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Impugnazioni (Disposizioni generali)

Renato Bricchetti
16 Giugno 2020

Le impugnazioni sono i mezzi mediante i quali le parti sollecitano il controllo di un giudice su un provvedimento adottato da un altro giudice. Possono comportare o no il passaggio del procedimento ad altro successivo grado: nel primo caso sono dette devolutive (es. appello o ricorso per cassazione); nel secondo, non devolutive (es. revisione). Impugnazioni ordinarie sono quelle (es. appello o ricorso per cassazione) proponibili avverso decisioni non ancora irrevocabili; impugnazioni straordinarie sono quelle proponibili contro decisioni ormai irrevocabili (es. revisione).
Inquadramento

Il titolo I del Libro IX del codice di procedura penale (artt. 568 – 592) contiene le disposizioni generali sulle impugnazioni.

Non costituiscono, tuttavia, oggetto del presente scritto né le disposizioni dedicate alla forma, presentazione, spedizione, notificazione delle impugnazioni (artt. 581 – 584) e le disposizioni in tema di termini dell'impugnazione (art. 585), né le disposizioni speciali sulle impugnazioni relative al procedimento davanti al giudice di pace contenute negli artt. 36 - 39-bis del d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274.

Quanto seguirà intende offrire una descrizione essenziale delle disposizioni generali riguardanti le impugnazioni, aderente al dettato normativo e all'interpretazione datane, in particolare, dalle Sezioni unite della Corte di cassazione e dalla Corte costituzionale.

Regole generali (art. 568)

LETTURE SUGGERITE

MARANDOLA A., Le disposizioni generali. I Regole generali, in Le impugnazioni, Trattato di procedura penale diretto da G. SPANGHER, vol. V, Torino 2009, 2 ss.; IASEVOLI C., Il sistema delle impugnazioni e il provvedimento abnorme, in Le impugnazioni penali, a cura di G. CANZIO – R. BRICCHETTI, Milano 2019, p. 23 ss.

Le impugnazioni sono i mezzi mediante i quali le parti sollecitano il controllo di un giudice su un provvedimento adottato da un altro giudice.

Possono comportare o no il passaggio del procedimento ad altro successivo grado: nel primo caso sono dette devolutive (es. appello o ricorso per cassazione); nel secondo, non devolutive (es. revisione).

Impugnazioni ordinarie sono quelle (es. appello o ricorso per cassazione) proponibili avverso decisioni non ancora irrevocabili; impugnazioni straordinarie sono quelle proponibili contro decisioni ormai irrevocabili (es. revisione).

L'art. 568, nei sei commi di cui si compone, fissa il principio di tassatività con riguardo ai casi e ai mezzi di impugnazione (commi 1 e 2), nonché ai soggetti titolari del diritto di impugnazione (comma 3) e detta regole generali in tema di interesse a impugnare (commi 4 e 4-bis) e di qualificazione delle impugnazioni (comma 5).

In evidenza

Il principio di tassatività, sancito dall'art. 568, disciplina non solo "i casi nei quali i provvedimenti del giudice sono soggetti a impugnazione e ... il mezzo con cui possono essere impugnati" ma anche i soggetti cui è espressamente conferito dalla legge il diritto di impugnazione (Cass. pen., Sez. Unite. 19 gennaio 2000, n. 3, p.m. in proc. Zurlo)

1. Principio di tassatività delle impugnazioni (art. 568, commi 1-2)

Il principio di tassatività delle impugnazioni è espresso dall'art. 568, comma 1: solo la legge può stabilire i casi nei quali i provvedimenti del giudice sono soggetti a impugnazione.

L'impugnazione è inammissibile quando il provvedimento non è impugnabile (art. 591, comma 1 lett. b).

I provvedimenti con i quali il giudice decide sulla libertà personale e le sentenze, se non altrimenti impugnabili, sono comunque sempre soggetti a ricorso per cassazione (art. 568, comma 2), come già sancito dall'art. 111.7 Cost. che limita la ricorribilità alla “violazione di legge”.

Qualora il ricorso per cassazione sia ammesso solo per violazione di legge, sostanziale (art. 606, comma 1, lett. b) o processuale (art. 606, comma 1, lett. c), non è deducibile il vizio di motivazione (art. 606, comma 1, lett. e), come non lo è la mancata assunzione di prova decisiva (art. 606, comma 1, lett. d), ma è comunque deducibile la mancanza o la mera apparenza della motivazione, atteso che in tal caso si prospetta la violazione dell'art. 125, comma 3, disposizione che impone l'obbligo della motivazione nei provvedimenti giurisdizionali (Cass. S.U. 28 maggio 2003, n. 25080, Pellegrino; Cass.S.U.,28 gennaio 2004, n. 5876, p.c. Ferazzi in proc. Bevilacqua).

ESEMPI

Condanna alla rifusione delle spese di parte civile (contenuta in sentenza di applicazione concordata delle pena)

È ricorribile per cassazione la sentenza di patteggiamento nella parte relativa alla condanna alla rifusione delle spese di parte civile, in particolare per quanto attiene alla legalità della somma liquidata e all'esistenza di una corretta motivazione sul punto, una volta che sulla relativa richiesta, proposta all'udienza di discussione, nulla sia stato eccepito (Cass. S.U. 14 luglio 2011, n. 40288, Tizzi)

Sentenza d'appello che dichiara la nullità di quella di primo grado

È ammissibile il ricorso per cassazione del Procuratore Generale proposto avverso la sentenza con la quale il giudice d'appello abbia dichiarato la nullità di quella di primo grado e rinviato gli atti al Tribunale per il nuovo giudizio (Cass. S.U. 25 giugno 2009, n. 29529, P.G. in proc. De Marino)

Sono, invece, inoppugnabili le sentenze sulla competenza, che hanno carattere meramente processuale e non definitorio del procedimento e che possono dare luogo a un conflitto di giurisdizione o di competenza a norma dell'art. 28 (art. 568, comma 2).

La legge - come si è detto - determina anche il mezzo con cui i provvedimenti possono essere impugnati. Sul tema si tornerà più avanti, trattando della qualificazione data all'impugnazione dalla parte che l'ha proposta (art. 568, comma 5).

2. Provvedimento abnorme

Un correttivo al principio della tassatività dei mezzi di impugnazione è rappresentato dalla creazione, risultato di una lunga elaborazione giurisprudenziale, della categoria del provvedimento abnorme contro il quale si è inteso apprestare il rimedio del ricorso per cessazione(v., ex plurimis, Cass. S.U. 9 luglio 1997, n. 11, p.m. in proc. Quarantelli; nello stesso senso, ex plurimis, Cass. S.U. 10.12.1997, n. 17/98, Di Battista; Cass. S.U. 24 novembre 1999, n. 26/00, Magnani; Cass. S.U. 20 dicembre 2007, n. 5307/08, p.m. in proc. Battistella; Cass. S.U. 25 marzo 2010, n. 21243, P.G. in proc. Zedda; Cass. S.U. 18 gennaio 2018, n. 20569, P.).

In evidenza

Si è soliti distinguere l'abnormità di un provvedimento in strutturale (o genetica) e funzionale. Si ha abnormità strutturale nel caso di esercizio da parte del giudice di un potere non attribuitogli dall'ordinamento processuale (carenza di potere in astratto) ovvero di deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale nel senso di esercizio di un potere previsto dall'ordinamento, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e cioè completamente al di fuori dei casi consentiti, perché al di là di ogni ragionevole limite (carenza di potere in concreto); l'abnormità funzionale è, invece, riscontrabile nel caso di stasi del processo e di impossibilità di proseguirlo, in particolare nell'ipotesi in cui il provvedimento imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo rilevabile nel corso futuro del procedimento o del processo (Cass. S.U. 26 marzo 2009, n. 25957, p.m. in proc. Toni)

3. Principio di tassatività con riguardo ai soggetti titolari (art. 568, comma 3)

Quanto al principio di tassatività con riguardo ai soggetti titolari, il diritto di impugnazione spetta soltanto a colui al quale la legge espressamente lo conferisce e, se la legge non distingue tra le diverse parti, spetta a ciascuna di esse (art. 568, comma 3).

L'impugnazione è inammissibile anche quando è proposta da chi non è legittimato (art. 591, comma 1 lett. a).

4. Interesse a impugnare (art. 568, commi 4-4-bis)

Il soggetto legittimato a proporre impugnazione deve necessariamente avervi interesse (art. 568, comma 4). E l'impugnazione è inammissibile quando è proposta da chi non ha interesse (art. 591, comma 1, lett. a).

Accanto alla legittimazione a impugnare deve, dunque, sussistere, sulla base di una evidente ragione di economia processuale, quale ulteriore condizione di ammissibilità (Cass. S.U. 27 ottobre 2011, n. 6624/12, Marinaj), anche l'interesse a proporre l'impugnazione.

L'interesse a impugnare costituisce un elemento del diritto di impugnazione, non il contenuto dell'impugnazione, che deve essere necessariamente indicato sotto forma di enunciazione di uno specifico motivo (Cass. S.U. 12 ottobre 1993, n. 10127, Biscione).

Come la giurisprudenza ha più volte chiarito, l'interesse deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare.

L'interesse si ha, in altre parole, solo se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l'eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione immediata pratica più vantaggiosa per l'impugnante rispetto a quella esistente (Cass. S.U. 19 gennaio 2000, n. 1, Tuzzolino; Cass. S.U. 13 dicembre 1995, n. 42/96, Timpani; Cass. S.U. 27 settembre 1995, n. 10372, Serafino; Cass. S.U. 16 marzo 1994, n. 6563, Rusconi).

L'interesse a impugnare deve presentare i caratteri della concretezza e dell'attualità (Cass. S.U. 25 giugno 1997, n. 7, Chiappetta; Cass. S.U. 25 gennaio 2005, n. 4419, Gioia).

Sebbene non possa essere confinato nell'area dei soli pregiudizi penali derivanti dal provvedimento, l'interesse all'impugnazione non può consistere nella mera aspirazione alla correzione di un errore di diritto contenuto nella sentenza impugnata (Cass. S.U. 29 maggio 2008, n. 40049, Guerra) o al conseguimento di una pronuncia dalla cui motivazione siano rimosse tutte quelle parti che possono essere ritenute pregiudizievoli, perché esplicative di perplessità (Cass. S.U. 23 novembre 1995, n. 2110/96, P.G. in proc. Fachini).

La valutazione dell'interesse a impugnare va operata con riferimento alla prospettazione rappresentata nel mezzo di impugnazione e non alla effettiva fondatezza della pretesa azionata (Cass. S.U. 28 marzo 2019, n. 28911, p.c. Massaria in proc. Papaleo).

L'interesse deve persistere fino al momento della decisione perché questa possa potenzialmente avere una effettiva incidenza di vantaggio sulla situazione giuridica devoluta alla verifica del giudice dell'impugnazione (Cass. SU 27 settembre 1995, n. 10372, Serafino).

L'interesse può, tuttavia, venire meno dopo la proposizione dell'atto di impugnazione e prima della decisione; può venirne meno l'attualità a causa della mutata situazione di fatto o di diritto intervenuta medio tempore, che assorbe e supera la finalità perseguita dall'impugnante, vuoi perché la stessa ha già trovato concreta attuazione (si pensi al ricorso per cassazione contro il provvedimento del tribunale del riesame che abbia confermato l'ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere qualora la stessa, nelle more del giudizio, sia stata revocata e l'imputato sia stato rimesso in libertà: Cass. S.U. 25 giugno 1997, n. 7, Chiappetta, che ha peraltro individuato l'eccezione indicata nella tabella sottostante), vuoi perché ha perso ogni rilevanza (si pensi, in tema di scadenza dei termini di durata massima della custodia cautelare in carcere, alla intervenuta sentenza di condanna irrevocabile a pena detentiva superiore al presofferto: Cass. S.U. 27 ottobre 2011, n. 6624/12, Marinaj).

In caso di carenza d'interesse sopraggiunta alla proposizione del ricorso, la dichiarazione di inammissibilità non sarà seguita né dalla condanna alle spese processuali né (in caso di ricorso per cassazione) dalla condanna al pagamento della sanzione pecuniaria alla Cassa delle ammende (Cass. S.U. 9 ottobre 1996, n. 20, Vitale), non essendo, nel sistema delle impugnazioni penali, la nozione d'interesse a impugnare ancorata al concetto di soccombenza (Cass. S.U. 27 ottobre 2011, n. 6624/12, Marinaj).

Esempi

Sospensione condizionale della pena

Sussiste l'interesse a impugnare un provvedimento che sospende condizionalmente la pena dell'ammenda concernente contravvenzioni per le quali è ammessa l'oblazione in quanto, conseguendone l'iscrizione nel casellario giudiziale, la concessione del beneficio si risolve in un pregiudizio per l'imputato, stante la maggiore stigmatizzazione della pena irrogata a seguito dell'iscrizione nel casellario (peraltro immediata), molto più grave rispetto al lieve vantaggio rappresentato dall'esenzione (condizionata) del pagamento (Cass. S.U. 16 marzo 1994, n. 6563, Rusconi)

Revoca della custodia cautelare

Persiste l'interesse a impugnare, anche dopo la revoca della misura coercitiva della custodia cautelare, nella prospettiva manifestata del diritto dell'indagato alla riparazione per l'ingiusta detenzione, allorché oggetto del riesame sia stata la contestazione dei gravi indizi di colpevolezza, la cui accertata insussistenza è alla base del diritto alla riparazione pecuniaria (Cass. S.U. 25 giugno 1997, n. 7, Chiappetta)

Restituzione del bene sequestrato

L'avvenuta restituzione della documentazione sequestrata, anche se accompagnata dall'estrazione di copia della stessa, rende inammissibili, per sopravvenuta carenza di interesse, la richiesta di riesame del sequestro probatorio e l'eventuale successivo ricorso per cassazione (Cass. S.U. 24 aprile 2008, n. 18253, Tchmil)

Circostanze aggravanti

Segnalazione di contrasto: caso di ricorso dell'imputato inteso a far escludere la sussistenza di una circostanza aggravante benché, nel giudizio di merito, le circostanze attenuanti siano state ritenute prevalenti: ammissibile secondo Cass. VI, 10 gennaio 2013, n. 19188, Prisco (da ultimo, Cass. V, 30 ottobre 2018, n. 6521/19, Alioto); inammissibile secondo Cass. III, 9 marzo 2011, n. 16717, Khadimi (da ultimo, Cass. I, 25 settembre 2019, n. 43269, R.)

