2014/24/UEil quale dispone che la rilevanza di fatti illeciti e di condanne penali debba essere limitata nel tempo.

In realtà, nella versione originaria, l'art. 80, comma 10 prendeva ad oggetto solamente la condanna penale definitiva che non avesse fissato la durata dell'incapacità a contrattare con la P.A., per la quale era prevista una moratoria quinquennale, nulla disponendo per le cause di esclusione di cui ai commi 4 (violazioni fiscali e contributive) e 5 (gravi illeciti professionali).

Tale lacuna è stata colmata dal “correttivo” del 2017, che ha inserito nel comma 10 la frase «e a tre anni, decorrenti dalla data del suo accertamento definitivo, nei casi di cui ai commi 4 e 5 ove non sia intervenuta sentenza di condanna» (La previsione introdotta del correttivo del 2017 ha tenuto conto del parere del Consiglio di Stato del 30 marzo 2017 n. 782, con cui si è evidenziata la necessità di ancorare la decorrenza del triennio ad un momento preciso, specificando che la «data del fatto» (la norma europea, infatti, come dies a quo dei tre anni, fa riferimento alla data «del fatto») non assicura tale esigenza, «in quanto identiche violazioni compiute da due imprese lo stesso giorno, per fattori del tutto casuali, potrebbero anche venire alla luce in momenti differenti, il che conseguentemente finirebbe per limitare ingiustificatamente il triennio, per alcuni e non per altri, per tutto il periodo che va dalla commissione del fatto alla sua rilevanza nell'ambito del medesimo procedimento»).

Il legislatore nazionale, poi, è nuovamente intervenuto sull'art. 80, comma 10, sostituendolo completamente (L'art. 80, comma 10 nella sua versione attualmente vigente, risultante dalle modifiche apportate dall'articolo 1, comma 20, lettera o), numero 5), del D.L. 18 aprile 2019, n. 32, convertito con modificazioni dalla Legge 14 giugno 2019, n. 55) e introducendo il comma 10-bis, costruendo, in tal modo, una disciplina della rilevanza temporale delle varie cause di esclusione stratificata e per nulla fedele al dettato comunitario.

A differenza del disposto nazionale, infatti, la direttiva, in maniera molto più essenziale, si limita a prevedere un periodo massimo di esclusione dalla gara (se questo non è stato già fissato con sentenza definitiva), che non può essere superiore a cinque anni dalla data della sentenza di condanna (per pregressi illeciti penali) e a non più di tre anni dalla data del fatto per gli ulteriori motivi di esclusione (pregressi illeciti professionali).

La disciplina attualmente vigente sul piano nazionale, poi, individua il dies a quo per i fatti di cui al comma 5 dell'art. 80 nella «data di adozione del provvedimento amministrativo di esclusione» e, nel caso in cui il provvedimento di esclusione sia stato contestato in giudizio, «dalla data di passaggio in giudicato della sentenza», mentre la direttiva fa riferimento sempre alla «data del fatto».

Ne consegue che, in forza della disciplina nazionale, l'operatore economico che abbia impugnato la propria esclusione rimarrà soggetto alla misura espulsiva per un periodo di tre anni decorrente dalla conclusione del giudizio, mentre l'effetto escludente si esaurisce in tre anni (non decorrenti dal fatto ma) dal provvedimento quando l'operatore economico vi abbia prestato acquiescenza.

Inoltre, significativamente, l'articolo 57, paragrafo 7 della direttiva 2014/24/UE, pur in presenza di un motivo di esclusione ed a prescindere dall'arco temporale di riferimento, consente al concorrente di provare di aver adottato determinate misure che, ove ritenute sufficienti dalla stazione appaltante, determinano la non esclusione dalla procedura d'appalto.

Dalla lettura della direttiva emerge un approccio di carattere sostanziale, suggerito anche dal considerando 102 della stessa direttiva 2014/24 rivolto ad indagare la concreta affidabilità dell'operatore economico, da cui conseguirebbe la possibilità di disporre l'esclusione solo dopo che gli sia stata data l'opportunità di dimostrare la sua affidabilità, nonostante l'esistenza di un motivo di esclusione.

Il meccanismo riabilitativo (c.d. self cleaning) previsto dai commi 7 e 8 dell'art. 80, invece, non sembra sostenuto dalla stessa rilevanza attribuitagli dal legislatore comunitario e a dimostrarlo è il peso riconosciutogli nella prassi.

Infine, è utile dar conto pure del comma 13 dell'art. 80, che riconosce all'ANAC il compito, con proprie linee guida, di precisare i mezzi di prova adeguati a comprovare le circostanze di esclusione previste dalla stessa disposizione e individuare quali carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto possano considerarsi significative ai fini della medesima disposizione.

Sulla base di tale previsione, l'Autorità, con delibera n. 1293 del 16 novembre 2016, ha adottato le Linee Guida n. 6 (recanti «Indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto che possano considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all'art. 80, comma 5, lett. c) del Codice»), alle quali spesso si farà riferimento nel presente scritto (Cfr. M.A. SANDULLI, R. DE NICTOLIS (a cura di), Trattato sui contratti pubblici, Vol. II, p. 848, ove si ricorda che, per prevalente opinione della scienza giuridica e della giurisprudenza, a dette Linee guida andrebbe riconosciuto valore di «atto non vincolante», «recante istruzioni operative» «volte a favorire l'adozione di comportamenti omogenei e buone prassi da parte delle stazioni appaltanti»).

A seguito dell'approvazione del “correttivo” del 2017, poi, con delibera in data 11 ottobre 2017, n. 1008, l'ANAC ha approvato l'aggiornamento alle predette Linee Guida, il cui testo è stato ulteriormente rivisto e trasmesso, in data 28 settembre 2018, al Consiglio di Stato, per l'acquisizione del relativo parere.

Quadro giurisprudenziale

Nel vigore della versione dell'art. 80 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 anteriore alle modifiche apportate dal d.l. n. 135 del 2018, che individuava condotte da qualificarsi ex lege quali «gravi illeciti professionali», la giurisprudenza (con conclusioni che rimangono tuttora valide) ha ritenuto che l'individuazione fosse solo esemplificativa, potendo la stazione appaltante desumere il compimento di «gravi illeciti professionali» da ogni altra vicenda pregressa dell'attività professionale dell'operatore economico di cui fosse accertata la contrarietà a un dovere derivante da una norma civile, penale o amministrativa (Ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 24 gennaio 2019, n. 586; id., 25 gennaio 2019, n. 591; id., 3 gennaio 2019, n. 72; id., Sez. III, 27 dicembre 2018, n. 7231), se ritenuta in grado di metterne in dubbio l'integrità e l'affidabilità.

Così, come si è anticipato in premessa, la giurisprudenza è stata notevolmente impegnata a districarsi sulla definizione dei concetti, fattispecie e condotte riconducibili nel novero dei «gravi illeciti professionali» (Tra i numerosi contributi che si sono interrogati sul concetto di grave illecito professionale si v. A.L. FERRARIO, Esclusione per grave illecito professionale ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. c), c.c.p.: tassatività o meno delle fattispecie escludenti, nota a Cons. di Stato, Sez. V, 2 marzo 2018, n. 1299, in www.lamministrativista.it; A. NICODEMO, Gravi illeciti professionali, tutto cambia affinché nulla cambi, in Urb. app. 1/2019, p. 110 ss; V. APICELLA, I gravi illeciti professionali: limiti al potere discrezionale della stazione appaltante e il modello di compliance antitrust, in Amministrazione in cammino, 2019; M. DI DONNA, Il “grave illecito professionale”, tra attuale incertezza del diritto e imminente prospettiva europea, in Urb. app., 1/2018, p. 62; C. LAMBERTI, Gli illeciti professionali approdano alla Corte di Giustizia, in Giurisprudenza italiana, n. 10/2018, p. 2235 ss;), determinando conseguenzialmente dei dubbi, per lo studioso del diritto ma – prima ancora – per l'operatore economico, circa la corretta delimitazione del contenuto dell'obbligo dichiarativo a carico dei soggetti tenuti ad effettuare le dichiarazioni circa il possesso dei requisiti morali. Ci si chiede, quindi, quali precedenti vicende debbano essere dichiarate, se sia ad esempio necessario, a tal fine, l'iscrizione sul casellario ANAC e quali siano (e se ci siano) dei limiti di operatività (innanzitutto di carattere temporale, ma non solo) dell'onere dichiarativo dei precedenti illeciti.

Ebbene, dopo aver sinteticamente ricostruito il quadro normativo, al fine di interrogarsi sugli aspetti di maggiore criticità determinati da tali questioni, come si diceva, appare utile una breve analisi delle fattispecie maggiormente emblematiche (e di più frequente trattazione da parte dei tribunali), attraverso una rassegna delle più recenti sentenze, con l'obiettivo di astrarne i principi di massima seguiti dalla giurisprudenza.

Segue: l'onere dichiarativo degli illeciti antitrust

Un tema che ha impegnato il giudice amministrativo è quello relativo alla possibilità di escludere dalla partecipazione alle gare pubbliche le imprese che siano state responsabili di condotte anti-concorrenziali, dal momento che, se l'art. 80 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 non indica espressamente l'avvenuto accertamento, a carico dell'operatore economico, dell'illecito concorrenziale tra le ipotesi di esclusione dalla gara (Sul tema Cfr, G. VERCILLO, L'illecito antitrust ed esclusione dalle gare pubbliche. Tra vecchie e nuove incertezze, in federalismi.it, 2017; M. DIDONNA, I cartelli antitrust e l'esclusione dalla gara d'appalto al debutto del nuovo Codice, in Urb. App., IV, 2017, p. 557; R. SPAGNUOLO VIGORITA, Contratti pubblici e fenomeni anticoncorrenziali: il nuovo codice e le linee guida ANAC. Quale tutela?, in federalismi.it, 2017. Per una definizione di “illecito concorrenziale”, si V. M. ROMA, Abuso escludente mediante contratto, in A. CATRICALÀ, E. GABRIELLI (a cura di), I contratti nella concorrenza, Torino, 2011, p. 243 ss; S. BASTIANON, L'abuso di posizione dominante, Milano, Giuffrè, 2001, p. 278 ss.; M. MOTTA, M. POLO, Antitrust - Economia e politica della concorrenza, Bologna, 2005, p. 249 ss), l'ANAC, nella versione originaria delle Linee Guida n. 6, includeva tra i gravi illeciti professionali «i provvedimenti di condanna divenuti inoppugnabili o confermati con sentenza passata in giudicato dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato», per far poi riferimento – nel testo aggiornato con la delibera n. 1008 dell'11 ottobre 2017 – all'irrogazione di «provvedimenti esecutivi dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato».

Ebbene, quanto alla rilevanza degli illeciti antitrust quali potenziali cause di esclusione dalle procedure per l'affidamento degli appalti pubblici, nella giurisprudenza nazionale si sono formati due opposti orientamenti, diretti rispettivamente (il primo) ad escludere, sul presupposto del carattere non vincolante delle Linee Guida emanate dall'ANAC, che un illecito anticoncorrenziale possa integrare una fattispecie di illecito professionale ostativo alla partecipazione a procedure ad evidenza pubblica (Cons. Stato, Adunanza della Commissione speciale, 26 ottobre 2016, n. 2286. Con detto parere, reso sullo schema delle Linee guida n. 6/2016, il Consiglio di Stato ha ritenuto che le predette linee guida «appartengano al novero di quelle a carattere non vincolante, che hanno una funzione promozionale di buone prassi da parte delle stazioni appaltanti». Sulla discussa natura giuridica delle linee guida Anac non vincolanti: M. P. CHITI, Il sistema delle fonti nella nuova disciplina dei contratti pubblici, in Giornale di diritto amministrativo, fasc.4/2016, p. 436 ss., L. TORCHIA, La regolazione del mercato dei contratti pubblici, in Rivista della regolazione dei mercati, fasc. 2/2016, p. 72 ss.) o, al contrario, a ricondurre (il secondo) l'ipotesi di illecito antitrust nel novero degli illeciti professionali da dichiarare.

Il primo orientamento, in particolare, valorizza la scelta del legislatore di non riprodurre, nella normativa nazionale, la fattispecie (invece espressamente contemplata nel art. 57 direttiva 2014/24/UE) relativa agli accordi intesi a falsare la concorrenza tra le circostanze che determinano l'esclusione dalla gara (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I-bis, 7 febbraio 2017, n. 2084) e, più in particolare, l'impossibilità di ricondurre la sanzione irrogata dall'AGCM nelle ipotesi previste dal comma 5 dell'art. 80 (T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 2 gennaio 2017, 10, ove viene seguita la tesi secondo cui non sarebbe possibile ricondurre le sanzione irrogate dall'AGCM tra le ipotesi previste nell'art. 80 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, laddove - nella sua originaria versione - discorreva di «altre sanzioni» tra le conseguenze che possono derivare dalla violazione dei doveri professionali e, segnatamente, dalle «significative carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione»; in termini T.A.R. Emilia Romagna, Parma, Sez. I, 15 gennaio 2018, n. 18), traducendosi l'eventuale interpretazione estensiva della norma in un'inaccettabile violazione del favor partecipationis.

Secondo un diverso orientamento, invece, il considerando 101 della direttiva 2014/24/UE riterrebbe la violazione di norme in materia di concorrenza sintomo di inaffidabilità dell'operatore economico, tale da indurre doverosamente l'Amministrazione ad esercitare la propria potestà di esclusione (T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. I, 22 febbraio 2017, n. 428). Tale soluzione, che implica la rilevanza dell'illecito antitrust quale causa di esclusione da una gara pubblica (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I., 31 gennaio 2018, n. 1119, ove è stato rilevato che la scelta di includere tra gli illeciti professionali i provvedimenti sanzionatori dell'AGCM «appare corretta anche in un'ottica di proporzionalità, atteso che tra le fattispecie espressamente contemplate dall'art. 80, comma 5, lett. c), compaiono ipotesi, quali quelle della condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni, sintomatiche di un disvalore sociale inferiore a quello che connota l'illecito anticoncorrenziale, rilevando pure, sotto altro profilo, il fatto che la stessa previsione normativa di rango primario fa riferimento a fatti e comportamenti non più circoscritti alla fase esecutiva del contratto, ma a comportamenti ricadenti nella fase di scelta del contraente, laddove volte ad influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante, mediante l'alterazione del meccanismo di gara posto a garanzia della concorrenza»), è stata condivisa dal Consiglio di Stato in sede consultiva, ove è stato affermato che una lettura sistematica dell'art. 80, comma 5 «rende possibile e ragionevole – e anche rispettoso del principio di proporzionalità - ricomprendere nella clausola aperta di cui al comma 5 anche l'illecito antitrust sanzionato dall'Agcm» (Cons. Stato, Adunanza della Commissione speciale, 23 ottobre 2018, n. 2616).

È questa la conclusione cui sembra giungere anche la Corte di giustizia dell'Unione europea, sezione IX, ordinanza, 4 giugno 2019, n. 425, nella causa C‑425/18, ove è stato ritenuto che nell'ambito dell'«errore grave» commesso da un operatore economico «nell'esercizio della propria attività professionale» vadano ricondotti anche i comportamenti che integrano una violazione delle norme in materia di concorrenza, accertati e sanzionati dall'AGCM con un provvedimento confermato da un organo giurisdizionale) che, sebbene si sia pronunciata sul previgente codice dei contratti pubblici, ha espresso principi che, considerata la maggior ampiezza, rispetto alla precedente disciplina, dell'art. 80 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, dovrebbero esser valide anche per la disciplina attualmente vigente (Cons. Stato, Sez. V, 24 febbraio 2020, n. 1381), con riferimento alla quale, quindi, l'illecito anticoncorrenziale giustificherebbe l'esclusione dell'operatore economico dalla procedura di aggiudicazione. Resta fermo, però, che tale esclusione non può essere automatica, gravando in capo all'Amministrazione l'onere di valutare concretamente il comportamento dell'operatore economico interessato.

Rimane aperto, tuttavia, il punto relativo alla necessità della definitività dell'accertamento giurisdizionale sul provvedimento dell'AGCM, tema affrontato solo incidentalmente dal giudice comunitario, secondo il quale l'accertamento dell'errore professionale «non richiede una sentenza passata in giudicato».

La stessa AGCM (Parere dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato AS1474 del 13 febbraio 2018, in Boll. n. 6 del 19 febbraio 2018, avente ad oggetto «Linee Guida n. 6 dell'Autorità Nazionale Anticorruzione – contrattualistica pubblica», in www.agcm.it.), però, ha evidenziato diverse criticità in ordine alla scelta operata dall'ANAC con le citate Linee Guida n. 6 del 2016 di attribuire rilevanza al provvedimento meramente «esecutivo» dell'AGCM e non più, come nella versione originaria, ai «provvedimenti di condanna divenuti inoppugnabili o confermati con sentenza passata in giudicato».

