La collocazione del figlio minore nella separazione giudiziale tra i coniugi. Criteri di legge ed orientamento giurisprudenziale
25 Giugno 2020
Quali sono i criteri normativi che il giudice applica ai fini della decisione in tema di collocamento del minore presso uno dei due genitori nel procedimento di separazione giudiziale? Quali sono i rimedi avverso tale provvedimento?
Il Capo II del Libro I del Codice Civile disciplina l'esercizio della responsabilità genitoriale sul figlio minore a seguito di separazione giudiziale tra i coniugi. In particolare, l'art. 337 – ter, comma 2, c.c. prevede che il giudice adotti i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. La medesima norma stabilisce, altresì, che il giudice: «Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore …». Alla luce di quanto sopra è stato riconosciuto dal Legislatore il principio di bigenitorialità nell'affidamento dei figli minorenni, con la conseguenza che le decisioni più importanti sulla cura e sull'istruzione della prole devono essere condivise dagli ex coniugi e, solamente in caso di grave disaccordo tra loro, la questione dovrà essere rimessa alla cognizione giudiziale. Tale principio ha trovato una recente applicazione anche relativamente alla diversa questione del collocamento del minore, laddove alcuni giudici di merito, nelle rispettive fattispecie trattate, si sono pronunciati in favore di una collocazione, condivisa e paritaria nei tempi, della prole presso ciascun genitore (Trib. Catanzaro, decr. 28 febbraio 2019, n. 443; conf. Trib. Lecce 16 maggio 2017, n. 2000). A tal proposito, si osserva, tuttavia, che il criterio, ad oggi ancora invalso presso la giurisprudenza di legittimità e di merito, è quello, più risalente, della collocazione prevalente dei figli presso la residenza anagrafica di un solo genitore (Cfr., tra le tante, Cass. civ., sez. I, ord. 12 settembre 2018, n. 22219). In conseguenza di ciò, il giudice è chiamato a individuare la figura genitoriale presso la quale collocare stabilmente della prole, adoperando quale criterio legislativo l'interesse morale e materiale di quest'ultima e quale criterio di elaborazione giurisprudenziale la maggior idoneità / capacità di un genitore rispetto all'altro. Sulla base di detti parametri, la giurisprudenza ha soventemente valutato che per il figlio minore con età compresa tra zero e tre anni si dovesse disporre il collocamento prevalente presso la madre. Riguardo, invece, ai minorenni con un'età maggiore, è opportuno in questa sede menzionare il disposto di cui all'art. 336 – bis c.c., a mente del quale «Il minore che abbia compiuto anni dodici e anche di età inferiore ove è capace di discernimento è ascoltato dal presidente del tribunale o dal giudice delegato nell'ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano». Il giudice procedente non è, comunque, tenuto a procedere necessariamente all'audizione sopra prescritta, ma dovrà, per contro, motivare nei propri provvedimenti le ragioni in forza delle quali ritiene che l'interessato sia incapace di discernimento oppure che l'esame richiesto sia manifestamente superfluo, se non in contrasto proprio con l'interesse del minore coinvolto (V., ex pluribus, Cass. civ., sez. I, ord. 14 marzo 2019, n. 12018). Allo stesso modo, la Suprema Corte ha chiarito che, quand'anche il minore sia ascoltato dal G.I. o da un consulente tecnico nominato da quest'ultimo, le dichiarazioni di volontà manifestate dall'interessato non vincolano in alcun modo i successivi provvedimenti giudiziali, fermo restando l'obbligo di rigorosa e mirata motivazione in merito (Cass. civ., ord. n. 12018/2019 cit.). In ultimo, meritano un breve cenno i possibili rimedi attivabili nei confronti dei provvedimenti assunti dal giudice istruttore. Sul punto è doveroso operare un distinguo a seconda della tipologia della relativa decisione. A fronte dell'emissione della sentenza, a conclusione del procedimento di primo grado, la si potrà, infatti, impugnare innanzi alla competente corte d'appello. Diversamente, nel caso di pronunce non definitive, quali ordinanze rese in corso di causa dal G.I. oppure dei provvedimenti ex art. 710 c.p.c., sarà sempre possibile chiederne, in seguito, la modifica o la revisione allo stesso giudice che li ha precedentemente emanati (Cass. civ., sez. VI-I, ord.n. 11279/2018). |