Sequestro preventivo penale: legittimazione del curatore fallimentare nel caso di occupazione di un immobile del fallito

Claudio Magnanti
02 Luglio 2020

Viene affrontata la questione relativa all'esistenza di una legittimazione del curatore fallimentare a richiedere la condanna al pagamento di un'indennità di occupazione di un immobile di proprietà del fallito ma oggetto di sequestro preventivo penale, a fini di confisca obbligatoria.
Indisponibilità del bene immobile oggetto di sequestro preventivo da parte dell'ufficio fallimentare

A quale sorte soggiace il bene immobile oggetto di sequestro preventivo penale eseguito e trascritto in data anteriore alla dichiarazione di fallimento o, anche, successivamente alla stessa? Fino a quando il provvedimento di sequestro non sarà revocato (aspetto questo che esula dalla presente trattazione) il curatore - cui è demandato di procedere alla liquidazione dei beni acquisiti per ripartire il ricavato in favore della massa dei creditori ammessi al passivo, secondo l'ordine dei privilegi - non potrà procedere alla liquidazione del bene, in quanto l'eventuale attività di liquidazione violerebbe l'art. 334 c.p.

Al riguardo la Suprema Corte, con la sentenza delle sezioni unite penali n. 43428/2010 (relativa ad un bene alienato durante la procedura di concordato preventivo) ha affermato che: “La condotta di “sottrazione” costituisce, come noto, una delle condotte alternative mediante le quali può realizzarsi il delitto di cui all'art. 334 cod. pen. e assume anche, rispetto alle altre, un valore di chiusura improntato all'esigenza di sanzionare ogni comportamento contrassegnato dalla direzione e dall'attitudine a ledere l'interesse tutelato, che è quello pubblico alla conservazione del vincolo apposto su determinati beni in funzione del corretto conseguimento delle finalità cui per effetto di esso sono deputati. Sotto tale profilo si ritiene rilevante ogni attività idonea a rendere non solo impossibile ma anche semplicemente più difficoltoso il detto conseguimento” e più oltre “è evidente ad es. che, in caso di immobili, la sottrazione non può concretarsi nello spostamento materiale della cosa, che è il modo tipico di realizzazione della condotta per i beni mobili. La stessa cosa vale per la quota di società, non suscettibile di amotio in senso materiale. In tali casi possono venire in rilievo condotte diverse e, tra queste, merita naturalmente qui particolare attenzione quella consistente in negozi dispositivi di diritti”.

Anche la giurisprudenza di legittimità in sede civile, ha affermato che “il giudice distrettuale ha errato nel ritenere necessaria "l'amotio" sia per la sottrazione di cose mobili sequestrate, sia per la sottrazione riferita agli "immobili", ritenendola unico atto idoneo a mutare arbitrariamente il regime giuridico cui il bene è soggetto in forza del provvedimento cautelare. Nella sottrazione di beni immobili, invece, è lo stesso atto dispositivo di diritti sugli immobili sequestrati, che è idoneo ad eludere il vincolo o quanto meno a rendere più difficoltoso il conseguimento della finalità cui il vincolo è funzionale ad integrare la sottrazione (confr. Cass. pen., SS.UU., n. 43428/2010). In ogni caso, l'inopponibilità al sequestrante dell'atto ricevuto da notaio non fa degradare la condotta alla figura del reato "impossibile", ma integra gli estremi del reato "tentato" penalmente rilevante. ...omissis… non occorrendo che l'art. 334 codice penale preveda testualmente la "nullità" degli atti compiuti in contrasto con detta norma, discendendo la "nullità" predetta dei principi generali riflettenti la violazione di norme imperative” (Cass. n. 1216/2016).

Infine, appare anche opportuno ricordare che, in relazione al sequestro preventivo strumentale ad una confisca obbligatoria, le sezioni unite penali della Suprema Corte (sentenza n. 29951.2004) hanno stabilito che “Il sequestro avente ad oggetto un bene confiscabile in via obbligatoria, a giudizio di queste Sezioni Unite, deve ritenersi assolutamente insensibile alla procedura fallimentare. La valutazione che viene richiesta al giudice della cautela reale sulla pericolosità della cosa non contiene margini di discrezionalità, in quanto la res è considerata pericolosa in base ad una presunzione assoluta: la legge vuole escludere che il bene sia rimesso in circolazione, sia pure attraverso l'espropriazione del reo, sicché non può consentirsi che il bene stesso, restituito all'ufficio fallimentare, possa essere venduto medio tempore e il ricavato distribuito ai creditori. Le finalità del fallimento non sono in grado di assorbire la funzione assolta dal sequestro: la vocazione strumentale rispetto al processo è attenuata e prevale l'esigenza preventiva di inibire l'utilizzazione di un bene intrinsecamente e oggettivamente "pericoloso" in vista della sua definitiva acquisizione da parte dello Stato. Le ragioni di tutela dei terzi creditori sono destinate ad essere pretermesse rispetto alla prevalente esigenza di tutela della collettività”.