Confisca denaro ricavato dalla cessione di stupefacenti

L'imputato che ha patteggiato la pena per il delitto di spaccio di modica quantità di stupefacenti, vedendosi confiscare la somma ricavata dalla cessione non ha interesse a impugnare il capo relativo alla confisca. La questione relativa alla legittimità della confisca è meramente teorica e astratta, una volta esclusa l'esistenza, per il cedente, in una cessione illecita per contrarietà a norme imperative, di un diritto a rientrare nella disponibilità del prezzo ricavato, e cioè la tutelabilità jure civili della sua pretesa, configurabile, pertanto, come interesse di mero fatto (Cass. S.U. 27 settembre 1995, n. 10372, Serafino; Cass. S.U. 3 luglio 1996, n. 9149, Chabni Samir)

Qualche considerazione va spesa, prima di affrontare il tema della legittimazione a impugnare, sull'interesse dell'imputato, della parte civile e del pubblico ministero a impugnare le sentenze di proscioglimento.

a) L'imputato non ha interesse a impugnare una sentenza di assoluzione "perché il fatto non sussiste" o "per non aver commesso il fatto” (Cass. S.U. 29 marzo 2012, n. 25457, Rudie), vale a dire le uniche decisioni “totalmente assolutorie” (Corte Cost.4 aprile 2008, n. 85).

Così come non ha interesse a impugnare la sentenza di assoluzione pronunciata ai sensi dell'art. 530, comma 2 .p.p. per ritenuta insufficienza delle prove acquisite, in quanto detta statuizione non può essere modificata, quale che sia il giudizio esprimibile sulla prova della responsabilità dell'accusato, e cioè sia che sia stata acquisita la prova positiva della sua innocenza, sia che la prova della sua responsabilità si sia rivelata soltanto insufficiente; preso atto che il nuovo codice equipara l'insufficienza della prova alla sua

mancanza, un'impugnazione che investe la sola motivazione di una sentenza, senza alcuna conseguenza sul dispositivo, non può che essere inammissibile (Cass. S.U. 23 novembre 1995, n. 2110/96, P.G. in proc. Fachini; Cass. S.U. 30 ottobre 2003, n. 45276, Andreotti).

Tutte le altre formule di assoluzione comportano, con forme e gradazioni diverse, un riconoscimento della responsabilità dell'imputato o comunque l'attribuzione del fatto allo stesso, e quindi, sebbene non applichino una pena, sono sicuramente idonee ad arrecare ugualmente all'imputato significativi pregiudizi di ordine sia morale sia giuridico.

In tal senso l'imputato ha interesse a impugnare una sentenza di proscioglimento per ottenere una assoluzione con una formula per lui migliore perché totalmente liberatoria. Ha in particolare l'interesse a impugnare la sentenza di assoluzione «perché il fatto non costituisce reato» al fine di ottenere la più ampia formula liberatoria «perché il fatto non sussiste» o «perché l'imputato non lo ha commesso» (Cass. S.U. 29 maggio 2008, n. 40049, Guerra). Ha, inoltre, interesse a impugnare quando miri alla modifica della formula di proscioglimento da quella «perché il fatto non costituisce reato» per difetto dell'elemento psicologico, in quella del «fatto non preveduto dalla legge come reato», perché quest'ultima attesta la piena estraneità della condotta dall'ambito del penalmente rilevante e, quindi, la completa infondatezza dell'accusa sul piano giuridico, con conseguente maggior valore, ai fini del riconoscimento dell'innocenza dell'imputato, di quello dell'affermazione che il fatto non costituisce reato per mancanza dell'elemento psicologico o per la presenza di una causa di giustificazione, cioè per fattori specifici e contingenti, che possono anche non escludere il carattere moralmente e socialmente riprovevole della condotta (Cass. S.U., 24 marzo 1995, n. 9616, p.m. in proc. Boido).

L'imputato ha, poi, interesse a impugnare una sentenza di assoluzione «perché il fatto non è previsto dalla legge come reato» al fine di ottenere la formula «perché il fatto non sussiste» per il motivo che l'art. 653 c.p.p. conferisce efficacia preclusiva nel giudizio disciplinare alla sentenza penale irrevocabile di assoluzione quanto all'accertamento che il fatto non sussiste e che l'imputato non lo ha commesso e non anche alla sentenza di assoluzione pronunciata «con formule diverse di grado inferiore» (Cass. S.U. 29 maggio 2008, n. 40049, Guerra).

In generale, l'imputato ha interesse a impugnare il proscioglimento quando l'impugnazione è diretta ad evitare conseguenze extrapenali pregiudizievoli o ad assicurarsi effetti extrapenali più favorevoli (Cass. S.U. 29 marzo 2012, n. 25457, Rudie) come quelli che l'ordinamento rispettivamente fa derivare dal giudicato delle sentenze di condanna o di assoluzione nei giudizi di danno (artt. 651 e 652 c.p.p.) o in altri giudizi civili o amministrativi (art. 654) e - come si è detto - dal giudicato di assoluzione nei giudizi disciplinari (art. 653 c.p.p.).

In particolare, nell'ipotesi di assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato l'imputato ha interesse a impugnare (con ricorso per cassazione) la statuizione concernente l'ordine di trasmissione all'autorità amministrativa per l'applicazione delle sanzioni previste per l'illecito depenalizzato (Cass. S.U. 29 marzo 2012, n. 25457, Rudie).

b) La parte civile ha interesse a impugnare agli effetti civili, tutte le sentenze di assoluzione che possono compromettere il suo diritto a ottenere il risarcimento del danno, anche in considerazione dell'effetto preclusivo della sentenza dibattimentale irrevocabile di assoluzione nel giudizio civile di danno.

In particolare, ha di solito interesse a impugnare una sentenza di assoluzione con la formula perché il fatto non sussiste o perché l'imputato non lo ha commesso, al fine di ottenere l'accertamento della responsabilità dell'imputato ai fini civili o anche solo una formula di assoluzione che abbia conseguenze pratiche più favorevoli per i suoi interessi civili (Cass. S.U. 29 maggio 2008, n. 40049, Guerra).

Più in generale, ha normalmente interesse a impugnare una sentenza di assoluzione che rigetti l'azione civile esercitata nel processo penale e precluda l'ulteriore esercizio dell'azione civile in sede civile, sia al fine di ottenere una pronuncia di accertamento della responsabilità sia anche al più limitato fine di ottenere una pronuncia che non abbia effetto preclusivo nel giudizio civile.

Non si nega, neppure, l'interesse della parte civile a impugnare la sentenza di assoluzione «perché il fatto non costituisce reato», anche emessa ai sensi dell'art. 530.2, che non abbia effetto preclusivo, al fine di ottenere l'affermazione di responsabilità per il fatto illecito perché chi intraprende il giudizio civile dopo avere già ottenuto in sede penale il riconoscimento della responsabilità per fatto illecito della sua controparte si giova di tale accertamento e si trova in una posizione migliore di chi deve cominciare dall'inizio (Cass. S.U. 29 maggio 2008, n. 40049, Guerra). La discussione sul punto non sembra essersi sopita, dato che Cass. Sez. II, 15 marzo 2019, n. 14080, ha rimesso gli atti alle S.U. ritenendo sussistere un contrasto sul punto tra diverse sezioni, ma si è vista restituire l'ordinanza con provvedimento del Pres. Aggiunto del 10 maggio 2019 che ha chiesto di osservare il disposto dell'art. 618, comma 1-bisc.p.p.Se una sezione della corte ritiene di non condividere il principio didiritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza, la decisione del ricorso») e di riconsiderare il contrasto denunciato.

La parte civile non ha, invece, interesse a proporre impugnazione avverso la sentenza di proscioglimento dell'imputato per improcedibilità dell'azione penale dovuta a difetto di querela, trattandosi di pronuncia penale meramente processuale priva di idoneità ad arrecare vantaggio al proponente ai fini dell'azione civilistica (Cass. S.U. 21 giugno 2012, n. 35599, p.c. Giangregorio in proc. Di Marco), né, in tema di reati di competenza del giudice di pace, a impugnare, anche ai soli effetti civili, la sentenza dichiarativa dell'estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie prevista dall'art. 35 d.lgs. n. 274 del 2000 (Cass. S.U. 23 aprile 2015, n. 33864, p.c. in proc. Sbaiz).

In evidenza

È, infine, inammissibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso per cassazione proposto dalla parte civile, ai soli effetti civili, avverso una sentenza di assoluzione per un reato abrogato e qualificato come illecito civile dal d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, atteso che, in assenza di efficacia vincolante del giudicato penale di assoluzione nel giudizio civile, non è ravvisabile un interesse della parte civile alla impugnazione finalizzata ad impedirne l'operatività (Cass. S.U. 29 settembre 2016, n. 46688, Schirru).

c) Il pubblico ministero ha interesse a impugnare una sentenza di proscioglimento al fine di ottenere una modifica della formula di assoluzione anche a favore dell'imputato, sempre però che il mutamento di formula si risolva in un risultato pratico di vantaggio per l'imputato e non soltanto teoricamente corretto.

Il pubblico ministero non ha, invece, interesse a impugnare per il mutamento della formula assolutoria «perché il fatto non sussiste» in quella «perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato» al fine esclusivo di tutelare gli interessi della parti civili e di permettere alle stesse di far valere in sede civile le proprie pretese risarcitorie, e ciò in quanto egli è estraneo al rapporto processuale civile instauratosi nel processo penale tra i soggetti danneggiati dal reato e l'imputato (Cass. S.U. 24 aprile 2008, n. 18253, Tchmil).

Né ha interesse a impugnare la sentenza di estinzione del reato per remissione di querela - pronunciata ancorché il querelato non sia comparso in udienza e non sia stato ritualmente avvisato della remissione o, comunque, posto in grado di conoscerla - qualora il querelato, pur avendo ricevuto rituale notifica di detta declaratoria, non abbia proposto, a sua volta, impugnazione - azionando il diritto di ricusa, ex art. 155.1 c.p., al fine di rendere inefficace la remissione - in quanto, in tal caso, l'assenza di ricusa produce, ex art. 152 c.p., l'effetto estintivo del reato, con conseguente venir meno dell'interesse del P.M. all'annullamento della sentenza impugnata, ormai, produttiva di un effetto consolidatosi (Cass. S.U. 25 maggio 2011, n. 27610, P.G. in proc. Marano).

In generale, il pubblico ministero ha interesse a proporre impugnazione al fine di ottenere la esatta applicazione della legge, anche se a favore dell'imputato, soltanto se l'interesse a impugnare presenta i caratteri della concretezza e della attualità, il che si verifica, ad esempio, quando l'impugnazione miri a non far ricadere sull'imputato effetti dannosi ascrivibili ad errori del giudice (Cass. S.U. 11 maggio 1993, n. 6203, Amato; Cass. S.U., 24 marzo 1995, n. 9616, p.m. in proc. Boido, che ha riconosciuto sussistere interesse del pubblico ministero ad ottenere la modifica della formula di proscioglimento dell'imputato da quella «fatto non costituisce reato» in quella «perché il fatto non è preveduto dalla legge come reato», la quale, consistendo nell'affermazione della completa infondatezza dell'accusa sul piano giuridico, ai fini del riconoscimento dell'innocenza dell'imputato assume un valore ben maggiore di quello che può attribuirsi alla prima).

d) Il comma 4-bis dell'art. 568, inserito dall'art. 1, comma 1 del d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, in vigore dal 6 marzo 2018 ha stabilito che il pubblico ministero può proporre impugnazione diretta a conseguire effetti favorevoli all'imputato solo con ricorso per cassazione.

5. Errore nella qualificazione dell'impugnazione. Impugnazione proposta a giudice incompetente (art. 568, comma 5)

L'art. 568, comma 5 c.p.p. detta disposizioni in tema di erronea qualificazione giuridica dell'impugnazione e di impugnazione proposta a giudice incompetente.

In nome del favor impugnationis o, più specificamente, del principio di conservazione del mezzo di impugnazione (Cass. S.U. 28 aprile 2004, n. 31297, Terkuci), la disposizione in esame, superando regole formalistiche, stabilisce che né l'errore qualificatorio del proponente né la presentazione a giudice incompetente determinano l'inammissibilità dell'impugnazione, ma impongono la sola trasmissione degli atti al giudice competente, l'unico investito del potere di valutare ammissibilità e fondatezza del gravame.

Coerentemente, l'art. 581, in relazione all'art. 591 comma 1 lett. c), nel prescrivere a pena di inammissibilità i requisiti di forma dell'impugnazione, non annovera tra questi anche l'indicazione del giudice ad quem, mentre indispensabile è la concreta, esatta, precisa identificazione del provvedimento del quale si chiede un nuovo esame.

