Assegno divorzile: l'eredità non basta per la revoca se l'ex coniuge non è autosufficiente economicamente
23 Giugno 2020
Massima
Ai fini della revoca dell'assegno divorzile non è sufficiente l'aumento del patrimonio a seguito dell'eredità ricevuta se l'ex moglie non può in ogni caso considerarsi autosufficiente economicamente Il caso
Nel 1999 i coniugi erano pervenuti ad un accordo di divorzio che prevedeva la corresponsione di un assegno per l'ex moglie di 550 euro mensili. Successivamente, il Tribunale riduceva l'importo della assegno a 350 euro accogliendo parzialmente il ricorso ex art. 9 l. 898/1970 proposto dall'ex marito sul presupposto del sopravvenuto incremento del patrimonio dell'ex moglie a seguito dell'eredità paterna e del beneficio derivante dall'assistenza alla madre convivente. Contro tale decisione l'uomo proponeva appello, dichiarato tuttavia inammissibile per tardività della notifica alla controparte. La Corte di Cassazione accoglieva il ricorso, cassando con rinvio la sentenza di inammissibilità dell'appello. In seguito alla riassunzione del giudizio, la Corte d'Appello di Venezia respingeva la richiesta di revoca dell'assegno ritenendo che l'assenza di redditi da lavoro, l'età della donna e la sua dedizione all'assistenza della madre giustificassero la conferma della decisione di primo grado. Non contento l'ex coniuge obbligato ricorreva nuovamente in Cassazione proponendo tre motivi di impugnazione, con i quali deduceva: a) violazione di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione all'art. 9 l. 898/1970 e agli artt. 2 e 23 Cost. non essendosi considerato l'intervenuto cambiamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. civile I sez. sentenza n.11504/2017) sui presupposti del riconoscimento del diritto all'assegno; b) violazione di legge ex art. 360 n. 5 c.p.c. e art. 111 Cost. per omesso esame di un fatto decisivo, vale a dire che l'ex moglie era dipendente della madre come badante e, infine, c) violazione di legge ex art. 360 n. 3 in relazione agli artt. 88, 91, 92, 96 c.p.c. in punto di compensazione delle spese dei tre gradi di giudizio. L'ex moglie proponeva contro ricorso contestando l'applicabilità del nuovo orientamento giurisprudenziale in materia di assegno divorzile ed eccependo l'esistenza di un giudicato modificabile solo quanto alle modifiche sopravvenute delle condizioni economiche, inoltre negando di aver mai ricevuto alcun compenso come badante, e contestando l'asserita violazione di legge quanto alla statuizione di compensazione delle spese processuali. La questione
L'ordinanza in commento pone alcune questioni di particolare interesse. Quali sono le circostanze idonee a determinare la revoca dell'assegno divorzile? È sufficiente l'aumento del patrimonio a seguito di una successione ereditaria? E in che misura rileva ancora la sussistenza o meno dell'autosufficienza economica? Le soluzioni giuridiche
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso proposto dall'ex marito ritenendo, quanto al primo motivo, che si trattasse della richiesta di riesame del diritto all'assegno per l'ex moglie in quanto ella non aveva mai versato in una condizione di non autosufficienza economica, richiesta inammissibile in quanto non costituente la rappresentazione di una violazione di legge e comunque infondata poiché la prospettazione di circostanze idonee a determinare la revoca del diritto all'assegno divorzile è limitata a quanto già valutato dal Tribunale in primo grado, che aveva svolto la valutazione suddetta giungendo a ridurre, ma non a revocare, l'assegno suddetto. La Corte d'Appello aveva confermato la decisione in considerazione di una valutazione complessiva di tutte le circostanze sopravvenute, sia quella favorevole (la successione ereditaria paterna) che quelle sfavorevoli (la perdita del lavoro, la necessità di assistere la madre che peraltro in primo grado aveva testimoniato sulla gratuità della prestazione ricevuta, e l'età dell'ex moglie, tale da escludere qualsiasi persistente capacità lavorativa). Ritiene la Corte di Cassazione che il