Responsabilità del curatore nella liquidazione giudiziale

Fabio Gallio
Veronica Albiero
Fabio Sebastiano
05 Giugno 2020

Il ruolo del curatore fallimentare è stato profondamente riformato a seguito della riforma fallimentare del 2006, e così dai successivi interventi legislativi, in un'ottica di sempre maggiore autonomia del curatore, posto al centro dell'amministrazione della procedura, su cui vigilano il giudice delegato e il comitato dei creditori.

Inquadramento

Il ruolo del curatore fallimentare è stato profondamente riformato a seguito della riforma fallimentare del 2006, e così dai successivi interventi legislativi, in un'ottica di sempre maggiore autonomia del curatore, posto al centro dell'amministrazione della procedura, su cui vigilano il giudice delegato e il comitato dei creditori.

Nel 2006, infatti, sono state introdotte disposizioni che consentono la liquidazione in forma del tutto nuova rispetto al passato, quali ad esempio l'affitto dell'azienda o di suoi rami per una più proficua vendita (art. 104-bis l. fall.), la vendita dell'intera azienda, di suoi rami, di beni in blocco anche previo conferimento in società di nuova costituzione (art. 105l. fall.), la cessione di crediti anche litigiosi (art. 106 l. fall.)

Questa prospettiva incide anche sul contenuto dei poteri e degli obblighi facenti capo al curatore, atteso che egli può autonomamente perseguire l'interesse dei creditori anche mediante programmazioni e iniziative di tipo dinamico.

Ad un ampliamento dei poteri corrisponde sempre una maggiore estensione di doveri e responsabilità.

In questi termini, rispetto alla disciplina attuale, la figura del curatore all'interno del Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza non pare subire profondi mutamenti; anzi, viene rafforzata la prospettiva di gestione manageriale della fase di liquidazione, accompagnata da un aumento delle responsabilità e da un correlato potenziamento di vigilanza del giudice delegato.

Nel Codice della Crisi d'impresa e dell'insolvenza, l'ufficio del curatore fallimentare è disciplinato dagli articoli 125 e seguenti, all'interno del titolo V, rubricato “Liquidazione giudiziale”, che nel riformato impianto legislativo sostituisce l'attuale procedura di fallimento, con la finalità di rendere la fase liquidatoria più rapida e snella, pur senza stravolgerne gli attuali caratteri fondamentali. Il presente lavoro ha lo scopo d'indagare in che modo e in quale misura tali principi incidano sulla responsabilità del curatore e sulla diligenza a lui richiesta nell'adempimento della sua funzione.

Il ruolo del curatore nella liquidazione giudiziale

Il legislatore riformatore ha dato attuazione ai principi di efficienza e rapidità della procedura di liquidazione giudiziale intervenendo anche sui soggetti e sulle professionalità idonee a ricoprire la funzione di curatore.

È stato, infatti, istituito presso il Ministero della giustizia, che esercita altresì la vigilanza sull'attività degli iscritti, l'Albo unico nazionale dei soggetti destinati a svolgere le funzioni di curatore, che prevede i requisiti di onorabilità che gli stessi debbono possedere, oltre un obbligo di aggiornamento biennale, a cui il tribunale concorsuale dovrà fare riferimento per la nomina dei curatori, al fine di garantirne una più elevata professionalità e snellendo le modalità di apprensione e liquidazione dell'attivo. Inoltre l'art. 358 CCI, rispetto all'attuale disciplina, ha esteso la possibilità di essere nominati curatori anche ai consulenti del lavoro e a coloro che abbiano svolto funzioni di direzione, amministrazione o controllo in società di capitali o cooperative, non solo società per azioni.

Riguardo alle attività di competenza esclusiva del curatore, è rilevante l'art. 211 CCI, rubricato “Esercizio provvisorio dell'impresa del debitore”, che allo scopo d'incentivare l'esercizio provvisorio dell'attività d'impresa, enuncia la regola generale secondo cui l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale non determina la cessazione dell'attività d'impresa, che il curatore può essere autorizzato a continuare dal tribunale concorsuale, con la sentenza che dichiara aperta la procedura di liquidazione giudiziale, quando l'interruzione immediata della stessa risulti dannosa per i creditori, oppure dal giudice delegato, previo parere favorevole del comitato dei creditori, che con cadenza trimestrale valuterà l'opportunità di proseguire l'esercizio provvisorio. L'art. 216 CCI, invece, disciplina la procedura di vendita dei beni nell'ambito della liquidazione giudiziale, qui caratterizzata da una “crescente contrattualizzazione del modo di gestire la crisi d'impresa” come già osservato dalla dottrina in relazione alle precedenti riforme del diritto fallimentare (ROPPO, Profili strutturali e funzionali dei contratti di salvataggio (o di ristrutturazione dei debiti d'impresa), in Riv. dir. priv., 2007, p. 282) e, di converso, da una riduzione dell'area d'intervento dell'autorità giudiziaria, c.d. “disintermediazione giudiziaria” della crisi d'impresa (in tal senso, cfr. BOTTAI, Il curatore, in Fallimento e concordato fallimentare, (a cura di) JORIO A., 2016, Milano, p. 970).