L'art. 568, comma 5 si ispira sia al principio di tassatività delle impugnazioni, che riserva alla legge la previsione dei casi in cui è ammessa l'impugnazione e la determinazione dei rispettivi mezzi, sia al principio di unicità del mezzo d'impugnazione, secondo cui contro ogni provvedimento è ammesso un solo mezzo d'impugnazione.

In altre parole, se un provvedimento è impugnato con un mezzo (ad es. appello) diverso dal tipo legislativamente previsto (ad es. ricorso per cassazione) e/o se l'impugnazione è proposta dinanzi a giudice incompetente, il giudice adito - prescindendo da valutazioni in ordine alla indicazione di parte, se frutto cioè di errore-ostativo o di scelta deliberata - deve limitarsi a prendere atto della voluntas impugnationis (volontà del soggetto di sottoporre a sindacato la decisione impugnata, elemento minimo per dare esistenza giuridica all'atto proposto) e a trasmettere gli atti al giudice competente, trasmissione che non richiede necessariamente un provvedimento giurisdizionale e può avvenire anche con un atto di natura meramente amministrativa (Cass. S.U. 30 ottobre 2001, n. 45371, Bonaventura che ha superato Cass. S.U. 26 gennaio 1998, n. 16, Nexhi, secondo la quale al giudice non sarebbe consentito sostituire il mezzo di impugnazione effettivamente voluto e propriamente denominato ma inammissibilmente proposto dalla parte con quello, diverso, che sarebbe stato astrattamente ammissibile).

L'unico limite all'operatività dell'art. 568, comma 5 è rappresentato dall'inimpugnabilità del provvedimento, che esclude, per definizione, la possibilità di una diversa qualificazione giuridica dell'impugnazione proposta. L'art. 591, comma 1 lett. b) prevede l'inammissibilità dell'impugnazione "quando il provvedimento non è impugnabile".

Il principio di conservazione del mezzo di impugnazione non può in alcun caso consentire di derogare alle norme che formalmente e sostanzialmente regolano i diversi tipi di impugnazione.

Ad esempio, si è, in tal senso, affermato che, esattamente qualificato un appello come ricorso per cassazione, il ricorso è inammissibile se (l'”appello” non è stato) sottoscritto da difensore iscritto nell'albo speciale della Corte di cassazione (Cass. S.U. 28 aprile 2004, n. 31297, Terkuci).

Dall'esatta qualificazione giuridica dell'impugnazione (solo in senso improprio può parlarsi di "conversione", come chiarito da Cass. S.U. 24 novembre 1999, n. 26/00, Magnani) va tenuta distinta la conversione delle impugnazioni, istituto cui fanno riferimento, per le ipotesi in essi specificamente disciplinate, gli artt. 569, commi 2 e 3, e 580 c.p.p. (v. infra).

Va detto, per concludere, che l'art. 568, comma 5 si riferisce ai soli rimedi qualificati come impugnazioni, consentendo, soltanto in relazione ad essi, la «qualificazione» che evita l'inammissibilità dell'impugnazione.

Non è pertanto consentito qualificare un atto di impugnazione come incidente di esecuzione (Cass. S.U. 24 novembre 1999, n. 26/00, Magnani: nella specie, si trattava di un ricorso per cassazione contro ordine di esecuzione di pena detentiva emesso dal pubblico ministero ex art. 656 c.p.p.). Resta peraltro ferma la possibilità della parte di proporre incidente al giudice dell'esecuzione, posto che la declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione non consuma la facoltà di attivare detto procedimento.

Ricorso immediato per cassazione (art. 569)

LETTURE SUGGERITE

GIALUZ M., artt. 568 – 576, in Codice di procedura penale commentato, a cura d. A. GIARDA – G. SPANGHER, V ed., Milano, 2019

L'art. 569 c.p.p. introduce, tra le disposizioni generali sulle impugnazioni, il ricorso immediato (anche detto, diretto o per saltum) per cassazione e – come si è sopra accennato – i correlati casi di conversione in senso tecnico delle impugnazioni.

La ratio della disposizione risiede in esigenze di deflazione del processo e di celerità, stante la possibilità che tale istituto offre di saltare il grado di appello e impugnare direttamente dinanzi alla corte di cassazione.

1. L'art. 569 non riguarda il ricorso immediato contro qualsiasi provvedimento ma il ricorso immediato contro la sentenza di primo grado che sia appellabile sicché, a stretto rigore, non può essere letto come disposizione “generale” sulle impugnazioni.

L'art. 569, comma 1 stabilisce, in termini inequivocabili, che la parte che ha diritto di appellare la sentenza di primo grado può proporre direttamente ricorso per cassazione. Sicché, in virtù del principio di tassatività delle impugnazioni posto dall'art. 568, comma 1, il ricorso immediato per cassazione non è consentito, in alternativa all'appello, nei confronti di qualunque provvedimento appellabile [è previsto altresì – è opportuno ricordarlo - in alcuni casi particolari, ad es. dagli artt. 311, comma 2 (come alternativa al riesame per le ordinanze che dispongono una misura coercitiva personale) e 325, comma 2 (decreto di sequestro emesso dal giudice] (Cass. S.U. 26 febbraio 1991,n. 5, Bruno).

2. L'art. 569 disciplina, poi, la conversione dell'appello in ricorso per cassazione (comma 2) e quello del ricorso per cassazione in appello (comma 3).

Nel primo caso, quando contro la stessa sentenza sono proposti ricorso per saltum da una parte e appello da una delle altre parti, il ricorso per cassazione si converte in appello nel caso in cui sussista connessione ex art. 12 c.p.p. Si applica, in altre parole, l'art. 580, disposizione che è finalizzata ad evitare che il procedimento si frazioni in più giudizi con la possibilità di contrastanti decisione e opera nei casi di sentenza cumulativa (unico reato attribuito a più imputati, pluralità di reati attribuiti allo stesso imputato, più imputazioni attribuite a più imputati), di sentenza con unica imputazione per la quale siano dati alle parti diversi mezzi di impugnazione e – come nel caso in esame - di ricorso per saltum (Cass. S.U. 30 ottobre 2001, n. 45371, Bonaventura).

Peraltro, se entro quindici giorni dalla notificazione del ricorso ex art. 584 c.p.p. (v. infra), le parti che hanno proposto appello dichiarano tutte di rinunciarvi per proporre direttamente ricorso per cassazione, è l'appello a convertirsi in ricorso e le parti hanno quindici giorni di tempo, decorrenti dalla dichiarazione di rinuncia, per presentare nuovi motivi (di ricorso), se il loro appello non aveva i requisiti per valere come ricorso.

3. L'art. 568, comma 3 stabilisce, infine, che il ricorso per saltum contro la sentenza di primo grado non è consentito (non si applica, quindi, il comma 1) nei casi di mancata assunzione di prove decisive (art. 606, comma 1, lett. d) e di vizio di motivazione (art. 606, comma 1, lett. e). È consentito, dunque, solo per violazione di legge (in particolare, per i motivi di cui all'art. 606, comma 1, lett. b) e c).

Qualora siano state dedotte le anzidette censure non deducibili, il ricorso immediato proposto si converte in appello. Si vuole in tal modo, con chiaro intento antiformalistico, evitare di invalidare gli elementi già acquisiti e realizzare lo scopo voluto dalla parte, configurando l'impugnazione consentita, vale a dire l'appello (Cass. S.U. 30 ottobre 2001, n. 45371, Bonaventura).

4. Altra importante disposizione è dettata dall'art. 568, comma 4: a seguito del ricorso per saltum, la Corte di cassazione che annulli con rinvio la sentenza di primo grado deve trasmettere gli atti non al giudice di primo grado ma al giudice competente per l'appello, a meno che la sentenza di primo grado non avrebbe, nel giudizio di appello, dovuto essere annullata (v. ad es. art. 604 c.p.p.), nel qual caso dispone che gli atti siano trasmessi al giudice di primo grado. La finalità precipua di tale disposizione è quella di evitare che si disperda l'effetto sollecitatorio che l'istituto mira a conseguire.

Impugnazione del pubblico ministero (art. 570)

LETTURE SUGGERITE

MARANDOLA A., Le disposizioni generali. II La legittimazione, in Le impugnazioni, Trattato di procedura penale diretto da G. SPANGHER, vol. V, Torino 2009, 63 ss.

La regola vuole, poi, che il procuratore generale possa proporre impugnazione nonostante l'impugnazione o l'acquiescenza del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso il provvedimento.

Un'eccezione è stata, tuttavia, introdotta dall'art. 1, comma 2, del d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, in vigore dal 6 marzo 2018, con riguardo all'appello, attraverso il richiamo all'art. 593-bis, comma 2: il procuratore generale può appellare soltanto nei casi di avocazione (artt. 372, 412 e 413 c.p.p.) o qualora il procuratore della Repubblica abbia prestato acquiescenza al provvedimento.

In evidenza

In tale ultimo caso l'art. 166-bisdisp. att. c.p.p., inserito dal medesimo d.lgs. sopra indicato, prevede che il procuratore generale, al fine di acquisire tempestiva notizia in ordine alledeterminazioni relative all'impugnazione delle sentenze di primo grado, deve promuovere intese o altre forme di coordinamento con iprocuratori della Repubblica del distretto.

2. L'impugnazione può essere proposta anche dal rappresentante del pubblico ministero che ha presentato le conclusioni (art. 570, comma 2), il quale può fare richiesta nell'atto di appello di partecipare al giudizio quale sostituto del procuratore generale.

Il procuratore generale può disporre la partecipazione qualora lo ritenga opportuno, ma gli avvisi per il giudizio spettano in ogni caso al procuratore generale (art. 570, comma 3).

Quest'ultima disposizione ha carattere eccezionale, come confermato dalla sua collocazione a chiusura del testo dell'art. 570 e in successione alle disposizioni generali concernenti l'impugnazione del pubblico ministero enunciate ai commi 1 e 2, che vengono appunto derogate con riguardo ad un'ipotesi del tutto particolare.

La regola del sistema processuale è, invero, che l'ufficio requirente sia in simbiosi con quello giudicante, restando attribuite dall'art. 51, comma 3 c.p.p. in via generale le funzioni di pubblico ministero all'"ufficio del pubblico ministero presso il giudice competente a norma del capo II del titolo I", vale a dire all'ufficio presso il giudice investito della domanda, ex artt. 4-16 (Cass. S.U. 30 aprile 1997, n. 6402, Dessimone).

Conferma dell'eccezionalità si ricava anche dall'inciso di chiusura della disposizione secondo il quale "gli avvisi spettano in ogni caso al procuratore generale", previsione che ribadisce i limiti della disposta partecipazione al giudizio, preservando un controllo progressivo e autonomo della decisione che deve essere improntato a tutela dell'interesse generale all'osservanza della legge (cfr. Corte Cost., 15 febbraio 1991, n. 88), laddove una personalizzazione eccessiva potrebbe dare adito a sospetto di intenti persecutori.

Coesistono, dunque, nell'art. 570 la regola che collega il potere di impugnazione alle funzioni esercitate in via permanente presso il giudice della fase e l'eccezione in virtù della quale il rappresentante del pubblico ministero che ha presentato le conclusioni in primo grado e che ne faccia richiesta nell'atto di appello può partecipare al successivo grado di giudizio quale sostituto del procuratore generale.

La ratio della disposizione in parola va individuata nell'opportunità di evitare la dispersione di conoscenze ed esperienze acquisite dal singolo magistrato del pubblico ministero (Cass. S.U. 30 aprile 1997, n. 6402, Dessimone) e la partecipazione al giudizio non comporta né la creazione di un “nuovo” pubblico ministero, né l'"incorporazione" del magistrato interessato nell'ufficio della Procura generale presso il giudice dell'impugnazione, posto che non gli è dato occuparsi di altri affari.

In evidenza

Diversa è la posizione del magistrato applicato, a norma dell'art. 110, comma 1 del r.d. 30 gennaio 1941 n. 12 (ordinamento giudiziario), alla Procura Generale, che è da considerare incardinato, a tutti gli effetti di legge, per l'intera durata dell'applicazione, in detto ufficio (Cass. S.U. 30 ottobre 2003, n. 45276, Andreotti)

Impugnazione dell'imputato (art. 571)

LETTURE SUGGERITE

GAETA P., Le nuove latitudini della legittimazione a impugnare, in Le impugnazioni penali, a cura di G. CANZIO – R. BRICCHETTI, Milano 2019, p. 59 ss.

1. Escluso il ricorso per cassazione, che, per l'intervento dell'art. 1, comma 54 dellal. 23 giugno 2017, n. 103, entrata in vigore il 3 agosto 2017, deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da difensore iscritto nell'albo speciale della corte di cassazione (art. 613, comma 1), l'impugnazione può essere proposta, a norma dell'art. 571, comma 1, c.p.p. dall'imputato personalmente o per mezzo di un procuratore speciale (art. 122 c.p.p.), nominato anche prima della emissione del provvedimento da impugnare (art. 37 disp. att. c.p.p.).

In evidenza

Se l'imputato è soggetto a tutela o è incapace di intendere o di volere, il diritto di impugnazione a lui spettante può essere esercitato, rispettivamente, dal tutore o da un curatore speciale (art. 571, comma 2)

2. L'impugnazione può inoltre essere proposta da chi è difensore dell'imputato al momento del deposito del provvedimento o dal difensore nominato proprio al fine di proporre impugnazione.

