Danno da lesione del rapporto parentale: un ripensamento sullo “sconvolgimento” delle abitudini di vita del prossimo congiunto

Massimiliano Stronati
23 Giugno 2020

La pretesa risarcitoria a titolo di danno non patrimoniale avanzata dai congiunti del parente rimasto gravemente leso a seguito di un incidente si sostanzia esclusivamente nel totale sconvolgimento delle loro abitudini di vita? E quale onere probatorio devono assolvere i danneggiati?
Massima

La lesione subita dal congiunto fa sorgere in capo ai parenti della vittima un danno non riflesso, ma diretto e consistente non solo nel possibile (e non più necessario) sconvolgimento delle abitudini di vita, ma anche nella sofferenza d'animo interiore. Tali conseguenze pregiudizievoli sono dimostrabili anche per presunzioni, con particolare riferimento al legame parentale esistente tra la vittima materiale e i congiunti.

Il caso

La vittima di un sinistro stradale e i suoi congiunti, genitori e germani, agivano in giudizio nei confronti del conducente del motociclo, sul quale era trasportato il parente leso, nonché avverso il proprietario dell'altro veicolo coinvolto nel sinistro, oltre all'assicuratore di costui, al fine di ottenere il ristoro dei distinti danni patiti.

Il Tribunale, pur riconoscendo la concorrenza della condotta del parente trasportato nella causazione dell'incidente occorsogli, liquidava una somma a titolo risarcitorio tanto a quest'ultimo, quanto di riflesso ai suoi parenti.

La Corte territoriale, per quanto qui d'interesse, in accoglimento dell'appello proposto dalla compagnia assicuratrice, rigettava le pretese risarcitorie dei congiunti del ferito per carenza di prova in ordine ai pregiudizi lamentati. In particolare, non veniva ritenuto assolto l'onere probatorio teso alla dimostrazione del totale sconvolgimento delle abitudini di vita, in ciò compendiandosi il danno non patrimoniale richiesto.

I parenti del soggetto materialmente leso propongono ricorso per Cassazione, lamentando la violazione dell'art. 2697 c.c. da parte dei giudici di secondo grado.

La questione

La pretesa risarcitoria a titolo di danno non patrimoniale avanzata dai congiunti del parente rimasto gravemente leso a seguito di un incidente si sostanzia esclusivamente nel totale sconvolgimento delle loro abitudini di vita? E quale onere probatorio devono assolvere i danneggiati?

Le soluzioni giuridiche

I) La Corte regolatrice, in accoglimento del ricorso presentato dai congiunti del parente gravemente ferito a seguito di uno scontro tra veicoli, torna a rimodellare il contenuto delle pretese risarcitorie derivanti dalla lesione del rapporto parentale.

In primo luogo, viene ribadito che i legittimati a richiedere il ristoro dei danni non patrimoniali conseguenti a tale pregiudizio sono i parenti stessi della vittima, ma non in quanto terzi a cui spettano danni cd. riflessi, rispetto al soggetto materiale dell'illecito, bensì in quanto titolari essi stessi dell'autonoma posizione giuridica lesa.

Tale fattispecie, come evidenziato nella pronuncia in commento, si verifica qualora il fattore lesivo si presenti come “fatto plurioffensivo”, ovvero idoneo a pregiudicare il patrimonio giuridico di distinti soggetti e quindi anche differenti interessi protetti.

La decisione in analisi, conseguentemente, approfondisce l'interesse che fa capo a tali legittimati “secondari”, muovendo dalla premessa implicita per cui il danno da lesione del rapporto parentale si connota strutturalmente quale danno-evento, ovvero quale incisione di un bene della vita giuridicamente tutelato. In particolare, nel caso di specie, «l'interesse fatto valere è quello alla intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia e alla inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2,29 e 30 Cost.» (così Cass. civ., Sez. III, 3 febbraio 2011, n. 2557).

Rispetto a tale evento di danno, la Suprema Corte rileva, in ossequio ai principi di unitarietà e omnicomprensività che connotano la disciplina della responsabilità aquiliana, come esso non sia risarcibile esclusivamente nei limiti in cui, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici di seconda istanza, ne consegua un totale sconvolgimento delle abitudini di vita dei danneggiati, ma anche qualora gli effetti dannosi si manifestino con altre modalità.

