La rivoluzione copernicana della guida in stato di ebbrezza
20 Luglio 2020
Abstract
Tre recenti pronunce, due del Giudice di legittimità e una del Giudice delle leggi, hanno contribuito a ridisegnare sensibilmente la disciplina della guida in stato d'ebbrezza, ponendosi in netta contrapposizione con orientamenti ormai consolidati. In particolare con la storica sentenza n. 38618 del 6 giugno 2019, la sezione IV penale della Suprema Corte, mutando il tradizionale orientamento sino a quel momento seguito dalla giurisprudenza di legittimità, ha statuito il principio per cui spetta alla pubblica accusa fornire la prova dell'esatta funzionalità dell'etilometro, sia in termini di corretta omologazione che di taratura della strumentazione utilizzata. La pronuncia in esame, facendo propri principi già affermati dalla Corte Costituzionale nella nota pronuncia n. 113 del 2015 in tema di autovelox e recepiti dalla giurisprudenza di legittimità in sede civile, costituisce il superamento (definitivo?) di quel tradizionale orientamento per cui, nel processo penale, il mero esito positivo dell'alcoltest è da solo elemento sufficiente e idoneo a costituire piena prova dello stato di ebbrezza del conducente-imputato, gravando, invece, su quest'ultimo l'onere di fornire la prova contraria di tale accertamento, attraverso la prova diabolica di eventuali errori strumentali o di metodo nell'esecuzione dell'aspirazione, ovvero di eventuali vizi correlati all'omologazione o alla taratura dell'apparecchio. Significative anche due pronunce che hanno riguardato le sanzioni accessorie conseguenti alle pronunce di condanna per il reato in esame. Nello specifico la sentenza n. 7526 del 2019 la sezione IV della Corte di Cassazione si è occupata della relazione tra la confisca del veicolo nel caso di guida in stato di ebbrezza e la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis c.p., rilevando come l'osservanza del principio di legalità impone di ritenere che la confisca non sia ammessa, mentre resterà applicabile la diversa sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida. Da ultimo si è affermato il principio per cui è illegittima la confisca del veicolo per guida in stato di ebbrezza se la "messa alla prova" si è conclusa con esito positivo. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale del 24 aprile 2020, dichiarando l'incostituzionalità dell'art. 224-ter, comma 6, del "Nuovo codice della strada" (d.lgs. n. 285 del 1992) nella parte in cui prevede che il prefetto verifica la sussistenza delle condizioni di legge per l'applicazione della sanzione amministrativa accessoria della confisca del veicolo, anziché disporne la restituzione all'avente diritto, in caso di estinzione del reato di guida sotto l'influenza dell'alcool per esito positivo della messa alla prova. Pronunce storiche che si inseriscono in un dibattito tutt'altro che sopito.
Il caso, giunto sino in Cassazione, riguardava un'automobilista risultato positivo all'alcoltest mentre era alla guida della sua auto. In sede di discussione, come pure nel primo atto di gravame, la difesa aveva evidenziato come sussistesse un ragionevole dubbio circa la sussistenza dello “stato d'ebbrezza” in quanto, mentre era stato possibile accertare l'omologazione dell'etilometro, non era stata fornita, invece, la prova che questo fosse stato sottoposto alle verifiche periodiche obbligatorie. Nel corso del primo e del secondo grado di giudizio le istanze della difesa erano state disattese sulla scorta del fatto che non erano stati forniti elementi idonei a dimostrare il mancato funzionamento (o quantomeno a far sorgere un ragionevole dubbio circa il corretto funzionamento) dell'apparecchiatura utilizzata dall'organo accertatore. Il ricorso per Cassazione, in particolare si fondava, da un lato, sul presupposto che l'etilometro utilizzato per l'alcoltest risultasse omologato ma senza la revisione periodica prescritta dall'art. 379, comma 8, d.P.R. n. 495 del 2002, e, dall'altro, sull'assunto secondo cui grava sulla pubblica accusa, e non sulla difesa, l'onere della prova circa l'attendibilità dello strumento utilizzato. Per comprendere la ragioni che hanno determinato la Corte di legittimità ad accogliere tali istanze così mutando il proprio tradizionale orientamento e il proprio approccio ideologico alla tematica, tanto da ricorrere ad un revirement (lett. “inversione”), è