Lo stesso Consiglio di Stato, nondimeno, nel rendere il proprio parere in merito all'aggiornamento delle Linee Guida n. 6, ha ritenuto che, in questo specifico caso, sarebbe richiesta una maggiore garanzia rispetto agli altri casi di illeciti professionali, garanzia offerta proprio dalla definitività dell'accertamento e che – tenuto conto del rito accelerato cui i giudizi amministrativi avverso i provvedimenti sanzionatori dell'AGCM sono sottoposti – non si tradurrebbe in un limite consistente per le stazioni appaltanti (Cons. Stato, Adunanza della Commissione speciale, 23 ottobre 2018, n. 2616, cit. in senso opposto, in giurisprudenza è stato rilevato che «la pretesa definitività della sentenza offrirebbe agli operatori economici destinatari di sanzioni per comportamenti anticoncorrenziali una possibilità di elusione della disposizione in esame, attesa la necessaria delimitazione temporale della causa ostativa», cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I., 31 gennaio 2018, n. 1119, cit.).

Segue: la rilevanza dell'iscrizione nel casellario ANAC.

Un'ulteriore questione che ha interessato gli interpreti è quella che riguarda l'iscrizione dell'illecito nel casellario Informatico ANAC di cui all'art. 213, comma 10 d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50e se, in particolare, l'onere di dichiarare il «grave illecito professionale» sorga solamente in caso di (ed al momento della) iscrizione nel predetto casellario.

Secondo un primo orientamento, così, la decadenza dall'aggiudicazione che non sia stata ancora iscritta nel casellario ANAC non comporterebbe la possibilità di considerare irrilevante e inutilizzabile l'informazione, che andrebbe, quindi, sempre dichiarata, in considerazione del fatto che la pubblicità del casellario non sarebbe costitutiva e neppure vincolante per quanto riguarda le modalità con cui il fatto viene descritto (T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 5 marzo 2019, n. 215).

Questo indirizzo sembra essere stato seguito anche dall'ANAC con le Linee Guida n. 6 che, a seguito delle modifiche apportate con la delibera n. 1008 dell'11 ottobre 2017, prevedono l'obbligo di comunicazione dei provvedimenti «anche se non ancora inseriti nel Casellario informatico», con la conseguente applicazione, in caso di omissione, dell'art. 80, comma 5, lettera f-bis) del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (In effetti, dopo il c.d. “correttivo”, la nuova versione delle Linee Guida n. 6 risultante dalla delibera n. 1008 dell'11 ottobre 2017, precisa che «gli operatori economici, ai fini della partecipazione alle procedure di affidamento, sono tenuti a dichiarare, mediante modello DGUE, tutte le notizie astrattamente idonee a porre in dubbio la loro integrità o affidabilità»).

Al contrario, secondo una diversa giurisprudenza (in specie quella, Cfr. Cons. Stato, Sez. III, 12 luglio 2018, n. 4266; id., Sez. V, 3 aprile 2018, n. 2063; id. 3 settembre 2018, n. 5136/2018; id., 21 novembre 2018, n. 6576; id., 5 luglio 2047, n. 3304; 4 luglio 2017, n. 3258, pronunciatasi sull'originaria versione delle Linee Guida n. 6 del 2016 - Nella versione originaria di cui alla delibera ANAC n. 1293 in data 16 novembre 2016, in particolare vece, veniva sottolineato che «gli operatori economici, ai fini della partecipazione alle procedure di affidamento, sono tenuti a dichiarare, mediante modello DGUE, tutte le notizie inserite nel Casellario Informatico gestito dall'Autorità astrattamente idonee a porre in dubbio la loro integrità o affidabilità», da cui la giurisprudenza rinveniva la necessità, ai fini della sussistenza dell'onere dichiarativo, che le informazioni di cui si lamenta la mancata segnalazione risultassero comunque dal casellario ANAC - ma seguita anche dalla giurisprudenza che si è espressa sul testo aggiornato) l'onere ostensivo relativo a vicende rilevanti ai sensi dell'art. 80, comma 5 lettera c) sussisterebbe solo laddove la vicenda abbia dato luogo a iscrizione nel casellario (Cfr. Cons. Stato Sez. V, 27 settembre 2019, n. 6490: Cfr. Ex multis Cons. Stato, Sez. III, 12 luglio 2018, n. 4266, T.A.R. Puglia Bari, Sez. III, 8 febbraio 2019, n. 226; Sulle differenze, sotto tale profilo, tra il regime anteriore e quello successivo all'ingresso in vigore della delibera ANAC n. 1008/2017, si V. Cons. Stato, Sez. III, 25 settembre 2019, n. 6433), qualora l'ANAC ritenga che emerga il dolo o la colpa grave dell'impresa interessata, in considerazione dell'importanza e della gravità dei fatti (Cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 14 gennaio 2020, n.168). Resterebbe preclusa, pertanto, all'Amministrazione la possibilità di valutare autonomamente, ai fini escludenti, la condotta (riconducibile all'interno della categoria dell'illecito professionale) tenuta nell'ambito di una precedente gara, quando questa non sia stata oggetto di iscrizione nel casellario ANAC (Cons. Stato, Sez. V, 27 settembre 2019, n. 6490, nel caso di specie si trattava di della condotta consistente nell'aver reso false e/o omissive dichiarazioni nell'ambito di una precedente gara, senza che tale condotta fosse stata iscritta nel casellario).

Ne conseguirebbe che solo rispetto alle notizie iscritte nel casellario ANAC potrebbe porsi un onere dichiarativo ai fini della partecipazione alle procedure di affidamento (Così Cons. Stato, Sez. V, 3 aprile 2018, n. 2063 relativa ad una fattispecie in cui la sentenza di primo grado, che aveva ritenuto obbligatoria ai fini della partecipazione alla gara la dichiarazione da parte dell'operatore economico, di aver subito una risoluzione contrattuale, è stata riformata dal giudice di appello. Sul punto, si v. anche Cons. Stato, Sez. V, 4 luglio 2017, nn. 3257 e 3258).

Segue: l'onere dichiarativo di illeciti “sub iudice”

Sotto un ulteriore profilo, parte della giurisprudenza ha fornito un'interpretazione particolarmente gravosa dell'onere dichiarativo sussistente in capo all'operatore economico, affermando che le informazioni dovute alla stazione appaltante comprendono ogni addebito relativo a precedenti vicende professionali che possa rivelarsi utile all'Amministrazione per valutare l'affidabilità e l'integrità dell'operatore economico (Cons. Stato, Sez. V, 3 settembre 2018, n. 5142; id. sez. V, 25 luglio 2018, n. 4532; id. sez. V, 11 giugno 2018, n. 3592), in modo da comprendere gli illeciti “sub iudice(Cons. Stato Sez. III, 27 dicembre 2018, n. 7231; id. sez. V, 2 marzo 2018, n. 1299; id. sez. V, 7 gennaio 2020, n. 70; T.A.R. Basilicata, Potenza, Sez. I, 28 febbraio 2020, n. 173), a prescindere dalla definitività degli accertamenti giudiziali, e dunque, anche a fronte di una richiesta di rinvio a giudizio (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 16 maggio 2019, n. 1120), ferma restando la necessità di una congrua motivazione da parte della stazione appaltante circa l'inaffidabilità del concorrente.

Si sostiene, poi, che la gravità dell'evento dovrebbe essere ponderata dalla stazione appaltante, sicché l'operatore economico dovrebbe dichiarare lo stesso e rimettersi alla valutazione dell'Amministrazione, senza la facoltà di operare un filtro circa gli episodi da dichiarare (T.A.R. Abruzzo, Pescara, Sez. I, 15 gennaio 2020 n. 22).

Tale assunto sembra essere, in una certa misura, condiviso dal giudice comunitario, laddove quest'ultimo ha riconosciuto la non compatibilità con l'art. 57, paragrafo 4, lettere c) e g), della direttiva 2014/24/UE dell'art. 80, comma 5, lettera c) del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, nella parte in cui tale ultima disposizione precluderebbe all'Amministrazione la possibilità di valutare le risoluzioni contrattuali sub judice pronunciate nei confronti di un operatore economico (Corte di giustizia dell'Unione europea, sezione IV, 19 giugno 2019, nella causa C-41/18, a seguito del rinvio pregiudiziale disposto dal T.A.R. per la Campania, sez. IV, ordinanza 13 dicembre 2017 n. 5893, che ha riconosciuto che l'articolo 57, paragrafo 4, lettere c) e g), della direttiva 2014/24/UE «deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale in forza della quale la contestazione in giudizio della decisione di risolvere un contratto di appalto pubblico, assunta da un'amministrazione aggiudicatrice per via di significative carenze verificatesi nella sua esecuzione, impedisce all'amministrazione aggiudicatrice che indice una nuova gara d'appalto di effettuare una qualsiasi valutazione, nella fase della selezione degli offerenti, sull'affidabilità dell'operatore cui la suddetta risoluzione si riferisce»).

In particolare, secondo la Corte di Giustizia, alle amministrazioni aggiudicatrici devono essere senz'altro riconosciuti la possibilità ed il compito di valutare – in ragione della ritenuta inaffidabilità – se un operatore economico meriti di essere escluso da una procedura di aggiudicazione di appalto per la sussistenza di una causa di esclusione, anche quando la risoluzione di un precedente contratto sia stata contestata in giudizio dal concorrente.

Che la pendenza del giudizio civile avente ad oggetto un provvedimento di risoluzione non impedisca alla stazione appaltante di effettuare la valutazione sull'affidabilità dell'operatore cui si riferisce e di disporne l'esclusione sembra orami certo alla luce della nuova formulazione dell'art. 80, comma 5, nel testo risultante dal d.l. 135/2018, che, tra l'altro, ha eliminato la connotazione della risoluzione contrattuale rilevante come «non contestata in giudizio, ovvero confermata all'esito di un giudizio» (Cfr. lettera c-ter, M.A. SANDULLI, R. DE NICTOLIS (a cura di), Trattato sui contratti pubblici, Vol. II, p. 850, ove si rileva che, al riguardo, il legislatore nazionale si è allineato ai rilievi della Commissione europea (lettera del 24 gennaio 2019, recante «Costituzione in mora. Infrazione n. 2018/2273») circa «il rischio per le stazioni appaltanti di non poter valutare l'affidabilità degli operatori a fronte di risoluzioni contrattuali ancora sub iudice e quindi non confermate in giudizio»).

Le Linee Guida ANAC n. 6 del 2016, inoltre, nella versione aggiornata con delibera dell'11 ottobre 2017, per quanto riguarda le risoluzioni anticipate, si riferiscono a «risoluzioni non contestate in giudizio o accertate con un provvedimento esecutivo», soluzione condivisa dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato, «poiché chiarisce che gli accertamenti del grave illecito professionale, per avere effetto escludente, devono essere contenuti in provvedimenti o atti della stazione appaltante non contestati o, nel caso di contestazione in giudizio (più frequentemente dinanzi al giudice civile), che non siano stati sospesi nella loro efficacia» (Cons. Stato, Adunanza della Commissione speciale, 23 ottobre 2018, n. 2616).

In definitiva, l'orientamento secondo cui i concorrenti dovrebbero dichiarare tutte le risoluzioni a pena di esclusione (Cfr. Cons. Stato, Sez. III, 27 dicembre 2018, n. 7231; id., 22 maggio 2019, n. 3331; id., 11 giugno 2019, n. 3908; id. 29 agosto 2018, n. 508), sembra prevalere sull'orientamento secondo cui, in presenza di un giudizio pendente, l'obbligo dichiarativo verrebbe meno (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 3 aprile 2018, n. 2063; id., Sez. III, 12 luglio 2018, n. 4266).

Nello stesso senso, anche laddove il giudizio su una risoluzione contrattuale si sia concluso con una transazione, che impedisce l'accertamento giudiziale circa la legittimità o meno della risoluzione stessa, la transazione si ritiene determini definitivamente il consolidamento del fatto storico costituito dalla risoluzione per inadempimento disposta dalla stazione appaltante, da cui consegue l'onere di dichiarare il fatto costituito dalla risoluzione (Cons. Stato, Sez. III, 13 giugno 2018, n. 3628, cit, che ha espresso il principio secondo cui «la transazione stipulata a seguito della risoluzione contrattuale disposta dalla stazione appaltante per grave inadempimento impedisce l'accertamento giudiziale circa la legittimità o meno della risoluzione stessa, ma determina definitivamente il consolidamento del fatto storico costituito dalla risoluzione per inadempimento disposta dalla stazione appaltante, che richiede, ai sensi dell'art. 1455 c.c., l'importanza e quindi la gravità dell'inadempimento. Tale circostanza (risoluzione contrattuale composta mediante transazione), integra comunque il presupposto del grave errore nell'esecuzione della prestazione, rilevante ai sensi dell'art. 38, comma 1, lett. f) del D.Lgs. n. 163/06. Pertanto deve essere dichiarata in sede di partecipazione, potendo rilevare potenzialmente come grave illecito professionale, la risoluzione di un contratto d'appalto seppur poi si è giunti a transazione, non potendo il concorrente dichiarante omettere di rendere la dichiarazione facendo riferimento ad una propria valutazione di non gravità della vicenda»).

Segue: l'onere dichiarativo di precedenti penali

Quanto alle condanne penali in precedenza riportate dall'operatore economico, occorre innanzitutto segnalare come, a fronte dei reati di cui all'art. 80, comma 1 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 in sé non ostativi a contrarre con la pubblica amministrazione (lettere a-f), ma che prevedono per lo più, ai sensi della disciplina penale, la pena dell'incapacità a contrarre come accessoria, e di altri delitti (quelli di cui alla lettera g), da cui deriva la medesima pena accessoria, la giurisprudenza tenda a distinguere reati “minori” (ossia, non riconducibili nelle ipotesi appena menzionate), che vengono ritenuti espressione di «grave illecito professionale», inteso come condotta legata all'esercizio dell'attività professionale, contraria ad un obbligo giuridico di carattere civile, penale ed amministrativo (Cons. Stato, Sez. III, 5 settembre 2017, n. 4192).

Al riguardo, il principio che si è andato affermando, anche in vigenza dell'art. 38 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, attribuisce valore espulsivo alla mancata dichiarazione in sede di gara di tutte le condanne penali riportate dal concorrente (sempreché per le stesse non sia già intervenuta una formale riabilitazione o estinzione), ivi comprese quelle pacificamente non attinenti alla moralità professionale e dunque irrilevanti ai fini del giudizio di ammissione (Cons. Stato Sez. III, 28 settembre 2016, n. 4019; Cons. Stato, Sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 834; Cons. Stato, Sez. V, 12 ottobre 2016, n. 4219/2016).

Ad essere ritenuta meritevole di esclusione, pertanto, non sarebbe la gravità del reato e la sua connessione con il requisito della moralità professionale, la cui valutazione dovrebbe essere riservata alla stazione appaltante, ma la stessa omissione della dichiarazione che, secondo quanto riconosciuto dalla prevalente giurisprudenza, determinerebbe l'inaffidabilità del partecipante alla gara (Cons. Stato, Sez. V, 28 settembre 2015, n. 4511), al quale sarebbe inaccettabile rimettere la scelta delle condotte in grado di incidere sulla complessiva moralità professionale dell'interessato (Ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 12 marzo 2019, n. 1649; Cons. Stato, Sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 834; Sez. V, 29 aprile 2016, n. 1641; Sez. V, 27 luglio 2016, n. 3402; Sez. III, 28 settembre 2016, n. 4019; Sez. V, 2 dicembre 2015, n. 5451. Sul punto anche Cons. Stato, Sez. V, 10 agosto 2017, n. 3980, secondo cui al principio in questione deve essere attribuita una valenza generale, e ne viene quindi riconosciuta l'applicazione anche nelle ipotesi in cui la lex specialis di gara non abbia espressamente previsto l'obbligo per i concorrenti di dichiarare tutte le condanne penali eventualmente riportate).

La giurisprudenza più recente, quindi, sembra rivolta a ritenere che l'onere dichiarativo dell'operatore economico che partecipa ad una gara debba comprendere qualunque precedente penale, senza la possibilità di operare un filtro su precedenti ritenuti insignificanti perché datati o di lieve entità (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV. 3 febbraio 2020, n. 234). Il valore da perseguire, pertanto, in quest'ottica, sembra essere quello della completezza delle dichiarazioni, con l'obiettivo di consentire alla pubblica amministrazione la celere decisione in ordine al possesso dei requisiti morali in capo all'operatore economico (Costituisce del resto un principio oramai del tutto pacifico che nelle procedure di evidenza pubblica, la completezza delle dichiarazioni sul possesso dei requisiti generali, è, già di per sé, un valore da perseguire, laddove consente, anche in omaggio al principio di buon andamento dell'amministrazione e di proporzionalità, la celere decisione in ordine all'ammissione dell'operatore economico alla gara; conseguentemente, una dichiarazione inaffidabile, perché – al di là dell'elemento soggettivo sottostante – incompleta, deve ritenersi, in quanto tale, lesiva degli interessi tutelati dall'ordinamento in materia di procedure ad evidenza pubblica, a prescindere dal fatto che l'impresa meriti sostanzialmente di partecipare alla gara, ex multis T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 21 gennaio 2019, n. 732; Cons. Stato, Sez. IV, 28 luglio 2017, n. 3765; id. Sez. IV , 7 luglio 2016 , n. 3014; id. Sez. V, 7 gennaio 2020, n. 70).

Appunto per questo, a prescindere dall'elemento soggettivo che ha mosso la dichiarazione, questa viene ritenuta falsa o incompleta, conseguendone l'automatica valutazione di inaffidabilità dell'operatore economico (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III-ter, 28 gennaio 2020, n. 1139).

