Errata indicazione nella PEC ricevuta dalla cancelleria, l'avvocato ha l'onere di effettuare le verifiche necessarie

Redazione scientifica
29 Maggio 2020

La presenza di indicazioni errate nel messaggio PEC inviato dalla cancelleria all'avvocato devono ingenerare nel legale un dubbio tale da indurlo, anche in virtù dell'onere di collaborazione che grava sul difensore, a recarsi tempestivamente presso la cancelleria per compiere gli accertamenti necessari, piuttosto che scegliere di non comparire all'udienza di trattazione.

La sezione minorenni della Corte d'appello, riformando quanto stabilito dal Tribunale che aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato poiché il reato ascrittogli si era estinto per prescrizione, condannava lo stesso alla pena di giustizia per i delitti di cui agli art. 111, 624 e 625 c.p.. Avverso questa decisione, l'imputato ha proposto ricorso per Cassazione lamentando che il proprio difensore di fiducia avrebbe ricevuto la notifica dell'appello del Procuratore Generale avverso la sentenza di proscioglimento di primo grado e in seguito il decreto di citazione per l'appello. In particolare, il difensore aveva ricevuto la notifica del decreto di citazione a giudizio di appello con l'errata indicazione del nome dell'imputato. Solo dopo un controllo presso la cancelleria egli si era accorto dell'errore consistito nell'invio tramite PEC, da parte della cancelleria della Corte d'Appello, dell'avviso di fissazione dell'udienza relativo ad altra persona. Questo errore era desumibile soltanto attraverso la consultazione del computer della cancelleria e non anche del fascicolo processuale, nel quale non si rinviene la mail inviata al difensore.

La Cassazione, ritenendo inammissibile il ricorso, ha rilevato che il difensore non ha fatto pervenire alcuna attestazione relativa all'allegato ricevuto e volta a dimostrare quanto da lui affermato.

Inoltre, la Suprema Corte ha osservato che, alla luce della documentazione prodotta, risulta che all'avvocato, quale difensore domiciliatario e in proprio, erano giunte due PEC da parte della Corte d'Appello, una alle ore 10:21 e l'altra alle 10:22, aventi come oggetto il riferimento all'appello relativo al suo assistito ed il corretto numero di procedimento.
Da ciò discende che, seppure l'allegato alla mail, il cui identificativo di messaggio è indicato nella PEC, contenesse un atto di citazione erroneo, le indicazioni delle PEC avrebbero dovuto allertare il difensore, essendo chiaro sia il riferimento al proprio assistito che al numero identificativo del processo, corrispondente al nominato dell'imputato.

A tal proposito la Cassazione sottolinea che «le indicazioni contenute nelle PEC, quindi, appaiono più che idonee quanto meno ad ingenerare nel difensore un dubbio tale da indurlo, anche in virtù dell'onere di collaborazione, a recarsi tempestivamente presso la cancelleria della Corte di Appello, piuttosto che scegliere di non comparire all'udienza di trattazione».

Chiarito questo, il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.