I beni del patrimonio indisponibile di una fondazione irccs possono essere destinati ad usi particolari purché tramite costituzione di rapporto concessorio

11 Giugno 2020

Con la decisione in commento il T.A.R. di Milano ha ritenuto che il negozio intercorso tra la Fondazione Irccs Policlinico San Matteo ed un operatore privato, in ragione delle prestazioni ivi dedotte, non sia qualificabile come un accordo di collaborazione scientifica ex art. 8, comma 5, del D.lgs. n. 16 ottobre 2003, n. 288 bensì debba essere sussunto al novero dei contratti attivi, e precisamente ad una concessione, con conseguente soggezione ai principi comunitari dettati in tema di scelta del contraente privato.

Il caso. Un operatore economico impugnava avanti al T.A.R. di Milano il provvedimento con cui la Fondazione I.R.C.C.S. Policlinico San Matteo aveva accettato la proposta di collaborazione scientifica avanzata da un'altra impresa per la valutazione clinica di test sierologici per la diagnosi dell'infezione da SARS-Cov-2 lamentandone l'illegittimità per violazione delle regole concorrenziali e per aver generato un indebito vantaggio competitivo in favore della proponente.

Le questioni giuridiche. La ricorrente sosteneva che il negozio stipulato tra le resistenti dovesse qualificarsi non come accordo di collaborazione scientifica bensì come contratto a prestazioni corrispettive e lamentava quindi la violazione dei principi relativi all'affidamento dei contratti pubblici poiché la scelta del contraente privato non era avvenuta mediante una procedura competitiva. La dogliante sosteneva inoltre sia la lesione del principio concorrenziale, giacché l'agire gravato avrebbe comportato un indebito vantaggio competitivo a favore della controinteressata, sia la violazione della disciplina sugli aiuti di stato, poiché il contraente privato avrebbe tratto un'utilità economica dall'ente.

La resistente e la controinteressata, costituitesi in giudizio, eccepivano preliminarmente la carenza d'interesse (originaria e sopravvenuta) alla coltivazione del ricorso. In punto di merito sostenevano la legittimità del proprio operato qualificando il negozio come accordo di collaborazione scientifica avente ad oggetto la valutazione clinica di prodotti già completi e funzionale all'ottenimento della marcatura CE.

Il quadro normativo. Preliminarmente è d'uopo una sintetica disamina del quadro normativo relativo ai contratti pubblici attivi, ai principi concorrenziali comunitari ed alla disciplina delle fondazioni Irccs sulla scorta anche dei richiami contenuti nella sentenza in commento.

In primo luogo, occorre richiamare la notadistinzionetra contratti attivi e passivi dell'amministrazione, rispettivamente recanti un'entrata ovvero un esborso per il soggetto pubblico.

Rispetto ai primi l'art. 4 del D.lgs. n. 50/2016 prevede che “L'affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, dei contratti attivi, esclusi, in tutto o in parte, dall'ambito di applicazione oggettiva del presente codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell'ambiente ed efficienza energetica”.

In punto di principi informatori l'attività contrattuale pubblica la sentenza in esame ha ricordato che la consolidata elaborazione pretoria, tanto comunitaria quanto nazionale, ha da tempo sancito sia la loro portata generale sia la doverosa applicabilità ad ogni negozio idoneo a “suscitare l'interesse concorrenziale delle imprese e dei professionisti”.

Riguardo alla predetta portata il Collegio ha inoltre evidenziato che “la pacifica circostanza che le direttive comunitarie in materia di appalti siano attuative dell'art. 81 del Trattato porta a ritenere che le norme da esse poste siano puramente applicative, con riferimento a determinati appalti, di principi generali, che, essendo sanciti in modo universale dal Trattato, sono valevoli anche per contratti e fattispecie diverse da quelle concretamente contemplate e da ciò deriva l'immediata operatività dei principi anche con riferimento alle concessioni di beni di rilevanza economica”.

Quanto, infine, alla disciplina delle fondazioni Irccs, prevista dal D.lgs. 16 ottobre 2003, n. 288 (“Riordino della disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, a norma dell'articolo 42, comma 1, della legge 16 gennaio 2003, n. 3”), preme evidenziare il disposto degli articoli 8 e 9.

