In presenza di figli minori fondo patrimoniale e vincolo di destinazione: possono coesistere?
13 Luglio 2020
Massima
Un bene immobile, già conferito in fondo patrimoniale, non può essere anche gravato da vincolo di destinazione ex art. 2645- ter c.c.; in presenza di figli minori, il giudice non può autorizzare l'imposizione del vincolo ex art. 169 c.c., specie quando non si esplicitata con rigore quale interesse meritevole di tutela che si vorrebbe perseguire. Il caso
Un vedovo con tre figli, di cui uno prossimo alla maggiore età, chiede al Yribunale di essere autorizzato a costituire un vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c. su un immobile, destinato ad abitazione, e già costituito in fondo patrimoniale. Il Tribunale respinge l'istanza. La questione
Un bene conferito in fondo patrimoniale può essere gravato da un vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c., previa autorizzazione del giudice, in presenza di figli minori? Le soluzioni giuridiche
L'ordinamento conosce forme diverse di “patrimoni separati”, tutte accumunate dall'elemento per cui, in conseguenza del principio della limitazione della responsabilità patrimoniale su determinati beni del debitore, possono essere soddisfatti soltanto, o quantomeno in via prioritaria, taluni creditori rispetto ad altri, in deroga al principio generale di cui all'art. 2740 c.c. Ai fini che qui interessano, assumono rilievo il fondo patrimoniale ed i vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. Come è noto, il fondo patrimoniale (di cui sono beneficiari solo coppie coniugate o civilmente unite e che può essere costituito pure da un terzo con atto inter vivos o mortis causa) consente di destinare specifici beni ai bisogni della famiglia. L'instaurazione e la permanenza del rapporto coniugale costituisce, dunque, il presupposto per la costituzione e l'operatività del fondo, opponibile ai terzi purchè annotato a margine dell'atto di matrimonio (o di costituzione di unione civile). Solo i creditori “della famiglia” potranno agire esecutivamente su di essi ed i relativi frutti. L'art. 169 c.c. prevede particolari limiti agli atti di disposizione dei beni stessi, al fine di garantire la funzione impressa. Se infatti nessuna deroga è stata prevista nell'atto costitutivo, non si può alienare, ipotecare, dare in pegno o comunque vincolare quanto costituito in fondo se non con il consenso con entrambi i coniugi e, con l'autorizzazione giudiziale, in presenza di figli minori. A sua volta, l'art. 2645-ter c.c. disciplina la trascrizione di quegli atti, redatti in forma pubblica, con i quali beni immobili o mobili registrati sono destinati alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela, riferibili ad una vasta gamma di soggetti. La norma specifica che i beni conferiti ed i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e, di regola, costituire oggetto di esecuzione solo per i debiti contratti per tale scopo. Requisito indispensabile per la costituzione e l'efficacia del vincolo di destinazione è rappresentato dalla trascrizione del vincolo sui beni interessati; questi continuano a rimanere nel patrimonio del disponente, ancorchè vincolati ad uno scopo, secondo uno schema non dissimile da quello che caratterizza gli oneri reali. La meritevolezza dell'interesse per ragioni solidaristiche dovrebbe consentire di collocare la famiglia nel suo complesso fra uno di quegli “altri enti” richiamati dall'art. 2645-ter c.c.; in questo modo anche la famiglia di fatto potrebbe godere della segregazione dei beni destinati al soddisfacimento dei suoi bisogni. Inoltre il conferente potrà derogare a quanto previsto dall'art. 171 c.c., stabilendo ad es. che il vincolo non cessi in caso di annullamento o divorzio in assenza di figli minori, ovvero che esso perduri ben oltre il raggiungimento della loro maggiore età (e questa sarà anzi la regola atteso il principio che autorizza una durata dello stesso per novanta anni o per tutta la vita della persona fisica beneficiaria). Osservazioni
