Fondo patrimoniale e bisogni della famiglia: la Cassazione ci ripensa?
17 Luglio 2020
Massima
Se il credito per cui si procede è solo indirettamente destinato alla soddisfazione delle esigenze familiari del debitore, rientrando nell'attività professionale da cui quest'ultimo ricava il reddito occorrente per il mantenimento della famiglia, non è consentita, ai sensi dell'art. 170 c.c., la sua soddisfazione sui beni costituiti in fondo patrimoniale. Il caso
La questione finita all'attenzione del Supremo Collegio è di tradizionale frequenza allorquando nelle aule di giustizia si contrappongano le ragioni del creditore procedente e quelle dell'esecutato che aveva precedentemente conferito in fondo patrimoniale gli immobili successivamente pignoratigli. Nel caso di specie, un Istituto di credito aveva concesso ad un società a responsabilità limitata un finanziamento per euro 300.000 a garanzia della cui restituzione l'Amministratore Unico aveva prestato fideiussione; a fronte dell'infruttuosa escussione della citata garanzia personale, la Banca pignorava la quota indivisa di un mezzo di alcuni immobili di proprietà del fideiussore. L'altro comproprietario (marito del fideiussore) proponeva avanti al Tribunale di Livorno opposizione di terzo ex art 619 c.p.c. deducendo che i suddetti immobili fossero stati costituiti in fondo patrimoniale con atto pubblico del 30 aprile 2008, per cui antecedentemente alla concessione del finanziamento bancario de quo ma poi oggetto di azione revocatoria e simulatoria da parte dell'Istituto di Credito, e che - quindi - il pignoramento in questione fosse inammissibile in forza del disposto di cui all'art. 170 c.c. a mente del quale “l'esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia”. La Banca resisteva asserendo che l'attività imprenditoriale del fideiussore (ed Amministratore Unico) della società finanziata, nel cui ambito era stata concessa la garanzia personale, non fosse estranea ai bisogni della famiglia. Il Tribunale di Livorno rigettava l'opposizione del marito terzo proprietario motivandola con l'assunto che fosse ragionevole ritenere che la moglie ritraesse dall'attività imprenditoriale, nel cui ambito era stata concessa la fideiussione, i proventi da destinare (anche) alle necessità della famiglia: dunque, si sarebbe stati in presenza di un debito contratto per far fronte (anche) ai bisogni della famiglia. La moglie, che era comunque intervenuta nel procedimento di opposizione proposto dal marito, proponeva appello avverso la prefata pronuncia di rigetto del Tribunale di Livorno, lamentando che il giudice non avesse considerato: come il denaro proveniente dal finanziamento concesso alla società fosse stato interamente utilizzato per acquistare un bene sociale e non certo per far fronte alle esigenze familiari; come dall'entità dei redditi del marito non potesse farsi discendere alcuna presunzione della destinazione dei proventi societari alle esigenze della famiglia. In sostanza: la finalità del debito come familiare non sarebbe stata affatto dimostrata. La Corte d'Appello di Firenze accoglieva l'appello reputando dimostrato dall'istruttoria di primo grado che il finanziamento fosse stato destinato esclusivamente all'attività d'impresa e non al soddisfacimento delle esigenze familiari, se non in via del tutto mediata. A fronte di quanto sopra la Banca ricorreva in Cassazione fondando le proprie doglianze su due motivi e precisamente:
La questione
Due sono i temi affrontati dalla seppur stringata sentenza in commento: il primo è dato dall'individuazione della nozione dei bisogni della famiglia la cui portata si presta ad interpretazioni polivalenti, l'una estensiva e l'altra restrittiva; il secondo è dato dall'individuazione del soggetto sul quale gravi l'onere di provare in primiis che il debito sia stato contratto per scopi estranei ai bisogni familiari ed in secundiis che di siffatta estraneità il creditore ne fosse a conoscenza. Le soluzioni giuridiche