Segue: la distinzione tra falsa, reticente e omessa dichiarazione

Ai fini della valutazione circa la concreta affidabilità del concorrente, in un'ottica di proporzionalità del provvedimento, merita una riflessione la distinzione elaborata da una parte della giurisprudenza tra dichiarazione falsa, omessa o reticente. Come è stato a più riprese chiarito, infatti, «Vi è omessa dichiarazione quando l'operatore economico non riferisce di alcuna pregressa condotta professionale qualificabile come “grave illecito professionale”; vi è dichiarazione reticente quando le pregresse vicende sono solo accennate senza la dettagliata descrizione necessaria alla stazione appaltante per poter compiutamente apprezzarne il disvalore nell'ottica dell'affidabilità del concorrente. Infine, la falsa dichiarazione consiste in una immutatio veri; ricorre, cioè, se l'operatore rappresenta una circostanza di fatto diversa dal vero» (Cons. Stato, Sez. V, 12 aprile 2019, n. 2407; id. 22 luglio 2019, n. 5171; id. 28 ottobre 2019, n. 7387; id. 13 dicembre 2019, n. 8480).

Sulla nozione di falsità il Consiglio di Stato è tornato anche di recente, per distinguere ulteriormente l'omissione dichiarativa dal dolo che caratterizza la «immutatio veri». È stato precisato, quindi, che «Il concetto di “falso”, nell'ordinamento vigente, si desume dal codice penale, nel senso di attività o dichiarazione consapevolmente rivolta a fornire una rappresentazione non veritiera. Dunque, il falso non può essere meramente colposo, ma deve essere doloso» (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 12 maggio 2020, n. 2976, che sul punto richiama Cons. Stato, Sez. VI, 20 luglio 2009, n. 4504. Per un commento alla sentenza si v. T. COCCHI, Ancora sul concetto di “falsa dichiarazione” in ordine alle precedenti vicende contrattuali, in lamministrativista.it, 2020.).

Ebbene, da tali distinzioni, di carattere concettuale, dovrebbero derivare diverse conseguenze, dal momento che «solo alla condotta che integra una falsa dichiarazione consegue l'automatica esclusione dalla procedura di gara poiché depone in maniera inequivocabile nel senso dell'inaffidabilità e della non integrità dell'operatore economico, mentre, ogni altra condotta, omissiva o reticente che sia, comporta l'esclusione dalla procedura solo per via di un apprezzamento da parte della stazione appaltante che sia prognosi sfavorevole sull'affidabilità dello stesso» (Cons. Stato, Sez. V, 12 aprile 2019, n. 2407; id. 22 luglio 2019, n. 5171; id. 28 ottobre 2019, n. 7387; id. 13 dicembre 2019, n. 8480, cit.).

Alla stregua del descritto orientamento, perciò, l'art. 80, comma 5, lettera f-bis) configurerebbe una causa di esclusione che consegue automaticamente all'alterazione di un fatto in una dichiarazione oggettivamente falsa, diretta a dichiarare una circostanza in maniera diversa da quella che realmente è (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 12 febbraio 2020, n. 692), mentre l'omissione comunicativa «costituisce violazione dell'obbligo informativo, e come tale va apprezzata dalla stazione appaltante», la quale, quindi, sarebbe chiamata a soppesare non il solo fatto omissivo in sé, bensì anche – nel merito – «i singoli, pregressi episodi, dei quali l'operatore si è reso protagonista, e da essi dedurre, in via definitiva, la possibilità di riporre fiducia nell'operatore economico ove si renda aggiudicatario del contratto d'appalto» (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 12 aprile 2019, n. 2407, cit.; Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 19 novembre 2018, n. 6529; T.A.R. Basilicata, Potenza, 4 febbraio 2019, n. 145; T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 15 novembre 2018, n. 666,; Cfr. A.G. PIETROSANTI, Sui gravi illeciti professionali previsti dall'art. 80, comma 5, lettera c) del d. lgs. n. 50/2016, che richiama Cons. Stato, Sez. III, 23 agosto 2018 n. 5040, secondo cui «la differenza tra le due ipotesi è sostanziale, atteso che, nell'ipotesi di cui al comma 5, lett. c), la valutazione in ordine alla rilevanza in concreto ai fini dell'esclusione dei comportamenti accertati è rimessa alla stazione appaltante, mentre nel caso del comma 5, lett. f-bis), l'esclusione dalla gara è atto vincolato, discendente direttamente dalla legge, che ha la sua fonte nella mera omissione da parte dell'operatore economico […]. Fermo restando che, da un punto di vista strutturale, anche l'omessa dichiarazione può concretare un'ipotesi di dichiarazione non veritiera, il discrimen tra le due fattispecie sembra doversi incentrare sull'oggetto della dichiarazione, che assumerà rilievo, ai sensi e per gli effetti di cui alla lettera f-bis), nei soli casi di mancata rappresentazione di circostanze specifiche, facilmente e oggettivamente individuabili e direttamente qualificabili come cause di esclusione a norma della disciplina in commento, ricadendosi altrimenti — alle condizioni previste dalla corrispondete disposizione normativa — nella previsione di cui alla fattispecie prevista al comma 5 lettera C»).

In tal senso, la giurisprudenza si è spesso orientata a ritenere che «la mancata ostensione di un pregresso illecito è rilevante – a fini espulsivi – non già in sé, bensì in funzione dell'apprezzamento della stazione appaltante, il quale va a sua volta eseguito in considerazione anzitutto della consistenza del fatto omesso» (Ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 13 dicembre 2019, 8480; Cons. Stato, Sez. V, 15 aprile 2019, n. 2430; id. 12 marzo 2019, n. 1649; id. 24 settembre 2018, n. 5500; T.A.R. Lazio, sez. I, 10 aprile 2019, 4729).

A questa visione, sviluppatasi di recente, tuttavia, se ne contrappone un'altra, che ritiene l'omissione di un fatto integrante un potenziale «grave illecito professionale» di per sé una falsa dichiarazione, comportante in automatico l'esclusione dalla gara, in quanto rilevante ai sensi dell'art. 80 comma 5 lettera f-bis) (Cons. Stato, Sez. V, 7 gennaio 2020, n. 70; id., 12 marzo 2019, n. 1649; id. 19 novembre 2018, n. 6529).

Dalla descrizione dei due orientamenti emerge chiara la contrapposizione tra le due possibili modalità di interpretazione e di lettura dell'onere dichiarativo che grava in capo al concorrente:

1) da un lato, un'interpretazione che rinviene la necessità che l'operatore economico, senza la possibilità di svolgere alcuna valutazione di eventuale irrilevanza di una determinata circostanza, che lo conduca ad ometterne la dichiarazione, è tenuto – in maniera concettualmente semplificata – a dichiarare qualsiasi cosa (poco importa, quindi, secondo questa visione, se si tratti di vera e propria falsità o, piuttosto, di un'omissione dichiarativa), in modo da lasciare alla stazione appaltante di stabilirne, se del caso, l'irrilevanza;

2) dall'altro lato, una lettura più flessibile dell'onere ostensivo del concorrente, che opera una valutazione della dichiarazione resa, in modo da tenere distinta la maggiore gravità che connota l'aver reso una dichiarazione “falsa” (cioè diversa dal vero) da una dichiarazione reticente (che configura una, almeno teoricamente, meno grave omissione).

Segue: il decorso del tempo

Come si è visto, in giurisprudenza, nonostante l'affermarsi dell'impostazione secondo la quale il concorrente è tenuto a dichiarare tutti gli eventuali precedenti che lo riguardano, senza la possibilità di operare alcun filtro sulle condotte prive di rilevanza ai fini della partecipazione alla gara, non si è mancato di rilevare come un siffatto generalizzato obbligo dichiarativo, senza la individuazione di un limite di operatività «potrebbe rilevarsi eccessivamente onerosa per gli operatori economici» (Cons. Stato, Sez. V, 22 luglio 2019, n. 5171; id, 3 settembre 2018, n. 5142, cit), come nel caso in cui si impone loro di dichiarare illeciti professionali e fatti penali, che siano però estinti o abbiano perso qualsiasi effetto per decorso del tempo, alla stregua della legge di settore. In tal caso, infatti, non si tratta di operare una valutazione in ordine alla gravità del precedente, ma di fatti che la stazione appaltante non potrebbe mai valutare perché ritenuti irrilevanti ex lege.

Al riguardo, la giurisprudenza dell'Unione europea non sembra dubitare sulla temporaneità della misura (Corte di Giustizia dell'Unione Europea, Sez. IV, sentenza 24 ottobre 2018, n. 124 nella causa C-124/17), con la conseguenza che, una volta che siano decorsi i termini dell'art. 57, paragrafo 7 della direttiva 2014/24/UE, le precedenti vicende riguardanti l'operatore economico dovrebbero cessare di avere qualsivoglia rilevanza giuridica e, per questa ragione, per un verso, non potrebbero più essere poste a fondamento di alcuna esclusione, per altro, conseguenzialmente, in quanto ormai venute meno, non dovrebbero più essere soggette ad alcun obbligo dichiarativo.

Questa prospettiva è stata fatta propria dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Cons. Stato, Sez. V, 6 maggio 2019, n. 2895, che giunge a tali conclusioni partendo dall'art. 57, paragrafo 7 della direttiva (peraltro in una fattispecie regolata dalla versione dell'art. 80, comma 10 precedente all'espressa introduzione del termine triennale riferito ai casi di cui al comma 5). In particolare, in tale occasione, ha rilevato il Collegio che «La giurisprudenza amministrativa ha, invero, ritenuto contrastante con il principio di proporzionalità una esclusione che trovi fondamento in una risoluzione in danno dell'impresa adottata più di tre anni prima della pubblicazione del bando di gara, ed ha individuato nel lasso temporale triennale un limite coerente con l'applicazione di tale principio di derivazione eurounitaria (Tar Lombardia, sez. IV, 23 marzo 2017, n. 705). Il riferimento alla definitività dell'accertamento (peraltro inesistente nel disposto dell'art. 57, § 7, della direttiva 2014/24/UE) va, dunque, inteso nel senso che il termine decorre da quando è stato adottato l'atto definitivo, cioè di conclusione del procedimento di risoluzione». Nello stesso senso Cons. Stato, Sez. V, 21 novembre 2018, n. 6576, id., Sez. III, 5 settembre 2017, n. 4192; id. Sez. V, 5 marzo 2020, n. 1605) e, ancor prima, in sede di esame delle Linee Guida n. 6 dell'ANAC da parte della Commissione speciale, la quale ha avuto modo di chiarire che norma europea e nazionale individuano in tre anni «il periodo massimo di esclusione per l'operatore economico che si sia reso colpevole di gravi illeciti professionali e non abbia adottato misure di self cleaning per dimostrare la sua affidabilità se il periodo di esclusione non è stato fissato con sentenza definitiva» (Cons. Stato, Adunanza della Commissione speciale, 14 settembre 2017, n. 2042 e ancor prima Cons. Stato, Adunanza della Commissione speciale, 26 ottobre 2016, n. 2286, cit.).

Le conclusioni appena descritte, peraltro, sono state raggiunte in relazione a fattispecie anteriori alle modifiche apportate con il c.d. “correttivo” del 2017, che ha ulteriormente esplicitato il limite temporale (prima riferito solo alle condanne penali), indicandolo espressamente anche per le ipotesi di «grave illecito professionale» (Cons. Stato, Sez. V, 13 dicembre 2019, n. 8480, ove è stato sottolineato che tali conclusioni sono state raggiunte «in relazione a fattispecie anteriore all'ingresso in vigore del d. lgs. n. 56 del 2017 - che ha reso esplicito detto limite triennale - valorizzando la suindicata previsione della direttiva europea ed evidenziando la «violazione della normativa eurounitaria» che si sarebbe consumata se la disciplina interna «avesse inteso non porre alcun limite temporale alla rilevanza della portata escludente della pregressa risoluzione contrattuale»).

Ora, quindi, un qualunque tema in materia di decorrenza e durata dell'interdizione per gli illeciti professionali (oltre che per le ipotesi di cui al comma 1 dell'art. 80, espressamente limitate nel tempo già nell'originaria versione e ora, più in generale, per i fatti di cui all'art. 80 commi 4 e 5) dovrebbe ritenersi superato, vista la scelta legislativa adottata con il comma 10 dello stesso articolo 80 (Cfr. Cons. Stato, Adunanza della Commissione speciale, 23 ottobre 2018, n. 2616, cit.).

Detta lettura delle norme di cui si discorre è stata condivisa anche da una parte della giurisprudenza di prime cure, laddove è stato riconosciuto che l'art. 57 della direttiva (norma munita di «efficacia diretta e verticale», v Cons. Stato, Sez. V, 13 dicembre 2019, n. 8480, cit.) ha disposto che «la rilevanza di fatti illeciti e condanne non può essere considerata sine die, ma è limitata nel tempo» (T.A.R. Toscana, Firenze, Sez. III, 8 luglio 2019, n. 1044, riformata da Cons. Stato, Sez. III, 4 marzo 2020, n. 1603, cit.), ove è stato pure precisato che con riferimento ai reati per i quali sono stati pronunciati decreti penali di condanna, che statuiscono solo l'irrogazione di una pena pecuniaria, trova applicazione l'ultima parte dell'art. 80, comma 10 del d.lgs.18 aprile 2016 n. 50, sicché «la loro rilevanza temporale è perciò confinata nel limite di tre anni dalla pronuncia […] e, quindi, oltre il termine di tre anni dalla dichiarazione e dalla indizione della gara») e, di conseguenza, allorquando un fatto, pur astrattamente rilevante, si collochi al di fuori del perimetro temporale fissato dal legislatore, l'operatore economico non ha alcun obbligo dichiarativo nei confronti della stazione appaltante, con l'ulteriore conseguenza che dall'omessa dichiarazione non potrebbe derivare la sussistenza dell'ipotesi di esclusione di cui all'art. 80, comma 5, lettera f-bis (T.A.R. Veneto, Venezia, Sez. I, 7 gennaio 2019, n. 23, che precisato che nel caso in cui la condotta si collochi oltre il periodo di rilevanza temporale, pertanto, sembra corretto ritenere che «la condotta illecita e il provvedimento non siano neppure in astratto idonei a configurare la causa di esclusione e, quindi, fuoriescano dal succitato obbligo dichiarativo»).

L'ampiezza dell'obbligo dichiarativo, quindi, sarebbe necessariamente legata a quella della causa di esclusione (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 5 maggio 2016, n. 1812), dal momento che il decorso del tempo vale a privare di rilevanza giuridica il fatto oggetto dell'accertamento definitivo, la cui conoscenza non risulta in alcun modo utile per la stazione appaltante, che perderebbe la propria «potestà discrezionale di esclusione di cui all'art. 80, comma 5, lett. c)» (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 15 novembre 2019, n. 2421, cit, che ha affermato che «la omissione di comunicazione ascritta all'ati ricorrente – proprio perché avente ad oggetto circostanze non mai integranti ipotesi ostative e, dunque, non mai rientranti nel contenuto dell'obbligo di informazione e dichiarazione gravante in capo ai concorrenti ai sensi della legge ovvero delle specifiche prescrizioni contenute nel bando di gara – non può assumere valenza: - di omissione giuridicamente rilevante, in assenza del correlato obbligo, sia esso nascente dalla legge ovvero dalle regole speciali che governano la procedura; - men che mai, di contegno mendace, siccome di contro reputato dalla stazione appaltante»).

Del resto, si tratta di una posizione sorretta anche, dal punto di vista della stazione appaltante, dal principio di semplificazione amministrativa, letto in maniera opposta rispetto a quella giurisprudenza che ne fornisce una lettura secondo la quale tutti i fatti andrebbero dichiarati, nonché dal principio della tassatività delle cause di esclusione, che impedisce all'Amministrazione di introdurre clausole a pena di esclusione recanti requisiti ulteriori e maggiormente stringenti rispetto a quelli previsti dal codice e dal regolamento.

Detta lettura, inoltre, sembra imporsi in virtù del principio di proporzionalità, in chiave di ragionevolezza della pretesa (Per uno studio del principio della ragionevolezza, tra diritto pubblico e privato, si V. G. POLI, Autonomia privata e discrezionalità amministrativa a confronto. La prospettiva della ragionevolezza, in Diritto Amministrativo, fasc. 4/2018, pp. 863 ss., che individua il punto in comune del principio della ragionevolezza tra pubblico e privato, nella misura in cui questo «segna il confine di coesistenza tra due sfere soggettive contigue (per es., le clausole generali di buona fede e — come poc'anzi osservato — di ragionevolezza regolano la convivenza tra le autonomie negoziali dei soggetti che entrano in contatto), anziché occuparsi dell'interesse – prevalente - di una sola parte»): l'obbligo di dichiarare eventuali cause escludenti, come è stato condivisibilmente rilevato, quindi, dovrebbe arrestarsi alla soglia della cd. «ragionevole esigibilità» (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 15 novembre 2019, n. 2421, cit., che ha precisato come «necessarie, ed esigibili dal partecipante alla gara, sono tutte le informazioni utili all'esercizio, da parte della stazione appaltante, di tale indefettibile munus di esclusione «in qualunque momento della procedura dell'operatore economico che «si trova, a causa di atti compiuti o omessi prima o nel corso della procedura, in una delle situazioni di cui ai commi 1, 2, 4 e 5 (art. 80, comma 6) ». Si V. anche T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 27 febbraio 2020, n. 318, che ha affermato che deve essere «prediletta una lettura degli oneri di dichiarazione, in capo ai partecipanti alle procedure di gara, che possa, da un lato, ritenersi esigibile, alla stregua di una norma positiva sufficientemente chiara, dall'altro lato, che sia attinente alla materia degli appalti pubblici, rimanendo estranee le citazioni di fatti o situazioni inconferenti»).

