Adozione di maggiorenne e riduzione della differenza di diciotto anni tra adottante e adottato

Michol Fiorendi
26 Giugno 2020

In tema di adozione di persona maggiorenne, è da ritenersi prevalente la tutela di una situazione familiare consolidatasi nel tempo, anche in assenza della differenza minima d'età tra adottante e adottato, ovvero ...
Massima

In tema di adozione del maggiorenne, il giudice - nell'applicare la regola che prescrive il divario minimo di età di 18 anni tra l'adottante e l'adottato - deve procedere ad un'interpretazione dell'art. 291 c.c. compatibile con l'art. 30 Cost., avendo riguardo anche dell'art. 8 CEDU e ciò al fine di tenere nella massima considerazione le circostanze del caso concreto, laddove anche una ragionevole riduzione del divario minimo di età tuteli le situazioni familiari consolidatesi da tempo e fondate su una comprovata affectio familiaris.

Il caso

La Corte di Cassazione, Cass. civ. 7667/2020, si pronuncia sul ricorso di un uomo che manifesta l'intenzione di adottare la figlia maggiorenne della sua convivente, rimasta orfana di padre a sei anni.

L'adottante evidenzia di averla cresciuta come fosse sua figlia da quando aveva dodici anni.

Tuttavia, la domanda viene respinta dal Tribunale per insussistenza della differenza minima di età di diciotto anni tra adottante e adottato prevista dall'art. 291 c.c.

Tale decisione viene confermata anche in sede di reclamo dalla Corte d'Appello secondo cui nessuna ragione speciale spiegherebbe la deroga al requisito legale dell'intervallo minimo di età previsto per legge.

La questione

In tema di adozione di persona maggiorenne, è da ritenersi prevalente la tutela di una situazione familiare consolidatasi nel tempo, anche in assenza della differenza minima d'età tra adottante e adottato, ovvero la rigorosa applicazione del dettato normativo previsto dall'art. 291 c.c. che impone il rispetto di tale divario di età?

Le soluzioni giuridiche

Nel caso di specie, la Suprema Corte richiama diverse pronunce della Corte Costituzionale in materia con le quali si rammenta come vi sia una disciplina differente che caratterizza l'adozione di minori rispetto a quella di maggiorenni rispetto alla struttura, funzione e ampiezza dei poteri attribuiti al giudice.

Tuttavia, la Cassazione ritiene che l'art. 291 c.c. - nel richiedere la differenza di diciotto anni tra adottante e adottato - introduca una palese ed ingiusta limitazione e compressione dell'istituto dell'adozione di maggiorenni nell'accezione e configurazione sociologica assunta dall'istituto negli ultimi decenni.

Con l'evoluzione della nostra società, infatti, si è persa l'originaria connotazione diretta ad assicurare all'adottante la continuità della sua casata e del suo patrimonio.

Oggi, l'adozione di maggiorenne assume più una funzione sociale di riconoscimento giuridico di una relazione sociale, affettiva ed identitaria, nonché di una storia personale, di adottante e adottando, diventando così uno strumento volto a consentire la formazione di famiglie tra soggetti che, seppur maggiorenni, sono tra loro legati da saldi vincoli personali, morali e civili.

Nella sostanza, questo istituto ha assunto un valore solidaristico che, seppur distinto da quello inerente all'adozione di minori, deve essere considerato degno di tutela.

In un contesto sociale così evoluto, il limite di diciotto anni appare, secondo la Cassazione, «un ostacolo rilevante ed ingiustificato all'adozione dei maggiorenni, un'indebita ed anacronistica ingerenza dello Stato nell'assetto familiare in contrasto con l'art. 8 CEDU, interpretato nella sua accezione più ampia riguardo ai principi del rispetto della vita familiare e privata».

La Corte, dunque, ritiene che si sia formato un diritto vivente che legittima un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 291 c.c. che tenga conto anche della giurisprudenza relativa alle unioni civili secondo cui l'accezione di vita privata e familiare, di cui all'art. 8 CEDU, è intesa in senso ampio, comprensiva di ogni espressione della personalità e dignità della persona.

Nel caso in esame, l'adottante presenta una differenza d'età con l'adottanda di diciassette anni e quattro mesi. Tuttavia, la figlia della convivente – attualmente di trentasei anni - vive con lui dall'età di sei anni, costituendo a tutti gli effetti un nucleo familiare consolidato e compatto da quasi trent'anni.

Nel caso di specie, si chiede di concretizzare la lunga convivenza “di fatto” tra l'adottante e l'adottanda - quale figlia della convivente dell'adottante - attraverso un riconoscimento formale che sancisca la consolidata comunione di affetti e di vita vissuta.