In base ad una consolidata ricostruzione logico letterale dell'art. 170 c.c., tre sono le categorie di debiti ivi contemplate: la prima è data dai debiti contratti per far fronte ai bisogni della famiglia; la seconda è data dai debiti contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia, la cui estraneità è - però - ignota al creditore; la terza è data dai debiti contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia, la cui estraneità è - invece - nota al creditore. In relazione alle prime due categorie l'esecuzione da parte del creditore sui beni facenti parte del fondo patrimoniale del debitore è ammessa, mentre per la terza è esclusa. E', dunque, evidente che la presenza del fondo patrimoniale determini una limitazione della responsabilità patrimoniale del debitore, dato che per determinate obbligazioni - e precisamente per quelle scaturenti da debiti contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia la cui estraneità era nota al creditore - questi ne risponderà solo con parte dei suoi beni e cioè con quelli non facenti parte del fondo patrimoniale. Tale meccanismo di limitazione della responsabilità patrimoniale include a pieno titolo il fondo patrimoniale nella categoria dei c.d. patrimoni separati, in quanto i beni che ne fanno parte non sono soggetti al regime generale di responsabilità di cui all'art. 2740 c.c. (Cass., Sez. III, 9 maggio 2019, n. 12264; Cass., Sez. III, 18 ottobre 2011, n. 21494; Cass., Sez. I, 22 gennaio 2010, n. 1112; Cass., Sez. I, 20 giugno 2000, n. 8379). Tale separazione non deve stupire, in quanto è da collocarsi nell'inquadramento complessivo del fondo patrimoniale che - per definizione normativa di cui all'art. 167 c.c. - viene istituito per “far fronte ai bisogni della famiglia”: ecco che la meritevolezza della finalità genetica del fondo patrimoniale viene rafforzata ed esaltata dal Legislatore attraverso la protezione dei beni che ne fanno parte dalle aggressioni creditorie che, seppur in astratto legittime, non sono sorrette da un'adeguata motivazione. A questo punto è inevitabile dover indagare in ordine alla portata del ruolo dei bisogni familiari. Nulla quaestio per i debiti finalizzati al soddisfacimento diretto dei bisogni della famiglia come ad esempio quelli contratti: per l'acquisto ed il mantenimento della casa adibita a residenza della famiglia nonché per il pagamento delle relative spese condominiali e degli oneri fiscali in genere connessi; per l'acquisto di cibo e vestiario; per l'acquisto e mantenimento di automezzi (sul punto ampiamente: P.G. De Marchi, Fondo Patrimoniale, Milano, Giuffrè, 2005, 287; V. De Paola, Il diritto patrimoniale della famiglia nel sistema del diritto privato, III, Milano, Giuffrè 2002, 32; G. Oberto, Lezioni sul fondo patrimoniale, http://www.giacomooberto.com/fondopatrimoniale/lezioni_sul_fondo_patrimoniale.htm). E' naturale che nel caso in cui il debitore non adempia alle obbligazioni contratte per dette finalità, i beni facenti parte del fondo patrimoniale siano aggredibili da parte dei creditori. Più delicata, invece, è la possibilità di ampliare la portata del precetto anche ai debiti che solo indirettamente possano essere strumentali al perseguimento delle finalità familiari: nella fenomenologia delle dinamiche economico-giuridiche, infatti, ben può accadere che il debito contratto presenti un nesso meno marcato con le esigenze del nucleo familiare. La giurisprudenza è stata più volte chiamata a prendere posizione sul tema e, in misura nettamente prevalente, ha accolto una nozione ampia del concetto di bisogno familiare al fine di includervi “anche quelle esigenze volte al pieno mantenimento ed all'armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi” (formula coniata, per quanto consta, da Cass., 7 gennaio 1984, n. 134 e poi ampiamente reiterata, così tra le tante: Cass., Sez. VI, 5 maggio 2017, n. 10975; Trib. Monza, 8 maggio 2015; Cass., Sez. III, 11 luglio 2014, n. 15886; Trib. Salerno, 30 settembre 2008; App. Torino, 11 settembre 2007). Secondo i Giudici, quindi, i bisogni familiari possono essere soddisfatti anche contraendo obbligazioni che solo indirettamente consentano di perseguire gli interessi del nucleo familiare: con questa operazione ermeneutica, il campo delle obbligazioni contratte per adempiere ai bisogni ultronei a quelli familiari viene relegato all'alveo della voluttuarietà e della (mera) speculazione. Passando dalla petizione di principio alla casistica fattuale, in applicazione del suddetto principio estensivo sono stati reputati inclusi nella categoria dei debiti contratti per far fronte ai bisogni della famiglia: - Il credito dell'avvocato nei confronti del cliente che si sia avvalso dell'attività del primo per il recupero di un credito professionale (Trib. Taranto, 5 dicembre 2014), in base all'argomentazione per cui il recupero del credito, ancorchè di natura professionale, è un'attività il cui esito fruttuoso potrà