Il danno all'immagine cagionato dal dipendente illecitamente assenteista alla p.a. di appartenenza quale autonoma fattispecie di responsabilità amministrativa
09 Giugno 2020
Massima
È costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 76 Cost., l'art. 55-quater, c. 3-quater, secondo, terzo e quarto periodo, del D. Lgs. n. 165/2001, nella parte in cui ha previsto, omettendo di tenere in considerazione i criteri direttivi indicati nella legge di delegazione e finalizzati ad assicurare il mero riordino normativo del procedimento disciplinare, che, nel caso in cui la falsa attestazione della presenza in servizio del pubblico dipendente, assicurata mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, sia accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze, (a) la Procura della Corte dei conti, quando ne ricorrono i presupposti, emette invito a dedurre per danno all'immagine entro 3 mesi dalla conclusione della procedura di licenziamento; (b) l'azione di responsabilità è esercitata entro i 120 giorni successivi alla denuncia senza possibilità di proroga; (c) l'ammontare del danno risarcibile è rimesso alla valutazione equitativa del giudice, anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione, non potendo comunque l'eventuale condanna essere inferiore a 6 mensilità dell'ultimo stipendio in godimento, oltre interessi e spese di giustizia. Il caso
Il Procuratore regionale della Corte dei conti per la Regione Umbria (di qui: PR) citava in giudizio Tizia per sentirla condannare al pagamento di € 20.064,81 in favore del Comune di Assisi, giacché la medesima - nei cui confronti era stato anche aperto un procedimento penale per i reati di truffa aggravata e falso - nella qualità di dipendente dell'Ufficio Turismo del predetto Ente locale aveva falsamente attestato la propria presenza in servizio nei giorni 20, 22, 27 e 29.3.2017, tra le ore 17 e le ore 18. La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale regionale per l'Umbria (di qui: Rimettente), con sentenza non definitiva e contestuale ordinanza di rimessione, da una parte, riteneva fondata l'azione di responsabilità esperita dal PR e, di conseguenza, condannava Tizia sia al pagamento di € 64,81 - somma pari alle retribuzioni indebitamente percepite in assenza della prestazione lavorativa - sia al risarcimento del danno all'immagine arrecato al Comune di Assisi, dall'altra, riservava la quantificazione dell'importo di detta ultima voce di danno all'esito della definizione della questione di legittimità costituzionale (di qui: QLC), avente ad oggetto l'art. 55-quater, c. 3-quater, ultimo periodo, del D. Lgs.n. 165/2001, sollevata in riferimento agli artt.3, 23 e 76 Cost., nonché all'art. 117, c. 1, Cost. in relazione all'art. 6 della CEDU e all'art. 4 del Protocollo n. 7 di detta Convenzione. La questione
Il punto è il seguente: è costituzionalmente legittima la norma finalizzata a far assumere una funzione sanzionatoria alla responsabilità per danno all'immagine da contestarsi al dipendente assenteista? Le soluzioni giuridiche
Oggetto della sentenza in commento è l'accertamento della legittimità costituzionale dell'art. 55-quater, c. 3-ter, ultimo periodo, del D.Lgs. n. 165/2001,introdotto dal legislatore delegato in attuazione dell'art. 17, c. 1, lett. s), della L. n. 124/2015, mediante cui il Parlamento aveva stabilito quale principio e criterio direttivo cui conformare l'esercizio della funzione legislativa delegata l'introduzione di norme finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l'esercizio dell'azione disciplinare nei confronti del dipendente assenteista. Ad avviso del Rimettente la norma in argomento risulta costituzionalmente illegittima sia per violazione dell'art. 76 Cost. per eccesso di potere nell'esercizio della funzione legislativa delegata, in quanto il principio di riordino in materia disciplinare limitava di fatto la discrezionalità del legislatore delegato, sia per violazione dell'art. 3 Cost., anche in combinazione con gli artt. 23 e 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 6 della CEDU e all'art. 4 del Protocollo n. 7, in quanto norme interposte, per violazione dei principi di gradualità e proporzionalità sanzionatoria. Più nel dettaglio, ad avviso del Rimettente, con riferimento all'eccesso di delega, il D. Lgs. delegato non poteva incidere sulla disciplina dell'azione di responsabilità amministrativa né tanto meno poteva, introducendo norme di diritto sostanziale, far assumere ai criteri di computo del danno all'immagine una funzione sanzionatoria, comunque non confondibile, sia funzionalmente che strutturalmente, con il procedimento diretto ad accertare la responsabilità disciplinare che il legislatore delegato aveva posto a oggetto della delega. Ad avviso del Governo, invece, - premesso che il controllo di conformità della norma delegata alla norma delegante richiede un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli: l'uno, relativo alle norme che determinano l'oggetto, i principi e i criteri direttivi indicati dalla delega; l'altro, relativo alle norme poste dal legislatore delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con i principi e i criteri direttivi della delega - le norme delegate costituiscono un coerente sviluppo e un completamento dei principi e dei criteri direttivi impartiti con la legge delega e sono dunque funzionali alla tutela del medesimo bene-valore, il buon andamento della p.a., coessenziale all'esercizio dei poteri e delle funzioni pubbliche. La nuova fattispecie di responsabilità per danno all'immagine cagionato dal dipendente assenteista, dunque, «sebbene non si sovrapponga a quella disciplinare», si sostanzia in una responsabilità, con carattere evidentemente