Attribuzione e calcolo di una quota di TFR all'ex coniuge
24 Giugno 2020
Massima
Sono esclusi dalla quota di T.F.R. spettante all'ex coniuge gli anticipi ex art. 2120 c.c., l'incentivo all'esodo e l'indennità convenzionale per cariche rinunciate. Il caso
Due coniugi, uniti in matrimonio nel 1986, separati consensualmente nel 2008, divorziavano nel 2013, con sentenza che onerava il marito di versare un consistente assegno divorzile. Nell'anno 2018 l'uomo rassegnava dimissioni volontarie dal lavoro, che aveva iniziato nel 1985; la ex moglie depositava così un ricorso chiedendo l'attribuzione del 40% dell'indennità di fine rapporto, da parametrarsi al periodo 1986-2013. Il G.I., ritenuto che il procedimento dovesse essere instaurato con atto di citazione, e trattato con rito ordinario, disponeva la notifica di ricorso e decreto con le necessarie integrazioni ex art. 163 C.p.c.. Si costituiva l'ex marito chiedendo la trasformazione del rito e la dichiarazione di improcedibilità della domanda per mancato esperimento del tentativo di conciliazione e della negoziazione assistita, in subordine chiedeva che la quota di T.F.R. da versare alla moglie fosse calcolata con riferimento alla data dell'omologa della separazione e, in via riconvenzionale, che fosse modificata la sentenza di divorzio con revoca dell'assegno e successiva compensazione tra le somme medio tempore versate e quanto eventualmente dovuto. Il Presidente Istruttore, disponeva con ordinanza interlocutoria la conferma dell'applicazione al giudizio del rito ordinario, rigettava l'eccezione di inammissibilità della domanda rilevando che la causa non rientrava tra quelle soggette a mediazione obbligatoria e che parimenti non doveva essere esperita la negoziazione assistita, poiché la domanda eccedeva la somma di € 50.000,00, dichiarava inammissibile la domanda riconvenzionale sia per la diversità del rito, sia perché non dipendente dal medesimo titolo e, infine, rilevava che ai fini dell'art. 12- bis della legge n. 898/70 la locuzione matrimonio si riferisce alla durata legale dello stesso (dalla celebrazione al passaggio in giudicato della sentenza che scioglie il vincolo). Istruita la causa con acquisizione della documentazione attestante le somme versate dal datore di lavoro a titolo di T.F.R., con la sentenza in commento il Tribunale dichiarava il diritto della ex moglie alla quota, ma che, ai fini della liquidazione, non doveva tenersi conto dell'anticipo ex art. 2120 comma 6 c.c. incassato dal marito, né delle ulteriori somme percepite a titolo di incentivo all'esodo e indennità sostitutiva del preavviso e per la cessazione delle cariche sociali.
La questione
Tre sono in realtà le questioni esaminate dal collegio: - quale è il rito applicabile alla domanda di attribuzione di quota di T.F.R. ex art. 12-bis l.n. 898/1970; - se la quota spettante al coniuge divorziato titolare di assegno debba essere calcolata anche sull'eventuale anticipo percepito prima della cessazione del rapporto di lavoro, ma dopo la sentenza di divorzio; - se nel calcolo della quota spettante all'ex coniuge debbano essere considerate anche altre indennità corrisposte al momento della cessazione del rapporto di lavoro e l'incentivo all'esodo. Le soluzioni giuridiche
La prima questione riguarda il rito da seguire per introdurre la domanda ex art. 12 bis della legge sul divorzio. Nel silenzio della norma, sono state date due diverse interpretazioni: parte della giurisprudenza ha affermato che la domanda fosse soggetta al rito camerale, considerato “tipico” di tutte le controversie inerenti il divorzio, altra parte ha invece sostenuto che dovesse essere introdotta con rito ordinario di cognizione. La prima interpretazione si fonda sulla considerazione che dall'esame del complesso normativo (l. 6 marzo 1987, n. 74 e l. 20 luglio 1988, n. 331, in tema di modificabilità dei provvedimenti del tribunale in caso di separazione) emergerebbe la volontà del legislatore di accelerare e snellire