Prime riflessioni sull'attuazione della direttiva PIF

Andrea Venegoni
16 Luglio 2020

A seguito della legge di delegazione europea 2018 (legge 4 ottobre 2019, n. 117) il nostro Paese ha adottato il decreto legislativo per l'attuazione della direttiva (UE) 2017/1371 relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale, la c.d. Direttiva PIF. Importanti novità sono, quindi, introdotte nel nostro sistema...
Abstract

A seguito della legge di delegazione europea 2018 (legge 4 ottobre 2019, n. 117) il nostro Paese ha adottato il decreto legislativo per l'attuazione della direttiva (UE) 2017/1371 relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale, la c.d. Direttiva PIF. Importanti novità sono, quindi, introdotte nel nostro sistema, specie in riferimento ai reati fiscali ed alla responsabilità degli enti. Con questo provvedimento si completa così un iter legislativo iniziato nel 2012, quando la Commissione Europea presentò la proposta di direttiva, un atto legislativo importante anche dal punto di vista dello sviluppo del diritto penale europeo.

Premessa

A seguito della delega contenuta nella legge 4 ottobre 2019, n. 117, è stato adottato il decreto legislativo di attuazione nel nostro ordinamento della direttiva 2017/1371 relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione Europea, attraverso il diritto penale (c.d. Direttiva PIF). Si tratta del d.lgs. 14 luglio 2020, n. 75, pubblicato sulla G.U. n. 177 del 15 luglio 2020.

Giunge, quindi, a compimento il percorso legislativo - iniziato a livello europeo nel luglio 2012 con la proposta di direttiva COM(2012)363 - di uno strumento significativo per varie ragioni, già analizzate dalla dottrina in numerosi scritti.

Basti qui ricordare che il provvedimento si innesta nel solco di altri strumenti legislativi “storici” nella formazione del diritto penale europeo, ed in particolare di quello relativo alla lotta alle frodi, ad iniziare dalla Convenzione per la protezione degli interessi finanziari delle Comunità Europee del 1995, per cui può certamente affermarsi che abbia una illustre primogenitura. La nobiltà della sua stirpe è anche confermata dal fatto che la direttiva PIF ha costituito uno dei primissimi strumenti legislativi in materia penale adottati dall'Unione Europea dopo l'entrata in vigore, nel 2009, del Trattato di Lisbona, e sulla base delle nuove competenze penali dell'Unione da quest'ultimo disegnate, per cui anche nel nuovo, attuale regime giuridico-istituzionale dell'Unione, il provvedimento, in quanto appartenente alla famiglia della lotta alle frodi, spicca di nuovo nel campo del diritto penale europeo.

Premesso tutto questo, il provvedimento di attuazione nel nostro ordinamento potrebbe apparire, a prima vista, meno altisonante di quella che è la natura del provvedimento europeo. In altri termini, a fronte di uno strumento europeo che potrebbe quasi definirsi “di sistema”, il provvedimento attuativo appare piuttosto come un intervento frazionato e settoriale, a volte limitato a singoli commi di norme preesistenti o a singole parole. Vi è, però, una ragione per questo, consistente nel fatto che gli interventi legislativi interni stratificatisi negli anni (a volte anche non in attuazione di normative comunitarie) hanno già in gran parte coperto l'area di competenza della direttiva PIF, per cui le reali innovazione di quest'ultima si traducono, con qualche eccezione, in gran parte solo nel colmare singole lacune presenti nella normativa interna.

Tuttavia, esiste un ulteriore motivo di interesse verso questo provvedimento, e niente affatto secondario.

L'art. 22 comma 1 del regolamento (UE) 2017/1939del Consiglio, del 12 ottobre 2017, relativo all'attuazione di una cooperazione rafforzata sull'istituzione della Procura europea («EPPO»), afferma, infatti, che “l'EPPO è competente per i reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione di cui alla direttiva (UE) 2017/1371, quale attuata dal diritto nazionale, indipendentemente dall'eventualità che la stessa condotta criminosa possa essere qualificata come un altro tipo di reato ai sensi del diritto nazionale”.