Soltanto per maggiore chiarezza, si indugia a ricordare come le Sezioni Unite di San Martino del 2008 abbiano individuato uno statuto unitario del danno non patrimoniale, a prescindere dal bene leso, purché tutelato da puntuale norma di legge o qualificabile come diritto inviolabile.

In tale occasione, venne evidenziata l'identità astratta delle conseguenze pregiudizievoli, ristorabili ex art. 2059 c.c., benché in concreto concretizzatesi in modi differenti. Pertanto, le diverse declinazioni di danno non patrimoniale fino a tal momento riconosciute, almeno da una parte della giurisprudenza, quali il danno morale soggettivo, il danno biologico e il danno esistenziale non avrebbero più potuto rilevare quali autonome sottocategorie, ma al più come “voci”, aventi rilievo meramente descrittivo.

Didascalicamente, si precisa che al danno morale corrisponde un patimento d'animo, una sofferenza interiore (all'epoca definita “transeunte”), al biologico evidentemente una invalidità psicofisica, mentre al danno esistenziale una incidenza esterna rispetto allo svolgimento della personalità del singolo tale da pregiudicare i suoi assetti relazionali e le scelte di vita.

Nel 2008, i giudici di ultima istanza ebbero modo di confrontarsi direttamente anche con la definizione delle conseguenze non economicamente valutabili del danno da perdita del rapporto parentale, statuendo che «la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato».

Tale conclusione non ha trovato smentita nel corso dell'ultima decade e se ne rinviene conferma in Cass. civ., Sez. III, 23 settembre 2013, n. 21716; Cass. civ., Sez. III, 8 luglio 2014, n. 15491; Cass. civ., Sez. III, 17 dicembre 2015 n. 25351; Cass. civ., Sez. III, 28 settembre 2018, n. 23469; nonché da ultimo in una pronuncia della III Sezione, contenuta tra quelle della nuova stagione di San Martino del 2019, la quale in motivazione ribadisce che «in caso di risarcimento del danno da perdita, o da lesione, del rapporto parentale […] spetterà al giudice il compito di procedere alla verifica, sulla base delle evidenze probatorie complessivamente acquisite, dell'eventuale sussistenza di uno solo, o di entrambi, i profili di danno non patrimoniale in precedenza descritti (ossia, della sofferenza eventualmente patita, sul piano morale soggettivo, nel momento in cui la perdita del congiunto è percepita nel proprio vissuto interiore, e quella, viceversa, che eventualmente si sia riflessa, in termini dinamico-relazionali, sui percorsi della vita quotidiana attiva del soggetto che l'ha subita)» (Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28989).

Tornando all'ordinanza qui d'interesse, la Cassazione radica senz'altro il danno parentale nella sua duplice consistenza di sofferenza interiore e di ripercussione negli aspetti dinamico relazionali, ma nel contempo tradisce tale ricostruzione binaria, senza particolari motivazioni, riconoscendo quale autonoma conseguenza di siffatto evento di danno anche l'eventuale invalidità psicofisica che ne scaturisca.

In particolare, dopo aver evidenziato come non vi sia ragione per limitare il danno in questione al mero aspetto dei pregiudizi incidenti sulla vita di relazione, viene sostenuto che «dalle lesioni inferte a taluno possono derivare, in astratto, per i congiunti sia una sofferenza d'animo (danno morale) che non produce necessariamente uno sconvolgimento delle abitudini di vita, sia un danno biologico (una malattia), anche essa senza rilevanza alcuna sulle abitudini di vita».

Tale approccio concettuale, che verrà approfondito nel prosieguo, non è certamente privo di rilievo teorico, dato che nella suddetta Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28989 viene invece sostenuta «la netta distinzione tra il descritto danno da perdita, o lesione, del rapporto parentale e l'eventuale danno biologico che detta perdita o lesione abbiano ulteriormente cagionato al danneggiato».

II) La Corte di legittimità, peraltro, non ha limitato la propria statuizione alla perimetrazione della consistenza del danno risarcibile, ma ha anche fornito un'indicazione di massima per quanto riguarda l'onere probatorio in capo al danneggiato.

