Alla Consulta la quaestio della preclusione assoluta per l'ergastolano di accesso alla liberazione condizionale in assenza di collaborazione
22 Giugno 2020
È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 27 e 117 Cost., delle norme che escludono per i condannati all'ergastolo, per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all'art. 416-bis c.p. ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste, che non abbiano collaborato con la giustizia, l'ammissione alla liberazione condizionale.
Così la Cassazione con ordinanza n. 18518/20 depositata il 18 giugno.
L'importanza dell'ordinanza in commento – da meritare il 3 giugno scorso (giorno della sua deliberazione) la notizia di decisione n. 4/2020 – è in nuce e si inserisce all'interno di una fluida e recente evoluzione giurisprudenziale. Infatti, dopo che la Corte costituzionale, nella storica sentenza n. 253/2019, ha trasformato da “assoluta” a relativa la presunzione di pericolosità in assenza di collaborazione, quale ostacolo (non più insormontabile) per l'accesso ai permessi premio, si sono spalancate le porte per addivenire a tale conclusione, con la declaratoria delle relative norme, anche con riferimento a tutti i benefici penitenziari che si inseriscono nel quadro della rieducazione del condannato.
Questa volta tocca alla liberazione condizionale. Così, la Suprema Corte, preso atto che anche la liberazione condizionale – attraverso il requisito del sicuro ravvedimento, il quale rimanda al riscontro in concreto di importanti traguardi trattamentali, tali da consentire l'apprezzamento della revisione critica delle pregresse scelte criminali – si inserisce nell'ottica rieducativa, solleva la relativa questione per il beneficio ex art. 176 c.p. Ciò perchè l'assenza di collaborazione con la giustizia non può risolversi in un aggravamento delle modalità di esecuzione della pena (sempre sentenza n. 253/2019).
Superato il binomio indissolubile tra mancata collaborazione e presunzione assoluta di pericolosità. È stata soprattutto la Corte Edu nella sentenza Viola contro Italia (definitiva il 7 ottobre 2019) che per prima ha sciolto chiaramente l'endiadi collaborazione=rieducazione (perché è possibile immaginare concretamente una collaborazione ‘utilitaristica' senza affrancamento e, al contrario, una rieducazione senza collaborazione per i rischi alla propria incolumità e quella dei familiari). Per cui presunzioni di tal fatta (impossibile usufruire di misure extramurarie se non collabori con la giustizia), soprattutto se rapportare a detenzioni di lunga durata, non possono che essere “relative”, pena la violazione dell'art. 27, comma 3, Cost. e art. 3 CEDU.
Il caso de quo. E così un ergastolano, in espiazione pena dal 1999 chiedeva la liberazione condizionale (avendo scontato, contando la liberazione anticipata, il tetto minimo di 26 anni per accedervi). Il tribunale di sorveglianza di L'Aquila dichiarava inammissibile l'istanza per una doppia preclusione: 1) la prima legata ad un giudicato esecutivo per l'assenza di prospettati novum sull'impossibilità della collaborazione di precedenti richieste di fruizione di permessi premio; 2) quella principale della mancanza del requisito necessario della collaborazione con la giustizia ai sensi dell'art. 58-ter o.p. o, in sua vece, l'impossibilità o inesigibilità della collaborazione.
Collaborazione non più indice invincibile di pericolosità sociale. Il detenuto riteneva illegittimo il provvedimento impugnato in quanto non ha tenuto conto delle indicazioni della giurisprudenza sovrannazionale, secondo cui il difetto di collaborazione non può essere elevato ad indice invincibile di pericolosità sociale. Occorreva invece fornire una lettura costituzionalmente orientata in quanto tale esegesi si poneva in contrasto con la Cedu e la Costituzione.
Sulla rilevanza della quaestio. Anche se nell'ordinanza impugnata non viene paventato che la mancata collaborazione sia conseguenza di personali determinazioni del tutto estranee al proposito di mantenere i collegamenti col sodalizio criminoso di appartenenza ciò non priva di rilevanza la questione. Infatti, l'eventuale accoglimento della questione di costituzionalità, imporrebbe al giudice di merito di decidere sulla base di una diversa regola, che consentirebbe di verificare le reali ragioni della mancata collaborazione.
