Indagini difensive e illeciti deontologici
19 Giugno 2020
La mancata convocazione per iscritto, l'omissione degli avvisi e la mancata interruzione delle indagini difensive nel caso in cui emergano indizi di reità a carico del dichiarante costituiscono illeciti deontologici?
Le suddette ipotesi costituiscono illeciti deontologici e ciò discende dalla norma del codice deontologico forense di cui all'art. 55, ottavo comma, e dall'art. 391-bis, comma sesto, codice di procedura penale che chiaramente prevede che le dichiarazioni ricevute e le informazioni assunte in indagini difensive in violazione delle disposizioni contenute nei precedenti commi dello stesso articolo siano inutilizzabili e che la violazione di tali disposizioni costituisca illecito deontologico. In particolare, il suddetto comma 8 prevede che “Per conferire con la persona offesa dal reato, assumere informazioni dalla stessa o richiedere dichiarazioni scritte, il difensore deve procedere con invito scritto, previo avviso all'eventuale difensore della stessa persona offesa, se conosciuto; in ogni caso nell'invito è indicata l'opportunità che la persona provveda a consultare un difensore perché intervenga all'atto”. È chiara la norma deontologica, dunque, nel prevedere l'invito per iscritto oltre che il preventivo avviso al difensore della stessa prima di procedere all'audizione e, comunque, l'avviso alla persona offesa di consultare un difensore affinché possa assistere all'audizione.
Il legislatore aveva (e tutt'ora ha) trascurato questo aspetto fondamentale delle indagini difensive. Se non vi fossero stati i precetti deontologici, invero, il difensore avrebbe dovuto interrogare (magari videoregistrando non solo la persona adulta, bensì persino il bimbo in ipotesi abusato, recandosi nella scuola materna da lui frequentata! Dunque anche in assenza dei difensori. Ciò fino a quando l'art. 5 della legge 1/10/2012 n. 172, non aggiunse un comma 5 bis all'art. 391 bis del codice di rito che per l'assunzione di informazioni da minori esige l'<ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile (E. RANDAZZO, Commento all'art. 55 C.D.F. in Ettore Randazzo (cura di) Il Penalista e il nuovo codice deontologico, (a cura di Ettore Randazzo), MILANO Giuffrè, 2014).
La sentenza del Consiglio Nazionale Forense n. 229 del 23 dicembre 2017 analizza le suddette violazioni deontologiche. Nel caso oggetto della decisione veniva sanzionato con l'avvertimento il difensore che aveva omesso- nel convocare la persona offesa del procedimento (Mevia) - di invitarla a rendere dichiarazioni per iscritto informandola di consultare un suo legale e di farlo intervenire all'atto. Il capo di incolpazione comprendeva, altresì, l'omessa interruzione dell'assunzione delle informazioni rese dalla persona offesa a fronte delle sue dichiarazioni dalle quali erano emersi indizi di reità a suo carico. In particolare la dichiarante in modifica delle affermazioni rese a verbale, in precedenza, avanti la Questura, negando quanto in quella sede dichiarato, affermava di avere ricevuto minacce da parte dell'imputato per fornire un'errata versione dei fatti oggetto dell'imputazione. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Verona segnalava la condotta dell'avvocato che aveva effettuato in modo non corretto atti di investigazioni difensive per conto del suo assistito che era accusato di tentato omicidio aggravato in danno di una coppia e di minaccia aggravata nei confronti di [MEVIA]. L'incolpazione trovava fondamento nella norma regolamentare che, espressamente, richiama quella processuale, che contempla il dovere per il difensore “di rispettare tutte le disposizioni fissate dalla legge”, fra cui deve considerarsi l'art. 391-bis c.p.p. che disciplina il colloquio, l'assunzione di dichiarazioni e l'assunzione di informazioni effettuate mediante indagini difensive. Il Consiglio Nazionale Forense, nel confermare la decisione del Consiglio dell'ordine degli Avvocati di Verona, fondava le proprie motivazioni anche nel richiamo all'art. 391-bis c.p.p. in particolare il suo