Anche in tal caso, la pronuncia, non discostandosi dai precedenti arresti sul punto, riafferma con riferimento alla risarcibilità di tutte le manifestazioni del danno da lesione del rapporto parentale l'efficacia del mezzo presuntivo, con particolare «riferimento a quanto ragionevolmente riferibile alla realtà dei rapporti di convivenza ed alla gravità delle ricadute della condotta» (Cass. civ., Sez. III, 24 aprile 2019 n. 11212; Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28989).

Va però precisato che, rispetto alla componente relazionale delle conseguenze della lesione del legame affettivo col congiunto, la giurisprudenza sovente evidenzia come questa «non può ritenersi sussistente per il solo fatto che il superstite lamenti la perdita delle abitudini quotidiane, ma esige la dimostrazione di fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, che è onere dell'attore allegare e provare; tale onere di allegazione, peraltro, va adempiuto in modo circostanziato, non potendo risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche» (Cass. civ., Sez. III, 19 ottobre 2016, n. 21060, cit.; Cass. civ., Sez. III, 20 agosto 2015, n. 16992, cit., e, da ultimo, Cass. civ., Sez. III, 11 novembre 2019, n. 28989).

Nel caso affrontato nella decisione in discorso, i giudici di legittimità evidenziano, in particolare, come il legame parentale fosse particolarmente stringente, in quanto riferito ad ascendenti e germani, quindi tale da far presumere secondo una logica di “normalità sociale” la sussistenza di una sofferenza morale.

D'altronde, come diffusamente esplicitato nella più volte richiamata pronuncia del novembre del 2019, a fini probatori rilevano, seppur in maniera progressivamente più marginale, anche vincoli differenti da quello nucleare tradizionale e financo legami che «benchè di più lontana configurazione formale (o financo di assente configurazione formale: si pensi, a mero titolo di esempio, all'eventuale intenso rapporto affettivo che abbia a consolidarsi nel tempo con i figli del coniuge o del convivente), si qualifichino (ove rigorosamente dimostrati) per la loro consistente e apprezzabile dimensione affettiva e/o esistenziale» (Cass. civ., Sez. III, 11 novembre 2019, n. 28989).

Si evidenzia, peraltro, come la pronuncia da ultimo richiamata ha enucleato anche ulteriori indici che possono soccorrere alla dimostrazione dell'effettivo pregiudizio subito, quali: la sopravvivenza di altri congiunti o la scomparsa dell'intero nucleo di appartenenza; la convivenza, che pertanto non è più presupposto necessario; l'età dei soggetti coinvolti, nonché la consistenza numerica del nucleo parentale.

Osservazioni

All'indomani del rinnovato decalogo della III Sezione del 2019, il quale, sebbene nell'ottica della responsabilità sanitaria, ha offerto con livello di dettaglio approfondito importanti puntualizzazioni anche in tema di danno da lesione del rapporto parentale, l'ordinanza in commento sembra offrire una lettura della consistenza di tale peculiare conseguenza non economica non totalmente allineata a tale importante arresto e forse solo in parte più corretta.

Per poter dar conto delle distanze prese, di rilievo non solo teorico ma anche sostanziale, occorre però effettuare una premessa.

Come si è in precedenza esposto, l'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., sviluppata dalle Sezioni Unite nel 2008 e già prima dalle decisioni gemelle del 2003, ha determinato una riconduzione ad unità del contenuto del danno non patrimoniale.

Per vero, l'unitarietà professata rispetto alle “voci” di danno, distinte solo a fini descrittivi, è stata recentemente rimeditata nella pronuncia Cass. civ. Sez. III, 27 marzo 2018, n. 7513. Infatti, con riferimento alle lesioni al bene della salute ivi si afferma che almeno nella sua componente a base organica il danno conseguenza consiste esclusivamente nella compromissione nello svolgimento delle ordinarie attività della vita del danneggiato, unico pregiudizio a poter essere accertabile secondo le scienze medico-legali, e non ne costituisce mera componente ulteriore rispetto al danno biologico.

In tal senso, si richiama l'anzidetta pronuncia del 2018, secondo cui «l'incidenza d'una menomazione permanente sulle quotidiane attività "dinamico-relazionali" della vittima non è affatto un danno diverso dal danno biologico». Pertanto, costituirebbe duplicazione risarcitoria e violazione del principio di integralità e della funzione compensativa della responsabilità civile la separata liquidazione del danno biologico e del danno cd. esistenziale.