La presente operazione di attuazione nel diritto interno della direttiva PIF contribuirà, quindi, a definire la competenza della Procura Europea che sta vedendo la luce proprio in questi mesi, con un effetto, quindi, importantissimo anche nei rapporti con le autorità giudiziarie nazionali, e, per quanto ci riguarda, con quella italiana.

Fattispecie penali

La parte del decreto relativa alle fattispecie penali, previste dagli artt. 3 e 4 della direttiva, è quella in cui l'operazione di attuazione appare meno intensa.

Questo perché i reati previsti dalla direttiva (truffa, peculato, corruzione, riciclaggio) sono già presenti nel nostro ordinamento. Al riguardo, vi è però da osservare che la direttiva prevede delle specificazioni all'interno delle fattispecie. Per esempio, in materia di frode, oggi la direttiva prevede – a differenza della stessa Convenzione del 1995 – una distinzione tra frode in materia di appalti e frode commessa al di fuori di tale ambito. Il decreto attuativo sembra non seguire in questo la direttiva; quest'ultima prevede nella fattispecie di frode nelle spese in procedura di appalto il dolo specifico (“commessa al fine di procurare un ingiusto profitto”).

Il decreto legislativo, non ridisegnando le fattispecie, lascia la frode in appalti rientrare – nelle componenti strutturali - nella fattispecie interna di truffa, che nel nostro codice è punita con dolo generico.

Conseguentemente, una truffa in appalti con dolo generico nel nostro sistema continua a costituire reato, anche se, secondo la direttiva, sarebbe esclusa dal suo ambito (il che non vuol dire che non possa essere considerata reato in uno Stato, ma resta il fatto che non se non rientra nell'ambito della direttiva sarebbe, per esempio, esclusa dall'area della competenza della Procura Europea e ciò può porre problemi in termini di cooperazione giudiziaria).

Peraltro, per taluni aspetti a livello puramente nazionale, la norma del decreto legislativo semmai assicura alle finanze “comunitarie” una tutela più ampia di quella della direttiva.

L'aggiornamento dell'art. 322-bis colma, invece, una lacuna del nostro sistema in tema di corruzione di funzionari di Stati esteri.

Infatti, fino ad oggi, la norma, la cui attuale formulazione è il risultato di interventi stratificatisi nel tempo, prevedeva la responsabilità per i reati di peculato (anche mediante profitto dell'errore altrui), concussione, corruzione propria ed impropria, istigazione alla corruzione, nella forma della sollecitazione da parte del pubblico ufficiale a dare denaro o altra utilità, anche nei confronti di una serie di pubblici ufficiali non nazionali, ed, in particolare, per riassumere, i funzionari delle istituzioni europee, a qualunque categoria appartengano, i Commissari europei, i giudici della Corte Penale Internazionale e di altre corti internazionali, i funzionari pubblici degli altri Stati dell'Unione Europea, i funzionari di organizzazioni pubbliche internazionali, i membri di assemblee parlamentari internazionali.

Tra i soggetti responsabili per i suddetti reati non erano, quindi, ricompresi i funzionari pubblici di Stati non appartenenti all'Unione Europea.

La legge 9 gennaio 2019, n. 3 ha menzionato questi ultimi, ma solo come soggetti la dazione ai quali è rilevante per la posizione del corruttore.

Mancava quindi una norma che prevedesse la responsabilità di tale categoria di soggetti per i reati di cui sopra (peculato, corruzione, concussione). Tale omissione viene, appunto, colmata dalla normativa in commento, che all'art. 1 lett. d) prevede l'inserimento nell'art. 322-bis del comma 5-quinquies che estende le fattispecie previste dalle suddette norme anche “alle persone che esercitano funzioni o attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di un pubblico servizio nell'ambito di Stati non appartenenti all'Unione Europea”; il tutto, però, sempre che tali reati offendano gli interessi dell'Unione stessa.