sesto comma che prevede l'inutilizzabilità delle indagini difensive assunte in violazione dei commi precedenti evidenziando che la violazione delle disposizioni previste dall'art. 391-bis c.p.p. costituisca “illecito disciplinare ed è comunicata dal giudice che procede all'organo titolare del potere disciplinare” Le motivazioni della suddetta sentenza evidenziano sia la inutilizzabilità delle indagini difensive che la rilevanza deontologica della violazione delle condotte sopra indicate. L'art. 391-bis, quarto comma, del codice di procedura penale prevede che “alle persone già sentite dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero non possono essere richieste notizie sulle domande formulate o sulle risposte date”, il nono comma del medesimo articolo, invece, prevede che: “il difensore o il sostituto interrompono l'assunzione di informazioni da parte della persona non imputata ovvero della persona non sottoposta ad indagini, qualora essa renda dichiarazioni dalla quali emergano indizi di reità a suo carico. Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese”. Nonostante nel caso in esame il difensore giustifichi la mancata convocazione nella visita improvvisa presso il suo studio della persona offesa tale indimostrata situazione, non consente una deroga alle regole che regolano la convocazione della persona offesa. Viene confermata, dunque, anche dal Consiglio Nazionale Forense la violazione dal parte del difensore delle disposizioni che regolano la convocazione scritta della parte offesa e la indicazione della opportunità di essere assistito da un difensore. Quanto alle dichiarazioni autoindizianti e alla mancata interruzione delle indagini difensive, il Consiglio nazionale Forense precisa che non è rilevante che non sia stato avviato nei confronti della persona offesa che era stata sentita in indagini difensive un procedimento penale perché il difensore avrebbe dovuto, comunque, procedere all'interruzione delle indagini difensive.
Il comma 9 dell'art. 391-bis c.p.p. impone al difensore (o al sostituto) d'interrompere l'assunzione di informazioni da parte della persona non imputata ovvero della persona non sottoposta ad indagini, qualora essa renda dichiarazioni dalle quali emergano indizi di reità a suo carico. Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese. La disposizione concernente le cosiddette dichiarazioni indizianti ad evoca del divieto di cui all'art. 198, comma 2 c.p.p., alla stregua del quale il testimone non può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale. La norma riproduce in sostanza, l'art. 63, comma 1, c.p.p. e dette dichiarazioni non possono essere utilizzate. Benché nel corpo dell'art. 391 bis non si rinvengano richiami alla disposizione del comma 2 del menzionato art. 63 si è ritenuto che le dichiarazioni rese siano inutilizzabili anche nell'ipotesi in cui una persona avrebbe, fin dall'inizio, dovuto essere sentita in qualità di imputata o indagata (così Cass.,II, 17 ottobre 2007, n. 47394 p.m. in proc. F., CED 239264; in CP 2008, 4697, con nota di BIONDI, È applicabile l'art. 63 comma 2 c.p.p. nell'ambito dell'attività di assunzione di informazioni svolta dal difensore? (R. BRICCHETTI, Le c.d. dichiarazioni indizianti, in R. BRICCHETTI – E. RANDAZZO, Le indagini della difesa).
Quanto all'ulteriore doglianza del ricorrente relativa alla errata modalità di segnalazione dell'illecito (da parte del Procuratore e non del giudice che procede) non è rilevante: “Così, come prevede la disposizione sanzionatoria, indipendentemente dalla facoltà dell'Autorità Giudiziaria di dichiarare la inutilizzabilità delle indagini raccolte in modo non corretto, sussiste violazione delle norme ex art. 52 codice deontologico previgente (ora 55) che disciplinano le modalità di svolgimento delle indagini difensive. Sussiste, sia la inosservanza degli obblighi che presidiano la convocazione della parte offesa, sia delle modalità di raccolta delle informazioni assunte nel corso delle indagini difensive[1]” (Consiglio Nazionale Forense n. 229 del 23 dicembre 2017) |