Pertanto, ad avviso di chi scrive, ai principi sopra riportati consegue la non liquidabilità del bene immobile oggetto di sequestro preventivo penale.

Al riguardo, dunque, la curatela dovrà attendere l'esito del procedimento penale per verificare se il provvedimento di sequestro verrà revocato o se, invece, verrà disposta la confisca del bene, in entrambi i casi con provvedimento passato in giudicato.

In caso di revoca, sarà allora possibile procedere all'alienazione del bene.

In caso di confisca, il bene, semplicemente, non farà più parte della massa attiva, pertanto non sarà necessario procedere ai sensi dell'art. 104-ter comma 8 L.F., che si applica solo nei casi di beni di proprietà della società fallita per i quali non si ritiene conveniente l'attività di liquidazione.

L'occupazione degli immobili sequestrati da parte di soggetti privi di titolo

Cosa succede nel caso in cui vi siano degli occupanti senza titolo dell'immobile?

È questa un'eventualità che, in pratica, può darsi senz'altro. Si pensi solo all'ipotesi di promissari acquirenti immessi nel possesso al momento della stipula del preliminare non trascritto, avvenuta antecedentemente alla esecuzione del provvedimento di sequestro penale, perché ad esempio relativo ad immobile abusivo. In tale caso, il curatore del fallimento, dichiarato successivamente, dovrà procedere allo scioglimento ex art. 72 l.f., previa autorizzazione del G.D., dal contratto preliminare.

Pertanto, a seguito della comunicazione dello scioglimento, dovrà ritenersi sine titulo l'occupazione di detti immobili da parte dei suddetti, già promissari acquirenti.

Occorre dunque, a questo punto, verificare se sia possibile richiedere, agli occupanti senza titolo, un risarcimento del danno subito, nella forma dell'indennità di occupazione da parte dell'avete diritto. Inoltre, occorre verificare se, in pendenza di una procedura di sequestro finalizzata alla confisca obbligatoria, la legittimazione a tale richiesta spetti effettivamente al curatore fallimentare.

La natura dell'eventuale obbligazione risarcitoria a carico degli occupanti sine titulo

La giurisprudenza di legittimità, dopo aver spesso ritenuto che nel caso di occupazione sine titulo il danno fosse in re ipsa, con recenti arresti ha meglio definito la fattispecie in esame. Da ultimo, in particolare, con la sentenza n. 13071/2018, dopo un'ampia disamina della fattispecie, ha stabilito che: “Alla luce, pertanto, di quanto esposto in ordine anche alla natura punitiva che una presunzione probatoria fondata sull'esonero dell'obbligo allegatorio come quella in realtà sottesa (quantomeno nel danno patrimoniale) al concetto di danno in re ipsa giunge a conferire al risarcimento, illegittimamente in difetto di specifica norma in tal senso, non si può non aderire all'orientamento che ha escluso detta impostazione, che ora viene a sintonizzarsi pure all'intervento nomofilattico del 2017” con conseguente necessità di accertare che “non sussistendo nella fattispecie alcun danno in re ipsa, se il proprietario dell'immobile ha allegato e provato il danno-conseguenza che potrebbe essergli derivato dalla occupazione senza titolo, come - si indica meramente per esempio dovendosi il giudice di merito rapportare alle effettive allegazioni compiute - la sua intenzione concreta di concederlo in locazione durante tale periodo, o l'avere sostenuto spese che altrimenti non avrebbe dovuto affrontare per risiedere egli stesso durante tale periodo in un altro immobile, o l'avere avuto concreta intenzione nel frattempo di venderlo”.

È evidente che, nel caso di immobile abusivo assoggettato a sequestro preventivo penale, per le ragioni sopra esposte, il curatore (e, comunque, per quanto esposto più oltre, il soggetto titolare) non potrebbe né concedere in locazione l'immobile, né tantomeno, come sopra visto, alienarlo. Pertanto, non sembra sussistere un danno risarcibile in conseguenza di detta occupazione.