Secondo altra lettura (Cons. Stato, Sez. III, 22 maggio 2019, n. 3331; id., Sez. V, 19 novembre 2018, nn. 6529 e 6530, cit., relativa alla versione dell'art. 80, comma 10 precedente alle modifiche apportate con d.l. 18 aprile 2019, n. 32. Per le diverse versioni dell'art. 80, comma 10 si v. supra), tuttavia, la limitazione temporale dovrebbe trovare applicazione solamente per i delitti previsti dal comma 1 dell'art. 80, che determinano l'automatica esclusione dalla gara, mentre le altre condanne penali, connesse all'esercizio dell'attività professionale e ricondotte nell'ambito oggettivo dei «gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia l'integrità e/o affidabilità» dei concorrenti, se non dichiarate, a prescindere dalla risalenza temporale della condotta, comporterebbero l'esclusione dal procedimento (Cons. Stato, Sez. III, 4 marzo 2020 n. 1603, cit.).

Secondo questa impostazione, quindi, l'obbligo di dichiarare sentenze penali di condanna rientranti tra quelle previste dall'art. 80, comma 1 sarebbe diverso da quello relativo alle condanne (non espressamente individuate dalla richiamata disposizione) rientranti nel concetto di «grave illecito professionale», dal momento che l'operatività del limite temporale sarebbe giustificata dall'automatismo espulsivo previsto per i reati di cui al comma 1 dell'art. 80; per le fattispecie sottoposte ad esclusione facoltativa (ossia le ipotesi di «grave illecito professionale», considerata quale categoria residuale) della stazione appaltante (chiamata a valutare la gravità del fatto), invece, tale limite temporale non dovrebbe trovare applicazione, con la conseguente imposizione di un onere in capo all'operatore economico di dover dichiarare qualsiasi circostanza, non importa quanto datata (Così, Cons. Stato, Sez. V, 19 novembre 2018, nn. 6529 e 6530, cit., ove si è rilevato che «la mancanza nell'art. 80 di una espressa previsione sulla rilevanza temporale dei gravi illeciti professionali sia omissione coerente con il potere discrezionale di valutazione di tali fattispecie attribuito alla stazione appaltante; una limitazione triennale è invero richiamata dal successivo comma 10, ma attiene alla diversa rilevanza della pena accessoria dell'incapacità a contrarre con la P.A. (limitazione che ben si giustifica con la natura necessariamente temporanea della sanzione afflittiva) e non attiene in alcun modo all'esercizio del potere della P.A. di escludere l'operatore economico, ai sensi del comma 5, lett. c) da una procedura di appalto, con la conseguenza del riconoscimento dell'obbligo dichiarativo di significative carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne avevano causato la risoluzione anticipata indipendentemente dalla circostanza che le stesse fossero contenute o meno nel triennio in parola». Nello stesso senso, si V. T.A.R. Lazio, Sez. I, 8 febbraio 2019, n. 1695; id., 10 aprile 2019, n. 4729).

Sempre nell'ambito della questione della rilevanza temporale dei fatti da dichiarare si inserisce il tema dell'onere di rendere noti reati che siano da considerarsi estinti ai sensi della legge penale.

Al riguardo, pochi dubbi sussistono relativamente ai reati per i quali il giudice penale abbia accertato l'avvenuta estinzione con relativo decreto: in tal caso, il reato può considerarsi senza dubbio estraneo ai fatti da dichiarare in gara (Per vero, il nuovo codice non riproduce la previsione dell'art. 38, comma del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, che, ai fini degli obblighi dichiarativi dei reati incidenti sulla moralità professionale, precisava che «il concorrente non è tenuto ad indicare nella dichiarazione le condanne per reati depenalizzati ovvero dichiarati estinti dopo la condanna stessa, né le condanne revocate, né quelle per le quali è intervenuta la riabilitazione»; ma è pur vero che esso non contiene neppure un'espressa imposizione di una dichiarazione generalizzata estesa a questi ultimi).

Maggiori problematiche, invece, sussistono con riferimento a quei reati per i quali, sebbene il giudice penale non abbia formalmente dichiarato l'avvenuta estinzione, siano comunque soddisfatti i requisiti richiesti dalla legge penale per considerare estinto il reato, ossia il decorso del tempo dall'accertamento dei fatti (a seconda del tipo di reato) e la mancata commissione di alcuna altra contravvenzione o delitto (In particolare, ai sensi dell'art. 445 comma 2 c.p.p. «Il reato è estinto, ove sia stata irrogata una pena detentiva non superiore a due anni soli o congiunti a pena pecuniaria, se nel termine di cinque anni, quando la sentenza concerne un delitto, ovvero di due anni, quando la sentenza concerne una contravvenzione, l'imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole. In questo caso si estingue ogni effetto penale, e se è stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva, l'applicazione non è comunque di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena»).

Ebbene, secondo un primo orientamento (Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, Sez. Giurisdizionale, 13 ottobre 2015, n. 630; T.A.R. Umbria, Perugia, Sez. I, 1 dicembre 2016 n. 749; Cons. Stato, Sez. III, 28 settembre 2016, n. 4019) – sviluppatosi soprattutto in materia di appalti pubblici, anche in relazione al vecchio codice e ribadito nel regime attualmente vigente – l'estinzione del reato (che consentirebbe di non dichiarare il relativo provvedimento di condanna), sotto il profilo giuridico non sarebbe automatica per il mero decorso del tempo, ma andrebbe formalizzata in una pronuncia espressa del giudice dell'esecuzione penale (Cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. III, 28 dicembre 2015, n. 3343, sull'esclusione dall'Albo degli operatori della formazione professionale, che richiama ampia giurisprudenza tra cui Corte di Cassazione, Sez. IV penale, 27 febbraio 2002, n. 11560), che viene ritenuto – secondo questo orientamento – l'unico soggetto al quale l'ordinamento attribuisce il compito di verificare la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per la relativa declaratoria (Così, di recente Cons. Stato, Sez. III, 4 marzo 2020 n. 1603, che fornisce un'interpretazione letterale dell'art. 80, comma 3 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 «che nell'escludere rilevanza espulsiva al reato indica come lo stesso deve essere stato “dichiarato estinto” - il che implica la necessità di una dichiarazione formale del giudice»). Ne conseguirebbe, in tal modo, che fino a quando non sia intervenuto il predetto provvedimento giurisdizionale, non potrebbe parlarsi di “reato estinto” ed il concorrente non sarebbe esonerato dalla dichiarazione dell'intervenuta condanna (Cons. Stato, Sez. III, 13 febbraio 2020, n. 1174; id, Sez. V, 12 dicembre 2018 n. 7025; id, Sez. III, 29 maggio 2017, n. 2548; id, Sez. III, 5 ottobre 2016, n. 4118; id., Sez. V, 27 ottobre 2015, n. 4848, id, Sez. V, 18 giugno 2015, n. 3105).

Si potrebbe prescindere da un formale provvedimento del giudice dell'esecuzione per le sole finalità interne al diritto penale, volte ad assicurare il favor rei nell'applicazione degli istituti c.d. premiali o, comunque, di favore nella valutazione della colpevolezza del reo, con riferimento alla fattispecie penale concreta (ad esempio, ai fini della non applicazione della “recidiva”. V. T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 7 agosto 2018, n. 1189), mentre per le finalità extra-penali, come nella materia degli appalti pubblici, dovrebbe essere riconosciuta preminenza alle esigenze di certezza pubblica (T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 1 aprile 2019, n. 292; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 27 febbraio 2020, n. 813, secondo cui «ai sensi dell'art. 460, comma 5, seconda parte, c.p.p. il reato contravvenzionale è estinto ex lege se, nel termine di due anni, l'imputato non commette un delitto, ovvero una contravvenzione della stessa indole»).

Secondo un altro indirizzo, al contrario, l'effetto estintivo si verificherebbe ex lege, per effetto della mancata reiterazione del reato nel termine previsto dalla legge, con la conseguenza che non sussisterebbe alcun obbligo di dichiarazione da parte dell'impresa partecipante alla gara e un eventuale provvedimento giurisdizionale avrebbe valenza unicamente dichiarativa di effetto oramai consolidatosi con il decorso inattivo del tempo (Cons. Stato, Sez. VI, 7 maggio 2018, n. 2704. Invero, la giurisprudenza penale è oggi concorde nell'ammettere che l'effetto estintivo operi ex lege per effetto del decorso inattivo del tempo e non necessiti di alcun provvedimento, non rilevando in contrario l'attribuzione al giudice dell'esecuzione della competenza a decidere in merito all'estinzione del reato dopo la condanna, cfr. Corte di Cassazione, Sez. II penale, 19 gennaio 2018 n. 2260. Corte di Cassazione, Sezioni Unite 2 gennaio 2015, n.2, inoltre, hanno ritenuto maggiormente coerente con i criteri processualpenalistici il principio secondo cui, quando un determinato effetto giuridico si verifichi per decorso inattivo del tempo, esso si verifica ope legis al momento in cui siano per legge maturate le condizioni cui è subordinato l'effetto. In tale occasione è stato riconosciuto che «il tempo necessario per l'estinzione della pena decorre dal giorno in cui si ha la certezza giudiziale dell'avvenuta verificazione della condizione risolutiva, acquisitile, come nel caso dell'indulto condizionato, solo con il passaggio in giudicato della sentenza di accertamento della causa di revoca del beneficio. Infatti, pur avendo la relativa pronuncia giudiziale natura dichiarativa e contenuto meramente accertativo di una situazione oggettiva, alla quale è collegata ope legis la decadenza del beneficio indulgenziale, per la concreta espiazione della pena occorre, comunque, indeclinabilmente la previa declaratoria del giudice, che deve essere assunta ai sensi dell'art. 674 cod. proc. pen. a conclusione di un procedimento diretto alla verifica della sussistenza delle condiciones juris alle quali è subordinata l'applicazione della sanzione revocatoria»).

Corollario di tale approccio ermeneutico è che il provvedimento dichiarativo dell'estinzione resterebbe estraneo ai fini dell'estinzione del reato e si porrebbe in funzione meramente formale e ricognitiva di un effetto già verificato, mentre l'automatismo degli effetti dell'estinzione del reato apparirebbe coerente con i principi comunitari di ragionevole durata dei processi, sollecita definizione e di minore sacrificio esigibile.

Ne consegue che tali reati, in ragione dell'effetto privativo che l'estinzione del reato opera sul potere della stazione appaltante di valutare quelle condanne ai fini della partecipazione alla gara, non sarebbero ricompresi nell'onere dichiarativo del concorrente, trattandosi di situazioni che, per espressa previsione legislativa, più non rilevano ai fini dell'affidabilità e dell'integrità morale del concorrente (Cons. Stato, Sez. V, 25 febbraio 2016 n. 761; id. Sez. VI, 3 settembre 2013, n. 4392; In termini, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. II, 30 giugno 2017 n. 3518, secondo cui tale principio, affermato sotto la vigenza del codice previgente, dovrebbe essere tenuto fermo anche sotto il vigore della nuova disciplina degli appalti).

Segue: la valutazione della responsabilità del dichiarante

In giurisprudenza, poi, non mancano pronunce che attribuiscono rilevanza ad alcuni elementi, questa volta di carattere soggettivo, da cui poter ravvisare l'assenza di responsabilità dell'operatore economico che, in tal modo, potrebbe superare il giudizio – che è ciò che veramente conta – di affidabilità.

Talvolta, ad esempio, l'omissione dichiarativa viene giustificata dal fatto che il precedente penale, riguardante un soggetto diverso da quello chiamato a rendere la dichiarazione, non risulti dal casellario giudiziale e che, quindi, l'operatore economico non può venire a conoscenza della sua esistenza.

A questo proposito, occorre rammentare, infatti, che il Testo unico in materia di casellario giudiziale (d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313) esclude dalle risultanze del certificato rilasciabile alla parte privata diversa dal diretto interessato una serie di iscrizioni, di cui il dichiarante, quindi, potrebbe non venire a conoscenza.

Tuttavia, non mancano pronunce in cui (senza alcuna considerazione dell'animus soggettivo che ha guidato il dichiarante e dell'eventuale circostanza della sola disponibilità, ai fini delle verifiche che ragionevolmente l'operatore economico è tenuto a porre in essere, del certificato del casellario giudiziale, dal quale non risultava alcun precedente) si attribuisce rilievo alla sola circostanza che la mancata indicazione delle condanne rilevanti, comportando l'impossibilità della stazione appaltante di valutare l'affidabilità del concorrente, costituirebbe autonoma causa di esclusione (Cons. Stato, Sez. V, 17 febbraio 2020, n. 1212. Secondo il Consiglio di Stato, in particolare «ai fini della sussistenza o meno della fattispecie di cui all'art. 80, comma 5, lett. f-bis del d.lgs. n. 50 del 2016 rileva infatti esclusivamente il fatto materiale e oggettivo del falso, a prescindere dunque dall'animus soggettivo che l'ha ispirato […]. Non trovano pertanto applicazione in materia gli istituti - di derivazione penalistica - del falso innocuo e del falso inutile, ex multis, Cons. Stato, IV, 7 luglio 2016, n. 3014, la completezza delle dichiarazioni costituendo, in materia di pubblici appalti, un autonomo valore da perseguire, in quanto strumentale alla celere decisione in ordine all'ammissione dell'operatore economico alla procedura: proprio per tale motivo, ai sensi dell'art. 80, una dichiarazione falsa o incompleta è di per sé inaffidabile, anche al di là delle effettive intenzioni del suo autore; non è pertanto decisivo ai fini di cui si discute che la società, nel rendere a suo tempo la dichiarazione per cui è causa, abbia fatto incolpevolmente affidamento sul certificato del casellario giudiziale dell'ex presidente del collegio sindacale, dal quale non risultava alcun precedente»).

Vi sono ipotesi, quindi, in cui vi è ragione di credere che l'omessa dichiarazione, riferendosi ad un fatto non direttamente addebitabile all'operatore economico (per non avervi preso parte o per non aver avuto a disposizione strumenti idonei ad appurare la correttezza delle dichiarazioni rese), non sia in grado di incidere sulla sua affidabilità, nonché, di conseguenza, sulla corretta eseguibilità del contratto.

Ciò può valere, ad esempio, quando la stazione appaltante non sia stata inizialmente informata di un fatto che non riguardava direttamente il soggetto chiamato a rendere la dichiarazione (Cfr. Cons. Stato, Sez. III, 4 marzo 2020, n. 1603; T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. I, 4 novembre 2019, n. 1837), ma il subappaltatore. L'art.105, comma 6, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 prevede l'indicazione obbligatoria della terna dei subappaltatori in sede di offerta «qualora gli appalti di lavori, servizi o forniture siano di importo pari o superiore alle soglie di cui all'art. 35 o, indipendentemente dall'importo a base di gara, riguardino le attività maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa come individuate al comma 53 dell'art. 1 della legge 6 novembre 2012 n. 190». Ora, a norma dell'art. 1, co. 18, del D.L. n. 32/2019, c.d. “Sblocca cantieri”, convertito con modificazioni, con L. 14 giugno 2019 n. 55, nelle more di una complessiva revisione del codice dei contratti pubblici, fino alla data del 31 dicembre 2020 è sospesa l'applicazione del comma 6 dell'articolo 105, nonché le verifiche in sede di gara, di cui all'articolo 80 del medesimo codice, riferite al subappaltatore indicato in sede di presentazione dell'offerta (Al riguardo, occorre rammentare che l'art. 80, comma 5, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, laddove prevede l'esclusione dalla gara per l'operatore economico che abbia prodotto documentazione o dichiarazioni non veritiere, viene letto talvolta nel senso che l'esclusione debba essere disposta anche qualora la documentazione o la dichiarazione non veritiera si riferisca al subappaltatore, nei casi in cui è prevista obbligatoriamente l'indicazione della terna dei subappaltatori).

Al riguardo, la Corte di Giustizia (Corte di Giustizia dell'Unione Europea, sentenza 30 gennaio 2020, nella causa C-395/18) ha ritenuto non conforme al principio di proporzionalità – posto, come spesso accade nella giurisprudenza del giudice comunitario (Per una ricostruzione del principio di proporzionalità nelle giurisprudenza della Corte di Giustizia si Veda D.U. GALETTA, Il principio di proporzionalità fra diritto nazionale e diritto europeo (e con uno sguardo anche al di là dei confini dell'Unione Europea), cit.), al centro delle proprie riflessioni – una normativa nazionale che preveda l'esclusione automatica di un operatore economico che partecipa ad una gara pubblica qualora venga constatato un motivo di esclusione nei confronti di uno dei subappaltatori. Per la Corte, infatti, l'Amministrazione, lungi dal poter escludere automaticamente l'operatore, deve valutarne in concreto l'affidabilità professionale (Sull'importanza attribuita meccanismo di self-cleaning in termini di affidabilità dell'operatore economico cfr. Corte di Giustizia dell'Unione Europea, sentenza 19 giugno 2019, nella causa C41/18, in www.curia.europa.eu), considerando la gravità della situazione (Si è già visto come anche nella giurisprudenza del giudice nazionale, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 11 settembre 2009, n. 11089, cit., venisse attribuito valore centrale alla “gravità” della violazione), i mezzi di cui questo disponeva per verificare l'esistenza di una violazione in capo al subappaltatore (in tal senso, è significativo il caso dei reati risultanti dal casellario giudiziale) e le misure di self-cleaning poste in essere dall'operatore economico.