Tentativo

Una innovazione che era stata preannunciata già dal testo della direttiva, e, pertanto, era prevedibile che venisse introdotta nel nostro sistema, è quella prevista dall'art. 2. Si tratta, in sostanza, della previsione della punibilità a titolo di tentativo del reato di dichiarazione fraudolenta e dichiarazione infedele, in materia di IVA e per un importo superiore a dieci milioni di euro.

La novità si pone rispetto all'art. 6 del d.lgs 74 del 2000 secondo il quale “I delitti previsti dagli articoli 2, 3 e 4 non sono comunque punibili a titolo di tentativo”.

L'argomento non ha mancato di essere oggetto di analisi e di dubbi già in passato.

Con la sentenza n. 49 del 2002, in particolare, la Corte Costituzionale aveva dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 6 e 9, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 nella parte in cui escludono, rispettivamente, la punibilità a titolo di tentativo del delitto di cui all'art. 2 del medesimo decreto legislativo, e la punibilità di chi si avvale di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti a titolo di concorso nel reato di emissione di tali fatture o documenti, previsto dall'art. 8 del decreto stesso, in relazione all'art. 3 Cost.

Con la nuova norma, qualche ulteriore interrogativo potrebbe porsi, sempre – in via di mera ipotesi - in relazione all'art. 3 Cost., perchè con questo intervento legislativo si viene a creare una distinzione tra i reati fiscali in tema di iva e di imposte dirette. Solo per i reati di falsa dichiarazione in tema di iva, con evasione superiore a dieci milioni di euro, infatti, è prevista la punibilità a titolo di tentativo, mentre tale punibilità continuerà a non sussistere per la stessa condotta, ma relativa all'evasione di iva inferiore a dieci milioni di euro e alle dichiarazioni fiscali nel campo delle imposte dirette.

La innovazione è del tutto comprensibile dal punto di vista dello spirito della nuova normativa, che, essendo di derivazione europea, si occupa per sua natura delle imposte c.d. “armonizzate”, non avendo competenza specifica per occuparsi degli altri tipi di imposte, ma non vi è dubbio che qualche domanda su una possibile disarmonia del sistema, a questo punto, potrebbe sorgere.

Peraltro, a questo si potrebbe opporre – senza volersi porre nella posizione della Corte, ma semplicemente come dato di fatto nell'analisi della questione – che in occasione della questione di legittimità costituzionale sopra menzionata la Corte rispose che un'eventuale pronuncia di accoglimento non soltanto avrebbe determinato l'ampliamento (sia pure attraverso la combinazione con le disposizioni generali in tema di tentativo e concorso di persone nel reato) dell'ambito applicativo delle norme incriminatrici di cui agli artt. 2 e 8 del d.lgs. n. 74 del 2000, con un effetto che non può in linea di principio conseguire ad una pronuncia della Corte, a fronte della riserva di legge sancita dall'art. 25, secondo comma, Cost., ma avrebbe implicato anche un riassetto del sistema penale tributario, secondo una linea di politica criminale autonoma e contrapposta rispetto a quella adottata dal legislatore, nell'ambito della sua discrezionalità.

Responsabilità degli enti

Oltre ad estendere la responsabilità degli enti ai reati ai reati di peculato, peculato per profitto dell'errore altrui e abuso d'ufficio, frode nelle pubbliche forniture, al reato di frode in agricoltura (art. 2, legge n. 898/1986) e al reato di contrabbando, il decreto legislativo amplia il novero dei reati presupposti ai reati tributari, seppure, in linea con lo spirito e l'oggetto della direttiva, solo in tema di IVA.

Fin dall'adozione della direttiva nel 2017, si era prospettata la novità in dottrina, annunciando che la sua attuazione avrebbe comportato per la prima volta la previsione dei reati tributari come reati presupposti per la responsabilità degli enti. In realtà, però, i fatti hanno avuto uno sviluppo diverso da quanto si ipotizzava in questi commenti. L'inserimento dei reati tributari nel d.lgs. 231 è stato, infatti, nel frattempo, appena inaugurato da un'altra normativa, il “decreto fiscaled.l. 124 del 2019 conv. in l. 157 del 2019, che, quindi, in questo senso ha anticipato la direttiva PIF.