L'articolo 8 regola l'attività di ricerca e assistenza delle fondazioni e disciplina, al quinto comma, gli accordi di ricerca con soggetti pubblici o privati.

Posta infatti la consapevolezza del legislatore circa il fatto che “la ricerca svolta dagli Istituti Irccs sfocia in risultati che possono essere industrializzati” la previsione de qua consente a tali enti di “dare vita a forme di collaborazione anche con soggetti privati, finalizzate all'industrializzazione dei risultati della ricerca svolta dagli Istituti stessi.”.

In particolare, la norma fissa lo scopo di tali accordi (“Al fine di trasferire i risultati della ricerca in ambito industriale e salvaguardando comunque la finalità pubblica della ricerca, le istituzioni e gli enti disciplinate dal presente decreto legislativo possono stipulare accordi e convenzioni, costituire e/o partecipare a consorzi, società di persone o di capitali, con soggetti pubblici e privati di cui sia accertata la qualificazione e l'idoneità.”) e richiede la regolazione degli aspetti economici (“I predetti rapporti devono disciplinare: a) le modalità di distribuzione dei profitti connessi alla eventuale brevettazione dei risultati ed al loro sfruttamento, vincolandone in ogni caso la destinazione al finanziamento delle attività istituzionali; b) adeguate regole di trasparenza dei flussi finanziari, con obblighi di rendicontazione; c) obiettivi e tempi certi per il loro raggiungimento; d) idonee modalità di informazione, verifica e controllo dell'andamento del programma da parte degli organi di indirizzo e degli organi di gestione.”), senza tuttavia dettare una disciplina puntuale, poiché “il risultato della ricerca può essere brevettabile e ciò ha immediati risvolti economici e finanziari”.

L'articolo 9 (“Le Fondazioni IRCCS e gli Istituti non trasformati possono esercitare attività diverse da quelle istituzionali, purché compatibili con le finalità di cui all'articolo 1, per le quali possono stipulare accordi e convenzioni, costituire e/o partecipare a consorzi e società di persone o di capitali con soggetti pubblici e privati, scelti nel rispetto della normativa nazionale e comunitaria.”) consente alle fondazioni di svolgere attività ulteriori rispetto a quelle istituzionali, purché compatibili con queste ultime (limite interno), concedendo loro di stipulare accordi o convenzioni anche con soggetti privati purché la scelta del contraente avvenga nel rispetto della normativa nazionale o comunitaria (limite esterno).

La sentenza in commento, al riguardo, ha evidenziato come la norma in parola si ponga in continuità rispetto ai principi comunitari che regolano la concorrenza (“I principi indicati trovano puntuale corrispondenza nel già citato art. 9 del d.l.vo 2003 n. 288, che, riconoscendo alle Fondazioni Irccs un'ampia capacità negoziale, anche per l'esecuzione di prestazioni diverse da quelle istituzionali in senso stretto, impone che la controparte negoziale sia individuata nel rispetto della normativa nazionale e comunitaria, che comprende anche i suindicati principi del Trattato, con conseguente necessità di attivare una procedura, che consenta il confronto competitivo tra i diversi operatori del settore.”).

La decisione. Nel dirimere la controversia il Collegio ha anzitutto rigettato le eccezioni di rito formulate dalla resistente e dalla controinteressata da un lato riconoscendo l'interesse della ricorrente a contestare l'affidamento de quo in quanto operatore economico del settore oggetto del negozio e, dall'altro, stabilendo l'irrilevanza sia della possibilità di proporre all'ente analoghi accordi sia del fatto che i kit diagnostici de quibus avessero già ottenuto la marcatura CE.

In punto di merito i Giudici, dopo aver riassunto la disciplina dell'art. 8 del d.lgs. n. 288/2003, hanno dapprima analizzato il contenuto dell'accordo controverso onde verificare se fosse o meno riconducibile alla disposizione citata.