Il meccanismo di self-cleaning, in particolare, trova la propria fonte, come ricordato, nell'articolo 57, paragrafo 6della direttiva 2014/24/UE, il quale prevede che se le prove fornite dall'operatore economico al fine di dimostrare la sua affidabilità, malgrado l'esistenza del motivo di esclusione, sono ritenute sufficienti dall'Amministrazione, l'operatore economico non deve essere escluso dalla procedura di aggiudicazione dell'appalto (Corte di Giustizia dell'Unione Europea, sentenza 19 giugno 2019, nella causa C41/18, cit. ha affermato che il considerando 101 della direttiva 2014/24, «implica in particolare che, prima di decidere di escludere un operatore economico, una simile amministrazione aggiudicatrice prenda in considerazione il carattere lieve delle irregolarità commesse o la ripetizione di lievi irregolarità; e, invero, se anche nell'esercizio di tale discrezionale potestà «un'amministrazione aggiudicatrice dovesse essere automaticamente vincolata da una valutazione effettuata da un terzo, le sarebbe probabilmente difficile accordare un'attenzione particolare al principio di proporzionalità al momento dell'applicazione dei motivi facoltativi di esclusione»).

Detta disposizione, quindi, rappresenterebbe diretta esternazione del principio di proporzionalità, di cui l'Amministrazione non può non tener conto nell'applicare i motivi di esclusione facoltativi. Al tempo stesso, l'autorità pubblica non potrebbe imporre obblighi e restrizioni alle libertà del cittadino in misura superiore (e quindi sproporzionata) a quella strettamente necessaria al raggiungimento degli obiettivi di pubblico interesse, in modo che il provvedimento sia idoneo (id est adeguato all'obiettivo da perseguire) e necessario (nel senso che nessun altro strumento ugualmente efficace, ma meno incidente in senso negativo per il destinatario, sia disponibile).

In quest'ottica occorre considerare che, laddove il motivo di esclusione riguardi il subappaltatore, ad evitare l'esclusione dalla gara dell'operatore economico (la cui affidabilità potrebbe non risultare compromessa) potrebbe essere sufficiente escludere il solo subappaltatore, quando «almeno uno dei subappaltatori abbia i requisiti e sia qualificato per eseguire la prestazione da subappaltare» (Cons. Stato, Adunanza della Commissione speciale, 26 ottobre 2016, n. 2286, cit. Tale posizione è stata confermata da Cons. Stato, Adunanza della Commissione speciale, 23 ottobre 2018, n. 2616, cit.).

Da questa presa di posizione, condivisa anche da una parte della giurisprudenza dei TAR, (v. T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, 17 maggio 2018, n. 1096 che dopo aver accertato che uno dei tre subappaltatori indicati dalla ricorrente fosse qualificato per eseguire la prestazione, ha annullato un'esclusione disposta in un'ipotesi in cui l'operatore economico, invitato a sostituire le imprese subappaltatrici sprovviste dei requisiti, non aveva provveduto ad integrare la terna, per difficoltà nell'individuazione di altre imprese) dovrebbe derivare che l'art. 105, comma 12 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (che permette di sostituire «i subappaltatori relativamente ai quali apposita verifica abbia dimostrato la sussistenza dei motivi di esclusione di cui all'articolo 80») dovrebbe impedire di disporre esclusioni da gare in danno di un operatore ogniqualvolta quest'ultimo non abbia alcuna responsabilità per i fatti del subappaltatore e l'esecuzione della prestazione possa comunque essere svolta da altra impresa subappaltatrice qualificata (ovvero direttamente dallo stesso concorrente.

Tale posizione sarebbe supportata dalla lettura dell'art. 71, paragrafo 6, lettera b) direttiva 2014/24/UE, il quale prevede che le amministrazioni aggiudicatrici, nell'ambito delle eventuali verifiche della sussistenza di motivi di esclusione in capo ai subappaltatori, debbano riconoscere all'operatore economico la possibilità di sostituire i subappaltatori in merito ai quali la verifica ha dimostrato che sussistono motivi di esclusione.

Inoltre, in termini di coerenza con i principi di ragionevolezza e parità di trattamento (Cfr. art. 18 della direttiva 2014/24/UE, secondo il quale «Le amministrazioni aggiudicatrici trattano gli operatori economici su un piano di parità e in modo non discriminatorio e agiscono in maniera trasparente e proporzionata»), potrebbero assumere rilievo sul punto i dubbi di compatibilità con il dettato comunitario della disciplina vigente in materia di avvalimento di recente sollevati dal Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. III, ord. 20 marzo 2020, n. 2005, che ha rimesso alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea il seguente quesito interpretativo: «Se l'articolo 63 della direttiva 2014/24 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, relativo all'istituto dell'avvalimento, unitamente ai principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE), osti all'applicazione della normativa nazionale italiana in materia di avvalimento e di esclusione dalle procedure di affidamento, contenuta nell'articolo 89, comma 1, quarto periodo, del codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, secondo la quale nel caso di dichiarazioni non veritiere rese dall'impresa ausiliaria riguardanti la sussistenza di condanne penali passate in giudicato, potenzialmente idonee a dimostrare la commissione di un grave illecito professionale, la stazione appaltante deve sempre escludere l'operatore economico concorrente in gara, senza imporgli o consentirgli di indicare un'altra impresa ausiliaria idonea, in sostituzione della prima, come stabilito, invece nelle altre ipotesi in cui i soggetti della cui capacità l'operatore economico intende avvalersi non soddisfano un pertinente criterio di selezione o per i quali sussistono motivi obbligatori di esclusione»), che ha espresso delle perplessità sulla giurisprudenza nazionale che sembra interpretare le pertinenti disposizioni (in particolare l'art. 89, comma 3 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 prevede che «la stazione appaltante verifica, conformemente agli articoli 85, 86 e 88, se i soggetti della cui capacità l'operatore economico intende avvalersi, soddisfano i pertinenti criteri di selezione o se sussistono motivi di esclusione ai sensi dell'articolo 80. Lo stesso comma 3 prosegue stabilendo che la stazione appaltante impone all'operatore economico di sostituire i soggetti che non soddisfano un pertinente criterio di selezione o per i quali sussistono motivi obbligatori di esclusione. Nel bando di gara possono essere altresì indicati i casi in cui l'operatore economico deve sostituire un soggetto per il quale sussistono motivi non obbligatori di esclusione, purché si tratti di requisiti tecnici»), in virtù di quanto disposto al comma 1 dell'art. 89, nel senso di riconoscere l'esclusione del concorrente in caso di dichiarazioni mendaci provenienti dall'impresa di cui egli si avvale, consentendo la sostituzione dell'impresa ausiliaria solo nelle altre ipotesi in cui risultano mancanti i pertinenti requisiti di partecipazione (Cons. Stato, Sez. V, 19 novembre 2018, n. 6529; Id., 3 gennaio 2019, n. 69; Delibera Anac del 10 aprile 2019, n. 337).

In tema di avvalimento, infatti, l'art. 63 della direttiva 2014/24/UE, perseguendo i principi concorrenziali espressi dagli articoli 49 e 56del TFUE, “impone” alla stazione appaltante di consentire all'operatore economico la sostituzione dell'ausiliario che non soddisfi i requisiti di partecipazione o nei cui confronti sussista una causa di esclusione affidando all'Amministrazione il ruolo di garante del favor partecipationis, in modo da tutelare il buon andamento e l'efficienza della procedura di evidenza pubblica.

L'art. 63 della citata direttiva, quindi, a differenza della normativa nazionale, non contiene alcuna distinzione di disciplina e, al contrario, impone la sostituzione dell'impresa ausiliaria in tutte le ipotesi in cui sussistano in capo alla stessa motivi obbligatori di esclusione.

La conseguenza naturale, allora, dovrebbe essere che la sostituzione dell'ausiliaria nel corso della gara – in deroga al principio di immodificabilità soggettiva del concorrente – risponde all'esigenza di impedire l'esclusione dell'operatore economico per ragioni a lui non direttamente addebitabili e nell'affidamento che questo ripone nella possibilità di procedere alla sostituzione dell'ausiliaria nel caso in cui quest'ultima non presenti i requisiti prescritti (Cons. Stato, sez. V, 3 gennaio 2019, n. 69; id. 26 aprile 2018, n. 2527; id. 21 febbraio 2018, n. 1101).

Le norme richiamate, d'altronde, risultano espressione del principio di massima apertura della gara alla concorrenza nella misura più ampia possibile, obiettivo da sempre perseguito dalle pertinenti direttive comunitarie, in ragione del beneficio che ne deriva non solo a vantaggio degli operatori economici, ma, al tempo stesso, dell'Amministrazione (Cfr., in tal senso, Corte di Giustizia dell'Unione Europea, Sez. IV, sentenza 23 dicembre 2009 in causa C-305/08). Tali obiettivi, come segnalato dal Consiglio di Stato, potrebbero essere compromessi da una normativa nazionale che preveda l'esclusione automatica del concorrente, senza consentire la sostituzione dell'impresa ausiliaria che abbia reso una dichiarazione non veritiera (Cons. Stato, Sez. III, ord. 20 marzo 2020, n. 2005, cit, che ha segnalato come «la normativa nazionale si potrebbe porre in contrasto con il suddetto obiettivo di apertura alla concorrenza e confliggere con il disposto della direttiva, il quale non contempla eccezioni al meccanismo generalizzato della sostituzione, nemmeno nei casi in cui esse potrebbero astrattamente giustificarsi con la finalità di responsabilizzare gli operatori economici in ordine alla genuinità e correttezza delle dichiarazioni svolte dalle imprese di cui si avvalgono»).

Sull'ampiezza dell'onere dichiarativo dell'operatore economico. Possibili aspetti critici

Attraverso le pronunce passate in rassegna si è tentato di mostrare i principi di fondo elaborati in materia dalla giurisprudenza. Tali principi (la completezza delle dichiarazioni da rendere, l'affidabilità dell'operatore economico che tale completezza testimonierebbe, ecc.), che ad una prima lettura appaiono del tutto ragionevoli e condivisibili, però, applicati nel concreto senza la necessaria elasticità dell'agire amministrativo (R. RESTA, L'onere di buona amministrazione, in Scritti giuridici in onore di Santi Romano, vol. II, Padova, 1940, pp. 104 ss, ove è stato affermato che le direttive di buona amministrazione costituiscono i “giunti elastici” dell'azione amministrativa, Cons. Stato, Sez. V, ord. 9 aprile 2020, n. 2332, cit.), rischiano di rivelarsi, alle volte, del tutto sproporzionati, se non si tiene dovutamente conto degli opposti interessi coinvolti: da un lato, quello di escludere dalla gara i soggetti ritenuti inaffidabili sotto il profilo della integrità morale e della correttezza professionale; dall'altro, quello di garantire la massima partecipazione alle gare e di assicurare la dovuta certezza sulle regole di condotta imposte agli operatori economici, presidiate dalla sanzione espulsiva.

La ricerca di un punto di equilibrio tra questi opposti interessi, pertanto, sembra giustificare l'indagine (che, di seguito, verrà svolta) diretta ad individuare dei limiti operativi (e, di conseguenza a definire la portata) degli obblighi dichiarativi dell'operatore economico.

Tale indagine, peraltro, come rilevato dal Consiglio di Stato con la citata ordinanza di deferimento della questione all'Adunanza Plenaria (Cons. Stato, Sez. V, ord. 9 aprile 2020, n. 2332), sembra imposta dal rispetto del principio di tipicità delle cause di esclusione, espressamente sancito dall'art. 83, comma 8 d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, non limitato al profilo (meramente formale) della preclusione alla introduzione di motivi escludenti non normativamente previsti, ma esteso al profilo (di carattere sostanziale) della tipizzazione, in termini di tassatività, determinatezza e ragionevole prevedibilità delle regole operative e dei doveri informativi (Sul principio della tassatività delle cause di esclusione si Veda B. GILIBERTI, La tassatività delle clausole di esclusione. L'art. 46, comma 1 bis D. Lgs. 16 aprile 2006 n. 163: bilancio di una riforma, Foro Amm., fasc. 3, 2013; M. ALESIO, Tassatività delle cause di esclusione: i primi interventi giurisprudenziali, in La Gazzetta degli Enti Locali 12/10/2011; C. BUONAURO, La tassatività delle clausole di esclusione e la procedura d'interpello nel cd. Decreto Sviluppo (d.l. n. 70/2011 conv in L.106/2011), in daitformazione.interno.it., secondo il quale «i requisiti ex lege di cui agli artt. 38-42 del D. Lgs. n. 163/2006, sono oggi da intendere, non più alla stregua di requisiti minimi di partecipazione - come sostenuto dalla giurisprudenza non solo interna ma anche comunitaria- ma come gli unici e sufficienti per la partecipazione, senza che possa più configurarsi alcuna loro legittima - proporzionata, non discriminatoria e ragionevole - integrazione ad opera della p.a»). Peraltro, proprio in applicazione di tale principio, in giurisprudenza è stato in più occasioni sottolineato come in caso di incertezze interpretative si impone comunque un'interpretazione volta a favorire la più ampia partecipazione alla gara (Cfr., ex multis, T.A.R. Veneto, Venezia, Sez. I, 18 gennaio 2018, n. 53; id., 23 agosto 2017, n. 796; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 7 dicembre 2015, n. 5687; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. III, 29 aprile 2011, n. 1071). Come è stato pure rilevato, infatti, «le cause di esclusione, incidendo sull'autonomia privata delle imprese e limitando la libertà di concorrenza nonché il principio di massima partecipazione, sono tassative e non possono essere interpretate analogicamente e, qualora manchi una chiara prescrizione che imponga in modo esplicito l'obbligo dell'esclusione, vale il principio della più ampia partecipazione alla gara allo scopo di garantire il migliore risultato per l'Amministrazione stessa» (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 4 dicembre 2012 n. 2904, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 5 settembre 2016, n. 4163).

Inoltre, perché possa dirsi efficientemente adempiuto lo scopo istituzionale dell'Amministrazione (v. D. VESE, L'efficienza dell'organizzazione amministrativa come massimizzazione dei diritti fondamentali, in P.A. Persona e Amministrazione, fasc. 1/2019, pubblicata in internet all'indirizzo www.ojs.uniurb.it), che è poi l'essenza della buona amministrazione (M. NIGRO, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, Milano, Giuffrè, 1966, p. 84, che riconosce l'«integrale risoluzione della buona amministrazione nell'efficienza»), quale sintesi tra cittadini e soggetti pubblici ( L. R. PERFETTI, Diritto ad una buona amministrazione, determinazione dell'interesse pubblico ed equità, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, fasc.3-4,/2010, pp. 789 ss, il quale sottolinea come «il tema del diritto ad una buona amministrazione deve essere osservato in relazione allo statuto costituzionale della relazione tra libertà ed autorità, allo scopo di interpretare norme che sono diritto vigente ed applicabile nei rapporti giuridici»; sul punto si V. anche F. TRIMARCHI BANFI, Il diritto ad una buona amministrazione, in P. CHITI, G. GRECO, Trattato di Diritto Amministrativo Europeo, II ed, Tomo I, Milano, Giuffrè, 2007, 49, ove viene evidenziata la differenza tra “principio di buona amministrazione” e “diritto ad una buona amministrazione”), invero, si ritiene che il giudizio che la stazione appaltante è chiamata a svolgere debba essere rivolto a valutare la concreta idoneità delle condotte poste in essere in passato dall'impresa a minare o a mettere in dubbio la sua “integrità ed affidabilità” (Cons. Stato, Sez. V, 12 aprile 2019, n. 2407).

Ne consegue che l'Amministrazione non potrebbe arrestare il suo giudizio al semplice rilievo che la dichiarazione resa in gara non ha recato una determinata circostanza o vicenda, senza che vengano valutate le ragioni di tale omissione, che possono risiedere nella totale irrilevanza della fattispecie o nell'oggettiva impossibilità per il dichiarante di conoscere il fatto.

Nel seguito, quindi, attraverso l'analisi di talune significative fattispecie, si intende ragionare sulle questioni qui solamente accennate.

Segue: i limiti di operatività dell'onere dichiarativo

Innanzitutto, sembra il caso di riflettere sulla possibilità (evidenziata nell'ordinanza di rimessione alla Plenaria) di individuare dei limiti di operatività da porre all'obbligo dichiarativo. Si è visto, infatti, di quella giurisprudenza – non univoca (In senso parzialmente contrario, e.g. Cons. Stato, Sez. III, 23 agosto 2018, n. 5040; id. Sez. V, 3 aprile 2018, n. 2063; id. Sez. III, 12 luglio 2018, n. 4266, cit.) – secondo la quale l'art. 80, comma 5, lett. c) (a cui viene riconosciuto il significato di norma di chiusura) imporrebbe agli operatori economici di portare a conoscenza della stazione appaltante tutte le informazioni relative alle proprie vicende professionali, anche non costituenti cause tipizzate di esclusione (Cons. Stato, V, 11 giugno 2018, n. 3592; id. 25 luglio 2018, n. 4532; id. 19 novembre 2018, n. 6530; id. Sez. III, 29 novembre 2018, n. 6787, cit.).