Il diritto di impugnazione riservato in via autonoma al difensore compete anche al difensore di ufficio designato dal giudice o dal pubblico ministero, anche se momentaneamente sostituito in occasione di una delle situazioni previste dall'art. 97, comma 4 c.p.p.

Ciò non toglie che l'esigenza di non costringere la sostituzione del difensore di ufficio in limiti temporali aprioristicamente determinati o di correlarla a cadenze o a momenti processuali prestabiliti e di non pretendere dal difensore sostituito comunicazioni in ordine alle cause ed ai tempi di durata dell'impedimento, consente di ritenere utilmente proposta l'impugnazione da parte del difensore "sostituto" che, nei tempi e con le forme prescritte dalla legge, abbia preso l'iniziativa di presentare gravame a fronte del silenzio del difensore sostituito.

Va detto, peraltro, che l'intervento del sostituto, che di per sé costituisce una forma di garanzia per l'imputato e di salvaguardia dei suoi interessi, non produce effetti vincolanti per il difensore titolare dell'ufficio al quale va riconosciuto il diritto di proporre, se ancora nei termini, l'impugnazione, cosi superando quanto fatto in sua vece (Cass. S.U. 11 novembre 1994, n. 22, Nicoletti).

In evidenza

Con l'art. 46 della l. 16 dicembre 1999, n. 479 si è esclusa la prevista necessità di uno “specifico mandato” (per il quale si era ritenuta sufficiente l'osservanza delle forme richieste dall'art. 96, comma 2, c.p.p.: Cass. S.U. 12 ottobre 1993, n. 9938, Thomas; Cass. S.U. 25 ottobre 1995, n. 31/96, Capellato) per il difensore che intendesse proporre impugnazione contro una sentenza contumaciale (Cass. S.U. 19 gennaio 1994, n. 1, Coronato)

3. L'imputato, nei modi previsti per la dichiarazione di rinuncia ex art. 589 c.p.p. (per la cui efficacia, se del caso, è necessario il consenso del tutore o del curatore speciale), può togliere effetto all'impugnazione proposta dal suo difensore (art. 571, comma 4).

Va considerato, peraltro, che la sottoscrizione della nomina del difensore per il giudizio di impugnazione, fatta dall'imputato in calce all'atto di appello e autenticata dal difensore, vale anche come impugnazione personale dell'imputato (n.d.A. se ammissibile), dato che con la sottoscrizione questi ha fatto proprio il contenuto dell'atto (Cass. S.U. 12 ottobre 1993, n. 9938, Thomas).

Impugnazione per gli interessi civili (artt. 573 – 575)

LETTURE SUGGERITE

GIALUZ M., artt. 568 – 576, in Codice di procedura penale commentato, a cura d. A. GIARDA – G. SPANGHER, V ed., Milano, 2019

1. L'art. 573 stabilisce che l'impugnazione per isoli interessi civili è proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale e non sospende l'esecuzione delle disposizioni penali del provvedimento impugnato (v. art. 588 c.p.p.).

Va tenuto presente, peraltro, che il giudice di appello che, su impugnazione del solo pubblico ministero, condanni l'imputato assolto nel giudizio di primo grado, deve provvedere anche sulla domanda della parte civile, benché non vi sia stata, da parte di questa, impugnazione agli effetti civili della decisione assolutoria. E ciò in considerazione del fatto che la costituzione di parte civile produce i suoi effetti in ogni stato e grado del processo, che il giudice di appello è tenuto a citare la parte civile e che se l'appello è stato proposto dal pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento il giudice di appello può pronunciare condanna e adottare ogni altro provvedimento imposto o consentito dalla legge (Cass. S.U. 10 luglio 2002, n. 30327, Guadalupi).

2. A norma dell'art. 574, commi 1-2 c.p.p. l'imputato può proporre impugnazione “per gli interessi civili”:

  • contro i capi della sentenza che riguardano la sua condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno (v. art. 538 ss. c.p.p.);
  • contro i capi relativi alla rifusione delle spese processuali (v. art. 541, comma 1, c.p.p.);
  • contro le disposizioni della sentenza di assoluzione (v. art. 530 c.p.p.) relative alle domande da lui proposte per il risarcimento del danno;
  • contro le disposizioni della sentenza di assoluzione relative alle domande da lui proposte per la rifusione delle spese processuali (v. art. 541, comma 2).

Detta impugnazione è proposta col mezzo previsto per le disposizioni penali della sentenza (art. 574, comma 3).

In ogni caso, l'impugnazione dell'imputato contro la pronuncia di condanna penale (v. art. 533 c.p.p.) o di assoluzione estende i suoi effetti alla pronuncia di condanna alle restituzioni, al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese processuali, se questa pronuncia dipende dal capo o dal punto impugnato (art. 574, comma 4 c.p.p.).

La disposizione estende, dunque, al capo civile gli effetti dell'impugnazione dell'imputato nei confronti della decisione di condanna, con una disciplina che può considerarsi simmetrica a quella che comporta l'estensione alla domanda della parte civile degli effetti dell'impugnazione del pubblico ministero contro la decisione di proscioglimento (Cass. S.U. 10 luglio 2002, n. 30327, Guadalupi).

3. L'art. 575, commi 1-2 stabilisce che il responsabile civile (v. artt. 83 ss. c.p.p.) e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (v. art. 89 c.p.p.) nel caso in cui sia stata condannata (v. art. 534 c.p.p.) possono proporre impugnazione, col mezzo che la legge attribuisce all'imputato:

  • contro le disposizioni della sentenza riguardanti la responsabilità dell'imputato;
  • contro le disposizioni della sentenza relative alla loro condanna e a quella dell'imputato, alle restituzioni, al risarcimento del danno (v. art. 538 ss. c.p.p.) e alla rifusione delle spese processuali (v. art. 541 c.p.p.).

Il responsabile civile può altresì proporre impugnazione contro le disposizioni della sentenza di assoluzione (v. art. 530 c.p.p.) relative alle domande proposte per il risarcimento del danno e per la rifusione delle spese processuali (art. 575, comma 3, c.p.p.).

Impugnazione della parte civile e del querelante (artt. 576 e 572)

LETTURE SUGGERITE

ROSSI V., I poteri di impugnazione della parte civile, in Archivio penale 2018, n. 1

1. A norma dell'art. 576, comma 1 c.p.p. la parte civile può proporre impugnazione:

a) contro i capi della sentenza di condanna che riguardano l'azione civile (v. artt. 538 ss. c.p.p.): deve trattarsi di sentenza che abbia omesso di pronunciarsi sulle domande “civili” o che abbia rigettato, totalmente o parzialmente, la richiesta di risarcimento o abbia proceduto all'accoglimento di questa in misura inferiore a quanto domandato, abbia negato la provvisionale nell'ipotesi di condanna generica al risarcimento o la sua esecuzione provvisoria o che, ancora, abbia stabilito la compensazione delle spese;

b) contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio (v. art. 529 ss. c.p.p.) sia pure ai soli effetti della responsabilità civile;

c) contro la sentenza pronunciata nel giudizio abbreviato (art. 442 c.p.p.) se ha consentito all'abbreviazione del rito (v. art. 441, comma 3, c.p.p.).

In evidenza

Il diritto all'impugnazione era limitato al “mezzo previsto per il pubblico ministero”, ma il limite è stato soppresso dall'art. 6 della l. 20 febbraio 2006, n. 46

Il tema relativo al potere di impugnazione della parte civile, in tutte le sue possibili espressioni, è correlato - come si è detto - al rilievo che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata a seguito di dibattimento ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo per danni promosso dal danneggiato che si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile (art. 652).

L'art. 576, comma 2 stabilisce, poi, che lo stesso diritto di impugnazione compete al querelante che sia stato “condannato a norma dell'art. 542”

2. L'art. 576, comma 1 dà, dunque, alla parte civile il potere di impugnare, ai soli effetti della responsabilità civile, la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio.

Nel sistema riguardante la parte civile, retto da una regola (art. 538 c.p.p.) declinata con eccezioni (artt. 578 e 622 c.p.p.), l'art. 576 c.p.p. costituisce uno snodo centrale nel regime delle impugnazioni.

Se c'è stata non già la condanna, ma il proscioglimento dell'imputato, che preclude la strada al possibile riconoscimento delle pretese restitutorie e risarcitorie della parte civile, la legittimazione di quest'ultima a proseguire il giudizio non è illimitata: la parte civile può proporre impugnazione, agli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento, solo se pronunciata nel giudizio (ovvero anche a seguito di giudizio abbreviato quando la parte civile ha consentito questo rito).

Anche la parte civile (v. sub art. 568, comma 4 c.p.p.), per proporre l'impugnazione ai sensi dell'art. 576 c.p.p., deve avervi interesse, nel senso che deve mirare a conseguire un risultato utile o a evitare un pregiudizio che altrimenti le deriverebbe dalla pronuncia impugnata (Corte cost. 12 luglio 2019, n. 176).

a) La sentenza di proscioglimento non contiene alcun capo relativo all'azione civile, dal momento che, come si desume dall'art. 538.1, il giudice, quando pronuncia una sentenza di proscioglimento, non decide sulla domanda civile (fuori del caso previsto dall'art. 578 c.p.p.).

L'art. 576, comma 1 distingue, del resto – come si è visto - ai fini dell'impugnazione della parte civile, i "capi della sentenza di condanna che riguardano l'azione civile" dalla "sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio".

In questo secondo caso indica che non è impugnato un capo civile ma è impugnato, "ai soli effetti della responsabilità civile", il proscioglimento.

Da ciò può dedursi che non occorre l'impugnazione della parte civile quando il proscioglimento è impugnato dal pubblico ministero, eventualmente su richiesta della parte civile a norma dell'art. 572 c.p.p.

Inizialmente, si era affermato che alla parte civile costituita non poteva riconoscersi il risarcimento del danno se, assolto l'imputato nel giudizio di primo grado, vi fosse stata condanna dello stesso su appello del solo pubblico ministero (Cass. S.U., 25 novembre 1998, n. 5/99, Loparco). Detta pronuncia è stata superata da un secondo intervento di segno opposto, in occasione del quale è stato evidenziato che « ;la costituzione di parte civile produce i suoi effetti in ogni stato e grado del processo ;» (art. 76, comma 2 c.p.p.), che il giudice di appello è tenuto a citare la parte civile (art. 601, comma 4 c.p.p.) e che se l'appello è stato proposto dal pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento il giudice di appello può pronunciare condanna «e adottare ogni altro provvedimento imposto o consentito dalla legge» (art. 597, comma 2, lett. a) e b); ne deriva che, « ;quando pronuncia sentenza di condanna ;», il giudice di appello deve decidere « ;sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno ;», anche se la parte civile non ha proposto impugnazione (artt. 538, comma 1 e 598 c.p.p.) (Cass. S.U. 10 luglio 2002, n. 30327, Guadalupi).

b) Come affermato dalla giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. 24 gennaio 2007, n. 32) e da quella di legittimità (Cass. S.U. 29 marzo 2007, n. 27614, p.c. in proc. Lista), che sono intervenute a fugare in modo definitivo i dubbi che alcune decisioni di merito avevano sollevato, non è venuto meno in capo alla parte civile, a seguito della sopra citata modifica operata medio tempore dall'art. 6 della l. n. 46 del 2006, il potere di appello, ai soli effetti della responsabilità civile, contro le sentenze di proscioglimento pronunciate nel giudizio di primo grado.

Ciò premesso, deve essere chiaro che, per effetto dell'impugnazione della parte civile, si può rinnovare l'accertamento dei fatti posto a base della decisione assolutoria, e ciò al fine di valutare l'esistenza di una responsabilità per illecito e così giungere ad una diversa pronunzia che rimuova quella pregiudizievole per gli interessi civili. Resta, invece, esclusa la possibilità di una revisione dell'accertamento penale in assenza dell'impugnazione del pubblico ministero.

In altre parole, il codice ha scelto l'autonomia dei giudizi sui due profili di responsabilità, civile e penale, nel senso che l'impugnazione proposta dalla parte civile ai soli effetti civili non può incidere sulla decisione del giudice del grado precedente in merito alla responsabilità penale, ma il giudice penale dell'impugnazione, dovendo decidere su una domanda civile che necessariamente dipende da un accertamento sul fatto di reato e dunque sulla responsabilità dell'autore dell'illecito extracontrattuale, può, seppure in via incidentale, statuire in modo difforme sul fatto oggetto dell'imputazione, ritenendolo ascrivibile al soggetto prosciolto (Cass. S.U., 11 luglio 2006, n. 25083, Negri).

Il giudice dell'impugnazione, adito ai sensi dell'art. 576 c.p.p., ha, nei limiti del devoluto e agli effetti della devoluzione, i poteri che il giudice di primo grado avrebbe dovuto esercitare. Se si convince che tale giudice ha sbagliato nell'assolvere l'imputato può affermarne la responsabilità agli effetti civili e condannarlo al risarcimento o alle restituzioni, in quanto l'accertamento incidentale equivale virtualmente – oggi per allora - alla condanna di cui all'art. 538, comma 1 c.p.p. che non venne non pronunziata per errore.

Come già si è avuto modo dire, la Corte di cassazione ha chiarito, inoltre, che qualora al ricorso della parte civile, ai soli effetti civili, avverso sentenza di assoluzione sia seguita dall'abolizione del reato il ricorso è inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, dato che la finalità di detta impugnazione è quella di non vedersi opporre, come previsto dall'art. 652 c.p.p., l'efficacia della sentenza penale di assoluzione, nel giudizio civile o amministrativo di danno, quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà di legittima (Cass. S.U. 29 settembre 2016, n. 46688, Schirru).

c) L'art. 576, comma 1 non limita il novero e la tipologia delle sentenze di proscioglimento.

