Permessi premio: il termine per reclamare passa da (sole) 24 ore a 15 giorni dalla comunicazione del provvedimento
15 Giugno 2020
Va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 30-ter, comma 7, ord. penit., nella parte in cui prevede, mediante rinvio al precedente art. 30-bis, che il provvedimento relativo ai permessi premio è soggetto a reclamo al tribunale di sorveglianza entro ventiquattro ore dalla sua comunicazione, anziché prevedere a tal fine il termine di quindici giorni.
Finalmente! Dopo avere atteso, invano, un intervento del legislatore per un quarto di secolo, la Corte Costituzionale, riprendendo l'impalcatura della sentenza n. 235/1996, conferma l'illegittimità costituzionale della norma che concede un termine troppo breve – di appena 24 ore – per proporre reclamo dalla comunicazione del provvedimento in tema di permesso premio, in chiara violazione del diritto di difesa e del percorso rieducativo.
Precedente mancanza dei tertia comparationis… L'unica differenza è che nel 1996 la Consulta si era dovuta arrestare ad una pronuncia di inammissibilità delle questioni prospettate (non riuscendo a rintracciare nell'ordinamento una soluzione costituzionalmente obbligata che potesse consentire di porre rimedio alla pur riscontrata brevità del termine per reclamare), per non intaccare la sfera della discrezionalità legislativa. All'epoca, i tertia comparationis additati dal giudice a quo (il termine di dieci giorni, di cui all'art. 14-ter ord. pen., previsto per il reclamo avverso il provvedimento che dispone o proroga il regime di sorveglianza particolare o di quindici giorni concernente l'impugnazione dei provvedimenti del giudice, secondo la regolamentazione apprestata dal codice di procedura penale) risultavano così disomogenei da non consentire alcuna possibilità di adattamento all'istituto in esame.
… e il monito al legislatore di intervenire “rapidamente”. Concludeva quindi la sentenza n. 235/1996: «Sarà compito del legislatore provvedere, quanto più rapidamente, alla fissazione di un nuovo termine che contemperi la tutela del diritto di difesa con le esigenze di speditezza della procedura». Ma la rapidità, storicamente si sa, non è una virtù del nostro legislatore.
Soluzione idonea anche se non l'unica costituzionalmente obbligata. Tale termine costituisce una soluzione già esistente nel sistema che si presta ad essere estesa al reclamo avverso i provvedimenti del magistrato di sorveglianza concernenti i permessi premio, da presentare parimenti al tribunale di sorveglianza. La Corte costituzionale è consapevole che – come rilevato dal giudice a quo (Cass. pen., Sez. I, n. 45976/2019) – questa non è l'unica soluzione costituzionalmente obbligata ma, allo stato, quella più ragionevole. Ovviamente, una volta ripristinata la legalità costituzionale del termine finora eccessivamente breve, all'interno del perimetro delle scelte discrezionali riservate esclusivamente al legislatore, la Consulta ricorda che quest'ultimo può individuare altro termine, se ritenuto più congruo, per lo specifico reclamo de quo.
Dal permesso di necessità... Tuttavia, il legislatore dovrà tenere conto dei parametri costituzionali che si sono frapposti alla disciplina colpita dalla decisione n. 113/2020. Ripercorrendo la storia di una normativa divenuta successivamente incostituzionale, i giudici delle leggi ricordano che l'istituto del permesso premio venne introdotto dalla c.d. legge Gozzini n. 663/1986. All'epoca era presente, quando nel 1975 venne alla luce la riforma dell'ordinamento penitenziario, solo il permesso di necessità. Fu la l. n. 450/1977 a disciplinarne il procedimento applicativo, introducendo l'art. 30-bis ord. penit., stabilendo al comma 3 che il detenuto e il pubblico ministero possono, entro ventiquattro ore dalla comunicazione del provvedimento dell'ufficio di sorveglianza, proporre reclamo al magistrato di sorveglianza.
… al permesso premio. La legge Gozzini, all'interno dell'introdotto art. 30-ter ord. penit. previde nell'oggi censurato comma 7 che il provvedimento relativo ai permessi premio è reclamabile sempre dinanzi al tribunale di sorveglianza «secondo le procedure di cui all'art. 30-bis». Allineando le disciplina sul gravame in materia dei due permessi (di necessità e premio), il termine per impugnare è dunque per entrambi di 24 ore dalla loro comunicazione.
Termine divenuto incostituzionale con l'avvento del codice di procedura penale. I giudici a quo di Cassazione ricordano che all'epoca dell'introduzione dell'art. 30-bis l'impugnazione si proponeva con mera dichiarazione, mentre i motivi dell'impugnazione, pur potendo essere contestualmente enunciati, dovevano essere presentati per iscritto entro un termine diverso e più ampio. La disciplina delle impugnazioni del ‘nuovo' codice di rito penale del 1988, considerata dal diritto vivente applicabile anche al procedimento per reclamo avverso le decisioni sui permessi premio, impone ora, a pena di inammissibilità, l'articolazione di specifici motivi già nella dichiarazione di gravame (orientamento pacifico a partire da Sez. I, n. 2593/1999, Arrigo).
I paletti di (in)costituzionalità: violazione del diritto di difesa... Ecco che tale termine – come scrive la penna sempre brillante del redattore Viganò – finisce per pregiudicare l'effettività del diritto di difesa ex art. 24 Cost., anche in relazione all'oggettiva difficoltà per il detenuto di ottenere in un così breve lasso di tempo l'assistenza tecnica di un difensore. Non solo: anche nei casi in cui il detenuto abbia nominato un difensore di fiducia, questi aveva solo 24 ore per proporre reclamo avverso il diniego del permesso premio, pertanto l'impugnazione veniva prevista alla cieca non avendo il legale il tempo di visionare il fascicolo procedimentale.