il rito delle controversie accessorie o conseguenti a quelle di separazione e divorzio (Appello Ancona 29 novembre 2011, n. 1007, Tribunale Bologna n. 28/2013). La seconda sostiene che, invece, il rito camerale sia proprio esclusivamente del procedimento volto ad ottenere lo scioglimento del vincolo, ma non possa essere esteso alle ulteriori domande che sono solo connesse con il giudizio di divorzio (Trib. Milano 19 maggio 2017 n. 5680). Il Tribunale di Milano, da tempo, aderisce al secondo orientamento indicato e anche nella sentenza in commento non si discosta da tale interpretazione. Giova precisare che, comunque, è da ritenersi pacifico che, laddove il giudizio di divorzio sia ancora pendente, è possibile proporre la domanda ex art. 12-bis l. n. 898/1970 nell'ambito di tale procedimento, in quanto sussiste una “intima connessione” tra la domanda di attribuzione della quota del T.F.R. e la richiesta di assegno divorzile, il riconoscimento del quale condiziona l'accoglimento della prima richiesta. Sarebbe infatti contrario al principio di economia processuale esigere che, nel caso di liquidazione del T.F.R. durante il procedimento di divorzio, la domanda di attribuzione di una quota debba essere proposta attraverso l'instaurazione di un separato giudizio tra le stesse parti (Cass. sez. I, 14 novembre 2008 n. 27223, Trib. Pisa, 30 dicembre 2013, n. 23; in senso contrario Cass. 30 agosto 2004 n. 17404). La seconda questione posta all'attenzione del collegio riguarda le modalità di calcolo della quota, con riferimento all'ipotesi in cui il coniuge titolare del T.F.R. abbia chiesto e ottenuto un'anticipazione sul medesimo in epoca successiva alla pronuncia di divorzio. È necessario precisare che, nel caso all'esame del collegio, il marito - pochi mesi prima del pensionamento - aveva percepito un consistente anticipo ex art. 2120, comma 6 c.c., con conseguente sensibile riduzione dell'importo da versare al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Il Tribunale - dopo aver ribadito che è pacifico che sugli anticipi ricevuti in costanza di matrimonio o durante la separazione personale non è possibile avanzare pretesa alcuna, poiché difetta il requisito dello status di divorziato (richiesto invece dalla norma) – esclude che l'anticipo possa essere considerato sulla base di due argomentazioni. In primo luogo viene richiamato il dato letterale: l'art. 12-bis l. div. fa riferimento alla “percentuale della quota percepita all'atto della cessazione della rapporto” e tale espressione deve essere intesa nel senso che il diritto alla quota matura contestualmente alla cessazione del rapporto, cosicché le vicende che precedono tale momento gli restano estranee. La seconda osservazione riguarda il fatto che gli anticipi sul T.F.R. concessi al lavoratore ex art. 2120, comma 6, c.c. sono destinati a specifiche finalità, ritenute particolarmente meritevoli di tutela dall'ordinamento e, pertanto, qualora si consentisse all'ex coniuge di poter vantare dei diritti su tali somme, la ratio della norma verrebbe frustrata, in quanto il dipendente sarebbe ingiustamente costretto ad accantonarne una parte, da destinare poi al coniuge divorziato, sottraendola così alla finalità per la quale l'anticipo è stato erogato. A tale riguardo, il Tribunale precisa di ritenere non condivisibile quella interpretazione che sostiene che l'ex coniuge possa aver diritto alla quota solamente nel caso in cui gli importi oggetto di anticipazione siano stati destinati esclusivamente a vantaggio del lavoratore, e non nel caso in cui siano stati utilizzati nell'interesse della famiglia. Ritiene infatti che una siffatta interpretazione determinerebbe l'insorgere di una notevole conflittualità, inficiando così lo spirito dell'art. 12-bis l. div. che, invece, prevede un preciso automatismo per la determinazione della quota, proprio allo scopo di creare un meccanismo che, eliminando ogni discrezionalità, consenta di stabilire con certezza e rapidità