Si è detto pure, tuttavia, di quella giurisprudenza che, in senso parzialmente diverso, ha osservato che un siffatto obbligo dichiarativo, senza la individuazione di un generale limite di operatività, apparirebbe eccessivamente generalizzato ed oltremodo oneroso per l'operatore economico, imponendogli, di fatto, di esternare «vicende professionali del tutto insignificanti nel contesto della vita professionale di una impresa» (Così Cons. Stato, Sez. V, 3 settembre 2018, n. 5142; nello stesso senso, Cons. Stato, Sez. V, 22 luglio 2019, n. 5171, id. 28 ottobre 2019, n. 7387; id, 5 marzo 2020, n. 1605).

La regola secondo cui l'operatore economico sarebbe tenuto a dichiarare “qualsiasi vicenda”, infatti, andrebbe contemperata con l'esigenza che l'Amministrazione sia posta a conoscenza di tutte quelle circostanze che possano, alla stregua della normativa vigente, avere un qualche rilievo sul giudizio di affidabilità del partecipante alla gara. D'altro canto, questa regola, senza un reale chiarimento relativo a quali circostanze debbano concretamente essere dichiarate al momento della partecipazione, se da un lato rischia solamente di appesantire e rallentare l'istruttoria che la stazione appaltante deve svolgere, dovendo districarsi tra i numerosi fatti dichiarati dalle imprese, solo alcuni di questi significativi, dall'altro lato, senza la puntuale perimetrazione della portata (e dei limiti) degli obblighi informativi, finirebbe per essere priva di significato.

Segue: il limite temporale dell'onere dichiarativo

Ebbene, una prima deroga all'onere dichiarativo su cui occorre ragionare è quella legata alla temporaneità di tale obbligo. La necessità di prevedere un limite di operatività al generale obbligo dichiarativo, infatti, deriva innanzitutto dall'art. 57, paragrafo 7 della direttiva 2014/24/UE (A detta disposizione è stata riconosciuta efficacia diretta c.d. “verticale” nell'ordinamento interno, reputando pertanto inidonee ai fini di disporre l'esclusione dell'operatore economico dalla gara le risoluzioni ante triennio, periodo da computarsi a ritroso dalla data del bando, tenendo conto della data di adozione della determinazione amministrativa di risoluzione unilaterale, Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 21 novembre 2018, n. 6576), che ha disposto che il giudizio valutativo sui precedenti del dichiarante può essere legittimamente condotto dalle stazioni appaltanti unicamente nei termini temporali posti dall'ordinamento. Oltre quel termine il fatto non dovrebbe più avere alcun rilievo per l'ordinamento e le stazioni appaltanti non solo non dovrebbero valutarlo, ma non dovrebbero neppure conoscerlo (in modo da non essere, anche solo emotivamente, condizionate nel giudizio che sono chiamate a rendere sul concorrente).

In questi termini, è utile porre attenzione all'art. 57, paragrafo 2, lettera h) della direttiva, che riconnette l'espulsione dalle gare alla falsità o reticenza di dichiarazioni necessarie a verificare l'assenza di motivi di esclusione. Detta disposizione, significativamente, riferisce l'onere dichiarativo solamente alle informazioni utili (in concreto) a verificare l'assenza di motivi di esclusione e non a qualsiasi informazione, priva di rilevanza concreta in ordine al giudizio di affidabilità che la stazione appaltante deve (valutando solo gli elementi a tal fine adoperabili) svolgere.

Inoltre, quanto alla normativa nazionale di recepimento della citata direttiva, occorre considerare che anche l'art. 80, commi 10 e 10-bis del d.lgs.18 aprile 2016 n. 50 (in disparte le questioni – che sono state svolte in premessa – inerenti il non completo recepimento della direttiva) ha stabilito che le ipotesi di esclusione dalle gare di appalto sono soggette a limiti temporali massimi (Per le diverse versioni dell'art. 80, comma 10 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 si v. supra).

Dall'insieme di tali riflessioni, sembra appropriato ritenere che se un evento, pur potenzialmente ascrivibile tra le cause di esclusione, si colloca oltre il limite temporale di rilevanza giuridica, non potrebbe, anche se dichiarato in gara, porsi a fondamento di alcuna legittima esclusione e, di conseguenza, se dette vicende non possono essere valutate dall'Amministrazione ai fini del giudizio di affidabilità dell'operatore economico, si fa fatica a comprendere la ragione per cui le stesse circostanze (incontestata la loro irrilevanza) andrebbero comunque dichiarate, con la conseguenza – a dire il vero, paradossale – che la mancata dichiarazione (di qualcosa di cui l'Amministrazione non dovrebbe essere informata, se non è chiamata a valutarla) determinerebbe un'autonoma causa di esclusione: l'operatore economico, così, sarebbe ritenuto inaffidabile per non aver dichiarato un qualcosa che l'Amministrazione non deve valutare.

Proprio sulla scia di tali argomentazioni, parte della più recente giurisprudenza si è orientata alla individuazione anzitutto di un limite temporale all'obbligo dichiarativo, ancorato alla irrilevanza di illeciti commessi dopo il triennio anteriore alla adozione degli atti indittivi (Cfr., tra le varie citate nel presente contributo, Cons. Stato, Sez. V, 5 marzo 2020, n. 1605, cit.).

Dati questi principi, infatti, si ritiene che una volta che si sia pagato per i propri errori (o sia in ogni caso decorso il termine di rilevanza dei fatti) il privato meriti il pieno diritto alla reintegrazione sociale, a poter, cioè, nuovamente operare in condizioni di parità rispetto agli altri operatori del settore; ciò in nome della certezza del diritto, della concorrenza e della proporzionalità, nel senso che limitazioni alla libertà individuale imposte dalle esigenze di tutela dell'interesse pubblico non devono mai superare la misura di quanto venga ritenuto necessario al conseguimento degli obiettivi di pubblico interesse (D.U. GALETTA, Il principio di proporzionalità fra diritto nazionale e diritto europeo (e con uno sguardo anche al di là dei confini dell'Unione Europea), in www.giustiziaamministrativa.it, che riporta l'espressione coniata da Fritz Fleiner, illustre allievo di Otto Mayer, tra i padri del diritto amministrativo tedesco, che riassumeva il principio di proporzionalità affermando che «La polizia non deve sparare ai passeri con i cannoni»).

I limiti di carattere temporale che il legislatore sembra aver posto alla rilevanza di determinate vicende della vita professionale dell'operatore economico e, di conseguenza, all'onere di dichiararle in gara, hanno poi il pregio di essere caratterizzati da una sempre apprezzabile (quando si tratta dell'individuazione di criteri) oggettività. In disparte le considerazioni in ordine alla decorrenza del termine di rilevanza temporale di una data vicenda (meritevoli di ulteriori considerazioni che, tuttavia, non trovano spazio nella presente trattazione) non si possono porre, cioè, dei dubbi sulla collocazione di un determinato fatto all'interno o oltre la soglia di rilevanza temporale.

Segue: l'onere dichiarativo di ulteriori fattispecie (il casellario ANAC e gli illeciti non definitivamente accertati)

La portata temporale dell'onere dichiarativo, ad ogni modo, è stata espressamente affrontata dal Consiglio di Stato con l'ordinanza di rimessione alla Plenaria, che quindi non potrà esimersi dal pronunciarsi su tale profilo. È lecito attendersi dalla Plenaria, tuttavia, la definizione di una regola generale che possa essere declinata anche con riferimento ad ulteriori aspetti, quando la stessa oggettività che caratterizza l'irrilevanza temporale permetta di escludere dagli obblighi dichiarativi anche ulteriori fattispecie, in modo da tracciare con maggior precisione l'ideale perimetro dell'onere ostensivo del concorrente.

In tale ottica, potrebbe sostenersi, come ha fatto parte della giurisprudenza, che solamente l'illecito iscritto nel casellario ANAC debba essere dichiarato. Questo criterio permetterebbe di eliminare alcune incertezze circa l'onere di dichiarazione di talune vicende, evitando così che l'operatore economico sia tenuto a dichiarare qualunque precedente vicenda della propria vita professionale, dovendo dichiarare, invece, solamente quelle notizie ritenute “utili” (ai fini della verifica dei gravi illeciti professionali) dall'Autorità, che svolgerebbe, in tal modo, una selezione di quelle vicende rilevanti ai fini delle valutazioni che l'Amministrazione è chiamata a svolgere.

D'altronde, con riferimento alle notizie per cui l'annotazione nel casellario è espressamente prevista dall'articolo 80 l'avvenuta iscrizione nel casellario ANAC costituisce il presupposto stesso della causa di esclusione. Infatti, l'avere presentato false dichiarazioni o falsa documentazione in precedenti gare (quale autonoma causa, prevista dall'art. 80, comma 5, lettera f-ter. Lettera aggiunta dall'art. 49, comma 1, lett. e), n. 1, d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56) è motivo di esclusione soltanto se abbia comportato l'iscrizione nel casellario (Cons. Stato, Sez. V, 21 novembre 2018, n. 6576, pronunciatasi sulla versione originaria dell'art. 80, comma 5, lett. c), con conclusioni, però, valide anche per l'attuale versione del comma 5, che contempla l'ipotesi relativa alle all'aver fornito «informazioni false o fuorvianti» nell'autonoma lettera c-bis). In tale occasione è stato chiarito che l'art. 80, comma 5, lett. c-bis), non è «riferito alle false dichiarazioni rese in procedure concorsuali non in corso e, quindi, già svoltesi”, ma al contrario, anche se non esplicitamente, “si riferisce alle “informazioni false o fuorvianti” ovvero all'omissione di “informazioni dovute” nei confronti della stazione appaltante nella procedura di gara in corso”: ne consegue che “il rilievo ostativo alla partecipazione non è certo l'aver reso “false dichiarazioni in precedenti gare” (…), ma il rendere, nella gara in corso, dichiarazioni false o fuorvianti, ovvero l'omettere dichiarazioni dovute». In tale occasione, è stato pure chiarito che la causa di esclusione, comunque, perdura fino a quando opera l'iscrizione nello stesso casellario, fatta salva ovviamente l'ipotesi in cui perduri, al momento della procedura in corso, la circostanza escludente cui si riferiva l'originaria falsità, ad esempio, la situazione di regolarità fiscale o contributiva, dichiarata sussistente, ma in realtà non posseduta).

Dall'altro lato, invece, la ricerca di un certo criterio di oggettività per definire le circostanze da dichiarare non potrebbe giustificare la possibilità di rendere note solamente quelle fattispecie (come le precedenti risoluzioni contrattuali) per le quali sia intervenuto un provvedimento giurisdizionale definitivo. Appare corretto, quindi, riconoscere alla stazione appaltante la possibilità (invero ragionevole, considerate le lungaggini della giustizia civile) di valutare l'esclusione del concorrente anche quando il fatto da dichiarare sia sub iudice, fermo restando che ciò la stazione appaltante dovrebbe fare tenendo sempre a mente il rispetto del principio di proporzionalità, art. 5 TUE, paragrafo 4 (Sono numerosissime le pronunce in cui la Corte di Giustizia si è trovata a dare applicazione al principio di proporzionalità: ex multis, Cfr. Corte di Giustizia dell'Unione Europea, sentenza 29 novembre 1956 nella causa C- 8/55; Id., 13 luglio 1962, nella causa C-19/61; Id., 17 dicembre 1970, nella causa C-11/70; Id., 20 febbraio 1979, nella causa C-122/78; Id., 18 giugno 1991, nella causa C-260/89, in www.curia.europa.eu. Il principio di proporzionalità, in queste come in altre numerose pronunce, viene declinato dalla Corte come principio posto a salvaguardia del cd. nucleo essenziale dei diritti fondamentali riconosciuti all'individuo in caso di intervento dell'autorità amministrativa, che non potrebbe imporre limitazioni ulteriori rispetto a quelle strettamente indispensabili al raggiungimento degli scopi prefissati. Per un'analisi del principio di proporzionalità nel diritto comunitario si rimanda a M.C. CICIRIELLO, Il principio di proporzionalità nel diritto comunitario, Napoli, 1999, pp. 269 ss.), che le impone di adottare misure adeguate all'obiettivo che si intende perseguire che, nella materia – è bene ulteriormente sottolinearlo – è pur sempre quello di assicurare che il contraente dell'Amministrazione sia un soggetto che possa essere ritenuto concretamente affidabile (Sulla necessità di garantire un adeguato bilanciamento degli interessi coinvolti nel procedimento, si v. D.U. GALETTA, Il principio di proporzionalità, in M.A. SANDULLI (a cura di), Codice dell'azione amministrativa, Milano, Giuffrè, 2017, 149; M. DI CARLO, Commento all'articolo 2, in A. CARULLO, G. IUDICA, Commentario breve alla legislazione degli appalti pubblici e privati, Padova, 2008, p. 192).

Peraltro, al riguardo la regola più corretta appare essere quella in base alla quale andrebbero dichiarate solamente le precedenti risoluzioni che siano state accertate con provvedimento esecutivo (quindi non definitivo) del giudice. Tale soluzione – a parere di scrive, del tutto ragionevole – sembra rappresentare un equilibrato punto d'incontro tra due opposte esigenze: da un lato, quella del privato di evitare che l'esclusione dalla gara venga disposta sulla base di atti formati unilateralmente (e, magari, in maniera del tutto infondata) dalle committenti e, dall'altro lato, quella delle stazioni appaltanti di non attendere i tempi della formazione di un giudicato civile (impedendo, in tal modo, possibili tattiche dilatorie), potendo procedere all'esclusione in presenza di un primo esame giurisdizionale (anche solo in sede cautelare) che non inibisca l'esecutività del provvedimento (In particolare, ha rilevato la sezione consultiva del Consiglio di Stato che la «soluzione rappresenta un ragionevole punto di equilibrio tra l'esigenza degli operatori economici di evitare esclusioni basate esclusivamente su atti unilaterali privi di fondamento delle stazioni appaltanti e quella delle stazioni appaltanti di non vedere sostanzialmente vanificata la causa di esclusione sulla base della sola contestazione dell'operatore economico. Tale soluzione – ad essere sinceri del tutto ragionevole – permette alla stazione appaltante di non attendere i tempi della formazione di un giudicato civile, potendo procedere all'esclusione sulla base anche di un primo esame giurisdizionale (anche solo in sede cautelare) che non inibisca l'esecutività del provvedimento. Ciò che è necessario e dirimente è che sia data la possibilità, da un lato, all'operatore economico diligente, che subisca un accertamento di grave illecito escludente, di adire un giudice terzo e imparziale che effettui un primo, anche minimo vaglio di legittimità e di non infondatezza dell'accertamento, e che, dall'altro lato, non si costringa l'amministrazione ad attendere i tempi lunghi del giudicato sulla contestazione, ciò che ne paralizzerebbe l'azione efficiente ed efficace, così prevenendosi anche possibili tattiche dilatorie nel processo»).

Le stesse ragioni, invece, considerata la maggior celerità del giudizio di impugnazione, consentirebbero di ammettere che, al contrario, si possa pretendere la dichiarazione in gara dei provvedimenti sanzionatori antitrust solamente in presenza di un provvedimento giurisdizionale definitivo, nonostante la chiara scelta dell'ANAC di attribuire rilevanza al provvedimento meramente “esecutivo” dell'AGCM

Segue: la mancata dichiarazione del precedente penale estinto

Sotto altro profilo, ci si sente di dover muovere delle critiche a quell'orientamento giurisprudenziale secondo cui la mancata dichiarazione di un precedente penale sostanzialmente (essendosi verificati i presupposti previsti dalla normativa penale) ma non formalmente (non essendo intervenuto apposito decreto del giudice penale) estinto comporterebbe di per sé l'esclusione dalla gara.

Se pure volesse seguirsi la tesi secondo cui l'estinzione del reato, ai fini del venir meno dell'onere dichiarativo, non opera ex lege, ma è necessario che venga formalmente dichiarata dal giudice penale, la massima collaborazione tra P.A. e cittadino imporrebbe di consentire al concorrente che partecipa alla gara di procurarsi, medio tempore, tale formale dichiarazione di estinzione del reato. Si potrebbe, in un certo senso, ammettere che il giudice amministrativo non voglia sostituirsi al giudice penale e valutare (in realtà senza dover compiere operazioni interpretative della legge penale particolarmente complesse) l'estinzione del reato. Ma ciò che, invero, non appare condivisibile è che un reato sostanzialmente estinto (per il quale incontestabilmente – ed oggettivamente – i presupposti per l'estinzione si sono verificati), laddove comprensibilmente non dichiarato dall'operatore economico, dia vita ad un provvedimento espulsivo, quando, invece, il concorrente potrebbe – su richiesta della stazione appaltante e senza difficoltà – ottenere il decreto di estinzione, che eliminerebbe qualsiasi dubbio circa l'irrilevanza del reato.