Dall'analisi complessiva dell'assetto negoziale, svolta tramite i canoni ermeneutici fissati agli artt. 1362 e 1363 c.c., il T.A.R. ha ritenuto che l'accordo non riguardasse la sola valutazione di un prodotto bensì comprendesse una collaborazione scientifica volta anche allo sviluppo di uno nuovo (“Le clausole contrattuali, interpretate nella loro reciproca correlazione, palesano l'intenzione dei contraenti di dar vita ad un rapporto negoziale diretto non solo all'esecuzione di attività di testazione, ma, in primo luogo, alla creazione di prodotti nuovi, partendo da prototipi non ancora compiutamente definiti, nonché all'individuazione delle prestazioni diagnostiche conseguibili con “sviluppandi” kit sierologici e molecolari; kit non ancora esistenti, ma da approntare sulla base delle attività di ricerca e sperimentazione affidate al Policlinico San Matteo, anche per quanto attiene all'elaborazione di test specifici.”).

Donde ha escluso che tale accordo fosse sussumibile all'alveo dell'invocata disposizione (“La Fondazione Irccs è legittimata, ex art. 8, comma 5, cit. ad avvalersi di altri soggetti per industrializzare i risultati della sua ricerca scientifica, svolta come attività istituzionale, ma, tramite questo tipo di accordi, non pone la sua struttura e le sue capacità a disposizione di un particolare soggetto privato, per consentirgli di conseguire risultati scientifici che resteranno nell'esclusiva disponibilità del privato, anche per ciò che attiene alla proprietà e alla titolarità dei brevetti.”).

Respinta quindi la qualificazione invocata dalle resistenti, il Collegio ha indagato la natura del negozio controverso giudicandolo anzitutto un contratto attivo in base al suo contenuto oggettivo, tale per cui l'ente si sarebbe obbligato a eseguire delle prestazioni in favore del privato a fronte di un corrispettivo (“con tale contratto l'amministrazione ha posto a favore di un particolare operatore economico privato una specifica utilità, fornita direttamente dall'amministrazione e consistente nel complesso di beni, materiali ed immateriali, necessari per raggiungere gli obiettivi dell'accordo… siffatta operazione non si sostanzia nell'esercizio in senso stretto delle funzioni istituzionali della Fondazione Irccs … si tratta di una convenzione con la quale l'amministrazione si è obbligata ad effettuare prestazioni di diverso contenuto, tese alla creazione di prodotti nuovi da riservare alla disponibilità esclusiva del privato”).

Proseguendo nell'indagine il T.A.R. ha da un lato richiamato l'onere imposto dall'ordinamento, tanto nazionale quanto comunitario, agli organismi di diritto pubblico di selezionare il contraente privato tramite procedure trasparenti e non discriminatorie ogni qual volta offrano “sul mercato un bene o un'utilità, o un complesso di beni e utilità, nella sua esclusiva disponibilità, che si traducano in un'occasione di guadagno per gli operatori economici e che, pertanto, devono essere assegnati sulla base di procedure competitive, che garantiscano la tutela della concorrenza, la parità di trattamento tra gli operatori stessi e la non discriminazione.” e, dall'altro, la natura di soggetti pubblici delle fondazioni in esame (“la trasformazione degli Irccs in Fondazioni ha innescato una privatizzazione solo formale, che consente all'ente di perseguire le proprie finalità istituzionali mediante un'attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato, senza alterare, come chiarito dalla Corte, la natura propria di soggetto pubblico, chiamato a svolgere un pubblico servizio e una pubblica funzione, integrati da attività assistenziali di ricovero e cura degli infermi e da ricerca scientifica bio-medica”) con i conseguenti riflessi circa il regime di disponibilità dei loro beni a norma degli artt. 830 e 828 c.c.