Potrebbe, semmai, ipotizzarsi un'azione per arricchimento senza causa ai sensi dell'art. 2041 c..c., atteso il fatto che, senz'altro, vivere in un immobile di cui non si è proprietari determina un arricchimento dell'occupante al quale puo' corrispondere una diminuzione patrimoniale del proprietario del bene stesso (che potrebbe consistere nella stessa usura del bene e nei costi necessari per la rimessa in pristino al termine dell'occupazione).

Circa la legittimazione del curatore fallimentare in pendenza di sequestro preventivo penale

Ciò premesso, è comunque opportuno definire il ruolo del curatore fallimentare nell'ipotesi in cui un bene di proprietà del fallito sia assoggettato a sequestro preventivo penale.

Occorre in particolare comprendere se l'ufficio fallimentare, e per esso la massa dei creditori, abbia diritto a richiedere la revoca del sequestro preventivo. Anche a tale scopo, soccorre la giurisprudenza di legittimità che ha assunto posizioni differenti anche in tempi recenti.

Se, infatti, con la sentenza delle Sezioni Unite Penali n. 1170/2015, la Suprema Corte statuiva che “Il curatore, infatti, come messo in evidenza da numerose decisioni ed in particolare dalla più volte citata sentenza Focarelli, è un soggetto gravato da un munus pubblico, di carattere prevalentemente gestionale, che affianca il giudice delegato al fallimento ed il tribunale per consentire il perseguimento degli obiettivi, già indicati, propri della procedura fallimentare. Insomma il curatore non è titolare di alcun diritto sui beni, avendo esclusivamente compiti gestionali e mirati al soddisfacimento dei creditori (così Sez. 5, n. 1926 del 30/03/2000, Vasaturo, Rv. 216540), e non può agire in rappresentanza dei creditori, che a loro volta, prima della conclusione della procedura, non sono titolari di alcun diritto sui beni e sono, quindi, privi di qualsiasi titolo restitutorio sui beni sottoposti a sequestro”; invece, con la recentissima sentenza 13 novembre 2019 n. 45936 sempre delle Sezioni Unite Penali, la Corte di Cassazione ha, a sommesso avviso di scrive, mutato correttamente avviso affermando il seguente principio di diritto: “Il curatore fallimentare è legittimato a chiedere la revoca del sequestro preventivo a fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale”.

A sostegno di tale principio, si è rilevato che la “qualificazione del curatore come persona avente diritto alla restituzione dei beni, nella sua funzione di conservazione e reintegrazione della massa attiva del fallimento ai fini del soddisfacimento delle ragioni dei creditori a cui la procedura fallimentare è istituzionalmente destinata, consentono di riconoscere a tale soggetto la legittimazione all'impugnazione in materia di sequestri di beni facenti parte del compendio fallimentare, derivante dalla predetta posizione secondo l'espressa previsione delle norme del codice di procedura penale. Non senza considerare, d'altra parte, che il curatore si appalesa anche in termini di fatto comel'unico soggetto destinatario dell'eventuale restituzione del bene, nelle sue funzioni di rappresentanza del fallimento e di amministrazione del relativo patrimonio”.

Fermo quanto sopra esposto, occorre allora verificare se nella “funzione di conservazione e reintegrazione della massa attiva del fallimento ai fini del soddisfacimento delle ragioni dei creditori a cui la procedura fallimentare è istituzionalmente destinata”, che sicuramente deve assolvere il curatore fallimentare, rientri anche il potere di chiedere l'indennità di occupazione agli occupanti senza titolo di immobili sottoposti a sequestro preventivo penale, a fini di confisca.

A tal riguardo la Corte di Cassazione Civile con sentenza n. 23583/2017 (relativa proprio alla legittimazione attiva del curatore a richiedere l'indennità di occupazione di un bene immobile di proprietà della società fallita, ma soggetto a sequestro penale finalizzato alla confisca obbligatoria) ha stabilito che: “come ha precisato la giurisprudenza di legittimità in ambito penale, il passaggio in giudicato della sentenza che contiene l'ordine di confisca comporta «il trasferimento della proprietà dei beni confiscati al Comune (quale patrimonio disponibile), così che i precedenti proprietari perdono con quei beni ogni legame giuridico» (Cass. pen. n. 34881 del 2010) e deve dunque essere individuato nel solo Comune «il soggetto avente diritto alla restituzione, determinandosi, altresì, con l'atto ablatorio l'estinzione di qualsiasi diritto in precedenza sorto a favore di eventuali acquirenti delle opere edilizie» (Cass. pen. n. 50189 del 2015) omissis la sopravvenuta sanzione ha inciso sulla titolarità del diritto di proprietà del bene in capo al Fallimento (estinguendolo) e, quindi, sul diritto alla restituzione dello stesso, dato che quest'ultimo non è più (e non lo era neppure alla data della pronuncia di primo grado) proprietario dell'immobile”.