Si aggiunga che la formula "sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio", riferibile sia alle sentenze di non doversi procedere sia alle sentenze di assoluzione, è unicamente intesa ad escludere le sentenze di non luogo a procedere pronunciate nell'udienza preliminare.

Nella sentenza di proscioglimento rientra, pertanto, anche la "dichiarazione di estinzione del reato" di cui all'art. 531 c.p.p., sicché la facoltà di impugnazione della parte civile ricomprendere anche la sentenza di non doversi procedere per estinzione dovuta a qualsivoglia tra le cause previste dal codice penale e, tra esse anche quella della prescrizione del reato ex art. 157 c.p. (Cass. S.U. 29 maggio 2008, n. 40049, Guerra).

La parte civile può, dunque, proporre impugnazione, sia pure sempre nell'ambito di una pretesa volta unicamente alla rivisitazione dei soli effetti civili, nei confronti della sentenza di primo grado che abbia dichiarato l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, così come nei confronti della sentenza di appello che tale decisione abbia confermato, qualora lamenti l'erroneità di detta dichiarazione (Cass. S.U. 28 marzo 2019, n. 28911, p.c. Massaria in proc. Papaleo).

Qualora il giudice d'appello confermi la decisione di primo grado dichiarativa dell'estinzione del reato per prescrizione, resta ferma, perché corretta, la mancata decisione in ordine alle statuizioni civili.

Qualora, invece, ritenga erronea la dichiarazione di prescrizione, il giudice di appello, qualora ritenga sussistere "ora per allora" la responsabilità penale dell'imputato, deve, lasciando fermo l'epilogo penale che è insensibile alla impugnazione della sola parte civile, adottare le statuizioni civili secondo quanto disposto dall'art. 538, indipendentemente dall'eventuale prescrizione nel frattempo maturata.

La parte civile è poi - come si è detto – legittimata a proporre ricorso per cassazione contro la sentenza d'appello che abbia confermato la dichiarazione di prescrizione erroneamente affermata dal giudice di primo grado.

In caso di accoglimento, la Corte di cassazione pronuncerà annullamento con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello ai sensi dell'art. 622 c.p.p.

d) L'impugnazione in esame è ammissibile anche se nell'atto non è specificato che essa è proposta ai soli effetti civili, discendendo tale effetto direttamente dall'art. 576 c.p.p. (Cass. S.U. 20 dicembre 2012, n. 6509/13, p.m. in proc. Colucci: nella specie, la parte civile nell'atto di appello, avverso una sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto, si era limitata a chiedere genericamente la condanna dell'imputato; non aveva, in altre parole, formulato specifica richiesta di condanna dell'imputato al risarcimento dei danni).

3. La parte civile ha il diritto di ricorrere per cassazione anche contro i capi delle sentenze che la condannano ex art. 592 c.p.p. al pagamento delle spese processuali anticipate dallo Stato (Cass. S.U. 25 ottobre 2005, n. 41476, P.G. e p.c. in proc. Misiano).

Tale diritto non trova fondamento, tuttavia, nell'art. 576 perché il capo della decisione che condanna alle spese del processo anticipate dallo Stato non riguarda l'azione civile, né la responsabilità civile dell'imputato, ma solo la diversa responsabilità della parte privata per le spese del processo conseguenti all'esercizio dell'azione penale.

Né, per la parte civile, esiste una esplicita norma che assegni ad essa il potere di impugnare le disposizioni delle sentenze che la condannino a pagare le spese anticipate dallo Stato, a differenza di quel che avviene per il querelante con il combinato disposto degli artt. 542 e 427, comma 4 c.p.p.

Il diritto si fonda, invece, sulla regola generale di cui all'art. 568, comma 2 c.p.p. secondo la quale la sentenza è sempre ricorribile per cassazione e si giustifica con la considerazione che la condanna della parte civile a rifondere allo Stato le spese processuali non può avvenire che con una sentenza di secondo grado (impugnabile soltanto con ricorso per cassazione), essendo la responsabilità della parte civile per le spese del processo limitata ex art. 592 ai casi in cui la stessa ha proposto contro la sentenza di primo grado una impugnazione risoltasi con pronuncia di rigetto o di inammissibilità.

Secondo l'art. 541, comma 2, invero, che attiene alla decisione di primo grado, con la sentenza che assolve l'imputato per cause diverse dal difetto di imputabilità, se ne è fatta richiesta, il giudice condanna la parte civile alla rifusione delle spese processuali sostenute dall'imputato e dal responsabile civile per effetto dell'azione civile esercitata nel processo penale; se la parte è incorsa in colpa grave, il giudice la condanna altresì al risarcimento dei danni causati all'imputato e al responsabile civile.

In tal caso, sempre secondo i criteri della causalità e della soccombenza, la parte civile deve rifondere le spese e i danni cagionati alle controparti private con l'infondato esercizio dell'azione civile nella sede penale; non deve invece rifondere le spese del processo anticipate dallo Stato, perché, non trattandosi di reato perseguibile a querela, essa non è responsabile dell'inutile attivazione del processo penale.

Nei gradi successivi del giudizio, invece, soccorre - come si è detto - l'art. 592 c.p.p., secondo cui il giudice che dichiari inammissibile o rigetti l'impugnazione della parte civile deve condannarla alle spese del processo anticipate dallo Stato.

4. Si è detto all'inizio che lo stesso diritto di impugnazione della parte civile compete al querelante condannato a norma dell'art. 542 (art. 576, comma 2).

Dalla lettura degli artt. 576, comma 2, 542 e 427, commi 1 e 3, c.p.p. (richiamato dall'art. 542) si desume che:

  • quando si tratta di reato perseguibile a querela, nel caso in cui il giudice di primo grado emetta sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché l'imputato non l'ha commesso, il querelante è condannato al pagamento delle spese anticipate dallo Stato;
  • nello stesso caso, il querelante è condannato alla rifusione delle spese e al risarcimento del danno in favore dell'imputato che ne abbia fatto domanda (anche a favore del responsabile civile citato o intervenuto, solo se il querelante si è costituito parte civile);
  • contro il capo della sentenza assolutoria che decide in tal modo sulla sua responsabilità per le spese processuali e per i danni, il querelante può proporre impugnazione.

La disciplina si spiega razionalmente perché, nei reati perseguibili a querela, è solo il querelante in quanto tale a dare causa al processo penale, sicché è giusto (se è ravvisabile una colpa a suo carico) che gli vengano accollate le spese sopportate dallo Stato nei casi in cui l'esercizio della giurisdizione si rivela inutile; così come è giusto (sempre se ricorra una sua colpa, più o meno grave) che egli debba rimborsare all'imputato le spese processuali e i danni da questi sopportati per fronteggiare le conseguenze della querela (Cass. S.U. 25 ottobre 2005, n. 41476, P.G. e p.c. in proc. Misiano).

5. La parte civile, la persona offesa dal reato, non costituita parte civile, gli enti e le associazioni senza scopo di lucro intervenuti nel processo per esercitare i diritti attribuiti alla persona offesa hanno facoltà di presentare al pubblico ministero una richiesta motivata affinché questi proponga impugnazione a ogni effetto penale (art. 572, comma 1 c.p.p. ).

Il pubblico ministero, se non accoglie la richiesta e non propone impugnazione, emette decreto motivato di diniego e lo notifica al richiedente (art. 572, comma 2).

Decisione sugli effetti civili nel caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione (art. 578)

LETTURE SUGGERITE

GIALUZ M., artt. 578 – 592, in Codice di procedura penale commentato, a cura d. A. GIARDA – G. SPANGHER, V ed., Milano, 2019; VARRASO G., La decisione sugli effetti civili e la confisca senza condanna in sede di impugnazione. La legge n. 3 del 2019 (c.d. “spazzacorrotti”) trasforma gli artt. 578 e 578-bis c.p.p. in una disciplina “a termine”, Diritto penale contemporaneo 2019.

1. Stabilisce l'art. 578 c.p.p. che, quando nei confronti dell'imputato è stata pronunciata condanna, in primo grado, anche generica (v. artt. 538 ss. c.p.p.) alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello (adito dall'imputato o dal pubblico ministero) e la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione (o per amnistia), decidono sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.

La disposizione costituisce dunque una deroga al principio della devoluzione, stabilendo che la pronunzia di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione non esenta il giudice dell'impugnazione dal prendere in considerazione ai fini civili il gravame.

Esempio

Morte dell'imputato – oblazione – remissione di querela – sanatoria edilizia

Considerato norma di stretta interpretazione, l'art. 578 non è applicabile al caso di estinzione del reato per oblazione o per morte dell'imputato e comunque non suscettibile di essere esteso analogicamente ad altre cause estintive come la remissione di querela o la sanatoria edilizia (Cass. S.U. 29 settembre 2016, n. 46668, Schirru)

Altra norma, di carattere eccezionale, che ammette il meccanismo decisorio plasmato dall'art. 578 c.p.p., è quella posta dall'art. 448.3 che abilita alla pronuncia sulle statuizioni civili il giudice della impugnazione avverso sentenza di condanna, quando ritenga ingiustamente non riconosciute, dal giudice di primo grado, le condizioni per accogliere la richiesta di patteggiamento cui il p.m. non aveva prestato il consenso (Cass. S.U. 29 settembre 2016, n. 46668, Schirru).

2. L'art. 578 c.p.p. non si applica, dunque, se la prescrizione è maturata prima della sentenza di primo grado ma, erroneamente, non è stata dichiarata.

In altre parole, il giudice d'appello, adito dall'imputato, è comunque tenuto a dichiarare la prescrizione ex art. 129 c.p.p., ma non può decidere sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.

La sentenza d'appello nella parte in cui, accertando che la prescrizione del reato è maturata prima della pronuncia di primo grado, dovesse confermare le statuizioni civili in questa contenute è illegittima e dovrebbe, in caso di ricorso per cassazione dell'imputato, essere annullata in tale sua parte senza rinvio (Cass. S.U. 13 luglio 1998, n. 19986, Citaristi).

3. La disciplina di cui all'art. 578 non è, inoltre, applicabile allorché appellante o ricorrente sia la parte civile, alla quale l'art. 576 c.p.p. riconosce – come si è visto - il diritto ad una decisione incondizionata sul merito della propria domanda (Cass. S.U. 11 luglio 2006, n. 25083, Negri).

L'art. 578 si riferisce al caso in cui l'impugnazione sia dell'imputato o del pubblico ministero e solo in questa ipotesi richiede che, in presenza di una declaratoria di amnistia o di prescrizione, per decidere agli effetti civili, vi debba essere stata in precedenza una valida pronuncia di condanna alla restituzione o al risarcimento.

L'art. 576 e l'art. 578 disciplinano, dunque, situazioni processuali diversificate, mirando l'art. 578, nonostante la declaratoria della prescrizione, a mantenere, in assenza di un'impugnazione della parte civile, la cognizione del giudice dell'impugnazione sulle disposizioni e sui capo della sentenza del precedente grado che concernono gli interessi civili, mentre l'art. 576 conferisce al giudice dell'impugnazione il potere di decidere sulla domanda al risarcimento e alle restituzioni, pur in mancanza di una precedente statuizione sul punto.

4. Il precetto dell'art. 578 è, inoltre, idoneo a legittimare la condanna dell'imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile se quella fosse pronunciata come effetto della declaratoria di sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione, a sua volta derivante dalla riforma, ad opera del giudice di secondo grado, su impugnazione del p.m., della sentenza di assoluzione di primo grado. E ciò in quanto, nel caso descritto, la decisione sulle restituzioni e sul risarcimento del danno verrebbe adottata senza che, nel precedente grado di giudizio, sia stata affermata, con sentenza di condanna, la responsabilità dell'imputato (Cass. S.U. 29 settembre 2016, n. 46668, Schirru).

5. Nel caso in cui il giudice di appello dichiari non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato (o per intervenuta amnistia) è tenuto a decidere sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.

Per confermare le statuizioni civili è tenuto a motivare in ordine alla responsabilità dell'imputato.

Qualora non lo faccia, l'eventuale ricorso per cassazione proposto dall'imputato impone l'annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, a norma dell'art. 622 c.p.p. (Cass. S.U. 18 luglio 2013, n. 40109, Sciortino).

Resta fermo, naturalmente, il dovere del giudice d'appello, sussistendone le condizioni (piena prova di innocenza o presenza di prove ambivalenti), di applicare, nella prospettiva del principio di economia processuale (exitus processus) e della tutela dell'innocenza dell'imputato (favor rei), l'art. 129 c.p.p., facendo prevalere la formula assolutoria nel merito rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità (Cass. S.U. 28 maggio 2009, n. 35490, Tettamanti).

In presenza di amnistia o prescrizione, dunque, la valutazione approfondita a fini civilistici, che porti all'esclusione della responsabilità penale - anche per l'insufficienza o contraddittorietà delle prove (v. art. 530.2) - esplica i suoi effetti sulla decisione penale, con la conseguenza che deve essere pronunciata, in tal caso, la formula assolutoria nel merito.

Decisione sulla confisca in casi particolari nel caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione (art. 578-bis)

L'art. 6, comma 4 del d.lgs. 1° marzo 2018, n. 21 ha spostato nel codice, a tal fine inserendovi l'art. 578-bis c.p.p., il contenuto del comma 4-septies dell'art. 12-sexies del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv., con mod., dalla l. 7 agosto 1992, n. 356, disposizione che era stata introdotta inserito dall'art. 31, comma 1, lett. f), della l. 17 ottobre 2017, n. 161.