l'importo spettante e di limitare il contenzioso. Il Tribunale rileva, peraltro, che il coniuge titolare di assegno di mantenimento ha comunque la possibilità di agire in giudizio per far accertare che l'anticipazione sul T.F.R. ottenuta dall'altro in epoca successiva al divorzio, in realtà, è stata chiesta e ottenuta al solo scopo di sottrarre somme alle sue ragioni creditorie, e chiedere quindi che il relativo importo sia poi valutato per determinare la quota spettante. In tal caso, però, la parte richiedente ha l'onere di dimostrare il comportamento fraudolento dell'ex coniuge e l'eventuale collusione del datore di lavoro. L'ultima questione analizzata nella sentenza in commento riguarda ancora la base di calcolo della quota spettante al coniuge divorziato: la ex moglie aveva chiesto infatti che vi fossero considerate, oltre al T.F.R., anche le somme liquidate dal datore di lavoro a titolo di incentivo all'esodo e di indennità convenzionale per la cessazione delle cariche sociali. Sul punto il collegio richiama la propria consolidata giurisprudenza che esclude che l'incentivo all'esodo possa essere considerato ai sensi dell'art. 12 bis l. div., ciò in ragione del fatto che l'incentivo avrebbe natura “risarcitoria” (poiché versato al fine di compensare i mancati guadagni futuri, in conseguenza dell'anticipata risoluzione del rapporto di lavoro) e, pertanto, non potrebbe essere equiparato al T.F.R. che, invece, è costituito da somme accantonate durante il rapporto di lavoro. In merito, il Tribunale precisa di ritenere inconferenti i richiami della moglie ricorrente a due pronunce del giudice di legittimità (Cass. civ. sez. trib. 24 luglio 2013 n. 17986 e Cass. civ.sez. VI – 12 luglio 2016, n. 14171) in quanto l'una aveva sì equiparato l'incentivo all'esodo al T.F.R., ma solo ed esclusivamente a fini fiscali, l'altra in quanto avrebbe erroneamente equiparato l'incentivo alla retribuzione richiamando in modo inappropriato la decisione della sezione tributaria. Precisa inoltre il Tribunale che, con l'introduzione dell'art. 12- bis l. div. la legge ha attribuito rilievo al contributo economico apportato da ciascun coniuge alla formazione del patrimonio dell'altro, offrendo al soggetto che sarebbe pregiudicato dalla pronuncia del divorzio una tutela che spiega i propri effetti anche successivamente allo scioglimento del vincolo. Ma se questa è la finalità della norma, la tutela deve essere necessariamente riferita solo a quelle somme che, sebbene percepite quando il vincolo è stato sciolto, tuttavia sono riferibili al periodo in cui la prestazione lavorativa si è svolta durante il matrimonio (da intendersi quale durata legale, ovvero sino alla data di scioglimento del vincolo cfr. Cass., Sez. Un., 12 ottobre 1990 n. 11489, Cass. n. 1348/2012, Cass. n. 10638/2007, Cass. n. 4867/2006). Se dunque lo scopo della norma introdotta con l'art. 12- bis l. div. è quello di consentire all'ex coniuge economicamente più debole - che evidentemente ha contribuito alla formazione della “fortuna” dell'altro – di vantare diritti sulle somme accantonate nel tempo dal datore di lavoro, e corrisposte al momento della cessazione del rapporto, non vi è ragione alcuna per riconoscere diritti su eventuali ulteriori importi che vengono erogati, in seguito a uno specifico accordo, per consentire l'uscita anticipata dal modo del lavoro, ma che non sono causalmente collegati allo svolgimento della prestazione nel periodo in cui la coppia era unita dal vincolo matrimoniale (in tal senso anche Trib. La Spezia, 31 ottobre 2017, Trib. Pavia sez. II, 09 luglio 2018, Trib. Milano, 19 maggio 2017, n. 5680). In conclusione, la legge consente una “partecipazione differita alle fortune economiche costruite insieme dai coniugi”, ma l'incentivo all'esodo indubbiamente non fa parte del patrimonio che i coniugi hanno costituito insieme. Analoghe considerazioni sono poste dal collegio milanese a fondamento della decisione di non considerare, nel calcolo