Per l'effetto di tale ragionamento la Corte ha concluso affermando che “comportando, dunque, la confisca l'acquisizione del bene al patrimonio dell'ente pubblico a titolo originario, il richiamo operato dalla Corte di merito al disposto di cui all'art. 111 c.p.c. rimane privo di rilevanza pratica, non essendo configurabile, in tal caso, alcuna successione a titolo particolare nel diritto controverso; come recentemente statuito da questa Corte, infatti, sia pure con riguardo all'acquisto, da parte dello Stato, di un bene sottoposto alla misura di prevenzione della confisca 'ex lege' n. 575 del 1965, la confisca ha natura originaria e non derivativa "con conseguente inapplicabilità dell'art. 111 c.p.c., essendosi al di fuori del fenomeno della successione a titolo particolare nel diritto controverso, ed esclusione, per il prevenuto il cui immobile sia stato confiscato, di continuare ad esercitare, come sostituto processuale dello Stato, le azioni a tutela del diritto di proprietà" (Cass. n. 12586 del 2017); deve pertanto condividersi l'eccezione di carenza di legittimazione attiva fin dall'inizio del giudizio svolta dall'attuale ricorrente, competendo nel caso in esame tutti i diritti, di natura reale e patrimoniale, inerenti al bene non alla curatela fallimentare ma all'ente pubblico beneficiario del provvedimento acquisitivo”.

Tale assunto, ad avviso dello scrivente, va condiviso, anche in considerazione del fatto che la trascrizione del sequestro preventivo penale rendo lo stesso opponibile anche al curatore fallimentare. Inoltre, occorre tenere conto del fatto che - in virtù dell'art. 104 disp. att. c.p.p. che, quanto al sequestro preventivo, richiama le norme in materia contenute nella disciplina dettata per il sequestro probatorio (art. 259 c.p.p.) ed in particolare l'art. 92 disp. att. c.p.p. – in tema di sequestro preventivo penale “spetta al p.m. richiedente l'esecuzione della misura cautelare, la quale implica necessariamente anche l'adozione di tutti quei provvedimenti funzionali a porre in essere e rendere operativo il vincolo cautelare, tra cui la nomina del custode giudiziario, nonché contestualmente, per esigenze di economia, il conferimento al custode dei compiti di gestione che, ordinariamente di mera conservazione, possono essere anche di amministrazione” (Cass. penale ,sez. V, 17 aprile 2009 n. 30596).

Pertanto, si deve concludere nel senso che il curatore fallimentare, in relazione ad un bene immobile di proprietà del fallito ma oggetto di sequestro preventivo penale a fini di confisca, si trova privo di legittimazione attiva rispetto alla domanda di condanna al pagamento di un'indennità di occupazione da parte dell'occupante, senza titolo, dello stesso immobile. Tale carenza di legittimazione potrà venire meno solo a seguito della caducazione definitiva del provvedimento di sequestro. L'eventuale confisca definitiva, invece renderà soggetto legittimato alla proposizione della relativa domanda, in presenza dei presupposti di legge, l'amministrazione pubblica beneficiaria, con dies a quo decorrente dalla trascrizione del provvedimento di sequestro preventivo penale.

Infine, una notazione.

Appare opportuno rilevare che l'entrata in vigore del Codice della Crisi d‘Impresa e dell'Insolvenza non comporta sostanziali modifiche a quanto appena sopra esposto.

Infatti, se è vero che l'art. 318 CCII stabilisce, al comma 1, che “In pendenza della procedura di liquidazione giudiziale non puo' essere disposto sequestro preventivo ai sensi dell'art. 321, comma 1, del c.p.p. sulle cose di cui all'articolo 142”, è pur vero, che proprio a seguire statuisce anche “sempre che la loro fabbricazione, uso, porto, detenzione e alienazione non costituisca reato e salvo che la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione e l'alienazione possano essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa” ed ancora, al successivo comma 4, che “Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano quando sono sottoposte a sequestro preventivo le cose indicate all'articolo 146 e le cose non suscettibili di liquidazione, per disposizione di legge o per decisione degli organi della procedura”. Pertanto, continuerà a sussistere uno spazio di operatività del sequestro preventivo penale nell'ambito del quale troverà applicazione la disciplina sopra descritta.

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