Tuttavia, mentre in quest'ultimo (art. 25-quinquiesdecies) la responsabilità era prevista solo per alcune fattispecie penali, prevalentemente dichiarazioni fraudolente o emissione di fatture false, il decreto legislativo di attuazione della direttiva prevede, solo per l'iva con evasione superiore a dieci milioni di euro, la responsabilità dell'ente per “i delitti previsti dal d. lgs 74 del 2000”. Questa prima parte della frase potrebbe fare pensare, come appare esplicitato subito appresso nella indicazione delle sanzioni, che la responsabilità dell'ente discenda anche solo dai reati di dichiarazione infedele, omessa dichiarazione ed indebita compensazione.

Su questo, il decreto legislativo appare riprendere l'indicazione della legge delega, che sul punto prevede (art. 3 comma 1 lett. e)) di:

“integrare le disposizioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, recante disciplina della responsabilita' amministrativa delle persone giuridiche, delle societa' e delle associazioni anche prive di personalita' giuridica, prevedendo espressamente la responsabilita' amministrativa da reato delle persone giuridiche anche per i reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione europea e che non sono gia' compresi nelle disposizioni del medesimo decreto legislativo”.

Una riflessione da compiere su questo aspetto riguarda il fatto che la direttiva, all'art. 6, prevede la responsabilità degli enti “per uno dei reati di cui agli art. 3, 4 e 5”. L'art. 3 della stessa direttiva, in materia di frodi IVA, considera rilevanti anche condotte come la mancata comunicazione di informazioni relative all'imposta, in violazione di un obbligo specifico, che potrebbe corrispondere alla mera omessa presentazione della dichiarazione, ma tutto ciò sempre, come premessa, “in sistemi fraudolenti transfrontalieri”.

Ora, in realtà anche l'art. 5 del decreto delegato, che modifica l'art. 25-quinquiesdecies d.lgs. 231 del 2001, prevede come rilevante, nella versione finale, ai fini della responsabilità dell'ente, che la condotta da cui risulta l'evasione di IVA sia frutto non solo “dei delitti previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74”, ma completa questa previsione con l'espressione “se commessi nell'ambito di sistemi fraudolenti transfrontalieri”, avendo tale dizione finale sostituito la precedente formulazione “anche se commessa in parte nel territorio di altro Stato membro dell'Unione europea”.

La distinzione tra fattispecie così si assottiglia, perchè una “dichiarazione infedele nell'ambito di sistemi fraudolenti transfrontalieri” si avvicina evidentemente molto ad una “dichiarazione fraudolenta”, e tuttavia non si può probabilmente ipotizzare una piena identificazione delle due ipotesi, perchè, per esempio, è ben possibile che, nell'ambito di una grande frode internazionale, venga aperta una società in uno Stato dell'Unione, alla quale, poi, vengono fatte presentare dichiarazioni infedeli le quali, però, nello specifico, non sono fraudolente. La fraudolenza di tale dichiarazione non starebbe, quindi, nelle modalità di redazione della dichiarazione in sé, quanto nel fatto che essa è un tassello di uno schema di condotte più ampio, questo sì fraudolento.

La stessa lettera della legge, comunque, potrebbe portare a ritenere che, in realtà, la dizione finale restringa l'ambito di operatività della previsione di responsabilità dell'ente, contenuta nella prima parte della frase, per tutti i reati del d.lgs. n. 74 del 2000, in quanto anche quelli di mera omissione o formali (dichiarazione infedele, omessa dichiarazione, indebita compensazione) acquisterebbero rilevanza solo se commessi nell'ambito di sistemi fraudolenti transfrontalieri, cioè se siano espressione di uno schema, probabilmente di più ampie dimensioni, di natura fraudolenta, cosicchè il rilevo della mera condotta omissiva al di fuori di tale requisito appare perdere rilievo ai fini della responsabilità dell'ente.