Impedire questo tipo di adozione «ritenendo insuperabile l'ormai vetusta e anacronistica volontà legislativa della differenza minima d'età di ben diciotto anni”, costituirebbe espressione di un'interpretazione puramente letterale della norma “che non tiene conto, a parere del collegio, di argomentazioni di carattere sistematico ed evolutivo».

Pertanto, viene formulato dalla Corte il principio di diritto secondo cui in materia di adozione di maggiorenne, il giudice, nell'applicare la norma che contempla il divario minimo di età di diciotto anni tra l'adottante e l'adottato, deve procedere ad un'interpretazione costituzionalmente compatibile dell'art. 291 c.c., al fine di evitare il contrasto con l'art. 30 Cost., alla luce della sua lettura da parte della giurisprudenza costituzionale e in relazione dell'art. 8 della Convenzione europea per la Protezione dei Diritti umani e delle Libertà fondamentali, adottando quindi una rivisitazione storico-sistematica dell'istituto che, avuto riguardo alle circostanze del singolo caso in questione, consenta una ragionevole riduzione di tale divario di età, al fine di tutelare le situazioni familiari consolidatesi da lungo tempo e fondate su una comprovata affectio familiaris.

Osservazioni

È stato significativo l'orientamento progressista adottato già dalla Corte di Cassazione (Cass. n. 354/1999) – e abbracciato anche dalla giurisprudenza di merito – la quale ha ritenuto che l'art. 291 c.c., correttamente interpretato, esprima il seguente principio: “con riguardo all'adozione di prole del coniuge adottante, nella ipotesi in cui uno dei figli sia minore, l'altro sia divenuto di recente maggiorenne, al fine di non compromettere la realizzazione del valore etico sociale dell'unità familiare, garantito dall'art. 30, comma 1 e 3, Cost., va riconosciuta ad entrambi, in quanto provenienti dalla stessa famiglia, il diritto di potersi inserire nel nuovo nucleo familiare del quale fa parte il comune genitore.

Pertanto, anche in tale ipotesi, la disciplina dell'adozione del maggiorenne deve essere attratta nel regime già vigente ai sensi dell'art. 44, comma 1, lett. b) e comma 5, l. n. 184/1983, come modificato per effetto della sentenza della Corte cost. n. 44/1990 – per l'adozione del figlio minore del coniuge dell'adottante, che riconosce al giudice il potere di accordare, con preventivo attento esame delle circostanze del caso, una ragionevole riduzione del prescritto divario minimo di età tra adottante e adottato, sempre che la differenza di età tra gli stessi rimanga nell'ambito dellatensione ad un rapporto familiare naturale.

Secondo la Corte di Cassazione, preso atto di un mutato contesto sociale, il limite di diciotto anni appare un impedimento notevole ed ingiustificato all'adozione delle persone maggiori d'età e, dunque, un'ingiusta ed anacronistica intromissione dello Stato nell'assetto familiare in contrasto con l'art. 8 CEDU, interpretato nella sua accezione più ampia riguardo ai principi del rispetto della vita familiare e privata.

Infatti, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha più volte affermato che, al di là della protezione contro le ingerenze arbitrarie, il suindicato art. 8 pone a carico dello Stato obblighi positivi di rispetto effettivo della vita familiare.

In tal modo, laddove è accertata l'esistenza di un legame familiare, lo Stato deve - in linea di principio - agire in modo tale da permettere a siffatto legame di svilupparsi.

Pare doveroso effettuare anche un riferimento sul tema dell'adozione nelle unioni civili.

Ricordiamo che sino al 2007 l'istituto dell'adozione era ammessa solo per le coppie sposate: il Tribunale di Milano per primo, seguito da quello di Firenze, ha dilatato questa facoltà anche ai conviventi eterosessuali, ritenendo in questo caso che fosse interesse del minore che al rapporto affettivo fattuale corrispondesse anche un rapporto giuridico, consistente in diritti ma, soprattutto, doveri.

Vari Tribunali per i minorenni, oltre che la Corte europea dei diritti dell'uomo, hanno guardato con favore questo tipo di adozione che non esclude, ma aggiunge ad una figura di genitore in difficoltà (ma presente) un'altra figura di genitore adottivo che primariamente assume su di sé la responsabilità nei confronti del bambino.

Come afferma a proposito anche la Corte Costituzionale, l'adozione ai sensi dell'art. 44 «non recide i legami del minore con la famiglia che lo ha accolto, formalizzando il rapporto affettivo instauratosi con determinati soggetti che si stanno occupando di lui».

La l.20 maggio 2016, n. 76 regolamenta le unioni civili tra persone dello stesso sesso e le convivenze di fatto.