L'assunto trova conforto nella Relazione ministeriale di accompagnamento al decreto di attuazione della legge delega (Relazione illustrativa 10 gennaio 2019 del decreto legislativo12 gennaio 2019 n. 14) che, in commento all'art. 128 CCI, rubricato “Gestione della procedura”, evidenzia che “la disposizione ribadisce la netta distinzione di ruolo tra i vari organi della procedura già prevista dall'attuale disciplina, assegnando al solo curatore l'amministrazione del patrimonio compreso nella liquidazione e prevedendo, per contro, che tutte le attività compiute dal medesimo nell'ambito delle sue funzioni siano soggette alla vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori”. Se, da un lato, dunque, si assiste ad un incremento della gestione “contrattuale” anche della fase di liquidazione dell'impresa, dall'altro lato, il legislatore riformatore ha incrementato il potere di vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori sull'attività amministrativa del curatore, quali istituti di garanzia, sistema che richiama la c.d. tecnica di checks and balances di diritto pubblico. Da evidenziare che Il curatore non può assumere la veste di avvocato nei giudizi che riguardano la liquidazione giudiziale. Il curatore può tuttavia assumere la veste di difensore, se in possesso della necessaria qualifica nei giudizi avanti al giudice tributario quando ciò è funzionale ad un risparmio per la massa. Pertanto, nel caso in cui questo può essere favorevole ai creditori, egli può patrocinare di fronte alle Commissioni Tributarie.

La lettura sistematica degli artt. 213 e 216 CCI è eloquente sul punto: mentre l'art. 213 CCI dispone che la predisposizione del programma di liquidazione costituisce un adempimento peculiare del curatore, l'art. 216 CCI, invece, che sostituisce l'attuale art. 107 l.fall., prevede che “le vendite e gli altri atti di liquidazione posti in essere in esecuzione del programma di liquidazione sono effettuati dal curatore o dal delegato alle vendite tramite procedure competitive, anche avvalendosi di soggetti specializzati, con le modalità stabilite con ordinanza dal giudice delegato” e che “il giudice delegato può disporre che le vendite dei beni mobili, immobili e mobili registrati vengano effettuate secondo le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili”. Prima facie, tale scelta del legislatore stride con i principi ispiratori della riforma, suscitando perplessità in dottrina (Critico sul punto R. DELLA SANTINA, Prime riflessioni sulla liquidazione giudiziale dei beni nel codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza: ritorno al passato?, in Crisi d'impresa e Insolvenza, 20 giugno 2019, che parla di “eccesso di delega”), essendo evidente il ruolo centrale riacquisito in tale fase dal giudice delegato, al quale è affidata la determinazione delle modalità di liquidazione dei beni, rimessa nell'attuale legge fallimentare al curatore.

La responsabilità del curatore fallimentare nel CCI

Il profilo della responsabilità del curatore viene trattato dall'art. 136 CCI, che sostituisce il vigente art. 38 l.fall.

La nuova disposizione ricalca, nella prima parte del primo comma, quella precedente, per cui “Il curatore adempie ai doveri del proprio ufficio, imposti dalla legge o derivanti dal programma di liquidazione approvato, con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico”.

Viene confermato come limite esterno all'attività del curatore la legge, che ricomprende tutte le normative generali e speciali dell'ordinamento, e come limite interno il programma di liquidazione predisposto dal curatore e sottoposto al vaglio del comitato dei creditori. Parimenti, il canone della diligenza qualificata, richiesta dalla natura dell'incarico, che il curatore è tenuto ad osservare nell'adempimento dei doveri del proprio ufficio, non muta e ciò conferma l'attualità del dibattito in ordine alla natura della diligenza richiesta al curatore fallimentare.

Alcuni Autori (D. FICO, Responsabilità del curatore, in IlFallimentarista 2018, p. 2; V. SALLORENZO, Natura ed elementi costitutivi della responsabilità del curatore fallimentare (anche alla luce delle modifiche apportate dalla l. 6 Agosto 2015 n. 132 ), in IlCaso.it, 2015, pagg. 13-15), già all'indomani delle modifiche apportate dalla legge 6 agosto 2015 n. 132 alla vigente legge fallimentare, evidenziavano che l'art. 38, primo comma, l.fall. riproduceva pressoché fedelmente il contenuto dell'art. 2392, primo comma, c.c. riguardo la responsabilità degli amministratori di società di capitali, ritenendo di estendere alla responsabilità del curatore fallimentare l'elaborazione giurisprudenziale e dottrinale formatasi in tema di azione di responsabilità degli organi societari (cfr. Cass. 22 giugno 2017 n. 15470: “In tema di responsabilità dell'amministratore di una società di capitali (nella specie, per azioni) per i danni cagionati alla società amministrata, l'insindacabilità del merito delle sue scelte di gestione (cd. Business judgement rule) trova un limite nella valutazione di ragionevolezza delle stesse, da compiersi ex ante, secondo i parametri della diligenza alla luce dell' art. 2392 cod. civ. (nel testo applicabile ratione temporis), sia tenendo conto della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta di quel tipo e della diligenza mostrata nell'apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all'operazione da intraprendere”).