essere devoluto per far fronte ai bisogni familiari; - Il credito dell'istituto bancario verso l'imprenditore commerciale anche se il di lui coniuge sia del tutto estraneo alla gestione dell'impresa (Cass., Sez. III, 19 febbraio 2013, n. 4011; Cass., Sez. III, 7 febbraio 2013, n. 2970; Cass., Sez. I, 18 settembre 2001, n. 11683), in base all'argomentazione per cui il potenziamento dell'impresa, attuato mediante l'apertura di un finanziamento, non è fine a sé stesso, ma è funzionale a far fronte ai bisogni familiari; - Il credito dell'istituto previdenziale verso l'imprenditore commerciale anche se il di lui coniuge sia del tutto estraneo alla gestione dell'impresa (Cass., Sez. III, 28 ottobre 2016, n. 21800; Cass., Sez. VI, 24 febbraio 2015, n. 3738; Cass., Sez. III, 5 marzo 2013, n. 5385), in base all'argomentazione per cui l'assolvimento del debito previdenziale è necessario per l'esistenza dell'impresa i cui proventi serviranno a far fronte ai bisogni familiari; - Il credito dell'Agenzia delle Entrate derivante da polizze fideiussorie prestate dall'amministratore della società a favore della stessa (Trib. Torino, 10 giugno 2016), in base all'argomentazione per cui l'assolvimento del debito fiscale è necessario per l'esistenza dell'impresa i cui proventi serviranno a far fronte ai bisogni familiari; - Il credito erariale scaturente da evasione fiscale (Cass., Sez. V, 22 febbraio 2017, n. 4593), in base all'argomentazione per cui tutto ciò che è stato occultato al fisco di fatto verrà impiegato per far fronte ai bisogni familiari. Filo conduttore di tale eterogenea elencazione è l'affievolimento, più o meno marcato a seconda delle fattispecie sopra elencate, del legame tra l'inerenza tra debito contratto ed il soddisfacimento dei bisogni familiari. Se tale è l'orientamento decisamente prevalente, si possono segnalare alcune sporadiche prese di posizione in senso critico, così ad esempio: Trib. Bari, 31 marzo 2008, che ha reputato estranea ai bisogni familiari l'obbligazione contratta da una società della quale il componente della famiglia è socio; Trib. Mondovì, 13 ottobre 2005, che ha reputato estraneo ai bisogni familiari il debito contratto per l'acquisto di merci da destinare al ciclo produttivo dell'impresa; Trib. Ragusa, 21 dicembre 1999, che ha reputato estranea ai bisogni familiari l'obbligazione contratta nell'esercizio dell'attività professionale o imprenditoriale. Ecco che in questo filone minoritario, incentrato in particolare sulle obbligazioni di matrice imprenditoriale, viene tracciata una netta distinzione tra bisogni della famiglia e bisogni del singolo componente Degna di nota è - allora - la pronuncia oggetto del presente commento, in quanto - distaccandosi dalla prevalente interpretazione - con pochissime righe confuta la tradizionale ricostruzione in senso ampio del concetto di bisogno familiari: gli Ermellini della prima sezione affermano, infatti, che “se il credito per cui si procede è solo indirettamente destinato alla soddisfazione delle esigenze familiari del debitore, rientrando nell'attività professionale da cui quest'ultimo ricava il reddito occorrente per il mantenimento della famiglia, non è consentita, ai sensi dell'art. 170 c.c., la sua soddisfazione sui beni costituiti in fondo patrimoniale”. Per comporre lo strappo ermeneutico operato, i Giudici sostengono - seppur incidenter tantum - che un conto sia, come da orientamento di legittimità ormai costante, sostenere che i bisogni della famiglia debbano essere ricostruiti in senso non restrittivo, ma ben altro discorso sia - invece - avallare l'idea che il credito possa essere indiscriminatamente collegato solo in via indiretta ai bisogni familiari: ancorchè cripticamente, sembra essere delineata dal S.C. una (sfuocata) distinzione tra le nozioni di bisogno indiretto della famiglia (non legittimante l'esecuzione sui beni del fondo) e di bisogno non restrittivo della stessa (legittimante, invece, l'esecuzione sui beni del fondo). Ancora meno spazio viene dedicato dal S.C. al tema della ripartizione dell'onere probatorio. Stante il silenzio dell'art. 170 c.c., la giurisprudenza pressochè totalitaria ha costantemente affermato che spetti al debitore provare sia che il debito sia estraneo ai bisogni della famiglia sia che il creditore ne fosse a conoscenza (tra le tante: Cass., Sez. V, 7 giugno 2019, n. 15459; Cass., Sez. III, 23 agosto 2018, n. 20998; Cass., Sez. VI, 11 aprile 2018, n. 