L'art. 578-bis stabilisce che quando è stata ordinata la confisca prevista dal primo comma dell'art. 240-bisc.p. e da altre disposizioni di legge o la confisca prevista dall'art. 322-ter c.p. (previsione, quest'ultima, aggiunta dall'art. 1, comma 4, lett. f), della l. 9 gennaio 2019, n. 3, in vigore dal 31 gennaio 2019), il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull'impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell'imputato.

Il legislatore ha così codificato il principio di creazione giurisprudenziale, secondo il quale può disporsi la confisca anche nel caso di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, a condizione che sia compiutamente accertata la configurabilità del reato in tutti i suoi elementi costitutivi, sulla base del medesimo standard probatorio richiesto per la pronuncia della sentenza di condanna e con il rispetto delle garanzie proprie delle pronunce formali di condanna (Cass. S.U. 30 gennaio 2020, n. 13539, Perroni).

Impugnazione di sentenze che dispongono misure di sicurezza (art. 579)

L'art. 579, comma 1 c.p.p. prevede che è data impugnazione, anche per ciò che concerne le misure di sicurezza, contro le sentenze di condanna o di proscioglimento, se l'impugnazione è proposta per un altro capo della sentenza che non riguardi esclusivamente gli interessi civili.

L'impugnazione contro le sole disposizioni della sentenza che riguardano le misure di sicurezza deve essere proposta a norma dell'art. 680, comma 2 c.p.p. (art. 579, comma 2) al tribunale di sorveglianza.

A norma dell'art. 579, comma 3, infine, l'impugnazione contro la sola disposizione che riguarda la confisca è proposta con gli stessi mezzi previsti per i capi penali.

Conversione del ricorso in appello (art. 580)

Alla conversione in senso tecnico già si è accennato (v. sub artt. 568, comma 5 e 569 c.p.p.).

L'art. 580 tratta della conversione del ricorso per cassazione in appello, stabilendo che quando contro la stessa sentenza sono proposti mezzi di impugnazione diversi, nel caso in cui sussista la connessione di cui all'art. 12 c.p.p. (inciso inserito dall'art. 7 della l. 20 febbraio 2006, n. 46), il ricorso per cassazione si converte nell'appello.

L'art. 580 c.p.p. non comporta la modificazione dei contenuti possibili dell'impugnazione, che anche nel caso di conversione restano quelli del ricorso (Cass. S.U. 18 giugno 1993, n. 7247, Rabiti).

Il ricorso per cassazione mantiene, dunque, ferma la sua natura di impugnazione di legittimità e la corte di appello, conseguentemente, è tenuta a sindacarne l'ammissibilità avvalendosi dei parametri di cui all'art. 606 c.p.p. e i suoi poteri di cognizione restano circoscritti alle censure di legittimità. Cionondimeno, ritenuta fondata una di tali censure, il giudice di secondo grado riacquista la funzione di giudice del merito che gli è propria, potendo, pertanto, adottare le statuizioni conseguenti, tra le quali anche l'aggravamento della pena, senza essere costretto a dover formalmente annullare la pronuncia di primo grado.

Impugnazione di ordinanze emesse nel dibattimento (art. 586 c.p.)

Quando non è diversamente stabilito dalla legge, l'impugnazione contro le ordinanze emesse nel corso degli atti preliminari ovvero nel dibattimento può essere proposta, a pena di inammissibilità, soltanto con l'impugnazione contro la sentenza (art. 586, comma 1, c.p.p.).

Questa disposizione intende evitare che lo svolgimento del processo si frantumi in continui procedimenti di impugnazione di singole ordinanze interlocutorie.

Non è necessaria un'espressa autonoma impugnazione dell'ordinanza, potendo le censure avverso tale provvedimento essere contenute anche nell'apparato motivazionale del gravame presentato avverso la sentenza medesima (Cass. S.U., 12 ottobre 1993, n. 10296, Balestriere).

Esempi

L'ordinanza con la quale il giudice, nel rinviare a udienza fissa la prosecuzione del processo, pone a carico del pubblico ministero l'onere di curare la rinnovata citazione dei testimoni non comparsi inseriti nella sua lista non è impugnabile autonomamente, ma solo congiuntamente alla sentenza e, conseguentemente, il ricorso per cassazione (per abnormità) proposto direttamente avverso di essa è inammissibile (Cass. S.U. 31 gennaio 2001, n. 4, p.m. in proc. Romano)

L'ordinanza di rigetto della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova non è immediatamente impugnabile, ma è appellabile unitamente alla sentenza di primo grado in quanto l'art. 464-quater.7, nel prevedere il ricorso per cassazione, si riferisce unicamente al provvedimento con cui il giudice, in accoglimento della richiesta dell'imputato, abbia disposto la sospensione del procedimento con la messa alla prova. (Cass. S.U. 31 marzo 2016, n. 33216, Rigacci)

Sono inoppugnabili le ordinanze dibattimentali di esclusione della parte civile, mentre sono impugnabili, purché unitamente alla sentenza, le ordinanze con le quali sia dichiarata l'inammissibilità o sia rigettata la richiesta di esclusione della medesima parte civile (Cass. S.U., 19 maggio 1999, n. 12, Pediconi)

L'impugnazione è ammissibile anche se la sentenza è impugnata soltanto per connessione con l'ordinanza e l'impugnazione dell'ordinanza è giudicata congiuntamente a quella contro la sentenza, salvo che la legge disponga altrimenti (art. 586, comma 2).

L'art. 586, comma 2, coordinato con il principio di tassatività di cui all'art. 568, comma 1, svolge la funzione di individuare direttamente il tipo dei provvedimenti impugnabili unitamente all'impugnazione contro la sentenza di merito: cioè, tutte "le ordinanze emesse nel corso degli atti preliminari ovvero nel dibattimento", per le quali non sia altrimenti ammesso un mezzo di gravame immediato "indipendentemente dall'impugnazione contro la sentenza" (ad esempio, quelle in materia di libertà personale ex art. 586, comma 3) (Cass. S.U. 19 maggio 1999, n. 12, Pediconi; Cass. S.U. 31 gennaio 2001, n. 4, p.m. in proc. Romano).

Contro le ordinanze in materia di libertà personale è, invece, ammessa l'impugnazione immediata, indipendentemente dall'impugnazione contro la sentenza (art. 586.3).

In particolare, i rimedi del riesame e dell'appello dinanzi al tribunale del capoluogo di provincia sono esperibili contro tutti le ordinanze comunque adottate da qualsiasi giudice, sia nella fase delle indagini preliminari che in quelle successive (Cass. S.U., 23 novembre 1990, n. 11/91. Santucci).

Estensione dell'impugnazione (art. 587)

Letture suggerite

MARANDOLA A., L'effetto estensivo fra norma e (distorte) prassi, in Le impugnazioni penali, a cura di G. CANZIO – R. BRICCHETTI, Milano 2019, p. 148 ss.

1. L'effetto estensivo favorevole di un'impugnazione è espresso in quattro proposizioni:

  • l'impugnazione proposta da uno degli imputati concorrenti nel reato, se non è fondata su motivi esclusivamente personali, giova anche agli altri imputati concorrenti (art. 587, comma 1 c.p.p.);
  • l'impugnazione proposta da un imputato, in un processo per più reati i, giova agli altri imputati, se i motivi riguardano violazioni della legge processuale e non sono esclusivamente personali (art. 587, comma 2)
  • l'impugnazione proposta dall'imputato giova anche al responsabile civile e alla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (art. 587, comma 3);
  • l'impugnazione proposta dal responsabile civile o dalla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria giova, anche agli effetti penali, all'imputato purché non sia fondata su motivi esclusivamente personali (art. 587, comma 4).

Dette disposizioni sono state dettate dall'esigenza di evitare disarmonie di trattamento tra soggetti in identica posizione, taluno dei quali abbia con esito favorevole proposto valida impugnazione.

Sulla finalità di evitare giudicati contraddittori in causa unica ha insistito la giurisprudenza. In particolare, nel processo con più imputati, la valida impugnazione proposta da un imputato - ancorché sostenuta da motivo non esclusivamente personale - non impedisce che diventi irrevocabile la sentenza relativamente al rapporto concernente l'imputato non impugnante (o l'impugnazione del quale sia stata dichiarata inammissibile). Rimane ferma, dunque, l'esecutorietà delle statuizioni ivi contenute e non può sospendersi il relativo procedimento esecutivo nell'attesa del verificarsi dell'eventuale effetto risolutivo straordinario di cui all'art. 587 c.p.p., in mancanza di disposizioni che attribuiscono un simile potere al giudice dell'esecuzione, né potendosene altrimenti trarne l'esistenza dal sistema penale (Cass. S.U. 24 marzo 1995, n. 9, Cacciapuoti).

In definitiva, nei confronti dell'imputato non impugnante si forma il giudicato, che potrà essere revocato solo al momento dell'accoglimento della impugnazione non strettamente personale svolta da altro imputato. L'estensione costituisce, dunque, un rimedio straordinario, che, solo al verificarsi dell'evento consistente nel riconoscimento, in sede di giudizio conclusivo del gravame, del motivo non esclusivamente personale dedotto dall'imputato diligente, è idoneo a revocare il giudicato in favore del non impugnante, rendendo questi partecipe del beneficio conseguito dall'impugnante; con la conseguenza che, fino a quando non si sia verificato tale effetto risolutivo, l'impugnazione altrui non spiega influenza alcuna sulla esecutorietà della sentenza relativa al rapporto processuale concernente il non impugnante.

Si tratta all'evidenza di casi in cui i motivi di impugnazione sono "non esclusivamente personali", perché investono questioni comuni e ugualmente incidenti su più imputati, che l'ordinamento esige siano risolte in maniera conforme per ragioni di giustizia sostanziale e di uniforme applicazione delle regole processuali; si giustifica così l'effetto estensivo delle impugnazioni: si pensi, ad esempio, alla valutazione dell'attendibilità o meno di una prova dichiarativa riguardante in modo identico più imputati, alla decisione sulla utilizzabilità o meno di una intercettazione riguardante nello stesso modo più imputati o al giudizio su un vizio processuale incidente su più imputati in modo identico (Cass. S.U. 24 marzo 1995, n. 9, Cacciapuoti).

Seguendo questi principi si è, ad es., affermato che l'effetto estensivo dell'impugnazione, in caso di accoglimento di un motivo di ricorso per cassazione non esclusivamente personale perché relativo all'oggettiva inutilizzabilità degli esiti delle intercettazioni telefoniche, su cui la sentenza impugnata ha fondato il giudizio di responsabilità per i concorrenti in un medesimo reato, giova agli altri imputati che non hanno proposto ricorso (estensione dell'impugnazione), ivi compresi coloro che hanno concordato la pena in appello, o che hanno proposto un ricorso originariamente inammissibile, o ancora che al ricorso hanno successivamente rinunciato (estensione della sentenza favorevole) (Cass. S.U. 12 luglio 2007, n. 30347, Aguneche).

2. L'effetto favorevole della declaratoria di estinzione del reato per prescrizione non opera in favore del coimputato concorrente nello stesso reato non impugnante se detta causa estintiva è maturata dopo la irrevocabilità della sentenza emessa nei confronti del medesimo (Cass. S.U. 26 ottobre 2017, n. 3391/18, Visconti; nello stesso senso Cass. S.U. 24 marzo 1995, n. 9, Cacciapuoti e successivamente Cass. S.U. 20 dicembre 2012, n. 19054/13, Vattani).

L'effetto estensivo riguarda questioni o situazioni oggettive concernenti il processo, sostanzialmente uguali ("comuni") per tutti gli imputati coinvolti. Si tratta - come si è detto - di casi in cui i motivi di impugnazione sono "non esclusivamente personali". Diverso è il caso della prescrizione del reato, il cui verificarsi nel corso del processo dipende da scelte individuali (sul rito o inerenti la proposizione di mezzi di impugnazione) ed è legato anche alle situazioni personali degli imputati (si pensi alla presenza della recidiva solo per alcuni di essi). Inoltre, il decorso del termine di prescrizione si sostanzia nella relazione tra un imputato, il reato da lui commesso e il tempo trascorso, relazione che cessa definitivamente e perde ogni ragion d'essere quando nei confronti dell'imputato sia intervenuta sentenza irrevocabile.

Anche l'uso da parte del legislatore del termine "imputati" e non "condannati", con riferimento ai non impugnanti, porta ad escludere che l'effetto estensivo possa riguardare i coimputati non impugnanti per i quali la causa estintiva sia maturata dopo l'irrevocabilità della sentenza di condanna pronunciata nei loro confronti.

Solo quando l'effetto estensivo della prescrizione si sia verificato prima del passaggio in giudicato della sentenza nei confronti del coimputato non impugnante si può sostenere che la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione operi in suo favore. In tal caso, infatti, non è intervenuta la cesura della sentenza irrevocabile che segna il limite di ogni possibile computo del tempo di prescrizione e la relazione tra imputazione e tempo di prescrizione è ancora in atto per il coimputato non impugnante. Ne discende che su una tale situazione possono utilmente riverberarsi gli effetti di una impugnazione altrui che porti ad una declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, in quanto in tale ipotesi la causa estintiva appare oggettiva (e quindi non esclusivamente personale) poiché svincolata rispetto alla scelta processuale del singolo coimputato non impugnante.