… e del percorso rieducativo del condannato. Per i Giudici delle leggi la fissazione di un termine così breve suscita dubbi di ragionevolezza considerato che il permesso premio si inserisce nell'ottica rieducativa, rappresentando spesso il primo fondamentale step per il successivo accesso alle misure alternative alla detenzione. Per tali ragioni il permesso premio è “cruciale ai fini del trattamento”, di cui la Consulta ne ha sempre riconosciuto la “funzione pedagogica-propulsiva”, che permette l'osservazione da parte degli operatori penitenziari degli effetti sul condannato del temporaneo ritorno in libertà (ciò anche, a fortiori, per i detenuti sottoposti al regime trattamentale differenziato, soprattutto dopo le storiche aperture della sentenza della Corte Cost., n. 253/2019). Essendo pertanto il permesso premio la prima finestra extramuraria del sentiero rieducativo, tale ostacolo temporale alla possibilità di far valere efficacemente le proprie ragioni avverso eventuali dinieghi determinano un indebito ostacolo alla funzione rieducativa della pena che trova presidio e tutela nell'art. 27, comma 3, Cost.
Sull'irragionevolezza dell'allineamento dello stesso termine per impugnare del permesso di necessità. La Consulta ribadisce che la fissazione di un identico termine per il reclamo nei confronti dei provvedimenti concernenti i permessi di necessità ed il reclamo nei confronti dei provvedimenti concernenti i permessi premio si riveli non ragionevole, rispondendo ciascuno dei due provvedimenti reclamati a presupposti e finalità diverse. Infatti, mentre per il permesso di necessità la brevità del termine è correlata, nell'ottica del legislatore, alla situazione di urgenza allegata dall'interessato a fondamento della propria richiesta, tali ragioni di urgenza non sussistono nei reclami contro la decisione sui permessi premio.
Trovato il tertium comparationis. A differenza del 1996, oggi la Corte costituzionale trova un tertium comparationis: quello introdotto dalla normativa svuota carceri del 2013 per eliminare le carenze normative strutturali rilevata dalle Corte EDU nella sentenza Torregiani contro Italia: vale a dire il reclamo ex art. 35-bis ord. penit., finalmente normativizzato dopo quasi 15 anni dalla storica sentenza n. 26 del 1999 sul riconoscimento della tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti e in occasione dello specifico rimedio, introdotto nel successivo art. 35-ter, per la detenzioni disumane e degradanti in violazione dell'art. 3 CEDU. In effetti, il reclamo giurisdizionale descritto dall'art. 35-bis ord. penit. è rimedio ampio e generale ed il termine di quindici giorni (previsto dal comma 4) si sposa ad essere ritagliato anche nel caso dei permessi premio. In verità il legislatore, in un'ottica de iure condendo, potrebbe adottare il termine di dieci giorni previsto per il reclamo in materia di liberazione anticipata (che si inserisce anch'essa nell'ottica del percorso rieducativo ed è decisa in prima battuta senza contraddittorio dal magistrato di sorveglianza.
… ma il termine di 24 ore è troppo breve anche per i permessi di necessità. Pur condividendo le ragioni dell'irragionevolezza della disciplina censurata in ordine ai due permessi, chiaramente ispirati a ragioni profondamente differenti (umanitarie quello di necessità, trattamentali-rieducativa quello, per l'appunto, “premio”), anche il termine per contrastare decisioni negative sui permessi di necessità sembra essere troppo breve. A parte che anche nel 1996, la Corte costituzionale definita appena “accettabile” tale termine per questi ultimi, è evidente che il percorso dei pieno riconoscimento e della tutela giurisdizionale dei diritti del detenuto (che, come detto, dopo la storica sentenza n. 26/1999 della Consulta e il percorso normativo conclusosi proprio con il d.l. n. 146/2013 e il reclamo ex art. 35-bis da cui viene proprio mutuato il termine di quindici giorni per reclamare da adesso in poi i provvedimenti in materia di permessi premio), poiché il permesso di necessità è legato proprio all'esigenza di tutelare diritti fondamentali del detenuto, quali ad esempio il rispetto della vita familiare (che trova tutela, oltre che in sede costituzionale, nell'art. 8 CEDU), l'eventuale violazione di tali diritti, reclamabile in sole 24 ore, rischia di non presentarsi come rimedio effettivo, ai sensi dell'art. 13 CEDU.
Scenari futuri: rivedere la giurisprudenza sulla mancata sospensione feriale. L'allungamento del termine per proporre reclamo in tema di permessi premio porterà presumibilmente alla rivisitazione dell'orientamento di legittimità che esclude la sospensione feriale dei termini in materia di permessi (da ultimo, Sez. I, 45736/2019) anche in ragione della “natura” del termine per impugnare. Si dice in Cassazione che la scelta legislativa di prevedere un termine a ore non sottende solo ragioni di urgenza ma è giustificata dalla necessità di renderlo insensibile agli eventi processuali normalmente in grado di incidere sulla sua decorrenza, come la sospensione, l'interruzione o la proroga. Alla luce della decisione n. 113/2020 della Corte costituzionale, qui in commento, e del prolungamento del termine a quindici giorni, non è più rinvenibile una struttura incompatibile del gravame avverso i provvedimenti in tema di permessi premio e il regime di sospensione processuale feriale. |