giudizio relativo alla sussistenza dei presupposti per la revoca dell'assegno divorzile fosse dunque già stato condotto in modo corretto e la decisione assunta fosse stata adeguatamente motivata, sicchè la richiesta di riesame è da considerarsi inammissibile. La conclusione, a parere della Suprema Corte, sarebbe la medesima quand'anche si volesse applicare al caso di specie il principio che ravvisa nell'autosufficienza economica il parametro per escludere il diritto all'assegno divorzile, valevole (si deduce) al momento del deposito della sentenza impugnata ma, rammenta la Corte, almeno in parte superato dalla successiva giurisprudenza di legittimità (Cass. sez. un. n. 18287/2018). Parimenti inammissibile è il secondo motivo, inerente l'omesso esame di un fatto decisivo ossia l'assistenza prestata dall'ex moglie alla madre e i vantaggi economici conseguenti, poiché anche detta circostanza era stata presa in considerazione dalla Corte di merito, che infatti aveva ridotto l'importo dell'assegno. Infine, è infondato il terzo motivo, avendo la Corte d'Appello confermato ed esteso la compensazione delle spese di lite applicando il principio della reciproca soccombenza e in relazione al complessivo esito del giudizio. Osservazioni
Il provvedimento in commento offre in primo luogo l'opportunità per una disamina dei presupposti per la revisione dell'assegno divorzile. È pacifico che la revisione di cui all'art. 9, l. 898/1970 (che testualmente prevede che la domanda di revisione possa essere presentata solo “qualora sopravvengano giustificati motivi dopo la sentenza…”) postuli l'accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi che sia idonea ad incidere, mutandolo, sul pregresso assetto patrimoniale realizzato con l'attribuzione dell'assegno divorzile, alla luce di una valutazione comparativa delle suddette condizioni con riferimento a entrambe le parti: in sostanza, quindi, non sono tanto i fatti sopravvenuti che incidono quanto piuttosto le conseguenze di tali fatti nei confronti di chi chiede la modifica (tra le tante, Cass. civ. 11 gennaio 2016 n.214; in dottrina, per tutti, Tommaseo, La revisione delle condizioni di separazione e divorzio, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da Bonilini, III, Torino, 2016, 2331 ss). Il Giudice richiesto della revisione non può quindi procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell'assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di giudizio divorzile, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell'emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l'equilibrio così raggiunto e adeguare l'importo, o lo stesso obbligo della contribuzione, alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertate (principio consolidato: tra le tante Cass. civ. 13 gennaio 2017, n. 787 e Cass. civ. 23 aprile 2019, n. 11177 Il richiamato principio si coniuga con quello secondo cui in tema di statuizioni c.d. determinative il giudicato si forma sempre rebus sic stantibus (vale a dire, l'autorità, intangibilità e stabilità, per quanto temporalmente limitata, del precedente giudicato impositivo del contributo di mantenimento) e cioè esso è modificabile in caso di successive variazioni di fatto, le quali, per avere rilevanza, devono, poi, esser dedotte mediante l'esperimento dell'apposito procedimento di revisione. Posto che in sede di legittimità non può essere riproposto il riesame della sussistenza del diritto all'assegno divorzile trattandosi di una cd. Valutazione nel merito, nel caso di specie Tribunale e Corte d'Appello avevano condotto la valutazione in ordine ai presupposti per la modifica richiesta in modo corretto, ossia ponderando ogni elemento addotto e ritenendo che da una comparazione di tutti gli elementi presentati non sussistessero i presupposti per la revoca dell'assegno divorzile, bensì solo per una riduzione. Per inciso, l'eredità ricevuta dall'ex coniuge, beneficiario dell'assegno, di per sé è idonea a incidere sul suddetto diritto nella misura comporti un significativo mutamento in positivo della situazione economica