La CGUE si pronuncia sull’affidamento in house basato su diversi accordi di cooperazione tra enti locali

26 Giugno 2020

Rispetta i requisiti dell'affidamento in house il servizio affidato in base a diversi accordi di cooperazione tra comuni a condizione che tali accordi presentino “garanzie idonee ad impedire che l'ente in house acquisisca una vocazione commerciale e un margine di manovra che renderebbero precario il controllo” esercitato dagli enti locali fruitori del servizio.

Il caso

Con un accordo di cooperazione stipulato il 1° luglio 2012, le città finlandesi di Pori, Harjavalta, Kokemäki, Ulvila e il comune di Nakkila decidevano di affidare alcuni servizi di trasporto alla città di Pori. Il 18 dicembre 2012, con un diverso contratto, le città di Pori e Ulvila e il comune di Merikarvia stipulavano un accordo di cooperazione per l'organizzazione e la fornitura di servizi sociali e sanitari per trasferire alla stessa città di Pori la responsabilità dell'organizzazione di tali servizi per l'intero territorio. Tali accordi si fondavano sul modello del c.d. «comune responsabile», in base al quale, per il diritto finlandese, le competenze relative ai servizi oggetto dell'accordo vengono assunte da un ente per conto degli altri. In particolare, il “comune responsabile” valuta e definisce le esigenze dei cittadini, decide l'ampiezza e il livello di qualità dei servizi offerti, assicura i servizi necessari e decide le modalità in cui tali servizi sono forniti.

La responsabilità dell'organizzazione dei servizi sociali e sanitari all'interno dell'area di cooperazione veniva affidata ad una “commissione per la garanzia dei diritti sociali fondamentali” della città di Pori, dalla composizione mista, composta di diciotto membri, tre dei quali sono nominati dalla città di Ulvila, due dal comune di Merikarvia e i restanti tredici dalla città di Pori.

Con decisione del 4 maggio 2015, la commissione decideva che il trasporto di persone disabili verso i luoghi di lavoro e di attività diurne mediante autobus sarebbe stato effettuato, in regime di contratto in house per tutta la zona oggetto dell'accordo di cooperazione avvalendosi della Porin Linjat, una società per azioni da essa interamente detenuta.

Un altro operatore di settore contestava tale affidamento diretto dinanzi al Tribunale. L'affidamento veniva annullato in quanto, contrariamente alla città di Pori, gli altri comuni aderenti all'accordo di cooperazione sui servizi sanitari disponevano di un solo rappresentante in seno alla commissione, con la conseguenza che essi non erano in grado di esercitare un controllo sulla società in house.

La controversia giungeva dinanzi alla Corte amministrativa suprema della Finlandia (Korkein hallinto-oikeus) la quale sospendeva il procedimento e sottoponeva alla CGUE le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se l'articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva [2004/18] debba essere interpretato nel senso che il modello [cosiddetto] del “comune responsabile”, quale previsto nell'accordo di cooperazione tra comuni in esame [nel procedimento principale], realizzi i presupposti di un trasferimento di competenze non ricompreso nella sfera d'applicazione della direttiva (C 51/15, Remondis) o di una collaborazione orizzontale non soggetta all'obbligo di garantire un confronto concorrenziale (C 386/11, Piepenbrock e giurisprudenza ivi citata) ovvero se si tratti, nella specie, di una terza, distinta ipotesi.

2) Qualora il modello [cosiddetto] del “comune responsabile” come delineato dall'accordo di cooperazione realizzi i presupposti di un trasferimento di competenze: se, nell'ambito di un'aggiudicazione di appalti intervenuta successivamente al trasferimento di competenze, l'ente pubblico cui sia stata trasferita la competenza operi quale committente e se il medesimo, in veste di comune responsabile, possa aggiudicare, sulla base della competenza trasferitagli dagli altri comuni, appalti di servizi a un organismo ad esso collegato senza garantire il confronto concorrenziale anche laddove, in mancanza dell'istituto del comune responsabile, l'aggiudicazione di detti appalti di servizi sarebbe stata rimessa ai comuni che abbiano trasferito la competenza quale loro compito propria.

3) Qualora il modello [cosiddetto] del “comune responsabile”, quale delineato dall'accordo di cooperazione, realizzi, per contro, i presupposti di una collaborazione orizzontale: se i comuni partecipanti alla cooperazione possano aggiudicare appalti di servizi senza confronto concorrenziale a un comune partecipante a detta cooperazione che ha aggiudicato detti appalti di servizi senza il succitato confronto a un organismo ad esso collegato.

4) Se, laddove si tratti di accertare se una società eserciti parte essenziale della propria attività per il comune al cui controllo essa sia assoggettata, ai fini del calcolo del fatturato riferibile al comune, il fatturato di una società detenuta dal comune esercente l'attività di trasporto ai sensi del [regolamento n. 1370/2007], debba essere preso in considerazione nella parte realizzata dalla società medesima con l'attività di trasporto organizzata dal comune in veste di autorità competente ai sensi del regolamento sui servizi pubblici di trasporto di passeggeri».