opportuno prendere le mosse dal quadro normativo di riferimento. Al fine di inquadrare le preventive caratteristiche di cui deve essere dotato l'apparecchio dell'etilometro utilizzato dagli agenti accertatori in funzione della configurazione della piena attendibilità dell'attività di accertamento, occorre fare riferimento alla disciplina risultante dal d.P.R. n. 495 del 1992, art. 379. In forza di tale disposizione normativa gli etilometri debbono rispondere ai requisiti di cui al disciplinare tecnico approvato con decreto del Ministro dei Trasporti e della Navigazione, di concerto con il Ministro della Sanità ed essere sottoposti alla preventiva omologazione da parte della Direzione generale della M.T.C. che vi provvede sulla base delle verifiche e prove effettuate dal Centro Superiore Ricerche e Prove Autoveicolo, in modo da verificarne la rispondenza ai requisiti prescritti. Gli stessi apparecchi, prima della loro utilizzazione, debbono, inoltre, essere sottoposti a verifiche e prove secondo le procedure stabilite dal Ministero dei Trasporti, ovvero alla c.d. taratura obbligatoria annuale, il cui esito positivo deve essere annotato sul libretto dell'etilometro, con la precisazione che, in caso di esito negativo delle verifiche, lo strumento deve essere ritirato dall'uso. Da tale dettato normativo si evince che la effettiva legittimità dell'esecuzione dell'accertamento mediante etilometro non può prescindere dall'osservanza di appositi obblighi formali, dalla cui violazione può discendere l'invalidità dell'accertamento stesso. La dettagliata normazione degli aspetti tecnici sopra richiamati, tuttavia, spesso rimaneva in pratica lettera morta in costanza del principio di diritto, reiteratamente affermato dalla Corte di Cassazione in sede penale, secondo cui, in tema di guida in stato di ebbrezza, in presenza dell'accertamento del tasso alcolemico legittimamente posto in essere, gravava sull'imputato l'onere di dare dimostrazione di circostanze in grado di privare quell'accertamento di valenza dimostrativa della sussistenza del reato dimostrando l'eventuale presenza di fattori in grado di comprometterne gli esiti (ad es. per aver assunto bevande alcoliche successivamente alla cessazione della guida; per essere portatore di patologie che alterano il metabolismo dell'alcool; per la sussistenza di un difetto degli strumenti di misurazione utilizzati dagli accertatori e così seguitando). Tale gravoso onere per il privato, di fornire prova del malfunzionamento dell'etilometro, appariva tanto più difficoltoso in considerazione della disponibilità dell'apparecchio in capo alla pubblica amministrazione Non sfugge, dunque, come l'applicazione di tale principio di diritto, almeno in alcuni casi, potesse determinare un classico esempio di probatio diabolica, con potenziale lesione delle guarantigie difensive dell'imputato. Il primo passo verso la progressiva erosione del principio di diritto sopra richiamato è rappresentato da una nota sentenza dalla Corte Costituzionale, la n. 113 del 2015, con la quale la Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 45, comma 6, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, nella parte in cui non prevedeva che tutte le apparecchiature impiegate nell'accertamento delle violazioni dei limiti di velocità fossero sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e taratura. La Consulta, pronunciandosi in una fattispecie relativa alla strumentazione autovelox, aveva avuto l'occasione di enunciare un canone di razionalità pratica, giungendo ad affermare che deve ritenersi "intrinsecamente irragionevole" la mancata sottoposizione a manutenzione della strumentazione, incidendo l'obsolescenza e il deterioramento della stessa sull'affidabilità delle apparecchiature in un settore di particolare rilevanza sociale, quale quello della sicurezza stradale, con onere probatorio, circa il complesso assolvimento dell'espletamento della preventiva attività, gravante sulla Pubblica Amministrazione. Tale principio costituzionale -enunciato in tema di autovelox- è stato esteso e applicato anche al caso dell'etilometro dalla giurisprudenza civile, la quale ha affermato che “… in tema di violazione al codice della strada, il verbale di accertamento effettuato mediante tale strumento, deve contenere, alla luce di un'interpretazione costituzionalmente orientata, l'attestazione