della beneficiaria, sempre che comporti tuttavia il venir meno del presupposto del diritto anche in ottica comparativa con altre eventuali circostanze (tra le tante, Trib Spoleto 14 marzo 2018 n. 2846 in questa rivista; nel caso in cui invece l'eredità pervenga all'ex coniuge obbligato, Cass. civ. 30 maggio 2007 n. 12687 ha affermato che il miglioramento delle condizioni patrimoniali derivante all'ex coniuge obbligato derivante dall'eredità ricevuta dopo il divorzio, non comporta giustificato motivo per l'aumento dell'assegno di divorzio in mancanza di un peggioramento delle condizioni economiche dell'ex coniuge beneficiario). Il presupposto della sussistenza (e permanenza) del diritto all'assegno divorzile in sede di revisione va ovviamente valutato alla luce dell'orientamento interpretativo della Corte di Cassazione vigente in quel dato momento storico: vale a dire, che attualmente esso non può che essere condotto secondo quanto sancito dalle Sezioni Unite con la nota sentenza n. 18287/2018 (Tommaseo, La decisione delle sezioni Unite e la revisione ex artt. 9 l. div. Dell'assegno post matrimoniale, in Famiglia e diritto, 11/2018, 1050 ss.) Recente è peraltro una decisione della Suprema Corte la quale, a conferma di quanto già ribadito, precisa che il mutamento di natura e funzione dell'assegno divorzile non costituisce ex se giustificato motivo valutabile ai sensi dell'art. 9 l. n. 898/1970, essendo sempre necessario il previo accertamento dei giustificati motivi sopravvenuti (Cass. civ. 20 gennaio 2020, n. 1119in questa rivista) i quali soltanto, quindi autorizzano la modifica delle condizioni come “fatti” nuovi sopravvenuti, modificativi della situazione in relazione alla quale i provvedimenti erano stati adottati (tra le tante, Cass. civ. 30 aprile 2015 n. 8839, Cass. civile 6 giugno 2014 n. 12781). Quindi non potrebbe essere addotto a giustificato motivo il revirement delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione sull' assegno divorzile, essendo sempre indispensabile un previo mutamento sopravvenuto delle condizioni economiche delle parti affinchè il Giudice di merito possa assumere una decisione alla luce dei nuovi principi affermati dalla Suprema Corte. Con la decisione che si annota la Cassazione reputa inammissibile il riesame delle condizioni economiche essendo motivata correttamente la sentenza di merito; né, secondo la Corte, il riesame potrebbe essere giustificabile sotto il profilo «della applicazione della giurisprudenza invocata (Cass. 11504/2017) che peraltro risulta a sua volta, almeno in parte, superata dalla pronuncia n. 18287/2018 delle Sezioni Unite». In sintesi, è noto che il carattere esclusivamente assistenziale dell'assegno divorzile sul presupposto dell'inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante a mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, sancito dalle Sezioni Unite nel 1990, è stato superato nel 2017, allorchè la Suprema Corte con la sentenza della prima sezione n. 11504, ha affermato che il parametro dell'inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante deve essere valutato alla luce del principio dell'autoresponsabilità economica di ciascun coniuge, ormai persona singola, e all'esito dell'accertamento della condizione di non autosufficienza economica. Detto orientamento, sottoposto a critiche da più parti, è stato poi superato dalle Sezioni Unite (sentenza n. 18287/2018) secondo le quali all'assegno di divorzio deve attribuirsi una funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa, che discende in modo diretto del principio di origine costituzionale di solidarietà, e che porta al riconoscimento di un contributo preordinato a consentire all'ex coniuge richiedente, non il conseguimento dell'indipendenza economica in base a un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello di reddito adeguato al contributo fornito alla realizzazione della vita famigliare, tenuto conto in particolare delle aspettative professionali sacrificate. (in dottrina, fra i tanti: Cattaneo, L'assegno di divorzio: dal criterio misto al