La soluzione della CGUE

Con riferimento alla prima questione la CGUE precisa che, fatte salve le verifiche fattuali spettanti al giudice del rinvio, l'accordo di cooperazione sui servizi sanitari non sembra costituire un «appalto pubblico» ai sensi dell'art. 1, par. 2, lettera a), della direttiva 2004/18 e pertanto “dovrebbe essere escluso dall'ambito di applicazione della direttiva 2004/18”. Alla luce di tale premessa la Corte conclude che “l'articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2004/18 dev'essere interpretato nel senso che un accordo in base al quale i comuni aderenti all'accordo stesso affidino ad uno di essi la responsabilità dell'organizzazione di servizi a favore dei comuni medesimi, costituendo un trasferimento di competenza, ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 2, TUE, come interpretato nella sentenza del 21 dicembre 2016, Remondis (C 51/15, EU:C:2016:985), è escluso dall'ambito di applicazione della direttiva stessa”.

La sentenza esamina congiuntamente la seconda e quarta questione, considerando assorbita la terza. La Corte si interroga in particolare se il “comune responsabile” in quanto amministrazione aggiudicatrice dei comuni facenti parte dell'accordo “possa ricorrere ad un organismo in house per rispondere non solo alle proprie esigenze, bensì anche a quelle dei comuni che le hanno trasferito una determinata competenza”.

La Corte precisa che sebbene il ricorso ad un affidamento in house sia stato ammesso dalla stessa CGUE solo in ipotesi in cui un'amministrazione aggiudicatrice detenesse, in tutto o in parte, il capitale dell'ente affidatario, “non se ne può dedurre che, nell'ambito di una disposizione quale il modello cosiddetto del «comune responsabile», ai sensi del diritto finlandese, sia impossibile per un'amministrazione aggiudicatrice, nella specie il comune responsabile, optare per un affidamento in house al fine di rispondere alle esigenze delle amministrazioni aggiudicatrici con cui abbia concluso un accordo fondato sul modello medesimo, in base al solo rilievo che gli altri comuni aderenti all'accordo stesso non detengano alcuna partecipazione nel capitale dell'organismo in house”.

La sentenza precisa infatti che “il criterio della detenzione di una quota del capitale non può, infatti, costituire l'unico mezzo per conseguire tale obiettivo, considerato che un controllo analogo a quello esercitato da un'amministrazione aggiudicatrice sui propri servizi può manifestarsi in un modo diverso dai criteri fondati su rapporti di capitale”.

Quanto al secondo requisito secondo cui la società in house deve svolgere la parte essenziale delle proprie attività a vantaggio dell'amministrazione aggiudicatrice o delle amministrazioni aggiudicatrici che la controllano, la Corte evidenzia che “nell'ipotesi in cui un'impresa sia detenuta da più collettività, tale requisito può essere soddisfatto laddove l'impresa stessa eserciti la parte essenziale delle proprie attività con tali enti complessivamente considerati e non con l'uno a l'altro dei medesimi”.

Con riferimento al caso di specie la Corte in particolare si domanda se i servizi affidati ad una società in house “sulla base di due accordi di cooperazione che, in primo luogo, trasferiscono le rispettive competenze allo stesso comune responsabile, in secondo luogo, riguardano servizi diversi, in terzo luogo, non contemplano le stesse parti e, in quarto luogo, sono destinati a soddisfare esigenze dell'amministrazione aggiudicatrice stessa e quelle delle altre amministrazioni aggiudicatrici aderenti agli accordi medesimi, possano essere assimilati alle attività svolte a beneficio dell'amministrazione aggiudicatrice”.

Fatte salve le verifiche da parte del giudice del rinvio, la Corte evidenzia che l'attuazione dei due accordi di cooperazione presentano “garanzie idonee ad impedire che l'ente in house acquisisca una vocazione commerciale e un margine di manovra che renderebbero precario il controllo esercitato tanto dalla città di Pori quanto dalle sue controparti contrattuali” e pertanto è “irrilevante che le sfere di applicazione ratione personae e ratione materiae di detti accordi non coincidano”.

Ne consegue che, “al fine di determinare se l'organismo in house svolga la parte essenziale delle proprie attività a vantaggio dell'amministrazione aggiudicatrice o delle amministrazioni aggiudicatrici che lo controllano, occorre tener conto di tutte le attività dal medesimo svolte nell'ambito dei due accordi di cooperazione oggetto della causa principale. Pertanto, alla luce delle circostanze della causa principale, per calcolare la quota del fatturato realizzata dalla società Porin Linjat per la gestione dei servizi in esame nella causa principale, occorre sommare il fatturato da essa realizzato su richiesta della città di Pori ai sensi dell'accordo di cooperazione sui servizi sanitari, da un lato, e dell'accordo di cooperazione sui trasporti pubblici, dall'altro, al fine di soddisfare le proprie necessità, a quello realizzato dalla società medesima su richiesta dei comuni aderenti all'accordo”.

La CGUE conclude pertanto affermando che “l'articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2004/18 dev'essere interpretato nel senso che un accordo di cooperazione in base al quale i comuni aderenti all'accordo stesso trasferiscano ad uno di essi la responsabilità dell'organizzazione di servizi a vantaggio dei comuni medesimi, consente di considerare detto comune, ai fini delle aggiudicazioni successive al trasferimento, quale amministrazione aggiudicatrice, consentendogli di affidare ad un organismo in house, senza provvedere ad un confronto concorrenziale, servizi volti a soddisfare non solo le proprie esigenze, bensì anche quelle degli altri comuni aderenti all'accordo, laddove, in assenza di tale trasferimento di competenze, i comuni medesimi avrebbero dovuto provvedere in proprio alle rispettive esigenze”.

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