Questa legge garantisce alle coppie dello stesso sesso il diritto di ottenere il riconoscimento solenne e formale dell'unione e uno status analogo a quello coniugale.

Da un punto di vista della disciplina, la principale differenza rispetto al matrimonio riguarda i rapporti con i figli, in particolare per il fatto che il testo definitivamente approvato non prevede più la possibilità che il partner possa adottare il figlio dell'altro secondo quanto dispone per il coniuge l'art. 44 lett. b) della legge sull'adozione (n. 184/1983) (cosiddetta stepchild adoption).

Tuttavia, con l'evoluzione dei tempi non è più revocabile il dubbio che per la CEDU le unioni omosessuali rientrano ormai a pieno titolo nel novero dei modelli familiari.

In particolare, a partire dalla sentenza del 24 giugno 2010, la Corte Europea ha affermato che la relazione di una coppia omosessuale rientra nella nozione di “vita privata” nonché di quella di “vita familiare”.

Con la sentenza n. 12962/2016 c'è stato un primo impulso da parte della Suprema Corte all'adozione del figlio del partner nelle coppie omosessuali in quanto si è pronunciata sull'adozione in casi particolari prevista dall'art. 44 l. n. 184/1983.

Tale sentenza ha respinto il ricorso del procuratore generale confermando la sentenza della Corte d'Appello di Roma, con la quale è stata accolta la domanda di adozione di una minore, nata in Spagna con una procedura di procreazione medicalmente assistita eterologa, proposta dalla partner della madre, con lei convivente in modo stabile.

Inoltre, con sentenza del 6 novembre 2018, le sezioni unite della Suprema Corte hanno affermato la contrarietà all'ordine pubblico internazionale della trascrizione di un atto di nascita redatto legittimamente all'estero in seguito a gestazione per altri.

La decisione delle Sezioni Unite affronta tutti i quesiti posti richiamando ampiamente i propri precedenti in materia di ordine pubblico internazionale e affermando in buona sostanza che la CEDU proteggerebbe solo la relazione con genitore genetico, ma non con quello internazionale, senza tuttavia tenere conto del recente parere emesso il 10 aprile 2019, con cui la Corte di Strasburgo ha affermato, invece, che l'art. 8 della CEDU ordina il riconoscimento anche della relazione con il genitore internazionale privo di rapporto genetico con il minore.

Infine, l'ordinanza n. 17100/2019 del 26 giugno 2019 marca un'inedita svolta in materia di adozioni da oggi consentite anche a persone singole e a coppie di fatto, anche qualora l'adottante sia di età piuttosto avanzata o il minore sia affetto da grave handicap.

La Suprema Corte precisa che l'adozione non presume necessariamente una situazione di abbandono dell'adottando, ben potendosi, in alcuni casi, valorizzare la consolidata relazione affettiva creatasi tra adottante ed adottato, nel preminente interesse del minore a custodire tale rapporto.

Ciò che rileva è, dunque, la qualità del legame instauratosi tra il bambino e chi se ne è preso cura, a discapito di alcuni, fino ad ora stringenti, requisiti soggettivi richiesti all'adottante dagli artt. 6 e 7 l. n. 184/1983.

Il legislatore italiano, pur avendo istituito con la l. 20 maggio 2016, n. 76 le unioni civili tra persone dello stesso sesso, quale “specifica formazione sociale ai sensi degli art. 2 e 3 della Costituzione”, non ha poi introdotto, come era previsto nel testo iniziale della proposta di legge, la possibilità per uno dei componenti della coppia di adottare il figlio del partner.

Il fatto che la legge non disciplini espressamente l'adozione del figlio da parte del partner finisce per rimettere ai giudici il compito di garantire il diritto dei figli alla certezza e stabilità del rapporto con coloro che effettivamente esercitano il ruolo genitoriale con la conseguenza che la stepchild adoption, pur non essendo formalmente entrata nel nostro ordinamento attraverso la legge delle unioni civili, vi è entrata comunque attraverso le pronunce dei giudici.

Guida all'approfondimento

Morozzo della Rocca, L'adozione dei minori e l'affidamento familiare, p. 646 e ss.;

Caso Shalk e Kopf c. Austria, ricorso n. 30141/04;

L. Lenti, Introduzione. Vicende storiche e modelli di legislazione in materia adottiva, in Trattato di diritto di famiglia diretto da P. Zatti, III Filiazione a cura di G. Collura, L. Lenti, M. Mantovani, Milano, 2002;

A. Penta, Stepchild adoption: alla ricerca del giusto punto di equlibrio tra valori costituzionalmente configgenti in Studium iuris 2016.

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