tenore di vita, andata e ritorno, in ilFamiliarista.it; Simeone, Il nuovo assegno di divorzio dopo le Sezioni Unite: ritorno al futuro?, in ilFamiliarista.it; Al Mureden, L'assegno divorzile e l'assegno di mantenimento dopo la decisione delle Sezioni Unite, in Famiglia e diritto, 2018, 1019 ss.; Sesta, Attribuzione e determinazione dell'assegno divorzile: - la rilevanza delle scelte di indirizzo della vita famigliare, in Famiglia e diritto, 2018 pp. 983 ss.; tra la giurisprudenza più recente Cass. civ. ord., 13 febbraio 2020 n. 3662, Cass. civ. ord., 28 febbraio 2020, n. 5603). Invero, come si legge anche nel provvedimento in commento, le Sezioni Unite superano solo in parte la pronuncia della Prima sezione del 2017, intervenendo eliminando ogni automatismo (sia esso fondato sul pregresso tenore di vita o sull'autosufficienza economica) nel pregevole tentativo di difendere in modo equilibrato il soggetto debole del rapporto matrimoniale, e quindi valorizzando l'intera storia coniugale nel suo completo evolversi. Dopo la sentenza n. 18287/2018 tuttavia il dibattito non si è placato e vi sono stati diversi sviluppi interpretativi, sia da parte della giurisprudenza di merito che della stessa Corte di Cassazione. In particolare, di recente la Corte con alcune pronunce temporalmente ravvicinate parrebbe rivalutare il criterio dell'autosufficienza economica seppure depurato degli estremismi pregressi. Lo si coglie anche nell'ordinanza in commento laddove si è ritenuto che l'ex moglie non fosse economicamente autosufficiente dal punto di vista economico, avendo perso il lavoro, essendo in avanzata età e dovendo anche assistere la madre. Dunque, l'autosufficienza economica ricompare nella pronuncia in oggetto, ma non solo in questa come anzidetto. Ad esempio, l'ordinanza n. 24934 del 7 ottobre 2019, specifica che il parametro dell'indipendenza economica non è stato “sovvertito dalle Sezioni Unite n. 18287, ma solo parzialmente corretto”. Pur confermato infatti, a seguito dell'intervento nomofilattico “la imprescindibile finalità assistenziale dell'assegno, con la quale può concorrere, in determinati casi, quella compensativa”, detta funzione compensativa non soccorre tutte le volte che “il coniuge richiedente si trova in condizioni di autosufficienza economica. L'esistenza di un obbligo di pagamento dell'assegno implica un perdurante legame di dipendenza economica tra gli ex coniugi che non c'è quando detto obbligo non sussista, cioè quando (e proprio perché) entrambi sono economicamente indipendenti”. Per cui “il parametro della inadeguatezza dei mezzi va riferito quindi sia alla possibilità di vivere autonomamente e dignitosamente, sia all'esigenza compensativa del coniuge più debole per le aspettative professionali sacrificate per avere dato, in base ad accordo con l'altro coniuge, un dimostrato e decisivo contributo alla formazione del patrimonio comune e dell'altro coniuge” (In senso analogo anche Cass. civilesent. n. 6386/2019, Cass. civ. sent. n. 21228/2019). Per concludere, il dibattito non è ancora evidentemente sopito, oscillandosi tra chi considera la pronuncia delle Sezioni Unite un passo indietro e chi loda invece l'aver attribuito il giusto rilievo alla vita passata e all'effettivo contributo dato dai coniugi al menagè familiare. In generale, a sommesso parere di chi scrive, la sacrosanta riaffermazione dei principi costituzionali di solidarietà , dignità, parità ed autodeterminazione (artt. 2,3, e 29 Cost) sottesa alla rilettura dell'art. 5 comma 6, l. 898/1970 operata dalle Sezioni Unite, non contrasta affatto bensì è implicita anche nel ritenere che allorchè l'ex coniuge si trovi in condizione di autosufficienza economica non vi sia margine per riconoscere l'assegno divorzile, non ricorrendo in concreto le condizioni per valorizzare la funzione compensativa. In sostanza, pur in presenza di un disequilibrio economico-patrimoniale, non v'è spazio per il riconoscimento dell'emolumento mensile a carico dell'ex coniuge laddove quello istante abbia comunque i mezzi adeguati per vivere in modo decoroso. |