Nel concreto, infatti, il rischio reale è quello di consentire esclusioni di un operatore economico che non abbia dichiarato un reato, magari bagatellare, commesso in tempi tanto risalenti da poter essere, in ipotesi, trascurato, solo perché, nonostante si siano incontestabilmente verificati i presupposti per la sua estinzione, questi non siano stati verificati dal giudice dell'esecuzione, quando invece, l'obiettivo che ha mosso il legislatore è quello di scoraggiare i partecipanti alla gara a porre in essere comportamenti scorretti, come l'omessa dichiarazione di un reato ancora rilevante ai fini della partecipazione, ma a “salvare” (se del caso dandogli, mediante soccorso istruttorio, la possibilità di fornire la documentazione utile. Si v. Cons. Stato, Sez, V, 27 settembre 2017, n. 4527; id. 6 settembre 2017, n. 4227; id. 24 luglio 2017, n. 3652; Sez. III, 13 giugno 2018, n. 3628, id., 4 marzo 2020, n. 1603, secondo cui «il soccorso istruttorio non è invocabile allorquando il concorrente abbia omesso la dichiarazione di un episodio astrattamente rilevante ai fini della valutazione della propria affidabilità professionale - Cons. Stato, Ad. plen., n. 9/2014; Cons. Stato, sez. V nn. 7749/2019; 1527/2019; 3980/2017; 3028/2017. Lo strumento è infatti di ausilio nel chiarire o completare dichiarazioni o documenti già comunque acquisiti agli atti di gara ma non può essere utilizzato per sopperire a dichiarazioni riguardanti elementi essenziali radicalmente mancanti - pena la violazione della par condicio fra concorrenti») operatori economici che si sono resi colpevoli di meri errori formali o negligenze non dolose o lievi.

Segue: la reale portata dell'art. 80, comma 5, lettera f-bis) del Codice

In definitiva, e più in generale, l'omessa dichiarazione di circostanze da collocare al di fuori dell'area di operatività dell'onere dichiarativo non potrebbe essere valutata ai fini dell'applicazione dell'art. 80, comma 5, lettera f-bis), che dispone l'esclusione dalle gare in caso di dichiarazioni non veritiere.

Detto automatismo, talvolta avallato dalla giurisprudenza, in ragione di un'asserita soluzione di semplificazione dell'azione amministrativa (in virtù della quale, appunto, il concorrente deve dichiarare “qualsiasi cosa” ed il rilievo dell'omissione dichiarativa giustificherebbe, di per sé, l'esclusione), oltre ad assumere tratti di illogicità, invero, contraddice la stessa ratio in cui pretende di trovare giustificazione. Non sembra sia questo, infatti, un meccanismo di semplificazione dell'attività amministrativa, se l'Amministrazione dovrà esaminare tutte le circostanze pregresse dell'operatore economico, selezionando solo quelle rilevanti. Ed il pericolo che si rischia di correre è che la stazione appaltante, nel compiere questa operazione di screening, finisca per essere, anche inconsciamente, condizionata nel giudizio che è chiamata a svolgere da elementi che non dovrebbe oggettivamente prendere in considerazione, con il grave inconveniente che tale giudizio, sostanziandosi in un apprezzamento discrezionale, sarebbe soggetto ad una limitata sindacabilità, con tutto ciò che ne consegue in termini di efficacia della tutela giurisdizionale.

Segue: l'omessa dichiarazione di fatti astrattamente da dichiarare

Si è visto nei precedenti paragrafi che il riconoscimento di determinati limiti di operatività agli obblighi dichiarativi dell'operatore economico permetterebbe di collocare all'esterno del perimetro dell'onere dichiarativo talune vicende, da cui, pertanto, laddove ne venga rilevata l'omessa dichiarazione, non potrebbe conseguire l'automatica esclusione dalla gara.

Tuttavia, si è visto pure come si sia sviluppata un'impostazione che muove dalla distinzione tipologica dell'omissione delle informazioni che l'operatore economico avrebbe dovuto rendere, che comprende anche la reticenza, cioè l'incompletezza, dalla falsità delle dichiarazioni, ossia i casi di presentazione nella procedura di gara di dichiarazioni rappresentative di una circostanza in fatto diversa dal vero.

Ne conseguirebbe, nel primo caso, la possibilità per la stazione appaltante di disporre l'esclusione dell'operatore economico dalla procedura solo in caso di giudizio sfavorevole (che sia il frutto di un apposito procedimento valutativo) sull'affidabilità dello stesso (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 3 settembre 2018, n. 5142, cit.). Diversamente, alla falsità dichiarativa conseguirebbe l'automatica esclusione dalla procedura di gara, deponendo in maniera inequivocabile nel senso dell'inaffidabilità e della non integrità dell'operatore economico (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 12 aprile 2019, n. 2407, cit.).

Del resto, la questione rimessa all'Adunanza Plenaria, quanto agli effetti del rilievo della violazione dichiarativa, è stata posta proprio in questi termini (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, ord. 9 aprile 2020, n. 2332, cit., ove viene rilevato che«In effetti, la distinzione tra dichiarazioni false, che importano sempre l'esclusione, e dichiarazioni semplicemente omesse, per le quali si pone l'illustrata alternativa tra la tesi, formalistica, dell'automatica esclusione e quella, sostanzialistica, della rimessione al previo e necessario filtro valutativo della stazione appaltante, trae fondamento dal rilievo che la falsità, come predicato contrapposto alla verità, costituisce frutto del mero apprezzamento di un dato di realtà, cioè di una situazione fattuale per la quale possa alternativamente porsi l'alternativa logica vero/falso, accertabile automaticamente - anche in sede giudiziale, in virtù della pienezza dell'accesso al fatto garantita dalle regole del processo amministrativo: cfr. art. 64 c.p.a. - . Per contro, la dichiarazione mancante non potrebbe essere apprezzata in quanto tale, dovendo essere, volta a volta, valutate le circostanze taciute, nella prospettiva della loro idoneità a dimostrare l'inaffidabilità del concorrente. Tale valutazione, in quanto frutto di apprezzamenti ampiamente discrezionali, non potrebbe essere rimessa all'organo giurisdizionale, ma andrebbe necessariamente effettuata - eventualmente a posteriori - dalla stazione appaltante; a differenza della falsità, che è di immediata verifica e riscontro, anche in sede contenziosa»).

Pertanto, in un'ottica di proporzionalità del provvedimento, esclusi i casi in cui all'operatore economico possa essere addebitata una vera e propria falsità, come predicato contrapposto alla verità, che costituisce frutto del mero apprezzamento di un dato di realtà, in caso di dichiarazione mancante, l'Amministrazione dovrebbe , volta a volta, valutare in concreto le circostanze taciute, nella prospettiva della loro idoneità a dimostrare l'inaffidabilità del concorrente, nell'intento di giungere ad una decisione, oltre che rispettosa dell'interesse pubblico che si intende tutelare, equa per il privato destinatario del provvedimento (L'art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea disciplina il diritto alla buona amministrazione riconoscendo ad ogni individuo il diritto «a che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole». Il riferimento all'equità, contenuto in detta disposizione, viene affrontato da A. ZITO, Il “diritto ad una buona amministrazione” nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e nell'ordinamento interno, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2002, il cui pensiero viene riportato da L. R. PERFETTI, Diritto ad una buona amministrazione, determinazione dell'interesse pubblico ed equità, cit., che sottolinea come l'Autore interpreta il riferimento all'equità come «“equità proporzionale” nel senso che la decisione può dirsi equa quando è, per così dire, “misurata” ossia appare idonea, necessaria ed adeguata rispetto alle esigenze di cura dell'interesse pubblico assicurando nel contempo il minor sacrificio possibile dell'interesse privato”; assunto, quindi, questo sguardo, l'equità “proporzionale” viene sussunta nel princìpio, comunitario, di proporzionalità − e si afferma che “la sua portata”, dell'equità, ma il ragionamento sembra contenuto nel perimetro della proporzionalità, “starebbe (anche) nel consentire l'esercizio delle potestà attribuite soltanto allorquando non sia possibile curare l'interesse pubblico attraverso lo strumento negoziale” e, quindi, “equità come regola che impone all'azione amministrativa di scendere sul terreno della parità, del dialogo con il privato, del consenso e dell'accordo di natura privatistica con il medesimo, tutte le volte che ciò sia possibile relegando l'esercizio del potere in una zona residuale»; sul punto anche D.U. GALETTA, Il diritto ad una buona amministrazione nei procedimenti amministrativi oggi - anche alla luce delle discussioni sull'ambito di applicazione dell'art. 41 della Carta dei diritti UE, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, fasc. 2/2019, pp. 165 e ss).

Segue: l'omessa dichiarazione di precedenti penali

Quanto appena detto vale, ad esempio, con riguardo all'espulsione derivante dall'omessa dichiarazione di precedenti penali, relativamente ai quali occorre considerare la costruzione del sistema del casellario giudiziale, in base al quale l'operatore in capo al quale grava l'onere dichiarativo potrebbe trovarsi nella sostanziale impossibilità di acquisire piena contezza del precedente penale riguardante un diverso soggetto, quando il reato non emerga dal casellario giudiziale consultabile dai soggetti privati, unico mezzo di prova effettivamente esigibile (Occorre rammentare che lo stesso art. 60 della direttiva 2014/24/UE indica i mezzi di prova che le amministrazioni aggiudicatrici possono esigere dall'operatore economico, che – al riguardo – non può che essere l'estratto del casellario giudiziario, da cui, tuttavia, potrebbero non emergere alcuni reati), mentre dal certificato del casellario giudiziale ottenibile (ex art. 21 del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313) solamente dall'autorità giudiziaria e dalle pubbliche amministrazioni risultano «tutte le iscrizioni esistenti riferite ad un determinato soggetto», comprese quelle non inserite nel certificato rilasciabile alla parte privata diversa dal diretto interessato.

Il privato che rende una dichiarazione sulla base del certificato del casellario da esso richiesto, quindi, potrebbe finire per pagare un'infedeltà dichiarativa che, in concreto, non potrebbe essergli addebitata, quando i precedenti di cui ha omesso la dichiarazione non potevano essere da lui conosciuti.

In sostanza, ciò che si intende sostenere è che al concorrente non può richiedersi una diligenza maggiore di quella richiesta ad un comune operatore negoziale, poiché nulla autorizza a ritenere il contrario (Cons. Stato, Sez. V, 3 gennaio 2019, n. 69), in quanto l'operatore economico non dispone di speciali poteri di verifica circa l'attendibilità delle credenziali che riguardino un diverso soggetto (ad esempio, il subappaltatore o il soggetto ausiliario) e, in tali circostanze, non può che affidarsi alle dichiarazioni o alla documentazione fornitagli dal soggetto.

La correttezza del provvedimento, oltre che dell'operato che lo presuppone, quantomeno (data la disparità delle armi a disposizione delle parti), suggerirebbe di fornire al soggetto che ha riposto affidamento nel certificato del casellario l'opportunità di porre rimedio alla circostanza, anche attraverso l'adozione di misure di self-cleaning.

Una rigida applicazione del principio dell'autoresponsabilità (in forza del quale ciascuno sopportare le conseguenze delle dichiarazioni rese. Cfr. Cons. Stato Sez. III, 22 febbraio 2019, n. 1236, secondo cui «In tema di soccorso istruttorio, le opportunità di regolarizzazione, chiarimento o integrazione documentale non possono tradursi in occasione di aggiustamento postumo, cioè in un espediente per eludere le conseguenze associate dalla legge o dal bando o per ovviare alle irregolarità non sanabili conseguenti alla negligente inosservanza di prescrizioni tassative imposte a tutti i concorrenti, pena la violazione del principio della par condicio. In particolare, nelle procedure comparative e di massa, caratterizzate dalla presenza di un numero ragguardevole di partecipanti, il soccorso istruttorio, previsto dall'art. 6, comma 1, lettera b), della L. n. 241 del 1990 non può essere invocato, quale parametro di legittimità dell'azione amministrativa, tutte le volte in cui si configurino in capo al singolo partecipante obblighi di correttezza - specificati mediante il richiamo alla clausola generale della buona fede, della solidarietà e dell'autoresponsabilità - rivenienti il fondamento sostanziale negli artt. 2 e 97 Cost., che impongono che quest'ultimo sia chiamato ad assolvere oneri minimi di cooperazione, quali il dovere di fornire informazioni non reticenti e complete, di compilare moduli, di presentare documenti»; Cons. Stato Sez. IV, 20 febbraio 2019, n. 1180, in pluris-cedam.utetgiuridica.it, secondo cui «Il soccorso istruttorio, previsto dall'art. 6, comma 1, lett. b), della L. n. 241/1990, nell'ambito del procedimento non può essere invocato, quale parametro di legittimità dell'azione amministrativa, tutte le volte in cui si configurino in capo al partecipante obblighi di correttezza, specificati attraverso il richiamo alla clausola generale della buona fede e dell'autoresponsabilità, che impongono a quest'ultimo di assolvere oneri minimi di cooperazione e di diligenza quali il dovere di compilare moduli e di presentare documenti secondo quanto indicato dall'Amministrazione»), infatti, a parere di chi scrive, rischia di arrestare la valutazione al semplice rilievo dell'omissione dichiarativa, non importa quanto grave, trascurando, in tal modo, l'onere che imporrebbe all'Amministrazione di valutare l'integrità dell'operatore economico, rinunciando – in ipotesi – ad un soggetto valido ed affidabile, che potrebbe dimostrare la propria integrità nell'ambito di un dialogo con la stazione appaltante, se il vero fine da perseguire è quello di individuare l'operatore maggiormente in grado di eseguire il contratto.

Le considerazioni appena svolte in ordine al certificato giudiziale portano a porre un'ulteriore riflessione. Il giudizio relativo all'affidabilità dell'operatore economico (che non può non comportare una valutazione relativa alle circostanze che questo ha cercato di occultare all'Amministrazione) dovrebbe logicamente tener conto che il tentativo di nascondere un precedente penale sarebbe oggettivamente sconsiderato: l'operatore economico, infatti, omettendo di dichiarare qualcosa di cui la stazione appaltante può venire a conoscenza da sé, in effetti, correrebbe un rischio enorme, che potrebbe legittimamente indurre a credere, in determinate situazioni, che il concorrente realmente non fosse a conoscenza del fatto non dichiarato.

Ciò, anche perché a ragionare diversamente si finirebbe per giungere alla conseguenza, altrettanto intollerabile, di valutare allo stesso modo l'omessa dichiarazione di precedenti penali e di illeciti diversi da questi ultimi (come nel caso delle precedenti risoluzioni contrattuali), quando, al contrario, si tratta in questo secondo caso di elementi che, in quanto rientranti nella sola disponibilità del dichiarante – diversamente dalle condanne e dai procedimenti penali riportati nel casellario giudiziale – rimarrebbero del tutto ignoti alla stazione appaltante (fatta salva l'ipotesi della segnalazione operata da parte di altri concorrenti), privandola così della conoscenza di elementi idonei nel giudizio di verifica del possesso dei requisiti morali (T.A.R. Abruzzo, Pescara, Sez. I, 15 gennaio 2020 n. 22, cit.). In tali casi, verrebbe meno il rispetto dei principi di lealtà ed affidabilità professionale che presiedono ai rapporti dei concorrenti con la stazione appaltante, con compromissione del rapporto fiduciario che deve intercorrere con quest'ultima (Ex multis in riferimento all'art. 80 del d.lgs. 50/2016 T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. I, 20 dicembre 2018, n. 1359; Cons. Stato, Sez. V, 27 luglio 2016, n. 3375; id. Sez. V, 14 febbraio 2018, n. 956; T.A.R. Lombardia, Brescia Sez. II, 18 giugno 2018, n. 591).

Segue: l'opportunità del soccorso istruttorio in caso di dichiarazioni incomplete

Quanto esposto nei paragrafi precedente, poi, spinge a compiere un'ulteriore riflessione.

La ratio delle disposizioni concernenti il possesso dei requisiti di carattere morale e professionale dell'operatore economico, come si è detto, risiede nella circostanza che chi intende addivenire alla stipula del contratto con l'Amministrazione possa essere da quest'ultima ritenuto affidabile.