anche sanzionatorio, che “vibra per simpatia” con l'obiettivo sotteso al principio delegante di riordino del procedimento disciplinare, ossia assicurare un “giusto ristoro” per la grave perdita di prestigio della personalità pubblica e per il pregiudizio arrecato dal dipendente assenteista al rapporto di fiducia intercorrente tra cittadini e p.a. Con riferimento, invece, alla violazione dei principi di gradualità e proporzionalità sanzionatoria, secondo il Rimettente la norma è manifestamente irragionevole in quanto obbliga il giudice contabile a infliggere una condanna sanzionatoria, giacché l'obbligatorietà del minimo edittale renderebbe impossibile ogni adeguamento al caso concreto, precludendo l'operatività del principio di proporzionalità della sanzione, che impone l'adeguamento della tipologia e consistenza della misura sanzionatoria al grado, alla natura e al carattere della violazione riscontrata. Sul punto il Governo rigetta la censura muovendo dalla cd. natura mista della responsabilità per danno all'immagine, che presenta sia profili risarcitori che sanzionatori, giacché, da un lato, la finalità anche risarcitoria di tale responsabilità è diretta al ristoro della screditata immagine della p.a. con conseguente danno suscettibile di valutazione economica, dall'altro, la responsabilità amministrativa lato sensu presenta invero una peculiare connotazione data dall'accentuazione dei profili sanzionatori rispetto a quelli risarcitori, con la conseguenza che la responsabilità qui considerata assumere anche natura sanzionatoria e la natura anche punitiva della condanna al risarcimento risulta ragionevole e in armonia con un sistema che guarda all'efficienza dell'azione amministrativa. Osservazioni
La sentenza in commento è degna di nota per aver confermato il già consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale in ordine al rapporto tra legge di delegazione della funzione legislativa approvata dal Parlamento e decreto legislativo delegato adottato dal Governo. La sentenza in rassegna, infatti, pone in evidenza che, a differenza di quanto avvenuto con la l. n. 15/2009, ove il legislatore aveva espressamente delegato il Governo a prevedere, a carico del dipendente responsabile, l'obbligo del risarcimento sia del danno patrimoniale che del danno non patrimoniale all'immagine subìti dalla p.a., tanto non si rinviene nella l. n. 124/2015. Il Giudice delle leggi ritiene dunque fondata e assorbente la censura mossa dal Rimettente relativamente all'eccesso di potere del Governo nell'esercizio della funzione legislativa delegatagli dall'art. 17 della citata legge, ove si prevede unicamente l'introduzione di norme finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo il solo esercizio dell'azione disciplinare, senza che nulla sia indicato in ordine all'azione di responsabilità amministrativa, diversa sia funzionalmente che strutturalmente. In altri termini, il principio di riordino in materia disciplinare limitava di fatto la discrezionalità del legislatore delegato che, eccedendo quel limite, ha introdotto nell'Ordinamento norme non conformi all'art. 76 Cost. A ulteriore sostegno del proprio ragionamento, che descrive come un “corpo estraneo” alla logica del provvedimento legislativo delegante la norma oggetto di QLC, la Consulta rileva, da una parte, come «nella discussione parlamentare la questione della responsabilità amministrativa non risulta essere mai stata oggetto di trattazione», dall'altra, che la norma di delegazione in argomento andava interpretata nell'ambito del più ampio principio di semplificazione della trama legislativa (v. sul punto l'art. 16, c. 2, lett. b) ove, tra i criteri direttivi cui il Governo era tenuto ad attenersi, si indica il «coordinamento formale e sostanziale del testo delle disposizioni legislative vigenti, apportando le modifiche strettamente necessarie per garantire la coerenza giuridica, logica e sistematica della normativa e per adeguare, aggiornare e semplificare il linguaggio normativo; [...]»), lasciando in tal modo al legislatore delegato ridottissimi margini di manovra. Tornando quindi a fare applicazione del proprio orientamento giurisprudenziale consolidato a mente del quale ogni norma di delegazione della funzione legislativa diretta ad assicurare il riordino normativo di una data materia concede un limitato margine di discrezionalità per l'introduzione di soluzioni innovative, la Corte costituzionale afferma che nel caso in argomento il legislatore delegato ha ecceduto i limiti indicati dai princìpi e dai criteri direttivi enunciati dal legislatore delegante. La materia della responsabilità amministrativa e, in particolare, l'innovativa disciplina dei criteri di computazione del danno all'immagine arrecato alla p.a. di appartenenza dal dipendente illecitamente assente dal servizio non può dunque, di tutta evidenza, ritenersi compresa nella finalità di assicurare un sistematico e concreto assetto al procedimento disciplinare da celebrarsi per contrastare i comportamenti assenteistici. Infine, sebbene le censure del Rimettente fossero limitate all'ultimo periodo dell'art. 55-quater, c. 3-quater, del D. Lgs. n. 165/2001, relativo alle sole modalità di stima e quantificazione del danno all'immagine in argomento, la declaratoria di illegittimità costituzionale è estesa dalla Consulta anche al secondo e al terzo periodo dello stesso comma, giacché giudicati funzionalmente inscindibili con quello oggetto di censura, con la conseguenza che alla data di pubblicazione della sentenza ha cessato di avere efficacia tanto l'autonoma fattispecie di responsabilità amministrativa non consentita dalla legge di delegazione quanto i relativi riflessi preprocessuali giuscontabilistici. |