della quota di T.F.R. spettante all'ex moglie, anche gli importi erogati dal datore di lavoro a titolo di compenso per la rinuncia alle cariche sociali e l'indennità di preavviso, con la precisazione, però, che la riscossione di tali somme potrebbe comunque legittimare una richiesta di revisione dell'assegno divorzile, costituendo un miglioramento della condizione patrimoniale del coniuge obbligato. È opportuno ricordare, a tale proposito, che sono escluse dalla base di calcolo per la quota di T.F.R. anche le somme destinate a fondi di previdenza complementare, in ragione sia del fatto che l'istituto rientra nella previsione dell'art. 2123 c.c. - quale forma di previdenza integrativa, e non dell'art. 2120 c.c. – sia che l'art. 12-bis l. n. 898/1970 riconosce al coniuge divorziato titolare di assegno divorzile la quota di T.F.R. “percepito” alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre gli accantonamenti su fondo pensione sono riscossi non al momento della cessazione del rapporto di lavoro, ma alla maturazione dei requisiti per la pensione e, inoltre, non sono riconosciuti come liquidazione, ma come pensione integrativa, che viene erogata o in forma di rendita o in forma di capitale. Osservazioni
Con riferimento al tema delle anticipazioni sul T.F.R. chieste ed ottenute dopo lo scioglimento del vincolo, dalla lettura della motivazione della decisione in commento emerge con chiarezza che al collegio non sia sfuggito che mediante tale richiesta si possa, di fatto, aggirare la norma, tanto da dare indicazioni per un'eventuale domanda di accertamento di una volontà fraudolenta. Risulta infatti che l'anticipazione è stata erogata solo cinque mesi prima della conclusione del rapporto di lavoro, ma dopo aver ricevuto – da parte del difensore della moglie – un invito a corrispondere la quota del 40% del T.F.R. che egli si apprestava a percepire. Risulta altresì che la somma incassata a titolo di anticipazione era pari a circa il 75% del totale accantonato, cosicché gran parte della “retribuzione differita” è stata in concreto sottratta alle pretese avanzate dalla ex moglie. La difesa dell'attrice però, per quanto emerge dalle motivazione della sentenza, si sarebbe limitata a sollevare il dubbio che la richiesta di anticipazione fosse finalizzata a frustrare il proprio diritto, ma non avrebbe spiegato una specifica domanda volta ad accertare che il marito ha dolosamente posto in essere un comportamento dolosamente fraudolento e, pertanto, il collegio non ha potuto pronunciarsi sul punto. Con riferimento, invece, all'incentivo all'esodo, suscita qualche perplessità il riferimento, alla natura risarcitoria dell'erogazione per giustificarne l'esclusione dalla base di calcolo. Nella sentenza si afferma infatti che si tratterebbe di un risarcimento del danno da lucro cessante, per compensare la perdita delle retribuzioni future, ma, in realtà, proprio la giurisprudenza di legittimità richiamata nella motivazione sostiene invece che l'incentivo è una vera e propria remunerazione, una controprestazione per il consenso prestato alla risoluzione anticipata del rapporto di lavoro, che trova la propria causa in una specifica pattuizione, in un accordo di natura contrattuale (escludendo che si tratti di una liberalità). Pare più calzante e convincente, invece, il riferimento al fatto che l'ex coniuge non può avanzare pretese su somme che non hanno alcun collegamento con il periodo in cui la coppia era legata dal vincolo del matrimonio. Se infatti durante il matrimonio un coniuge ha contribuito alla crescita professionale dell'altro, consentendogli di conseguire determinati guadagni, in seguito, qualora il vincolo venga sciolto, egli avrà diritto ad una parte di quei guadagni che - accantonati dal datore di lavoro - saranno corrisposti all'altro al momento della risoluzione del rapporto, ma non potrà vantare diritto alcuno su eventuali ulteriori importi che, a diverso titolo, saranno versati nella medesima circostanza. |