Proprio nell'ottica di tale ratio – di cui non è possibile mettere in dubbio il valore – la stazione appaltante, tuttavia, dovrebbe indagare, nell'ottica di un contradditorio paritario con il cittadino (Per uno studio degli istituti della partecipazione procedimentale, si V, L. R. PERFETTI, Partecipazione ed obbligo di motivazione, in G. PASTORI (a cura di), Legge 7 agosto 1990, n. 241 e ordinamenti regionali, Padova, Cedam, 1995, 155; L. R. PERFETTI, Diritto ad una buona amministrazione, determinazione dell'interesse pubblico ed equità, cit., il quale rileva che «le pretese procedimentali non servono a garantire la legalità dell'azione amministrativa quanto, piuttosto, la difesa della pretesa finale dell'individuo a conseguire il suo risultato» e che «il diritto di difesa del privato nel procedimento appare la misura ultima del concetto di buona amministrazione»), in un quadro di massima collaborazione (S. TARULLO, Il principio di collaborazione procedimentale, Torino, 2008) e, dunque, del buon andamento dell'amministrazione (F. BENVENUTI, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1952, 118 ss., poi in Scritti giuridici, Roma, Vita e Pensiero, vol. II, 1117 ss, che rinviene nell'art. 97 Cost. la principale fonte da cui trarre una legge generale dell'azione amministrativa; sull'interpretazione del pensiero di Benvenuti si V. L. R. PERFETTI, L'azione amministrativa tra libertà e funzione, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, fasc.1/2017, pp. 99 ss., che sottolinea come segnala come il pensiero dell'Autore «si sia costantemente mosso nella ricerca di percorsi e soluzioni praticabili per rendere effettiva la libertà delle persone»; Sul buon andamento come canone dell'azione amministrativa, fondamentale il contributo di M.S. GIANNINI, Lezioni di diritto amministrativo, vol. I, Milano, Giuffrè, 1950, p. 280, che aveva individuato nel buon andamento il canone dell'efficienza dell'azione amministrativa; tale ricostruzione è stata condivisa, più tardi, da G. BERTI, La pubblica amministrazione come organizzazione, Padova, 1968, pp. 81 ss; nonché da A. ANDREANI, Il principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione, Padova, 1979, p. 1 ss.) la concreta affidabilità dell'operatore economico (che potrebbe non essere compromessa dall'aver reso una dichiarazione incompleta o addirittura falsa), rinunciando all'applicazione di meccanismi di automatismo legislativo (sul punto si v. G. ZAGREBELSKY, V. MARCENÒ, La giustizia costituzionale, Bologna, 2012, 210, ai quali si rinvia per una ricostruzione del concetto di automatismo legislativo, consistenti in quelle previsioni legislative che prevedono una conseguenza doverosa per una determinata fattispecie, secondo lo schema per cui se “è a, allora deve essere b”. Un'altra ricostruzione dell'istituto, attraverso l'analisi di giudizi di legittimità costituzionale, è stata compiuta da A. MORRONE, Il custode della ragionevolezza, Milano, Giuffrè, 2001, 194 e ss) che solo concettualmente sembrerebbero semplificare le valutazioni che l'Amministrazione è chiamata a compiere nel corso della procedura di selezione, ma che finiscono per risultare irragionevoli. La stazione appaltante, al contrario, dovrebbe valutare concretamente il caso di specie, giudicando l'effettiva gravità dell'omissione dichiarativa (Le stesse conclusioni erano state raggiunte già in passato dalla Corte: cfr. Corte di Giustizia dell'Unione Europea, sentenza 4 giugno 2019, nella causa C-425/18, in www.curia.europa.eu., ove è stato affermato che «conformemente al principio di proporzionalità, l'accertamento della sussistenza di un ‘errore grave' necessita, in linea di principio, dello svolgimento di una valutazione specifica e concreta del comportamento dell'operatore economico interessato, v., in tal senso, sentenza del 13 dicembre 2012, Forposta e ABC Direct Contact, C-465/11, EU:C:2012:801, punto 31»), in particolare nelle ipotesi di dichiarazioni incomplete e che non permettano alla stazione appaltante di esprimere un compiuto giudizio in ordine all'integrità ed affidabilità dell'operatore economico.

Ciò, al fine di soddisfare l'esigenza, entro certi limiti, di prevalenza della sostanza sulla forma, tentando di dare soddisfazione a bisogni sostanziali, in un quadro di centralità della funzione che il giudice è chiamato a svolgere e non della regola che è chiamato ad applicare (F. PINTO, Il giudice amministrativo di fronte ai diritti fondamentali tra legalità e giustizia, in Amministrativ@mente, Rivista scientifica trimestrale di diritto amministrativo, fasc. 4/2019).

Si versa, infatti, in un contesto di misure afflittive nell'ambito di un settore concorrenziale (i contratti pubblici) fondamentale per l'ordinamento dell'Unione, nel quale vitale importanza viene riconosciuta alla «funzione proconcorrenza» (R. CAPONIGRO, Il principio del favor partecipationis e la tutela delle piccole e medie imprese nell'affidamento degli appalti pubblici, in ItaliAppalti, 2017, pubblicato in www.italiappalti.it, che riconosce come, a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, anche nell'ordinamento interno «risulta evidente che la funzione proconcorrenziale delle regole di evidenza pubblica ha assunto ancora maggiore rilievo ed è divenuta il baricentro del sistema»), dovendo la stazione appaltante aumentare la competitività della gara (E. FURIAN, Il soccorso istruttorio. Inquadramento generale e limiti al suo utilizzo, in www.diritto.it, 2018, che segnala l'importanza della funzione pro-concorrenza nell'utilizzo di un istituto (il soccorso istruttorio) volto proprio a limitare l'esclusione dalla gara e favorire la massima partecipazione degli operatori economici; F. SAITTA, Contratti Pubblici E Soccorso Istruttorio: Il Punto Due Anni Dopo Il “Correttivo”, in Diritto Amministrativo, fasc.1/2019, pp. 3 e ss), nell'ottica della più ampia partecipazione alle procedure di affidamento degli appalti pubblici (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 11 settembre 2009, n. 11089, che ha attribuito valore centrale al concetto della “gravità” della violazione ai fini espulsivi proprio per compensare la genericità della normativa, rilevando che «una tipologia di esclusione non puntualmente prevista dalla legge, in violazione della tassatività delle sanzioni, dei principi comunitari e nazionali della più ampia partecipazione alle procedure di affidamento degli appalti pubblici e del principio costituzionale di libertà di iniziativa economica». Più di recente, lo stesso principio è stato ribadito da Cons. Stato, Sez. VI, 2 luglio 2019, n. 4516), evitando che irregolarità o incompletezze nelle dichiarazioni rese (F. GAMBARELLA, Le regole del dialogo e la nuova disciplina dell'evidenza pubblica, Torino, 2016, 91) possano pregiudicare gli operatori economici più meritevoli, a discapito anche della stessa stazione appaltante, che potrebbe perdere l'opportunità di aggiudicare la pubblica commessa all'offerente “migliore” (e, in tal modo, di assicurare la qualità della prestazione prevista dal contratto, su cui R. CAVALLO PERIN, G. M. RACCA, La concorrenza nell'esecuzione dei contratti pubblici, in, Diritto Amministrativo, 2010, pp. 325 e ss) per vizi procedimentali facilmente superabili (Così T.A.R. Sardegna, Cagliari Sez. I, 15 novembre 2018, n. 972, in pluris-cedam.utetgiuridica.it. Il principio è affermato da tempo dalla giurisprudenza comunitaria. Cfr. Corte di Giustizia dell'Unione Europea, sentenza 27 novembre 2001, nelle cause riunite C-285/99 e C-286/99, in www.curia.europa.eu, secondo cui il coordinamento a livello europeo delle procedure di aggiudicazione di contratti pubblici ha come fine essenziale «di proteggere gli interessi degli operatori economici stabiliti in uno Stato membro che intendano offrire beni o servizi alle amministrazioni aggiudicatrici stabilite in un altro Stato membro e, a tal fine, di escludere sia il rischio che gli offerenti nazionali siano preferiti nell'attribuzione di appalti sia la possibilità che un'amministrazione aggiudicatrice si lasci guidare da considerazioni non economiche». Ne consegue che l'amministrazione è tenuta ad osservare «il principio di parità di trattamento degli offerenti, come pure l'obbligo di trasparenza al fine di garantire il rispetto del “divieto di discriminazione in base alla nazionalità». Già da tempo, del resto, in giurisprudenza viene avvertita la necessità di garantire un'ampia partecipazione alle gare pubbliche, prescindendo da formalismi inutili, ex multis Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 17 ottobre 2008, n. 5064).

Considerazioni conclusive

Il fattore comune di quanto affermato nei precedenti paragrafi risiede nel fatto che, nella materia che si è presa ad esame con il presente scritto, la cui finalità è quella di assicurare che l'appalto sia affidato a soggetti che offrano garanzia di integrità ed affidabilità, ciò che deve – appunto – essere indagata è la sussistenza di tale affidabilità in capo all'operatore economico.

L'Amministrazione, quindi, nel bilanciamento degli interessi coinvolti e, comunque, nel perseguimento dello stesso interesse pubblico alla selezione del miglior concorrente nel mercato, non potrebbe arrestare il suo giudizio – attraverso atteggiamenti, condivisi da alcuna giurisprudenza, ispirati ad un “eccessivo formalismo” (Così P. LAZZARA, I procedimenti ad istanza di parte. Dalla disciplina generale sul procedimento (l. 241/90) alla direttiva servizi (2006/123), Napoli, 2008, 151) – al rilievo di una dichiarazione falsa od omessa, quale presunzione di inaffidabilità dell'operatore economico, senza considerare il substrato della dichiarazione resa in gara, operando – come è stato rilevato – un illegittimo automatismo (A. MORRONE, Il custode della ragionevolezza, cit., 194 e ss., che ripercorre le dichiarazioni di incostituzionalità da parte della Corte costituzionale degli automatismi legislativi).

La presunta mancanza, infatti, potrebbe risiedere, come si è visto, nella circostanza che il fatto di cui si è omessa la dichiarazione non sarebbe stato in alcun modo rilevante per l'Amministrazione o che l'operatore economico che ambisce all'aggiudicazione della commessa non aveva i mezzi necessari per conoscere la vicenda non dichiarata, senza poter essere in alcun modo considerato responsabile.

Ad alcuni dei quesiti posti con il presente scritto, come si diceva in premessa, ci si augura che fornisca risposta l'Adunanza Plenaria, chiamata a pronunciarsi proprio sulla consistenza, sulla perimetrazione e sugli effetti degli obblighi dichiarativi gravanti sugli operatori economici in sede di partecipazione alla procedura ad evidenza pubblica (Cons. Stato, Sez. V, ord. 9 aprile 2020, n. 2332, cit.). Sarà l'occasione, tanto si auspica, per tracciare con la dovuta chiarezza la portata dell'onere dichiarativo del concorrente, precisando cioè quali vicende l'operatore economico è tenuto a dichiarare, ma soprattutto nella Plenaria si ripone la speranza che vengano precisati gli effetti che conseguono all'omessa o falsa dichiarazione, magari ponendo con chiarezza la regola della necessità dell'onere valutativo e motivazionale che deve sorreggere l'esclusione dalla gara comminata dalla stazione appaltante.

Il risultato che ci si augura venga raggiunto dalla Plenaria, pertanto, è, da un lato, quello di circoscrivere la effettiva latitudine dell'obbligo di dichiarazione, selezionando (mediante l'utilizzo di criteri oggettivi) le informazioni suscettibili di produrre una qualche utilità al processo decisionale dell'Amministrazione, in modo da pretendere dall'operatore economico che questo dichiari solamente quei fatti e quelle circostanze che siano concretamente in grado di incidere sul processo decisionale della stazione appaltante, allontanando, così, il pericolo di un flusso di informazioni, che finirebbe per produrre un risultato (un aggravamento del procedimento) opposto rispetto a quello che idealmente si intende perseguire (la semplificazione del processo decisionale della stazione appaltante); dall'altro, per i casi in cui venga rilevata una possibile mancanza dichiarativa, quello di imporre all'Amministrazione di valutare se la rilevata omissione possa considerarsi ragionevolmente esigibile e, quindi, tale da incidere concretamente sull'affidabilità dell'operatore economico, su cui fondare la fiducia che deve necessariamente riporsi nel soggetto poi chiamato a realizzare il contratto (L'obiettivo, sempre sentito, è quello di trovare– riprendendo le parole di autorevole dottrina – il corretto punto di equilibrio tra «la garanzia del formalismo e l'efficienza del sostanzialismo». Così, L. TORCHIA, La nuova direttiva in materia di appalti servizi e forniture nei settori ordinari, in Diritto amministrativo, 2015, pp. 298 ss.).

Sotto tale profilo, riprendendo la visione di autorevole dottrina, in capo all'Amministrazione potrebbe giungersi ad immaginare un onere (quello di valutare la concreta affidabilità dell'operatore economico), che ne vincoli l'attività, così da soddisfare l'interesse del privato alla partecipazione alla gara, nonché quello della collettività, all'aggiudicazione di un contratto pubblico da parte di un operatore economico, appunto, affidabile (R. RESTA, L'onere di buona amministrazione, cit, ove l'Autore sostiene che è solo attraverso l'onere che si può realizzare l'interesse pubblico generale).

Il punto di raccordo di tutte le tematiche rappresentate nel presente contributo, in definitiva, va rintracciato nella ratio che sembra ispirare l'introduzione della disciplina relativa ai motivi di esclusione, che – lo si è detto più volte – è quella di evitare che il contratto venga aggiudicato ad un soggetto inaffidabile.

Allora, se si intende concretamente indagare la reale affidabilità dell'operatore economico, la mancata ostensione di una determinata circostanza dovrebbe risultare rilevante ai fini dell'esclusione dalla gara, non già in sé (dovendosi rifuggire da qualsiasi automatismo espulsivo), ma in funzione dell'apprezzamento della stazione appaltante, il quale andrebbe eseguito in considerazione, anzitutto, della consistenza e gravità del fatto omesso e, pertanto, quand'anche si ritenesse che vi sia un obbligo di dichiarazione violato, in ogni caso non potrebbe farsene discendere l'automatica esclusione dell'operatore economico, prescindendo da qualsiasi dialogo costruttivo tra privato ed Amministrazione. A dover essere presa in considerazione, poi, è la effettiva disponibilità dei mezzi per conoscere il fatto di cui si è rilevata l'omessa dichiarazione. Il che, in termini di affidabilità dell'operatore economico, appare ancor più dirimente.

Tale onere valutativo sarebbe imposto all'Amministrazione in ragione del necessario rispetto del principio di proporzionalità, che assume rilievo proprio quale «parametro di verifica» di legittimità delle scelte operate dalla stazione appaltante (F. MASTRAGOSTINO, Diritto dei contratti pubblici. Assetto e dinamiche evolutive alla luce delle nuove direttive europee e del d.l. n. 90 del 2014, Torino, Giappichelli, 2014, p. 19). Tale principio, inoltre, porta con sé la necessaria flessibilità e puntualità dell'azione amministrativa, in modo da ricondurre la stessa attività amministrativa entro gli schemi della razionalità, o meglio della ragionevolezza (sul punto v. R. FERRARA, Procedimento amministrativo. Semplificazione e realizzazione del risultato: dalla libertà dall'amministrazione alla libertà dell'amministrazione?, in Diritto e Società, fasc. n. 1/2001, pp. 101 ss., ove la ragionevolezza dell'attività amministrativa viene descritta come in connessione sia con la forma che con la sostanza. legale che disciplina l'attività. La proporzionalità del provvedimento, invece, secondo l'Autore è costituita dall'assolvimento del bene della vita nel contesto «fattuale e legale nel cui ambito la fattispecie - legale e umana - deve essere necessariamente apprezzata, valutata e in qualche modo definitivamente disciplinata». In dottrina, in realtà, è dibattuto se il principio di ragionevolezza si ponga o meno in rapporto di autonomia con quello di proporzionalità: per una ricostruzione di tale dibattito si V. M.A. SANDULLI, Proporzionalità, in S. CASSESE (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, V, Milano, Giuffrè, 2006, pp. 4643 ss), nonché dei principi comunitari e nazionali della più ampia partecipazione alle gare pubbliche e del principio costituzionale di libertà di iniziativa economica (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 11 settembre 2009, n. 11089, cit.).

Tutti questi principi (onde evitare che restino soltanto delle idee) andrebbero concretizzati oltre che attraverso una più chiara definizione della portata dell'onere dichiarativo, mediante un reale dialogo (l'immediatezza delle comunicazioni, al giorno d'oggi, non ne complica la fattibilità) tra stazione appaltante ed operatore economico, che l'Amministrazione deve aver interesse (in termini di competitività della procedura) a mantenere in gara e non ad escludere, quasi andando alla ricerca di una ragione per farlo senza troppe complicazione procedimentali.

Del resto, la concorrenzialità nell'affidamento della gara, che vede come una sorta di faro il principio di massima partecipazione alla procedura da parte degli operatori economici (La giurisprudenza comunitaria sottolinea da sempre l'interesse del diritto comunitario al rispetto del principio della più ampia partecipazione possibile di offerenti ad una gara d'appalto. Ex multis si V. Corte di Giustizia dell'Unione Europea, Sez. IV, sentenza 23 dicembre 2009 in causa C-305/08, cit.; tale esigenza è avvertita anche dal giudice nazionale: così, per fare un esempio, Cons. Stato, Sez. V, 24 gennaio 2019, n. 597, ha escluso la possibilità di considerare grave illecito professionale «una pregressa irregolarità fiscale da tempo superata, e quindi tale da non avere rilevanza attuale, nell'ambito di un quadro ordinamentale il quale, al fine di garantire la più ampia partecipazione alla gara (e in una logica concorrenziale e collaborativa) consente di estinguere il debito tributario anche solo per la presentazione della domanda di partecipazione»), è ancora ritenuta la modalità maggiormente adeguata per garantire la migliore spendita di pubblico denaro (Considerazioni simili vengono esposte, in maniera certamente molto più affidabile di quanto non possa fare chi scrive, da R. CAPONIGRO, Il principio del favor partecipationis e la tutela delle piccole e medie imprese nell'affidamento degli appalti pubblici, cit; in questi termini anche G. FIDONE, Principi e disposizioni comuni e contratti esclusi dall'ambito di applicazione del codice, in M. CLARICH (a cura di), Commentario al Codice dei contratti pubblici, Torino, 2010, p. 46).

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