della verifica che l'apparecchio da adoperare per l'esecuzione del cd. “alcoltest”, sia stato preventivamente sottoposto alla prescritta ed aggiornata omologazione ed alla indispensabile corretta calibratura; l'onere della prova del completo espletamento di tali attività strumentali grava, nel giudizio di opposizione, sulla P.A. poiché concerne il fatto costitutivo della pretesa sanzionatoria…” (Cass. civ., Sez. VI, 24 gennaio 2019, n. 1921 ord.). In questo scenario si inserisce la sentenza in commento che, alla stregua di un'interpretazione costituzionalmente orientata, ha mutato il proprio tradizionale orientamento giungendo ad affermare che “… in tema di guida in stato di ebbrezza, allorquando l'alcoltest risulti positivo, costituisce onere della pubblica accusa fornire la prova del regolare funzionamento dell'etilometro, della sua omologazione e della sua sottoposizione a revisione ...”. Il Giudice della legittimità, anche in ambito penale, dunque, ha statuito che solo l'affidabilità tanto dell'omologazione quanto della taratura degli apparecchi fa sì che le risultanze degli stessi costituiscano fonte di prova della violazione, e che l'onere probatorio diretto a dimostrare il cattivo funzionamento dell'apparecchiatura non può gravare sull'automobilista, dando luogo, così facendo, ad una presunzione in danno dello stesso. Tali principi, ha ricordato la Suprema Corte “…sono stati affermati dalla giurisprudenza costituzionale in tema di autovelox nonché estesi dalla giurisprudenza civile in relazione all'etilometro, tanto che non vi sarebbe ragione di non riconoscerli anche in sede penale; in caso contrario, si creerebbe un'evidente ed irragionevole distonia – e in particolare tra i settori civile, amministrativo e penale – nella parte in cui l'onere della prova del funzionamento dell'etilometro spetterebbe alla pubblica amministrazione in sede civile e all'imputato in sede penale. Addirittura ne deriverebbe la conseguenza irrazionale -incidente anche sul profilo sostanziale – secondo cui una medesima fattispecie potrebbe costituire solo illecito penale e non illecito amministrativo, in totale contrasto col principio di sussidiarietà del diritto penale e, cioè, dell'utilizzazione dello strumento penale solo quale extrema ratio, in caso di insufficienza degli strumenti sanzionatori previsti dagli altri rami dell'ordinamento…”. Il principio affermato, peraltro, è conforme a quello di carattere generale secondo cui l'accusa deve provare i fatti costitutivi del fatto reato, mentre spetta all'imputato dimostrare quelli estintivi o modificativi di una determinata situazione, rilevanti per il diritto.
Quanto alla possibilità di applicare la speciale causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) alle fattispecie contravvenzionali previste dall'art. 186, comma 2, lett. b) e c), cod. strada, nonché dall'art. 186, comma 7, cod. strada, si rimanda alle note pronunce n. 13681e n. 13682 del 2016 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione per cui ”… non esiste un'offesa tenue o grave in chiave archetipica; è la concreta manifestazione del reato che ne segna il disvalore …” e “… non si dà tipologia di reato per la quale non sia possibile la considerazione della modalità della condotta ed in cui sia quindi inibita ontologicamente l'applicazione del nuovo istituto…”. Si reputa sempre opportuno ricordare tali pronunce per l'importanza delle enunciazioni di diritto in esse contenute ed in particolare del principio di diritto per cui la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis c.p., in presenza dei presupposti e nel rispetto dei limiti fissati dalla norma, è configurabile anche in relazione al reato di guida in stato di ebbrezza, non essendo, in astratto, incompatibile, con il giudizio di particolare tenuità, la presenza di soglie di punibilità all'interno della fattispecie tipica, rapportate ai valori di tassi alcolemici accertati, anche nel caso in cui, al di sotto della soglia di rilevanza penale, vi è una fattispecie che integra un illecito amministrativo. Quanto, invece, alla problematica relativa all'applicabilità o meno delle sanzioni amministrative accessorie per la guida in stato di ebbrezza in caso di riconoscimento della causa di esclusione della punibilità ex art. 131-bis c.p., è stato postulato che sussiste il dovere per il giudice di disporre la sospensione della