Tale orientamento si caratterizza per censurare le scelte gestionali degli amministratori attraverso una valutazione di ragionevolezza delle scelte ex ante, stimando i margini di rischio dell'operazione da intraprendere sulla base dei processi preventivi di verifica di tutti gli elementi di rilievo del caso concreto. Estesi detti principi alla figura del curatore, nella sua veste di amministratore del patrimonio fallimentare, il mancato rispetto di tale modus operandi potrà, nei casi più estremi, determinare la revoca dall'incarico e l'avvio di un'azione di responsabilità (cfr. P. BORTOLUZZI, Il curatore fallimentare: doveri e responsabilità fra presente e futuro, in www.osservatorio-oci.org, p. 8).

Il parallelo tra l'art. 38 l.fall. e l'art. 136 CCI legittima l'interrogativo se tale orientamento appaia appropriato anche con l'entrata in vigore del nuovo codice.

Si ritiene di rispondere positivamente all'interrogativo; i principi innanzi esposti sono stati recepiti all'interno del CCI, che trasfonde il dibattito giuri-dottrinale in diritto positivo. La relazione illustrativa al CCI sub art. 136 conferma che “La diligenza che può pretendersi dal curatore, che deve adempiere ai doveri del proprio ufficio, imposti dalla legge o derivanti dal piano di liquidazione approvato, con la “diligenza richiesta dalla natura dell'incarico”, è la stessa che il codice civile richiede agli amministratori di s.p.a. per i quali l'art. 2932 codice civile prevede che “devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze”.

In merito alla responsabilità del curatore nei confronti del debitore, si segnala un indirizzo giurisprudenziale (Cass. 20.6.2019 n. 16589), secondo il quale la stessa ha natura extracontrattuale (c.d. aquilina); pertanto l'azione, da esercitare dopo la chiusura del fallimento, si prescrive in cinque anni ed implica per il danneggiato l'onere di dimostrare la colpa del danneggiante, il nesso di causalità tra la condotta e l'evento di danno e l'ammontare dello stesso. Al contrario, invece, quella nei confronti del fallimento, avrebbe natura contrattuale. I principi di tale sentenza, pur riferendosi alla normativa attualmente in vigore, dovrebbero valere anche con l'entrata in vigore del nuovo c odice della crisi, considerato che il relativo art. 136 nulla chiarisce in merito.

Il legislatore, inoltre, al primo comma dell'art. 136 CCI ha introdotto l'obbligo di tenuta da parte del curatore di un registro informatico, consultabile dal giudice delegato e da ogni membro del comitato dei creditori e munito di firma digitale e marca temporale, in cui annotare giorno per giorno le operazioni relative alla sua amministrazione, nonché la tenuta della contabilità dell'impresa conformemente alle regole del codice civile e ai principi contabili della specifica attività. Altra novità concerne l'obbligo del curatore di depositare, non più una, ma due relazioni informative, al fine di favorire il più possibile le indagini penali e riportare le notizie acquisite in relazione agli accertamenti compiuti, agli elementi informativi acquisiti circa le cause dell'insolvenza e le relative responsabilità del debitore, ovvero degli organi amministrativi e di controllo della società insolvente. L'art. 130 CCI prevede la redazione, entro trenta giorni dall'apertura della procedura concorsuale, di un'informativa sui primi accertamenti compiuti e sulle notizie acquisite in relazione alle cause dell'insolvenza e alla responsabilità del debitore o degli organi amministrativi della società insolvente; entro 60 giorni dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, una relazione particolareggiata in ordine al tempo e alle cause della crisi e del manifestarsi dell'insolvenza del debitore, sulla diligenza spiegata dal debitore nell'esercizio dell'impresa.

Ad un aumento delle opportunità gestorie offerte al curatore si accompagnano maggiori oneri e responsabilità, a conferma dell'impronta “manageriale” che il legislatore riformatore ha voluto imprimere alla figura del curatore, il quale, della scelta gestoria adottata e della preventiva indagine svolta, dovrà render compiutamente conto anche agli altri organi della procedura. Ci pare che ciò influisca non poco sul canone della diligenza qualificata cui è tenuto il curatore nell'adempimento del proprio incarico, al quale viene richiesta una più elevata professionalità e una spiccata capacità di valorizzazione degli assets aziendali, cui si accompagna un intenso dialogo con l'organo tutorio pubblico.

Invariata sotto il profilo formale la norma sulla responsabilità del curatore, il grado di responsabilizzazione del medesimo appare nettamente acuirsi nella nuova disciplina, con potenziale aumento di richieste di revoca e azioni di responsabilità rispetto all'attuale disciplina.

Riferimenti Normativi

  • Art. 128 Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza
  • Art. 130 Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza
  • Art. 136 Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza
  • Art. 211 Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza
  • Art. 216 Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza
Sommario