Prescrizione

La direttiva era importante anche per norma sulla prescrizione, che nella proposta era ancora più pregnante del testo finale della direttiva.

In origine, infatti, nella proposta erano stato pensato il termine di prescrizione specifico di “almeno cinque anni dal momento in cui è stato commesso il reato, entro il quale continua ad essere possibile avviare le indagini, esercitare l'azione penale, svolgere il processo e prendere la decisione giudiziaria in merito” per tutti i reati previsti dalla direttiva, indipendentemente dalla loro gravità, cosicché in questa specifica materia si sarebbe raggiunto sul tema un certo livello di armonizzazione, e comunque un livello mai visto prima in uno strumento europeo di diritto penale.

Tale disciplina tendente ad una forte armonizzazione, già nel testo finale della direttiva si era un po' sbiadita, perché per le frodi non gravi si era ritornata alla tradizionale formulazione degli strumenti dell'ex “terzo pilastro” in materia di prescrizione dei reati, e cioè quella per cui gli Stati avrebbero dovuto prevedere “un congruo lasso di tempo” dalla commissione dei reati per condurre le indagini e svolgere il processo.

Solo per i reati gravi la direttiva aveva mantenuto la previsione di una indicazione temporale specifica per la prescrizione, e cioè di almeno 5 anni.

Il decreto legislativo, sul punto, addirittura, nulla dice, e negli atti dell'iter parlamentare, in particolare nella tabella di concordanza, si afferma espressamente che l'art. 12 della direttiva PIF “non sembra richiedere apposita armonizzazione del diritto nazionale”.

Uno degli istituti più delicati nel campo della lotta alle frodi rimane, così, senza armonizzazione, ed ogni Stato continua a regolare la prescrizione secondo le regole di diritto interno, considerato che il limite minimo di almeno 5 anni previsto per le frodi gravi dalla direttiva è già presente in quasi ciascun ordinamento degli Stati Membri.

In conclusione

Va salutato con soddisfazione il fatto che il percorso della direttiva PIF, iniziato, come detto in apertura, nell'ormai lontano 2012, sia giunto alla sua conclusione con la definitiva attuazione nei sistemi interni, e nel nostro ordinamento per quanto ci riguarda.

Certo, come si è già osservato in più parti del commento, in un'ottica di maggiore integrazione europea, in questo percorso qualcosa si è perso per strada, se si guarda alla proposta originaria della Commissione, che era ben più ambiziosa.

Probabilmente, però, il vero banco di prova di questa normativa, più che in materia di diritto penale sostanziale, sarà, come ricordato, nel funzionamento pratico dell'istituenda Procura Europea, che di tali disposizioni dovrà fare uso nell'ambito della propria competenza.

Sarà, quindi, estremamente interessante vedere l'applicazione di tali norme, per la prima volta, da parte di un ufficio di indagine europeo anche in Italia, a conferma del fatto che si tratta di norme vive, non destinate a restare sulla carta, nonché espressione di un processo di integrazione di cui si vedono possibilità di progresso anche in questi tempi difficili, seppure tra incertezze ed ostacoli.

Guida all'approfondimento

In dottrina sul tema: La Vattiata, La nuova direttiva PIF. Riflessioni in tema di responsabilità da reato degli enti giuridici, gruppi societari e reati tributari, in Giurisprudenza Penale, 2019, 9; Finocchiaro, Note a prima lettura del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124 (“Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili”), in www.sistemapenale.it del 18.11.2019; Parisi, Chiari e scuri nella direttiva relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione, in Giurisprudenza Penale Web, 2017; Salazar, Habemus EPPO! La lunga marcia della Procura europea, in Archivio Penale, 2017, n. 3; Ubiali, La disciplina italiana in materia di corruzione nell'ultimo rapporto del greco: tra le criticità, la corruzione degli arbitri, la corruzione internazionale, il finanziamento dei partiti, in Diritto Penale Contemporaneo, luglio 2018

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