Posto quindi che i beni del patrimonio indisponibile (“I beni destinati al perseguimento dei fini istituzionali – fini consistenti, riassuntivamente, nelle attività assistenziali di ricovero e cura degli infermi, oltre che di ricerca scientifica bio-medica (cfr. Corte Cost. 2006 n. 422) - comprendono gli strumenti, le apparecchiature, i laboratori, i materiali impiegati, le conoscenze scientifiche, le tecnologie, le professionalità di cui l'Ente dispone e che deve riservare al raggiungimento dei suoi scopi istituzionali.”) possono essere destinati a funzioni particolari, coerenti con quelle istituzionali dell'ente, tramite un rapporto concessorio “caratterizzato dalla disciplina pubblicistica dei profili che attengono, tanto alla gestione dei beni e all'individuazione della loro concreta destinazione, con i relativi limiti, quanto all'individuazione della controparte in favore della quale i beni vengono messi a disposizione” e che nella vicenda controversa i beni “funzionalizzati al servizio pubblico istituzionalmente svolto dalla Fondazione … non vengono utilizzati per questo fine, ma per soddisfare un interesse particolare … consistente nello sviluppo e nella realizzazione di prodotti” di cui il contraente privato otterrà “la proprietà esclusiva, conservando il diritto di brevettare le invenzioni realizzate e di procedere alla relativa commercializzazione.” il Collegio ha qualificato il contratto oggetto del contendere come concessione (“l'accordo si pone al centro di un rapporto che, complessivamente inteso, assume una struttura trilaterale, come è tipico di ogni concessione, coinvolgendo l'amministrazione, il soggetto privato cui viene assegnata una determinata utilità e gli utilizzatori finali, ossia coloro che acquisteranno i prodotti creati in esecuzione dell'accordo e pacificamente destinati alla venditatanto la determina … quanto l'accordo in contestazione integrano, congiuntamente, gli atti genetici e disciplinatori del particolare rapporto concessorio, la cui natura resta tale in ragione dell'oggetto e del contenuto del complesso rapporto instaurato, al di là della qualificazione in termini meramente negoziali svolta dalle parti”), con conseguente ingresso dei principi comunitari (tra cui quelli di concorrenza, trasparenza e pubblicità).

Riaffermando quindi il postulato per cui “I principi comunitari non possono essere elusi attraverso l'utilizzo di moduli convenzionali che, al di fuori del necessario confronto competitivo e della necessaria apertura al mercato, abbiano l'effetto di attribuire ad un operatore determinato una particolare utilità, formata da un complesso di beni sottoposto a vincolo di indisponibilità”, l'indifferenza dell'ordinamento comunitario rispetto al nomen iuris attribuito al singolo negozio (dalla normativa nazionale ovvero dai contraenti) con la conseguente necessità “di applicare i principi comunitari alle concessioni di beni indisponibili di rilevanza economica, trattandosi di un modello di organizzazione e gestione del bene pubblico che comporta un'occasione di guadagno per i soggetti operanti sul mercato” e l'inapplicabilità all'operazione attiva delle disposizioni previste dal D.lgs. n. 50/2016, fermo il rinvio ai principi comunitari stabilito all'art. 4, il T.A.R. ha accolto le doglianze del ricorrente relative tanto alla violazione dei principi regolanti l'affidamento dei contratti pubblici, ancorché attivi (“Ne consegue la fondatezza delle censure con le quali si lamenta che il contratto è stato affidato in violazione dei principi interni e comunitari, a mente dei quali i rapporti di cui si tratta, ancorché attivi per l'amministrazione, devono essere affidati sulla base di una procedura coerente con i principi di trasparenza, proporzionalità, pubblicità, imparzialità, parità di trattamento che sostanziano il proprium delle procedure ad evidenza pubblica; principi del tutto disattesi nel caso di specie.”), quanto all'alterazione della concorrenza così ingenerata (“Mediante l'accordo, il Policlinico ha consentito ad un particolare operatore economico, scelto senza il rispetto di alcuna procedura ad evidenza pubblica, ancorché non tipizzata, di conseguire un nuovo prodotto, che rimane nell'esclusiva disponibilità e commerciabilità dell'operatore stesso” acquisendo “un illegittimo vantaggio competitivo rispetto agli operatori del medesimo settore, perché ha potuto contare in modo esclusivo sul determinante apporto di mezzi, strutture, laboratori, professionalità, tecnologie e conoscenze scientifiche messe a sua esclusiva disposizione dalla Fondazione.”).

Infine, il Giudicante ha ritenuto che nel casus belli sussistessero i presupposti per la trasmissione degli atti alla Procura presso la Corte dei Conti.

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