Al contrario, non determinerebbe invece una indebita locupletazione del danneggiato il riconoscimento di una ulteriore somma a titolo di danno morale, in quanto conseguenza non avente fondamento medico-legale, consistendo in una sofferenza meramente interna, producendosi così una scissione nel momento liquidatorio.

L'unitarietà del danno non patrimoniale viene quindi confermata, ma spostata «dal piano della valutazione delle conseguenze pregiudizievoli al "campo lungo" della teoria generale della responsabilità civile» (Luigi La Battaglia, Il danno da perdita del rapporto parentale dopo la seconda stagione di san martino, Corriere Giur., 2020, 3, 315). Tale concetto permette in altri termini di sostenere che «non v'è alcuna diversità nell'accertamento e nella liquidazione del danno causato dal vulnus di un diritto costituzionalmente protetto diverso da quello alla salute, sia esso rappresentato dalla lesione della reputazione, della libertà religiosa o sessuale, della riservatezza, del rapporto parentale» (Cass. civ., Sez. III, 17 febbraio 2018, n. 901), ma non necessariamente si riflette poi nel contenuto della liquidazione, distinguendosi ontologicamente tra patimenti interni ed esterni alla persona.

Ora, traslando tali sviluppi interpretativi nella cornice della lesione del legame parentale dovrebbe concludersi che le conseguenze risarcibili, in assenza di una malattia provocata dalla perdita del congiunto, consistano nel danno morale e in quello dinamico-relazionale. Mentre, qualora il parente subisca anche una lesione all'integrità psicofisica, questa dovrebbe assorbire il danno esistenziale, per le ragioni suesposte, e affiancarsi al danno morale, così non alterando la concezione binaria del danno parentale.

Nella giurisprudenza degli ultimi anni, tuttavia, si assiste ad una ricostruzione che lascia qualche perplessità. Infatti, nelle ipotesi in cui alla lesione del rapporto parentale faccia seguito anche l'insorgenza di una patologia nel congiunto viene liquidato a titolo risarcitorio tanto il danno parentale, nelle sue conseguenze morali ed esistenziali, quanto il danno biologico, richiamando la diversità dei beni giuridici lesi, individuandolo quindi come ulteriore evento di danno.

Invero, «la morte di un prossimo congiunto può causare nei familiari superstiti, oltre al danno parentale, consistente nella perdita del rapporto e nella correlata sofferenza soggettiva, anche un danno biologico vero e proprio, in presenza di una effettiva compromissione dello stato di salute fisica o psichica di chi lo invoca, l'uno e l'altro dovendo essere oggetto di separata considerazione come elementi del danno non patrimoniale, ma nondimeno suscettibili - in virtù del principio della onnicomprensività" della liquidazione - di liquidazione unitaria» (così Cass. civ., Sez. 3, 19 ottobre 2015 n. 21084, nonché la recentissima Cass. civ., Sez. III, 11 novembre 2019, n. 28989)

Tuttavia, sembrerebbe in tal modo sovrapporsi il piano del danno-conseguenza, al quale appartiene il danno biologico, e quello del danno-evento. Infatti, è stato criticato che «la compromissione della validità psicofisica è l'evento di danno, e non può essere forzatamente confinato al livello delle conseguenze, al solo scopo di giustificare un risarcimento (ulteriore e) separato» (Luigi La Battaglia, Il danno da perdita del rapporto parentale dopo la seconda stagione di san martino, Corriere Giur., 2020, 3, 315).

Tale osservazione sembra cogliere nel segno. Infatti, la stessa Cass. civ., Sez. III, 11 novembre 2019, n. 28989, con una formulazione forse non così chiara, ha evidenziato come costituisca duplicazione risarcitoria la contemporanea liquidazione del danno morale e del danno parentale, nonché del danno esistenziale e di nuovo del danno parentale. Dando il corretto significato alle parole, a ben vedere, tale conclusione appare tautologica, in quanto il danno parentale è semplicemente l'evento di danno da cui possono scaturire le diverse conseguenze risarcibili e non quindi per una inesistente identità morfologica.