patente di guida atteso che l'applicazione della causa di non punibilità presuppone l'accertamento del fatto cui consegue, ai sensi dell'art. 186 cod. strada, l'applicazione della sanzione amministrativa accessoria (Cass. pen.,Sez. IV, 9 settembre 2015 n. 44132). Si precisa, inoltre, come la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, applicabile in relazione a illeciti posti in essere con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, non possa essere disposta nei confronti di chi si sia posto alla guida di un veicolo per cui non è richiesta alcuna abilitazione, come un velocipede (così Cass. pen., Sez. IV, 29 marzo 2013 n. 19413, Cotogna; conforme Cass. pen., Sez. IV, 11 gennaio 2017 n. 20364) La Con sentenza n. 7526 del 2019 la IV sezione della Corte di Cassazione ha colto l'occasione di certificare il netto distinguo esistente tra la sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida, rispetto alla quale valgono i princìpi testé richiamati, e la sanzione accessoria della confisca che, invece, non potrà essere applicata in caso di pronuncia di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Nel caso di specie il Tribunale di Brescia aveva pronunciato sentenza di condanna per il reato di guida in stato di ebbrezza alcolica (art. 186, comma 2, lett. c, cod. strada). La sentenza era stata poi riformata dalla Corte di Appello di Brescia, la quale aveva ritenuto che l'imputato fosse non punibile per la particolare tenuità del fatto, ai sensi dell'articolo131 bis c.p., e disposto la restituzione al all'imputato del velocipede utilizzato per commettere il reato. Avverso tale decisione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Brescia proponeva ricorso per cassazione deducendo l'inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 186 cod. strada, in quanto il Giudice avrebbe dovuto disporre la sanzione amministrativa accessoria della confisca del velocipede condotto dall'imputato al momento del fatto, siccome in proprietà del medesimo, con richiesta di annullamento della sentenza in parte qua e conseguenti provvedimenti. Invero l'art. 186 cod. strada prevede allo stesso tempo che “… All'accertamento della violazione consegue la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida …” e che “…Con la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena a richiesta delle parti, anche se è stata applicata la sospensione condizionale della pena, è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso …”. La disposizione normativa, se da un lato fa discendere l'applicazione della sanzione accessoria della sospensione della patente di guida dal mero accertamento del fatto, non contempla la confisca nei casi in cui l'imputato riporti una pronuncia diversa da quelle di condanna o di applicazione pena su richiesta delle parti. Per la confisca, l'art. 186, comma 2, lett. c), cod. strada richiede una pronuncia di condanna o l'applicazione della pena su richiesta delle parti non essendo sufficiente appurare la sussistenza dell'illecito penale. La Corte, nella sentenza in esame, ha rammentato che la giurisprudenza di legittimità si è occupata della relazione tra confisca e 131-bis c.p. in tema di armi e, in merito, ha affermato che la misura di sicurezza patrimoniale della confisca è imposta per tutti i reati concernenti le armi ed è obbligatoria anche in caso di proscioglimento dell'imputato per particolare tenuità del fatto ai sensi dell'art. 131-bis c.p., restando esclusa soltanto nell'ipotesi di assoluzione nel merito per insussistenza del fatto (Cass. pen., Sez. I, 15 novembre 2017 n. 54086). L'ammissibilità della confisca per le armi, tuttavia, trova una specifica base legale nell'art. 6 l. n. 152 del 1975, che prevede l'applicabilità a tutti i reati concernenti le armi (di ogni altro oggetto atto ad offendere, nonché munizioni ed esplosivi) del secondo comma dell'art. 240 c.p. che dispone la confisca delle cose, la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna. Invece, nel caso di guida di un veicolo in stato di ebbrezza, in assenza di un'esplicita previsione normativa, quando il fatto sia valutato di particolare tenuità, non essendo in presenza né di una sentenza di condanna né di patteggiamento, non può essere disposta la confisca del veicolo. L'osservanza del principio di legalità impone, dunque, di ritenere che la confisca non sia ammessa in caso di