3. L'art. 601, comma 1 c.p.p. stabilisce che, in presenza di una delle situazioni descritte dall'art. 587, va in appello ordinata la citazione anche dell'imputato non appellante.

Nel caso di omessa citazione e conseguente applicazione dell'effetto estensivo favorevole, non resta all'imputato non appellante che rivolgersi al giudice dell'esecuzione, che interverrà sul titolo esecutivo, eliminando la contraddittorietà dei giudicati.

In evidenza

Il giudice dell'esecuzione può rivedere la condanna, eliminandola o ridimensionandola sulla scorta dell'effetto estensivo della più favorevole decisione assunta (Cass.Sez. III, 19 aprile 2001, n. 21085, Laratta)

Né l'art. 585 c.p.p., né altra disposizione, in ogni caso, attribuiscono all'imputato non appellante il diritto a proporre ricorso per cassazione, nell'ipotesi di mancato accoglimento dei motivi presentati dall'imputato appellante.

4. Nei procedimenti de libertate, che si instaurano a norma degli artt. 309, 310 e 311 c.p.p., è escluso l'effetto estensivo dell'impugnazione proposta dal coindagato diligente ai coindagati rimasti estranei al procedimento, ferma restando la possibilità, sulla base dei principi propri dell'ordinamento processuale, di estendere, ove ne ricorrano i presupposti, gli effetti favorevoli della decisione, purché non fondata su motivi personali di uno degli impugnanti, ad altro coindagato nello stesso procedimento (Cass. S.U. 22.11.1995, n. 41/96, Ventura).

La frammentazione e l'autonomia dei i procedimenti incidentali scaturenti da un iniziale provvedimento cautelare a struttura plurima permette per il margine di discrezionalità concessa al giudicante nella valutazione delle singole posizioni, una diversità di valutazioni e di decisioni che, pur avendo natura provvisoria e strumentale, impedisce l'applicabilità dell'art. 587 c.p.p.

L'autonomia e le caratteristiche del rito incidentale - improntato a specialità, semplicità e tempestività - non consentono l'applicabilità del principio estensivo dell'impugnazione ai rimedi previsti negli articoli citati.

Nell'ipotesi di procedimento incidentale che sorga e si svolga in modo unitario e cumulativo, è comunque sempre possibile, sulla base dei principi propri dell'ordinamento processuale, estendere, ove ne ricorrano i presupposti, gli effetti favorevoli della decisione stessa, purché non fondata su motivi personali di uno degli impugnanti, ad altro coindagato nello stesso procedimento.

I principi dettati dalla sopra citata decisione sono applicabili anche ai provvedimenti che impongono misure cautelari reali, versandosi pur sempre in tema di procedimenti incidentali scaturenti da un iniziale provvedimento cautelare (Cass. S.U. 26 giugno 2002, n. 34623, Di Donato).

Sospensione dell'esecuzione (art. 588)

La regola in materia è che l'esecuzione del provvedimento impugnato è sospesa dal momento della pronuncia, durante i termini per impugnare e fino all'esito del giudizio di impugnazione (art. 588, comma 1 c.p.p.).

La disposizione intende evitare che sia data esecuzione ad un provvedimento che potrebbe essere errato e che, per questa ragione, è stato messo in discussione dalla parte impugnante.

L'effetto sospensivo è, in sostanza, estrinsecazione della presunzione di non colpevolezza di cui all'art. 27, comma 2 Cost.

La legge può disporre altrimenti.

Casi in cui la legge dispone altrimenti

art. 127 c.p.p. (Procedimento in camera di consiglio)

7. Il giudice provvede con ordinanza comunicata o notificata senza ritardo ai soggetti indicati nel comma 1, che possono proporre ricorso per cassazione [606].

8. Il ricorso non sospende l'esecuzione dell'ordinanza, a meno che il giudice che l'ha emessa disponga diversamente con decreto motivato.

art. 318 c.p.p. (Riesame dell'ordinanza di sequestro conservativo)

2. La richiesta di riesame non sospende l'esecuzione del provvedimento.

art. 322 c.p.p. (Riesame del decreto di sequestro preventivo)

2. La richiesta di riesame non sospende l'esecuzione del provvedimento.

art. 322-bis c.p.p. (Appello contro le ordinanze in materia di sequestro preventivo e contro il decreto di revoca del sequestro emesso dal pubblico ministero)

2. L'appello non sospende l'esecuzione del provvedimento.

art. 325 c.p.p. (Ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse a norma degli articoli 322-bis e 324)

4. Il ricorso non sospende l'esecuzione della ordinanza.

art. 355 c.p.p. (Convalida del sequestro e suo riesame)

4. La richiesta di riesame non sospende l'esecuzione del provvedimento.

art. 464-quater c.p.p.(Provvedimento del giudice ed effetti della pronuncia)

7. Contro l'ordinanza che decide sull'istanza di messa alla prova possono ricorrere per cassazione l'imputato e il pubblico ministero, anche su istanza della persona offesa. La persona offesa può impugnare autonomamente per omesso avviso dell'udienza o perché, pur essendo comparsa, non è stata sentita ai sensi del comma 1. L'impugnazione non sospende il procedimento.

art. 479 c.p.p. (Questioni civili o amministrative)

2. La sospensione [del dibattimento] è disposta con ordinanza, contro la quale può essere proposto ricorso per cassazione. Il ricorso non ha effetto sospensivo.

art. 540 c.p.p. (Provvisoria esecuzione delle disposizioni civili)

1. La condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno è dichiarata provvisoriamente esecutiva, a richiesta della parte civile, quando ricorrono giustificati motivi.

2. La condanna al pagamento della provvisionale è immediatamente esecutiva.

art. 573 c.p.p. (Impugnazione per i soli interessi civili)

2. L'impugnazione per i soli interessi civili non sospende l'esecuzione delle disposizioni penali del provvedimento impugnato.

art. 605 c.p.p. (Sentenza)

2. Le pronunce del giudice di appello sull'azione civile sono immediatamente esecutive.

art. 666 c.p.p. (Procedimento di esecuzione)

7. Il ricorso non sospende l'esecuzione dell'ordinanza, a meno che il giudice che l'ha emessa disponga diversamente

art. 680 c.p.p. (Impugnazione di provvedimenti relativi alle misure di sicurezza)

3. Si osservano le disposizioni generali sulle impugnazioni, ma l'appello non ha effetto sospensivo, salvo che il tribunale disponga altrimenti.

Non hanno, per contro, in alcun caso effetto sospensivo le impugnazioni contro i provvedimenti in materia di libertà personale (art. 588, comma 2).

Rinuncia all'impugnazione (art. 589)

Letture suggerite

MARANDOLA A., Le disposizioni generali. VIII La rinuncia, in Le impugnazioni, Trattato di procedura penale diretto da G. SPANGHER, vol. V, Torino 2009, 251 ss.

Può essere effettuata dichiarazione di rinuncia all'impugnazione (che determina la sopravvenuta inammissibilità dell'impugnazione) proposta:

  • dal pubblico ministero presso il giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato fino all'apertura del dibattimento (v. artt. 492, 602, 614 c.p.p.);
  • dal pubblico ministero presso il giudice della impugnazione prima dell'inizio della discussione, anche se l'impugnazione è stata proposta da altro pubblico ministero (art. 589.1);
  • dalle parti private anche per mezzo di procuratore speciale (art. 589, comma 2, c.p.p.).

La dichiarazione di rinuncia è presentata a uno degli organi competenti a ricevere l'impugnazione nelle forme e nei modi previsti dagli artt. 581, 582 e 583 c.p.p. ovvero, in dibattimento, prima dell'inizio della discussione (art. 589, comma 3 c.p.p.).

Quando l'impugnazione è trattata e decisa in camera di consiglio (come ad es. nei casi di cui agli artt. 599, comma 1 e 611 c.p.p.), la dichiarazione di rinuncia può essere effettuata, prima dell'udienza, dal pubblico ministero che ha proposto l'impugnazione e, successivamente, dal pubblico ministero presso il giudice dell'impugnazione, anche se la stessa è stata proposta da altro pubblico ministero (art. 589, comma 4).

Al difensore che non agisce quale procuratore speciale non compete la facoltà di rinunciare all'impugnazione, anche quando egli stesso abbia proposto il gravame (Cass. S.U. 31 maggio 1991, n. 6, Catalano), a meno che il rappresentato sia presente alla dichiarazione di rinuncia fatta in udienza e non vi si opponga (Cass. S.U. 24 novembre 2015, n. 12603/16, Celso).

La rinuncia all'impugnazione può essere parziale, riguardare cioè quelle parti dell'impugnazione con cui si contesti e si chieda la riforma o l'annullamento di uno o più capi o punti del provvedimento impugnato. Anch'essa, trattandosi di atto abdicativo di diritti e facoltà processuali già acquisiti, sia pure con effetti più limitati rispetto a quella totale, non può essere effettuata dal difensore, di fiducia o di ufficio, che sia privo di procura speciale (Cass. S.U. 24 novembre 2015, n. 12603/16, Celso, che ha chiarito che la rinuncia all'impugnazione, per quanto parziale, non è ricompresa nella discrezionalità tecnica del difensore, a differenza della mera rinuncia ad una o più argomentazioni o motivazioni su cui si fondano le diverse parti dell'impugnazione relative ai diversi capi impugnati).

La rinuncia al ricorso per cassazione validamente proposto determina l'immediata estinzione del rapporto processuale, cui consegue l'immediato passaggio in giudicato della sentenza all'atto della dichiarazione di sopravvenuta inammissibilità dell'impugnazione (Cass. S.U. 17 dicembre 2015, n. 12602/16, Ricci).

Trasmissione di atti in seguito all'impugnazione (art. 590)

Il provvedimento impugnato, l'atto di impugnazione e gli atti del procedimento vanno trasmessi senza ritardo al giudice della impugnazione (art. 590 c.p.p.).

La trasmissione di detti atti è comunicata alla segreteria del pubblico ministero (art. 15, comma 2 reg. esec.).

Agli atti da trasmettere al giudice dell'impugnazione va allegato, un documento, che deve essere formato, a cura del giudice o del presidente del collegio che ha emesso il provvedimento impugnato, subito dopo la presentazione dell'atto di impugnazione, e che deve contenere:

a) i nominativi dei difensori, di fiducia o d'ufficio, con indicazione della data di nomina;

b) le dichiarazioni o elezioni o determinazioni di domicilio, con indicazione delle relative date;

c) i termini di prescrizione riferiti a ciascun reato, con indicazione degli atti interruttivi e delle specifiche cause di sospensione del relativo corso, ovvero eventuali dichiarazioni di rinuncia alla prescrizione;

d) i termini di scadenza delle misure cautelari in atto, con indicazione della data di inizio e di eventuali periodi di sospensione o proroga (art. 165-bis.1 disp. att.).

Inammissibilità dell'impugnazione (art. 591)

1. L'art. 591, comma 1 c.p.p. elenca i casi di inammissibilità dell'impugnazione.

In particolare, l'impugnazione è inammissibile:

a) quando è proposta da chi non è legittimato o non ha interesse;

b) quando il provvedimento non è impugnabile;

c) quando non sono osservate le disposizioni degli artt. 581, 582, 583, 585 e 586 c.p.p.;

d) quando vi è rinuncia all'impugnazione.

L'elenco ha carattere tassativo, ma non esaurisce i casi di inammissibilità, essendone previsti altri con riguardo a singoli mezzi d'impugnazione (si pensi, ad es., alle cause di inammissibilità del ricorso per cassazione di cui all'art. 606, comma 3).

In relazione ai casi di cui alla lett. a) si rinvia a quanto detto sull'art. 568, commi 3-4, c.p.p.

Con riguardo a quelli di cui alla lett. b) si rinvia all'art. 568, comma 1 (v., inoltre, artt. 443, 448, comma 2, 469, 593 commi 2-3 c.p.p.).

Quanto ai casi di cui alla lett. c) si rinvia agli artt. 581, 582, 583 (voce Forma, presentazione, spedizione e notificazione dell'impugnazione), art. 585 (voce Termini per l'impugnazione) e 586 c.p.p.

Con riguardo, infine, al caso di cui alla lett. d), si rinvia a quanto detto sull'art. 589.

Va solo aggiunto:

  • che la totale assenza dei motivi nell'atto di impugnazione è causa di inammissibilità che prevale su quella della sopravvenuta carenza di interesse alla decisione, perché integra una carenza originaria dell'atto, direttamente imputabile alla volontà della parte;
  • che il sopravvenuto difetto di interesse all'impugnazione è una causa di inammissibilità che prevale su quella della rinuncia all'impugnazione, eventualmente concorrente, perché più favorevole, non comportando la condanna al pagamento delle spese.

2. L'impugnazione inammissibile non può produrre gli effetti introduttivi del giudizio del grado successivo.

In particolare, l'inammissibilità impedisce di rilevare e dichiarare la sussistenza di eventuali cause di non punibilità (Cass. S.U., 26 giugno 1998, n. 11493, Verga).