Sulla non manifesta non infondatezza dell'incidente di costituzionalità. I giudici di legittimità prendono atto che anche di recente la Cassazione è giunta sul punto ad una diversa soluzione ritenendo all'interno dei binari della Costituzione il sistema normativo che eleva l'atteggiamento non collaborativo ad indice legale della persistenza dei collegamenti con la criminalità organizzata (e quindi la mancanza del sicuro ravvedimento del condannato) secondo un meccanismo presuntivo vincibile ‘solo' laddove si accerti l'impossibilità o l'inesigibilità della collaborazione non prestata.
Pena senza speranza in contrasto con la Costituzione… Fu tale scappatoia che salvò l'ergastolo ostativo dalle scure di incostituzionalità dell'ergastolo ostativo, la cui compatibilità costituzionale si è sempre saldata sulla possibilità di accedere alla liberazione condizionale, e di superare l'etichetta di pena senza speranza (altrimenti in contrasto con la risocializzazione che riguarda tutte le pene, anche quella perpetua).
… e la CEDU. Stesso percorso ha seguito la Corte di Strasburgo che ha ritenuto rispettate le garanzie del divieto di pene disumane e degradanti, ai sensi dell'art. 3 CEDU, laddove l'ergastolo sia riducibile de iure e de facto in quanto accompagnato dalla prospettiva di liberazione in ragione dei significativi progressi trattamentali. L'esistenza invece di preclusioni assolute di accesso alla liberazione condizionale si risolve in un trattamento inumano e degradante, soprattutto ove si evidenzino progressi del condannato verso la risocializzazione; ciò perché il detenuto viene privato del diritto alla speranza.
Il salto di qualità della sentenza Viola contro Italia. La Corte Edu ha compiuto un grande salto in avanti nella nota pronuncia sul caso Viola dell'anno scorso. Se la collaborazione viene intesa come l'unica forma possibile di manifestazione della rottura dei legami criminali – affermano i giudici europei – si trascura la considerazione di quegli elementi che fanno apprezzare l'acquisizione di progressi trattamentali del condannato all'ergastolo nel suo percorso di reinserimento sociale e si omette di valutare che la dissociazione dall'ambiente criminale ben può essere altrimenti desunta.
Senza modifiche legislative l'ergastolo ostativo contrasto con la CEDU. Gli ermellini ricordano che la sentenza Viola ha rilevato la necessità, visto il carattere strutturale del problema, di una riforma, ponendo il tema della compatibilità della normativa interna con la CEDU, come interpretata dalla Corte di Strasburgo, alla luce del parametro costituzionale dell'art. 117.
Estendere la l'abbattimento delle preclusioni assolute a tutte le tappe del percorso rieducativo. Per i giudici di legittimità le perplessità sono ulteriormente rafforzate dalla decisione n. 253/2019 con cui la Consulta ha fatto cadere la preclusione alla concessione dei permessi premio per difetto di collaborazione con la giustizia. Il superamento della preclusione assoluta verrebbe scemata gran parte del suo significato sistematico se per le ulteriori tappe del percorso rieducativo dovesse invece ancora valere la preclusione ad una considerazione individualizzata del comportamento e della personalità del condannato.
La collaborazione “uno” degli indici di scissione col sodalizio criminoso. Alla luce del recente percorso della giurisprudenza convenzionale e costituzionale, la Suprema Corte prospetta il dubbio di costituzionalità, il quale trova espressione nel convincimento che la collaborazione non può più essere elevata ad indice esclusivo dell'assenza di ogni legame con l'ambiente criminale di appartenenza e che, di conseguenza, altri possono in concreto essere validi e inequivoci indici dell'assenza di detti legami e quindi di pericolosità sociale.
Uno spiraglio di luce in fondo al tunnel? La palla passa alla Consulta per continuare ad abbattere il muro delle preclusioni assolute e garantire, attraverso l'esaltazione del percorso rieducativo, il fine cui tutte le pene devono tendere; affinché il condannato, anche per i reati più gravi, anche se condannato a ‘fine pena mai' possa vedere in fondo al tunnel uno spiraglio di luce (rectius la speranza di riacquistare un giorno la libertà). |