pronuncia di non punibilità ex art. 131-bis c.p. La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dal Tribunale ordinario di Bergamo, chiamato a giudicare il ricorso di un soggetto che, fermato alla guida in stato di ebbrezza, aveva positivamente concluso il periodo di messa alla prova. A quel punto, ottenuta sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato, questi aveva chiesto la restituzione del veicolo sequestrato. Il Prefetto di Bergamo, invece, ne aveva ordinato la confisca. Proposta opposizione, nel giudizio a quo, il Giudice di pace di Bergamo l'aveva respinta. La questione di legittimità costituzionale dell'art. 224-ter, comma 6, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), dunque, è stata sollevata dal Tribunale di Bergamo, che ha dubitato della compatibilità della predetta disposizione normativa con i dettami della Costituzione, ed in particolare con il principio di uguaglianza, nella parte in cui non prevede la possibilità di restituzione del veicolo al proprietario in luogo dell'applicazione della confisca del medesimo, nel caso di esito positivo della messa alla prova. Il Giudice delle leggi, ha dichiarato la manifesta irragionevolezza della previsione sopra richiamata, dichiarandone l'illegittimità costituzionale nella parte in cui prevede che il Prefetto verifica la sussistenza delle condizioni di legge per l'applicazione della sanzione amministrativa accessoria della confisca del veicolo, anziché disporne la restituzione all'avente diritto, in caso di estinzione del reato di guida sotto l'influenza dell'alcool per esito positivo della messa alla prova. Secondo la Consulta una simile previsione è manifestamente irragionevole se paragonata alle opposte conseguenze che derivano dal positivo svolgimento del "lavoro di pubblica utilità”, che invece determina la revoca giudiziale della confisca, e ciò, nonostante la messa alla prova costituisca una misura più articolata ed impegnativa dell'altra, in quanto il lavoro di pubblica utilità vi figura insieme al compimento di atti riparatori da parte dell'imputato e all'affidamento dello stesso al servizio sociale. Come noto, l'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova è stato introdotto, per gli imputati adulti, nel 2014 (legge n. 67). A norma dell'art. 168-bis, comma 2, c.p., la messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato; comporta altresì l'affidamento dell'imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, tra l'altro, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l'osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali. La concessione della messa alla prova è inoltre subordinata, per effetto del terzo comma dell'art. 168-bis c.p., alla prestazione di lavoro di pubblica utilità, consistente in una prestazione non retribuita in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. L'art. 168-ter c.p., esso pure aggiunto dall'art. 3, comma 1, l. n. 67 del 2014, stabilisce che l'esito positivo della prova estingue il reato per cui si procede (secondo comma, primo periodo) e che, tuttavia, l'estinzione del reato non pregiudica l'applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, ove previste dalla legge (secondo comma, secondo periodo). Secondo la Corte Costituzionale l'introduzione di tale istituto ha alterato la coerenza del sistema, "con effetti distorsivi sull'attuale portata applicativa dell'art. 224-ter, comma 6, cod. strada". Infatti, conclude la Corte, "la possibilità che, pur in caso di estinzione del reato di guida in stato di ebbrezza per esito positivo della messa alla prova, il prefetto disponga, ricorrendone le condizioni, la confisca del veicolo (della cui disponibilità, peraltro, l'imputato è stato privato sin dal momento del sequestro) – laddove lo stesso codice della strada prevede, per il caso in cui il processo si sia concluso prevede, per il caso in cui il processo si sia concluso con l'emissione di una sentenza di condanna e con l'applicazione della pena sostitutiva, non solo l'estinzione del medesimo reato di guida in stato di ebbrezza, ma anche la revoca della confisca del veicolo per effetto del solo svolgimento positivo del lavoro di pubblica utilità – risulta manifestamente irragionevole, ove rapportata alla natura, alla finalità e alla disciplina dell'istituto della messa alla prova, come delineate anche dalla giurisprudenza di questa Corte”.