Le sole ipotesi di cognizione da parte del giudice dell'impugnazione inammissibile rimangono:

  • quella relativa all'accertamento dell'abolitio criminis o della dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice formante oggetto dell'imputazione e desumibile dall'eccezionale possibilità di incidere in executivis sul provvedimento contrassegnato dalla formazione del giudicato formale (Cass. S.U., 22 novembre 2000, n. 32/01, De Luca; Cass. S.U., 26 giugno 2015, n. 47766, Butera; Cass. S.U. 21 giugno 2018, Salatino);
  • quella in cui debba essere dichiarata l'estinzione del reato per morte dell'imputato a norma dell'art. 150 c.p. (Cass. S.U., 22 novembre 2000, n. 32/01, De Luca);
  • quella delle modifiche normative sopravvenute in termini di attenuazione della pena (Cass. S.U. 26 giugno 2015, n. 46653, Della Fazia, preceduta da Cass. S.U. 29 maggio 2014, n. 42858, Gatto che aveva ammesso la superabilità del giudicato quando interviene la dichiarazione d'illegittimità costituzionale di una norma penale incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio);
  • quella in cui l'estinzione vada dichiarata per remissione della querela, ritualmente accettata, purché l'impugnazione sia stata tempestivamente proposta (CassS.U., 25 febbraio 2004, n. 24246, Chiasserini): dalle connotazioni peculiari di tale causa estintiva - «che si collega direttamente all'esercizio dell'azione penale, in forza dell'esercizio di un diritto potestativo del querelante diretto, attraverso un contrarius actus, a porre nel nulla la condizione per l'inizio dell'azione penale ;» — deriva la « ;necessità di conferire alla voluntas del remittente la massima valenza sul piano del possibile giuridico».

Va, inoltre, segnalata, nella medesima prospettiva, la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p., che le Sezioni Unite (Cass. S.U. 25 febbraio 2016, n. 13681, Tushaj) hanno ritenuto rilevabile anche in presenza di ricorso inammissibile rimarcandone la capacità di operare come una depenalizzazione in concreto (Cass. S.U. 22 giugno 2017, n. 53683, Pmp e altri), pure dovendosi sottolineare la dissimetria, rispetto alle decisioni precedenti, della interpretazione che ha disancorato tale eccezionale attitudine, dalla capacità di determinare la revoca del giudicato (Cass. S.U. 21 giugno 2018, n. 40150, Salatino).

3. Soprattutto con riguardo alla prescrizione del reato si sono susseguite fondamentali decisioni delle Sezioni Unite della S.C.

In una prima decisione (Cass. S.U., 11 novembre 1994, n. 21/95, Cresci) si era affermato che soltanto le cause di inammissibilità originaria dell'impugnazione (tutte quelle previste dall'art. 591, ad esclusione della rinuncia; nella specie, si trattava della genericità dei motivi) impedivano di rilevare e dichiarare, ai sensi dell'art. 129, eventuali cause di non punibilità, segnatamente la prescrizione del reato. Per contro, le cause di inammissibilità sopravvenute (ad es., con riguardo al ricorso per cassazione, la manifesta infondatezza dei motivi ovvero l'enunciazione di motivi non consentiti o non dedotti in appello: art. 606, comma 3 c.p.p.) non erano ostative all'operatività della disposizione dell'art. 129 c.p.p.

Una successiva decisione (Cass. S.U., 30 giugno 1999, n. 15, Piepoli) aveva circoscritto ulteriormente il numero delle cause di inammissibilità sopravvenute, individuando anche all'interno del citato art. 606, comma 3 c.p.p., cause di inammissibilità originaria del ricorso, segnatamente i motivi “non consentiti” e quelli non dedotti nel giudizio di appello. Restava, dunque, al di fuori della categoria delle cause di inammissibilità originarie, oltre alla rinuncia all'impugnazione, la manifesta infondatezza dei motivi.

Ci ha pensato una successiva pronuncia ad annoverare anche il ricorso contrassegnato da motivi manifestamente infondati fra le cause originarie di inammissibilità (Cass. S.U.,22 novembre 2000, n. 32/01, De Luca). Va solo aggiunto, per concludere sul punto, che le tre decisioni da ultimo citate riguardavano tutte ipotesi in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla pronuncia della sentenza di appello. È rimasta, dunque, come causa sopravvenuta la sola rinuncia al gravame, ma sin tratta di vicenda del tutto diversa dalle altre cause di inammissibilità, discendendo un simile effetto dall'esercizio di un diritto potestativo dell'interessato.

Quanto alla prescrizione maturata prima della pronuncia della sentenza d'appello, la S.C. ha chiarito che l'inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevarla d'ufficio, ai sensi degli artt. 129 e 609.2, se non rilevata né eccepita in sede d'appello e neppure dedotta con i motivi di ricorso (Cass. S.U., 17 novembre 2015, n. 12602/16, Ricci; conforme Cass. S.U., 22 marzo 2005 n. 23428, Bracale).

Successivamente, Cass. S.U., 27 maggio 2016n. 6903/17, Aiello ha affermato che, in caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, l'autonomia dell'azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l'ammissibilità dell'impugnazione per uno dei reati possa determinare l'instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello.

4. La competenza a dichiarare l'inammissibilità è del giudice dell'impugnazione (art. 591, comma 2). Benché la disposizione in esame affermi che «il giudice dell'impugnazione, anche di ufficio, dichiara con ordinanza l'inammissibilità», la giurisprudenza ritiene che la pronuncia di inammissibilità assumerà la forma dell'ordinanza o quella della sentenza a seconda dello stato processuale in cui venga assunta, fermo restando che, affinché venga dichiarata l'inammissibilità dell'impugnazione, la legge non richiede che il procedimento debba svolgersi nelle forme previste dall'art. 127 c.p.p.

Con l'ordinanza (o con la sentenza) il giudice dell'impugnazione deve anche disporre l'esecuzione del provvedimento impugnato.

5. L'ordinanza va notificata all'autore dell'impugnazione e, nel caso di presentazione da parte dell'imputato, anche al difensore di questo (art. 591, comma 2).

La notifica al difensore del provvedimento dichiarativo dell'inammissibilità è imposta solo quando questo assume la forma dell'ordinanza camerale, non quando assume la forma della sentenza dibattimentale. In quest'ultimo caso, infatti, il difensore presente all'udienza ha notizia dell'inammissibilità dalla pubblicazione del dispositivo ex art. 545 c.p.p. e comunque non ha diritto alla notifica, giacché ai sensi dell'art. 585, comma 2 lett. c), il termine per impugnare decorre per lui automaticamente dalla scadenza del termine stabilito dalla legge o dal giudice per il deposito della sentenza.

La notificazione dell'ordinanza di inammissibilità dell'impugnazione proposta non attribuisce a questa giuridica esistenza ma rappresenta un adempimento esteriore, autonomo e successivo, che assolve alla funzione di dare notizia ai soggetti interessati della esistenza del provvedimento agli effetti della decorrenza del termine per presentare contro di esso ricorso per cassazione. Gli eventuali vizi di notifica dell'ordinanza, pertanto, non possono dedursi come motivi di nullità della stessa, attenendo il suddetto incombente al momento conoscitivo dell'atto e non al suo perfezionamento.

6. L'ordinanza è ricorribile per cassazione (non quindi revocabile dallo stesso giudice), mezzo con il quale, ad es., l'interessato può fare valere un errore di verifica in ordine all'esistenza della causa di inammissibilità (art. 591, comma 3 c.p.p.).

Con il ricorso sono deducibili esclusivamente i vizi concernenti la stessa ordinanza, e non già i vizi relativi al provvedimento la cui impugnazione è stata dichiarata inammissibile. All'annullamento, da parte della Corte di cassazione, del provvedimento di inammissibilità dell'impugnazione, ancorché emesso con sentenza, consegue il rinvio allo stesso giudice che lo ha pronunciato, poiché si tratta di un provvedimento per il quale è normalmente prevista la forma dell'ordinanza e che, impedendo la prosecuzione del processo, richiede, in caso di sua invalidità, l'annullamento senza rinvio con la trasmissione degli atti al giudice che avrebbe dovuto conoscere dell'impugnazione.

7. L'inammissibilità, quando non è stata rilevata dal giudice dell'impugnazione, può essere dichiarata in ogni stato e grado del procedimento (art. 591, comma 4).

Non possono tuttavia rilevarsi nel giudizio di rinvio inammissibilità verificatesi nei precedenti giudizi (v. art. 627, comma 4).

Costituisce caso di ricorso per cassazione il motivo concernente l'inosservanza di norme previste a pena di inammissibilità (art. 606, comma 1, lett. c).

Condanna alle spese nei giudizi di impugnazione (art. 592)

LETTURE SUGGERITE

MARANDOLA A., Le disposizioni generali. IX La condanna alle spese, in Le impugnazioni, Trattato di procedura penale diretto da G. SPANGHER, vol. V, Torino 2009, 261 ss.

L'art. 592 c.p.p. disciplina la condanna alle spese.

1. Con il provvedimento che rigetta o dichiara inammissibile l'impugnazione, la parte privata che l'ha proposta è condannata alle spese del procedimento (art. 592, comma 1).

Esempio

Morte dell'imputato

La morte del ricorrente, intervenuta nel corso del giudizio di legittimità, rende inammissibile l'impugnazione ed esclude la possibilità della condanna alle spese e alla sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende (Cass. Sez. I, 11 novembre 2010, n. 42313, Di Marco)

Allorché l'appello della parte civile sia stato dichiarato inammissibile per la morte dell'imputato assolto in primo grado, non può essere pronunciata condanna alle spese processuali nei confronti di tale soggetto, qualora l'impugnazione sia stata proposta quando l'imputato era ancora in vita (Cass.Sez. I, 29 settembre 2010, n. 36220, Grasso)

La parte pubblica è per principio esonerato dalla responsabilità per le spese.

Non può essere condannato alle spese il difensore.

Il minorenne è esonerato dal pagamento delle spese processuali (Cass. S.U. 31 maggio 2000, n. 15, Radulovic, che, anche con riguardo alla sanzione pecuniaria in caso di inammissibilità del ricorso per cassazione, così interpreta l'espressione “sentenza di condanna” contenuta nell'art. 29, d.lgs. 28 luglio 1989, n. 272).

Al parziale accoglimento dell'impugnazione dell'imputato deve conseguire l'esclusione della sua condanna alle spese del procedimento di impugnazione. Il parziale accoglimento dell'impugnazione dell'imputato non elimina la condanna, sicché - pur impedita la sua condanna al pagamento delle spese processuali - è consentita la condanna dello stesso alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di impugnazione, in base alla decisiva circostanza della mancata esclusione del diritto della parte civile, salvo che il giudice non ritenga di disporne, per giusti motivi, la compensazione totale o parziale, sulla base di un potere discrezionale attribuito dalla legge e il cui esercizio non è censurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato (Cass. S.U. 30 aprile 1997, n. 6402, Dessimone).

Quando il ricorso dell'imputato viene dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile, ne va disposta la condanna al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, anche se i motivi di ricorso da lui proposti riguardino esclusivamente la pena inflitta, purché la domanda di restituzione o risarcimento del danno sia stata accolta in sede di merito e, in sede di legittimità, la stessa parte civile abbia effettivamente esplicato, nei modi e nei limiti consentiti, un'attività diretta a contrastare la pretesa dell'imputato per la tutela dei propri interessi (Cass. S.U. 28 gennaio 2004, n. 5466, Gallo con riguardo al procedimento che si svolge dinanzi alla Corte di cassazione in camera di consiglio nelle forme previste dagli artt. 610 e 611 c.p.p.).

Il tenore letterale dell'art. 592, comma 1 c.p.p. non lascia dubbi in ordine alla responsabilità per le spese processuali della parte civile che abbia proposto una impugnazione rigettata o dichiarata inammissibile, senza possibilità di distinguere il caso in cui l'impugnazione della parte civile sia o no accompagnata anche dalla impugnazione del pubblico ministero (Cass. S.U. 25 ottobre 2005, n. 41476, P.G. e p.c. in proc. Misiano).

2. I coimputati che hanno partecipato al giudizio a norma dell'art. 587 c.p.p. sono condannati alle spese in solido con l'imputato che ha proposto l'impugnazione (art. 592, comma 2).

È, dunque, stabilita la responsabilità solidale per le spese processuali anche a carico dei coimputati che hanno partecipato attivamente al giudizio in conseguenza dell'effetto estensivo della impugnazione, quando questa sia stata rigettata o dichiarata inammissibile. Ciò significa che il legislatore pone a carico solidale dell'imputato le spese del giudizio di impugnazione, anche quando questi non promuove il giudizio, ma si limita a partecipare ad esso in virtù dell'effetto estensivo dell'impugnazione. Si può dire a rigore che in tal caso l'imputato è responsabile delle spese processuali non perché ha dato causa al giudizio, ma perché è stato causa (o concausa) delle spese del giudizio.

3. L'imputato che nel giudizio di impugnazione riporta condanna penale è condannato alle spese dei precedenti giudizi, anche se in questi sia stato prosciolto (art. 592, comma 3).

Nei giudizi di impugnazione per i soli interessi civili la parte privata soccombente è condannata alle spese (art. 592, comma 4).

Per emendare la sentenza che abbia erroneamente statuito in tema di condanna al pagamento delle spese processuali (e della sanzione pecuniaria per l'inammissibilità del ricorso per cassazione) può farsi ricorso alla procedura di correzione degli errori materiali di cui all'art. 130 c.p.p., trattandosi di rettifica che non incide sul contenuto intrinseco della decisione ma su una pronuncia consequenziale ed accessoria ad essa, non implicante alcuna valutazione discrezionale da parte del giudice (Cass. S.U. 31 maggio 2000, n. 15, Radulovic).

Anche in caso di omissione, nella sentenza di applicazione concordata della pena, di condanna dell'imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, è possibile fare ricorso alla procedura di correzione dell'errore materiale, sempre che non emergano specifiche circostanze idonee a giustificare l'esercizio della facoltà di compensazione, totale o parziale, delle stesse (Cass. S.U. 31 gennaio 2008, n. 7945, Boccia).

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