Come si è anticipato, l'art. 169 c.c.. esclude che i beni costituiti in fondo patrimoniale possano, tra l'altro, essere “comunque vincolati” se non con il consenso di entrambi i coniugi, e l'autorizzazione giudiziale in presenza di figli minori, salvo che sia diversamente disposto. Solo in dottrina si è affrontata la questione dell'interpretazione della suddetta previsione, e per lo più prima dell'entrata in vigore del nuovo art. 2645-ter c.c.. Si è così affermato che con la locuzione predetta dovesse farsi riferimento a alla cessione dei beni ai creditori piuttosto che all'imposizione di vincoli pubblicistici. La pronuncia in esame, per la prima volta, è chiamata a verificare se possa rientrare nell'art. 169 c.c. anche il vincolo di destinazione, che, nella specie, il ricorrente (coniuge vedovo con un figlio minore) avrebbe voluto costituire su un immobile con pertinenze, destinato ad abitazione familiare. Il Tribunale milanese offre risposta negativa e respinge il ricorso, assumendo inammissibile la coesistenza, su uno stesso bene immobile, di due differenti vincoli di destinazione. La decisione offre diversi stimoli di riflessione, che si concentrano sulla natura cumulativa, ovvero alternativa dei vincoli, previsti dagli artt. 167 e 2645-ter c.c. Va qui premesso come gli atti costitutivi del fondo patrimoniale soffrano di una maggiore alea rispetto a quelli relativi al fondo patrimoniale, fatta salva per entrambi la riconosciuta natura di atti a titolo gratuito ai fini dell'azione revocatoria. In caso di impugnazione, il giudice potrà infatti valutare in concreto la meritevolezza delle finalità perseguite dal disponente, ma pure la legittimità delle stesse, con conseguente eventuale nullità del negozio in caso di perseguimento di scopi contrari alla legge. La dottrina specialistica si è trovata divisa di fronte al quesito della sovrapponibilità del nuovo istituto al vecchio, con una vasta gamma di proposte interpretative (v. FUSARO, nello studio n. 357-2012/C del Consiglio Nazionale del Notariato, 93 ss.). Sta di fatto che, quando il vincolo di destinazione del bene dovesse sovrapporsi ad un istituto tipico vi sarebbe il rischio, in caso di conflitto, di una riqualificazione da parte del Giudice, con conseguente applicazione delle norme imperative previste per l'istituto tipico. In particolare, in presenza di beni già costituiti in fondo patrimoniale, si è ritenuto consigliabile l'utilizzo dell'atto di destinazione solo quando vi sia un interesse selettivo rispetto alla fattispecie tipizzata dello stesso fondo patrimoniale, dove, come si è visto, si fa un generico riferimento ai bisogni della famiglia. In questo contesto, assai significativa è la motivazione del decreto in commento, che, dopo un'affermazione di carattere generale, sull'incompatibilità dei due vincoli, ha comunque precisato come l'interesse meritevole di tutela alla costituzione del vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c. «deve essere esplicitato e valutato con rigore al fine della validità dell'atto, che non sembra poter essere rinvenuto nella allegata e generica necessità di proteggere i beni della famiglia e tutelare gli interessi dei figli sino alla loro indipendenza economica, finalità che invece è istituzionalmente perseguita dall'istituto tipico del fondo patrimoniale». In altri termini pare doversi ritenere che non sia configurabile a priori un'incompatibilità tra fondo patrimoniale e vincoli di destinazione sui beni ivi costituiti, dovendo procedersi ad una valutazione legata alla singola fattispecie concreta, come, a conclusione del proprio argomentare ha concluso il decreto in commento. Opportunamente poi, il Tribunale osserva che, essendo prossimo il compimento della maggiore età dell'ultimo figlio del ricorrente, questi a breve ben potrà stipulare un atto di destinazione, nell'esercizio dell'autonomia negoziale, senza alcuna preventiva autorizzazione giudiziale. |