8881; Cass., Sez. VI, 26 ottobre 2017, n. 25443; Cass., Sez. V, 9 novembre 2016, n. 22761; Cass., Sez. III, 11 luglio 2014, n. 15886; Cass., Sez. III, 19 febbraio 2013, n. 4011; Cass., Sez. III, 15 marzo 2006, n. 5684). A parziale alleggerimento di un siffatto onere, tutt'altro che semplice da assolvere ( … si immagini, ad esempio, come un debitore possa mai dimostrare che un Ente Previdenziale chiamato a gestire milioni di posizioni a livello nazionale fosse a conoscenza delle esimenti di cui sopra … ), si ammette la prova a mezzo di presunzioni (P.G. De Marchi, Op. cit., 286). Al riguardo, la pronuncia in commento afferma che “la Corte d'appello, lungi dall'invertire l'onere probatorio, ha invece accertato in fatto la effettiva destinazione del finanziamento, oggetto di fideiussione, all'acquisto di beni strumentali da parte della società favorita”. Entrambi motivi di ricorso - indi - sono stati rigettati e, per l'effetto, la pronuncia di merito confermata. Osservazioni
La pronuncia de quo ha il pregio non indifferente di (ri)attribuire un reale significato al precetto di cui all'art. 170 c.c. e con esso alla funzione stessa del fondo patrimoniale. E' innegabile che un uso distorsivo di questo strumento, sempre più percepito nelle aule di giustizia non come virtuoso presidio posto a tutela della famiglia bensì come deprecabile ostacolo a danno del creditore, abbia nel tempo esasperato la conflittualità tra le ragioni familiari e quelle creditorie, ma è - altrettanto - inconfutabile che l'allargamento delle maglie del concetto di bisogno familiare abbia, di fatto, abrogato il disposto di cui all'art. 170 c.c. (in questi termini, M. Mattioni, Il fondo patrimoniale è morto?, https://www.federnotizie.it/il-fondo-patrimoniale-e-morto/). Banalmente ed a prescindere dalle ricostruzioni dogmatiche del caso, non è dato sapere quali possano essere le “esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi” - tralatiziamente riportate nei massimari della giurisprudenza - tali da precludere al creditore di aggredire i beni facenti parte del fondo patrimoniale; ancor più arduo, è stabilire come il debitore - cui, come detto sopra, grava l'onere probatorio - sia in grado di dimostrare che il creditore fosse stato a conoscenza di dette circostanze (dato che la sola sussistenza delle stesse, non abbinata allo stato di conoscenza in capo al creditore, non è tale da precludere l'azione esecutiva). Le reazione che il nostro Ordinamento pone a fronte di utilizzi impropri di uno strumento giuridico già sono individuate dalla Legge nell'azione revocatoria ex art. 2901 c.c. (certamente esperibile verso la costituzione del fondo patrimoniale: da ultimo, essendo il punto incontroverso, Cass., Sez. VI, 29 novembre 2019, n. 31227) e nell'illiceità della causa, e conseguente nullità, per frode alla Legge ex art. 1344 c.c.. Prevenire l'utilizzo fraudolento di qualsivoglia strumento giuridico mediante un'aprioristica interpretazione delle norme tale da precluderne in nuce la distorsione effettuale, appare un percorso concettualmente viziato: ecco che, allora, la Sentenza in oggetto ripristina il (legale) punto di equilibrio nella contrapposizione delle ragioni della famiglia e del ceto creditorio, ripudiando la via ermeneutica che arbitrariamente dia prevalenza (automatica?) a quelle del secondo rispetto a quelle della prima. Ben si potrebbe dissertare sui limiti operativi dei bisogni familiari, stante la loro intrinseca fluidità nelle dinamiche sociali, ma occorre - ad avviso di chi scrive - porre un argine alla deriva giurisprudenziale che fagocita nell'esigenza familiare qualunque obbligazione contratta dal coniuge: il perverso sillogismo tale per cui ogni debito sia fatalmente “familiare”, oltre che privo di ontologico significato è scevro di sostegno normativo. Diversamente, senza accorgersene, gli artt. da 167 a 171 c.c. sarebbero lettera morta.
M. de Pamphilis, I bisogni “insaziabili” della famiglia: presupposti per l'esecuzione sui beni del fondo patrimoniale e ripartizione dell'onere probatorio, in Famiglia e diritto, 2017, 6, 516; M. Mattioni, Fondo patrimoniale e bisogni della famiglia, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2015, 1, 7-8, 664; E. Paganini, Esecuzione sui beni conferiti nel fondo patrimoniale e bisogni della famiglia, in Studium Iuris, 2018, 12, 1460; G. Trapani, Il fondo patrimoniale come strumento di soddisfazione dei bisogni della famiglia, in Notariato, 2007, 6, 669. |