In conclusione
Con il presente contributo si è inteso porre l'attenzione su alcuni recenti approdi giurisprudenziali -recenti pronunce del Giudice di legittimità e del Giudice delle leggi- in tema di guida in stato d'ebbrezza, che hanno comportato l'evoluzione di significativi aspetti del reato contravvenzionale in esame. Il revirement giurisprudenziale in tema di onere probatorio del regolare funzionamento dell'etilometro, intervenuto con la pronuncia Cass. pen., Sez. VI, 6 giugno 2019 n. 38618, ha determinato un importante ed auspicato cambio di approccio ideologico: importante perché da oggi si evita il rischio di automatismi e presunzioni sempre pericolose; auspicato perché trattasi di un allineamento ad un principio di carattere generale, quello per cui l'accusa deve provare (tutti) i fatti costitutivi del fatto reato, che era stato spesso derogato nella materia che ci occupa. Come detto si era cristallizzato in materia un orientamento di segno contrario radicato a tal punto che il dibattito, nonostante siano trascorsi un po' di mesi dalla pronuncia della Suprema Corte, non sembra ancora sopito. Giurisprudenza di legittimità di merito, coeva e successiva alla pronuncia sopra analizzata, non si è allineata al principio di diritto da questa affermato, uniformandosi, invece, al precedente orientamento che non può dirsi del tutto superato. Si fa riferimento alla Cass. pen., Sez. IV, 11 giugno 2019 n. 28887 in cui si legge “… l'esito positivo dell'alcoltest costituisce prova della sussistenza dello stato di ebbrezza ed è onere dell'imputato fornire eventualmente la prova contraria a tale accertamento, dimostrando vizi o errori di strumentazione...”; si fa altresì riferimento altresì ad una recente pronuncia di merito Corte d'Appello Ancona, Sent., 17-02-2020 nella quale il Giudice del gravame, nel confermare la sentenza di condanna inflitta in primo grado per violazione dell'art. 186 CdS, ha motivato facendo uso dei principio del diritto per cui “… in tema di guida in stato di ebbrezza di cui all'art. 186 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, l'esito positivo dell'alcoltest costituisce prova della sussistenza dello stato di ebbrezza, ed è onere dell'imputato fornire eventualmente la prova contraria a tale accertamento, dimostrando vizi o errori di strumentazione, cosa nella specie non avvenuta, essendosi l'imputato, come detto sopra, limitato a dedurre, peraltro, in modo assolutamente generico, la possibilità di errori…”. Il controllo delle posizioni interpretative obbedisce all'elementare esigenza di garantire la certezza del diritto e di la funzione nomofilattica; in tal senso potrebbe essere auspicabile la richiesta di intervento delle Sezioni Unite sul punto. Assolutamente condivisibili anche i postulati espressi dalla Corte di legittimità nella pronuncia n. 7526/2019 della in tema di inapplicabilità della confisca in caso di pronuncia ex art. 131-bis c.p. L'inapplicabilità della confisca del veicolo, in tal caso, difatti, è il frutto di una attenta lettura del dato normativo. Difatti, posto che la particolare tenuità del fatto è una causa di non punibilità, la sentenza con cui essa viene riconosciuta non può essere annoverata tra le sentenze di condanna e dunque, la lettura conferita dalla Corte a questa norma del codice della strada è sicuramente rispettosa del principio della legalità e impedisce un'applicazione analogica di una legge nel penale che, come è noto, non è ammessa nel nostro ordinamento giuridico. Da ultimo un cenno alla pronuncia della Corte Costituzionale del 24 aprile 2020 n. 75. Il Giudice delle Leggi, finalmente, ha affermato l'assoluta irragionevolezza della scelta del Legislatore di consentire la revoca del provvedimento della confisca in caso di esito positivo dei lavori di pubblica utilità e non in caso di esito positivo della messa alla prova. Da oggi, dunque, è astrattamente possibile ottenere la restituzione del veicolo anche in caso di guida in stato di ebbrezza aggravato dall'aver causato un sinistro stradale (art. 186, comma 2-bis, cod. strada) – possibilità sino ad oggi preclusa, non potendo in tal caso trovare applicazione l'art. 186, comma 9-bis, cod. strada, che consente la sostituzione della pena detentiva e pecuniari con quella del lavoro di pubblica utilità-. Con la dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 224-tercod. strada nei termini sopra richiamati, inoltre, si apre la possibilità di richiedere la restituzione dei veicoli già sottoposti a confisca nonostante l'esito positivo della MAP, salvo, ovviamente, che sia ormai toppo tardi. |